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5. L A GRAVITÀ DEL FATTO : UN PARAMETRO PER LA LIQUIDAZIONE DEL DANNO NON

5.1. Segue: il rischio di duplicazioni risarcitorie Casistica

5.1.7. Tribunale di Milano, Sez X civile, 3 settembre 2012, n 9749

Ho finora argomentato, in questo paragrafo, su questioni aventi ad oggetto situazioni a dir poco spiacevoli e terribili. Ma provando a confrontare tali situazioni – che, come ho già avuto modo di sottolineare, lasciano quantomeno un dubbio circa la loro correttezza dal punto di vista della quantificazione del risarcimento – con altre in cui, invece, la sofferenza patita dal soggetto leso nei suoi diritti è oggettivamente inferiore – derivando ciò anche dalla obiettiva diversità degli interessi che di volta in volta si assumono lesi, e che costituiscono quindi il fondamento del risarcimento del danno – tutte le problematiche di cui abbiamo finora parlato emergono in maniera alquanto evidente. Si tratta del già ricordato “Caso Vieri”160.

Il fatto è noto: Christian – detto Bobo – Vieri, noto calciatore e viveur, conveniva in giudizio la società Telecom Italia S.p.a. chiedendo di accertare e dichiarare la condotta illecita, ex art. 2043 c.c., del responsabile della funzione Security della società convenuta. Vieri esponeva di aver appreso dalla stampa, nel settembre 2006, che le proprie utenze telefoniche, fisse e mobili, venivano illecitamente intercettate, e comunque controllate, e che tali illecite attività sarebbero state compiute tramite il dirigente della Telecom su commissione della società sportiva F.C. Internazionale Milano presso cui Vieri era all’epoca tesserato. Chiedeva poi di accertare e dichiarare la responsabilità ex art. 2049 c.c. della Telecom, condannandola al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali, provvisoriamente quantificati in 12.000.000 €. Un diverso giudizio – poi riunito a quello precedente – vedeva convenuta, invece, la stessa società calcistica, con riferimento alla quale Vieri chiedeva ne fosse accertata e dichiarata l’illecita condotta ai sensi dell’art. 2043 c.c. per gli stessi fatti materiali già contestati a Telecom161, con conseguente condanna al

risarcimento di tutti i danni, che provvedeva a quantificare in 9.250.000 €.

Accertata la commissione di un fatto illecito commesso ai danni di Christian Vieri, consistente nell’abusivo controllo del traffico telefonico in entrata e in uscita delle utenze allo stesso

intestate, l’attenzione si sposta sul giudizio risarcitorio vero e proprio.

Ciò che maggiormente interessa, però, è il ragionamento del Giudice circa la quantificazione del danno (non patrimoniale) patito dal Vieri.

– Tabella 12 –

Richieste di parte attrice Criteri di liquidazione Importi liquidati

• Danno patrimoniale: l’illecita violazione della privacy avrebbe determinato

La circostanza è dedotta in modo del tutto generico quale compromissione della “possibilità che l’esponente venga ingaggiato da un grande club per il futuro”. Non risulta poi minimamente provato il nesso tra gli illeciti oggetto del giudizio e la mancata

Non risarcibile.

160 TRIB.MILANO,SEZ.X CIV., 3 SETTEMBRE 2012, N.9749, in Foro Italiano, 2012, I, 3199; in

Danno e Responsabilità, 2013, I, 51 con nota di FOFFA R., Caso Vieri: quanto vale la lesione della privacy.

Richieste di parte attrice Criteri di liquidazione Importi liquidati

minori possibilità di guadagno.

partecipazione di Vieri ai Campionati del Mondo di calcio del 2006. Parimenti non risultano provati i danni lamentati dall'attore per la perdita di ingaggi da parte di prestigiose società calcistiche e per la asserita "carriera stroncata". Infine, non è stato inoltre provato il danno patrimoniale derivante, come conseguenza dei fatti illeciti di cui è causa, dalla mancata conclusione di contratti in qualità di "testimonial".

• Danno non patrimoniale da lesione della salute:Costituito da episodi di insonnia, stati di ansia, mutamento delle abitudini di vita a causa della consapevolezza di essere stato “spiato”.

L’attività illecita ha comportato una indebita invasione della sfera privata dell’attore con innegabile e comprovata sofferenza da parte di quest’ultimo. Tale stato di sofferenza, però, non è di per sé sufficiente a dimostrare la causazione di un danno biologico diverso e più grave rispetto alla mera sofferenza transeunte e tale da determinare una lesione del bene salute. Non è poi provata l'insorgenza di una malattia psico-fisica a seguito dei fatti di cui è causa.

Non risarcibile: nessuna somma può essere liquidata a titolo di danno biologico, permanente e temporaneo.

• Danno non patrimoniale da lesione del diritto alla privacy:

È accertata la violazione degli artt. 15 e 11 del Codice in materia di protezione dei dati personali162. Costituisce massima di comune esperienza che un’indebita intromissione nella propria sfera privata da parte di soggetti estranei, tanto più quando viene effettuata in modo subdolo e con modalità illecite, ingenera nella vittima uno stato di sofferenza. La C.T.U. ha confermato uno stato di disagio, malessere, ansia e sofferenza psico-fisica che – sebbene inidoneo a comprovare la lesione (temporanea e permanente) del diritto alla salute – integra il danno non patrimoniale in esame. Ai fini della liquidazione del danno deve poi tenersi conto della durata dell'attività illecita delle convenute, protrattasi per circa 4 anni e dell'enorme (e acclarato) effetto mediatico che ha certamente aggravato lo stato di inquietudine e di ansia dell'attore.

1.000.000 €

• Danno all’immagine

Non risulta provato: negli articoli di stampa prodotti non risulta trascritto il contenuto delle comunicazioni e Vieri viene indicato solo quale vittima dell'attività illecita posta in essere dai convenuti.

Non risarcibile.

• Danno esistenziale Non può essere accolta la domanda di risarcimento del danno esistenziale,

inteso quale danno svincolato dalla lesione di uno specifico bene protetto. Non risarcibile.

Un milione di euro, dunque, per la lesione del diritto alla privacy. Risarcimento che, ad onor del vero, verrà drasticamente ridotto in sede di gravame163:

«A giudizio della Corte, il Tribunale, che non ha esplicitato i criteri adottati ai fini della quantificazione, non ha fatto corretto uso del potere di liquidazione equitativa del danno, né ha adottato i suindicati criteri».

Dopo aver elencato i criteri che il Tribunale avrebbe dovuto seguire per la quantificazione del danno non patrimoniale da lesione della privacy, il Collegio liquida a titolo di danno per lesione del diritto alla privacy 70.000 € e per danno all’immagine la somma di 10.000 €.

Tralasciando la (saggia) decisione della Corte d’Appello, credo ci si debba concentrare maggiormente sulla sentenza resa dal Giudice di prime cure.

Esaminando la sentenza emessa dal Giudice Spera, infatti, sembra che si sia andati oltre quelli che sono i principi ordinatori del sistema della responsabilità civile, così come

162 D. Lgs. 196/2003. Si tratta di uno dei “casi previsti dalla legge” di cui all’art. 2059 c.c. 163 Cfr. APP.MILANO,SEZ.IICIV.,22 LUGLIO 2015, in Foro italiano, 2015, I, 3312.

delineati dalla giurisprudenza negli ultimi anni. E il confronto di questa decisione, in cui il diritto leso è quello alla privacy, con le altre precedentemente analizzate – sia quelle in tema di lesione della riservatezza, sia quelle poco sopra richiamate riguardanti l’assai più delicato diritto alla libertà sessuale – rende l’idea di come lo strumento della Responsabilità Civile sia complesso e difficile da maneggiare. Molti sono stati i commenti su questa sentenza, molti dei quali decisamente critici. Ritengo di poter concludere queste righe con le parole, al

veleno, di una nota studiosa:

«Ma non è questo, viene da chiedersi, lo stesso tribunale che ha emanato le celebri tabelle di

quantificazione del danno non patrimoniale derivante da lesione alla salute: tabelle che dalla Cassazione sono state indicate quale criterio applicabile sul tutto il territorio nazionale? Proprio sfogliando quelle indicazioni, è facile constatare come - per poter pervenire a liquidazioni di tale consistenza - la disgraziata vittima deve riportare quantomeno un’invalidità del 100%! A tacere del fatto che, laddove il pregiudizio consista nel danno parentale per la perdita del congiunto, le somme più alte – relative al genitore che venga a patire la morte del figlio – possono spingersi ad un massimo di 300.000 euro.

Un contrasto stridente emerge, pertanto, dal confronto tra la situazione del calciatore famoso, costretto a convivere con le ansie e i disagi per essere stato vittima di un illecito spionaggio, e quella della persona qualunque, rimasta definitivamente invalida (magari un neonato che, per un caso di malasanità, sopravviva in stato vegetativo): entrambi con cifre del tutto analoghe. Ancor più clamorosa, del resto, appare la determinazione di una quantificazione così consistente a favore del primo laddove si constati che il tribunale non ha avuto nemmeno la necessità, in questo caso, di evocare il rilievo costituzionale della situazione colpita, essendo l’ipotesi riconducibile nel perimetro di uno dei “casi determinati dalla legge” di cui all’art. 2059 c.c. Resta, d’altro canto, da sottolineare come non emerga, nelle motivazioni espresse dal tribunale, una qualche finalità di carattere sanzionatorio nei confronti dei convenuti, tale da attribuire al pregiudizio una coloritura di carattere punitivo passibile di giustificare altrimenti un così rilevante importo.

In definitiva, il giudice si è limitato ad accogliere la cifra proposta dagli avvocati della celebre vittima, dimenticando del tutto il principio di omogeneità nella liquidazione del danno non patrimoniale perorato dalla S.C.: principio al quale è evidentemente coessenziale la necessità di un confronto tra lesioni che diversamente impattano sulla complessiva situazione del danneggiato. Parafrasando i comandamenti formulati nella fattoria degli animali di orwelliana memoria, pare allora dover concludere che “tutti i danneggiati sono uguali, ma alcuni sono più

uguali degli altri”»164.