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Il Seicento e il Settecento

1.2.5 La fase pontificia e la regimentazione delle acque fluvial

1.2.5.2 Il Seicento e il Settecento

Il 16369

Nel maggio del 1636 Ravenna fu colpita da una disastrosa alluvione. Le piogge avevano gonfiato a tal punto i fiumi, che non riuscivano più a defluire in modo corretto verso il mare. Si rese dunque necessario l’intervento delle autorità, la popolazione chiedeva che si rompessero gli argini, ma questo avrebbe comportato l’allagamento delle campa- gne e i legati non vollero assumersi questa responsabilità. L’esonda- zione avvenne la sera del 27 maggio, il fiume Montone ruppe gli argini a poche centinaia di metri dalle mura e il Ronco fece altrettanto sul lato sinistro, sempre verso la città. Le acque saltarono le mura in cor- rispondenza di Porta Sisi e si riversarono per le strade ravennati, per tre giorni non vi fu tregua.

Fortunatamente vi furono poche vittime, ma i danni furono numerosi: 140 case distrutte, 320 danneggiate e 250 puntellate, anche gli edifici pubblici e le chiese furono rovinati.

A San Vitale l’acqua infossò il pavimento di circa tre metri.

Il governo del legato pontificio dovette redigere un piano di sistemazio- ne idraulica dell’area ravennate. Su suggerimento dell’idrologo Luca Danesi si aprirono varchi nelle mura e ampliarono gli argini verso la campagna, inoltre rinforzarono le sponde nelle aree periurbane. Fu solo nel 1649 che vennero portati a termine i lavori per allontanare il punto di convergenza tra Ronco e Montone a mezzo chilometro dalla città, ma non fu sufficiente ad evitare successive inondazioni, risolte con un piano più elaborato per allontanare i fiumi dalla città messo a punto nel XVIII secolo.

La diversione del Ronco e del Montone10

Tra il XVI e XVII secolo si verificò un innalzamento dei fondali fluviali e un abbassamento, d’altra parte, del suolo cittadino. Il cardinale legato, mediatore tra gli interessi della curia e le esigenze della popolazione,

aveva finora temporeggiato riguardo importanti cambiamenti sul tes- suto urbano e agrario. Il progressivo declino economico dello stato, convinse le amministrazioni romane ad autorizzare i legati a finanziare grandi opere pubbliche. Il legato Giulio Alberoni fu promotore della diversione dei fiumi dalle mura cittadine.

Quando Alberoni arrivò a Ravenna nel 1735 i lavori erano già inizia- ti, per merito del legato Bartolomeo Massei che aveva approvato il progetto elaborato da due idrologi: Eustachio Manfredi e Bernardino Zendrini. Il disegno prevedeva di allontanare il Ronco e il Montone di due miglia dal perimetro urbano e la costruzione di un canale a sud, riutilizzando l’alveo del canale Panfilio. A convincere i proprietari ter- rieri delle aree interessate da questo piano, furono i lauti risarcimenti garantiti da Roma. Si fecero confluire in un unico corso i due fiumi, usando come alveo il canale Panfilio nel 1737. Le acque del Panfilio vennero incanalate nel vecchio canale Candiano, fino al mare. Il Porto Corsini11 Dopo l’apertura, nel 1732, del porto di Ancona i traffici portuali di Ra- venna si indebolirono e il cardinale Alberoni individuò una nuova posi- zione per il porto ravennate.

La zona destinata era a nord della città in corrispondenza di specchi vallivi in comunicazione col mare. Giuseppe Guizzetti, a capo dei la- vori, cercò un modo per unire il porto agli scoli della città, ideò una palizzata che regolasse l’apertura della spiaggia sul mare e raccordò al porto il vecchio alveo del Montone, affinché divenisse una darsena. Nel 1738 il porto, dedicato al Papa Clemente XII Corsini, fu messo in funzione pur non essendo terminato. Il progettò restò fermo per diversi anni. Il legato Carlo Marini, insediatosi nel 1740, appoggiava infatti il progetto per la rivitalizzazione del canale Panfilio. In seguito a numerose critiche Marini fu allontanato e nel 1744 si ripresero i lavori al canale Corsini. Il nuovo porto rappresentava una scelta secondaria

nei commerci dello stato pontificio e nonostante negli anni successivi vi furono diversi progetti per potenziare questo scalo, rimase sempre in una situazione commerciale sfavorevole.

I corollari della diversione: strade, ponti e mulini12

Con lo spostamento dei fiumi si allargò il contorno urbano. Oltre i corsi fluviali erano sorti numerosi borghi, tra i quali quello di Porta Sisi, Porta Adriana e Porta Nuova abitati principalmente da braccianti agricoli. I terreni fluviali vennero divisi in lotti e destinati a nuove abitazioni, gli alvei ormai prosciugati divennero corsi stradali, nei quali confluivano le vie dei borghi.

Ad inizio del Settecento erano già in uso quattro importanti strade: la via Romea, in direzione di Rimini, la via Faentina, che era la più praticata, la strada Corriera, verso Ferrara, la strada Ravegnana, che collegava Ravenna a Forlì, che costeggiava l’argine del Ronco. Nel 1740 fu aperto un nuovo asse viario intramurario, che, perpendicolare all’attuale via di Roma, portava alla darsena, chiamato via Alberoni, in onore del cardinale.

Al termine della suddetta strada fu costruita una porta, dedicata anch’essa ad Alberoni, che fu distrutta nel 1884 per far passare la ferrovia.

Nel 1736 ci si occupò anche del canale molino, che fu risanato, venne fatto passare vicino alle mura e defluire in parte nella darsena, in parte nel Ronco.

Un ricambio dell’assetto urbano13

In parallelo con i cambiamenti geografici si portò avanti anche un ri- ordino dell’assetto della città. A promuovere interventi architettonici di rilievo fu l’arcivescovo, che investì nel restauro delle chiese o in alcuni casi nella loro totale ricostruzione. Ne è un esempio la Basilica Ursia- na, che assieme alle due piazze laterali, venne totalmente ripensata.

La Basilica era stata rimaneggiata svariate volte, fino alla fine del Sei- cento, e si erano perse le fattezze originarie. Nel 1733 Gianfrancesco Buonamici fu incaricato dall’arcivescovo Farsetti di ricostruire tutto il complesso. I lavori di demolizione terminarono soltanto nel 1747 e conservavano, della vecchia chiesa, soltanto la cripta, il campanile e un tratto del muro esterno, databili al X-XI secolo.

Buonamici si occupò anche della sistemazione della Chiesa di Santa Giustina, nei pressi della Basilica, e della piazza prospiciente.

Le critiche a questi interventi furono molto aspre e l’architetto venne accusato di avere stravolto le forme originali del duomo, ne segò in- fatti le colonne e i capitelli per creare un nuovo pavimento. Il primo ad intervenire per cercare di porre rimedio a tutto ciò, fu Cosimo Morelli che nel 1774 rialzò colonne, archi e cornicioni. Neanche dieci anni più tardi venne demolita la cupola e fatta ricostruire, più leggera e adatta alla struttura, da Giuseppe Pistocchi.

Nel 1688 ebbe luogo un violento terremoto che danneggiò numerose chiese e assorbì negli anni a venire le risorse economiche della curia. Le maggiori lesioni furono riportate dal campanile di San Vitale, il pa- lazzo apostolico, Sant’Apollinare Nuovo, Sant’Agata Maggiore. Nel 1692 nasce una biblioteca pubblica nelle sale del palazzo senato- rio, segno del tentativo di elevazione culturale di Ravenna. A questa biblioteca si aggiunse nel 1712, quella Classense, promossa da Pietro Canneti, abate del monastero di Classe.

Di fronte alla Rocca Brancaleone sorse nel 1722 un teatro comunale, che diede slancio al rinnovato clima culturale della città.

L’abbellimento aristocratico e la committenza pubblica14

Tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII si poté assistere alla ri- presa dell’edilizia privata, in particolar modo vennero costruiti palazzi nobiliari: Palazzo Rasponi Delle Teste, nell’attuale piazza Kennedy, Palazzo Ginanni Corradini, in via Mariani, Palazzo Baronio, in via Ges- si, Palazzo Spreti, in via Andrea Costa.

L’entusiasmo portò a metter mano anche al palazzo comunale, rico- struito dal 1681 con lo scopo di renderlo adatto anche a convivi, piutto- sto che a riunioni cittadine o come residenza del Magistrato. Il palazzo fu rimaneggiato più volte fino ad assumere la sua forma attuale nel 1761, con la costruzione del secondo piano.

Questi interventi aristocratici non diedero alcuno slancio all’edilizia, poiché restavano mirati e confinati all’edificio puntuale, senza modi- ficare il tessuto urbano. Le mura urbane restarono ancora a lungo sovradimensionate rispetto al numero di abitanti al loro interno. Dal- la metà del XVIII secolo anche l’aristocrazia dovette cedere alla crisi economica e abbandonò qualunque intervento edilizio.

Nel 1764-66 una grave crisi agricola investì tutto il Paese e crebbe la volontà di trovare delle soluzioni alle malsane condizioni di vita delle classi meno abbienti. A livello locale si cercò di affrontare i problemi più urgenti in modo concreto.

Antonio Farini migliorò il porto, rettificò il canale Corsini e si fece carico dei lavori alle nuove saline di Cervia, costruì case operaie nei pressi di San Vitale e riorganizzo l’ingresso al mausoleo di Teoderico.

Camillo Morigia fu autore della facciata di Santa Maria in Porto, del tempietto in onore di Dante e di numerose opere pubbliche, tra cui un orfanotrofio, una scuola e l’ospedale Santa Maria delle Croci.