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La fase veneziana e la Rocca Brancaleone

Venezia a Ravenna: una parentesi ricca di promesse1

Agli albori del Quattrocento gli accordi economici tra lo Stato pontificio e Venezia si infittiscono e surclassano le politiche dei Da Polenta circa il territorio ravennate. Senza eredi legittimi, Obizzo II Da Polenta stila nel 1409 un testamento in cui nomina erede la repubblica di Venezia e chiede che post mortem sia inviato un podestà a Ravenna.

Ravenna svolge un cruciale ruolo nel disegno di conquista del territo- rio romagnolo da parte dei Veneziani, che rilevano un importante porto e un fiorente luogo di produzione del sale.

Nel 1431 Obizzo muore e Venezia pretende che gli accordi siano mantenuti, nonostante fosse sopraggiunto un erede (pur ancora mino- renne). Il figlio, Ostasio, ritiene opportuno allearsi con i duchi di Mila- no, che avevano occupato nel 1438 Bologna, e sciogliere così il patto stipulato dal padre. Venezia, di conseguenza, invia delle truppe per sottomettere la città. Il 24 febbraio 1441 viene ratificata l’occupazione politica ed economica di Ravenna. Grazie al nuovo vertice politico si arresta il progressivo degrado urbanistico della città e si avvia un pe- riodo di grande rinnovamento.

Uno dei primi interventi riguarda l’adeguamento del sistema murario alle nuove esigenze difensive. La cinta esistente, risalente al V-VI se- colo, risultava sovradimensionata e in stato di degrado. Quattordici porte erano state mantenute in quanto corrispondenti a passaggi che facilitavano l’accesso alle aree periurbane, ma i veneziani ritengono opportuno lasciarne aperte quattro e chiudere le restanti, così da per- mettere una maggiore sicurezza con un minore dispendio di risorse. Restano “attive” Porta Adriana, Porta Sisi, Porta Gaza e Porta San Mama, tutte orientate a sud e ovest, mentre viene negato l’accesso alla città da nord ed est. Nel tratto sud-ovest delle mura si erigono nuove torri di avvistamento e difesa, le due torri Zancane e la Torre Leggia e si provvede al restauro di quelle esistenti.

costruire una fortezza. Giacomo Corner e Vitale Lando, incaricati della progettazione, decidono di posizionare il forte nell’area nord-est della città, con lo sguardo rivolto a Venezia. L’obiettivo principale è quello di garantire il controllo sulla città mantenendo un accesso agevole alla laguna. La funzione è sottolineata anche dalla forma quadrangolare, con numerosi posti d’avvistamento.

La fortezza viene chiamata Brancaleone, per direttiva di Venezia, senza apparenti ragioni logiche, e viene realizzata a partire dal 1457, distruggendo la preesistente Chiesa di Sant’Andrea dei Goti, ma riuti- lizzando i materiali ricavati per le fondamenta.

L’edificio della Rocca Brancaleone è costituito da due parti: la Rocca e la Cittadella. Il cantiere dura venti anni e richiede un’ingente investi- mento di capitali.

Importanti opere di manutenzione della città, come la tombatura delle vene d’acqua ancora attive, la lastricatura delle strade e la demolizio- ne dei portici di uso privato, consentono di allargare le strade e dimi- nuire il rischio di epidemie.

Si costruiscono pozzi nei cortili delle case e cisterne per la raccolta dell’acqua piovana.

Al posto del Palazzo del Podestà si erige un edificio di gusto venezia- no che va ad ospitare dal 1444 la sede comunale, nota anche come Palazzo Nuovo. La facciata era decorata e preceduta da un porticato, le cui colonne presentavano il monogramma di Teoderico.

La piazza antistante il palazzo è oggetto di rinnovamento, viene inte- ramente lastricata e collegata all’attuale piazza XX Settembre Si inter- viene anche sulla Chiesa di San Ruffillo, consacrata dopo i restauri al più noto San Sebastiano.

Si apre una strada di collegamento tra la Platea Maior e via di Roma.

L’edilizia minore è stimolata al rinnovamento, sostituendo vecchi edi- fici con nuovi di architettura veneziana e unificando i prezziari dei ma- teriali da costruzioni. La città vive una fase di grande incremento de-

Numerose sono le opere di bonifica del territorio, come il prosciuga- mento di ampie paludi attorno alla città e l’inizio della coltivazione della canapa, elementi che rilanciano l’economia. Non mancano interventi sui fiumi: nel 1504 il Lamone fu inalveato e condotto a sfociare nel Po, nei pressi di Sant’Alberto. I Veneziani rivitalizzarono anche il porto Candiano, per facilitare lo scambio con le merci prodotte nel ravenna- te.

La contropartita2

Non mancano aspetti negativi nella dominazione veneziana a Raven- na. Proseguono le spoliazioni delle antiche chiese. In primis San Se- vero, del VI secolo e abbandonata da tempo, che viene demolita nel 1465 e ricostruita accanto all’originale due anni più tardi. Gli elementi di pregio vengono trasferiti in gran parte a Venezia, per evitare che i monaci classensi li rivendessero invece di destinarli alla nuova chiesa. Le istituzioni veneziane sono piuttosto permissive nei confronti delle classi religiose, riguardo ai beni mobili, mentre il regime fiscale è molto rigoroso e nemmeno i monaci possono opporsi al pagamento delle tasse.

Il controllo della popolazione avviene anche attraverso l’istruzione, che è indirizzata a scuole dello stato veneziano.

Arrivano ecclesiastici dalla Serenissima e i principali esponenti del cle- ro ravennate vengono allontanati, conferendo loro incarichi di ammini- strazione, che non gli permettono di restare nella città.

Interpretazione del periodo veneziano3

Fino agli anni Settanta del ‘400 il governo veneziano si concentra sul- la costruzione delle fortificazioni militari, lasciando poco spazio alle opere di iniziativa cittadina; nel decennio successivo si può notare un cambiamento di approccio, circa gli interventi urbanistici. L’ammini- strazione si è resa conto del malcontento generale, rispetto all’impiego

dei fondi pubblici in strutture militari.

Le intenzioni della Serenissima sono chiare: sfruttare il più possibile le risorse del territorio ravennate, i maggiori profitti derivano dalle rotte commerciali della costa adriatica e dal mercato del sale.

Ravenna è diventata un centro militare, tanto che i soldati fanno richie- sta per poter abitare in case civili e acquistare terre, con gli stessi diritti dei residenti, cosa che rende ancora più difficile la convivenza tra la popolazione locale e quella di origine veneziana.

Tema di non poca rilevanza è quello della presenza della comunità ebraica. I cattolici chiedono che gli ebrei siano allontanati dalla città, ma le autorità, al contrario, danno loro protezione e grande libertà di azione. Nel 1491 le forze cattoliche, supportate dall’arcivescovo Ro- verella, inviano una legazione a Venezia per convincere il Doge ad espellere dalla città la minoranza ebraica. Quest’ultimo acconsente e gli ebrei vengono allontanati, anche se, in realtà, la maggior parte di essi continua a vivere in città e a svolgere le proprie attività di prestito clandestinamente.

I rapporti tra le due componenti di governo diventano sempre più diffi- cili e per evitare che i Veneziani acquistino maggiore potere decisiona- le si impedisce ai nuovi cittadini di partecipare al consiglio comunale. Il periodo a cavallo tra il Quattro e il Cinquecento si caratterizza per le numerose rivendicazioni di Ravenna nei confronti dei territori limitrofi, passati sotto la giurisdizione di Faenza.

L’interesse dimostrato per le piccole città confinanti testimonia le falle nel sistema politico veneziano, che deve ripartire le proprie energie su troppi fronti per poter mantenere un regime stabile sulla città.

Il dominio veneziano cessa nel 1509 quando, sotto il pontificato di Giulio II, Ravenna ritorna allo Stato pontificio, cui rimane legata per i successivi 350 anni.

1.2.5

La fase pontificia e la regimentazione