Con la sentenza 29556 del 7 luglio 2014 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto un delicato contrasto interpretativo attinente al calcolo e alla derogabilità dei termini massimi di fase della custodia cautelare in tutti quei casi in cui il giudice abbia disposto la sospensione del decorso dei medesimi,
186 Corte EDU, sent. Zimmerman, 13 luglio 1983, par. 27, in
www.hudoc.echr.coe.int.
187 C. CONTI, La sospensione dei termini di custodia cautelare. Modelli rigidi
e flessibili a confronto, cit., pp. 48-51.
avvalendosi di quanto dice l' art. 304 comma 2 c.p.p., nel caso di dibattimento o giudizio abbreviato relativi ai reati di cui all' art. 407 comma 2 c.p.p., che comportino un accertamento caratterizzato da particolare complessità.
Ai giudici di legittimità è stata sottoposta una questio iuris inerente un provvedimento di custodia cautelare in carcere emesso nei confronti di un soggetto giudicato e condannato con rito abbreviato. Nel caso qui in commento, il decorso dei termini di custodia aveva già subito svariate sospensioni “per complessità” ai sensi dell' art. 304 comma 2 c.p.p. e il c.d. Tribunale delle libertà di Napoli, in accoglimento dell' appello avanzato dal ristretto in vinculis, ne ha disposto l' immediata scarcerazione con ordinanza, per decorrenza dei termini massimi “intermedi” della misura.189
L' organo dell' accusa ha presentato ricorso dinnanzi la Suprema Corte avverso tale decisione, lamentando l' erronea interpretazione dell' art. 303 comma 1 lett. b n. 3-bis c.p.p. che prevede, qualora si proceda per i delitti di cui all' art. 407 comma 2 lett. a c.p.p. (tra i quali rientra il reato che ha dato luogo alla custodia cautelare nel presente procedimento), un termine di
fase aumentato fino a sei mesi.
Nel caso di specie il pubblico ministero ha censurato l' ordinanza del Tribunale che non aveva ritenuto applicabile l' aumento semestrale del termine nel giudizio di appello. Infatti, ad avviso di quest' ultimo, «questa disposizione sarebbe applicabile nel giudizio di primo grado, nella fase delle indagini preliminari e nel giudizio di cassazione e mai nel giudizio di appello»190. Alla luce di queste osservazioni, la terza sezione della Corte di Cassazione, investita del ricorso, poiché indirizzata verso una «chiara adesione all'interpretazione fornita dal ricorrente, e confermata dalla già citata sentenza della Quinta Sezione n. 30759 dell'11 luglio 2012»191ha preferito, al fine di prevenire il radicalizzarsi di un contrasto giurisprudenziale, rimettere, con ordinanza 5 febbraio 2014, la questione alle Sezioni Unite, sottoponendogli il seguente quesito: «se, nel caso in cui il giudice abbia sospeso i termini di fase - avvalendosi del disposto dell'art. 304, comma 2, c.p.p. che consente tale sospensione nel caso di dibattimenti o di giudizi abbreviati particolarmente complessi relativi ai reati previsti dall'art. 407, comma 2, lett. a) -
190 Cass., Sez. Un., 29 maggio 2014, n. 29556, in www.eius.it. 191 Cass., Sez. Un. 29 maggio 2014, n. 29556, cit.
il limite del doppio del termine di fase (previsto dal comma 6 dell'art. 304) possa essere ulteriormente superato in forza del n. 3-bis dell'art. 303, comma 1, lett. b), che prevede (sempre nel caso dei processi per i delitti di cui all'art. 407, comma 2, lett. a) un ulteriore aumento fino a sei mesi del termine di fase da imputarsi o alla fase precedente (qualora il termine di quella fase non sia stato completamente utilizzato) ovvero ai termini di cui alla lett. d) del medesimo art. 303 (relativo al giudizio di legittimità)»192.
La Corte, prima di esaminare la questione relativa alla derogabilità del termine massimo di custodia e all' asserito collegamento tra loro di tutti i termini di fase, risolve due aspetti preliminari.
Per quanto riguarda il primo, vale a dire quello concernente i criteri di individuazione del termine di fase, la Suprema corte, nella sua composizione più autorevole, afferma che il calcolo dei termini di fase va riferito alla condanna in concreto inflitta all' imputato in primo grado, ritenendo manifestamente infondata la tesi sostenuta dalla pubblica accusa, finalizzata a dilatare il termine finale di fase, ad avviso della quale il
riferimento deve essere costituito dal massimo della pena astrattamente prevista per il reato ritenuto in sentenza.
I giudici di legittimità, infatti, affermano che «la tesi del ricorrente è manifestamente infondata perché in evidente contrasto con la lettera dell'art. 303 del codice di rito che utilizza effettivamente il criterio indicato solo, come è ovvio, per i casi nei quali non sia ancora intervenuta sentenza e quindi nella fase delle indagini preliminari e nel giudizio di primo grado prima che sia emessa la sentenza: comma 1, lettere a), b) e b-bis). Ma quando la sentenza di condanna in primo grado sia stata emessa il riferimento è espressamente indicato (dalla lett. c del comma 1 dell'art. 303) nella pena in concreto inflitta»193.
Riguardo al secondo aspetto, vale a dire quello relativo alle fasi processuali nelle quali applicare il c.d. “recupero dei termini”, la Corte evidenzia come sia corretta l' interpretazione contenuta nell' ordinanza impugnata secondo la quale i possibili periodi di recupero sono solamente quelli non utilizzati delle indagini preliminari e del giudizio di legittimità, ma sottolinea come questo non stia a significare, come sembra ritenere il Tribunale di Napoli, che il prolungamento successivo non possa essere
applicato anche nel giudizio di appello, in tutti quei casi in cui risultino superati i termini intermedi.
Venendo al quesito sottopostogli dalla Terza sezione, le Sezioni Unite, hanno sottolineato come la giurisprudenza della Suprema Corte, salvo qualche caso isolato – ci si riferisce in particolar modo alla sentenza n. 30759 del 2012 da parte della Quinta Sezione – sia unanime nel ritenere non cumulabile il supplemento di sei mesi affermando, anche nei casi di sospensione, l' insuperabilità assoluta del limite del doppio del termine di fase, sulla scorta del fatto che «l'espressione letterale usata dal comma 6 dell'art. 304 (…) nel prevedere il raddoppio dei termini di fase nel caso di dichiarata sospensione dei termini per la complessità del giudizio, precisa che non si debba tener conto «dell'ulteriore termine previsto dall'articolo 303, comma 1, lettera b), numero 3-bis»194.
È proprio questa espressione letterale che l' orientamento minoritario, cui aderisce il ricorrente, ritiene equivoca. Infatti, la sentenza n. 30759 del 2012 «si pone consapevolmente in contrasto con il precedente orientamento uniforme della giurisprudenza di legittimità e contesta, preliminarmente, la tesi
secondo cui la formulazione letterale della norma osterebbe all'interpretazione costantemente seguita. Secondo questa decisione esisterebbe inconciliabilità tra l'avverbio "comunque" e la frase successiva "senza tenere conto" perché la prima espressione «sembra introdurre una previsione perentoria di insuperabilità» mentre la locuzione successiva «sembrerebbe, invece, alludere ad una deroga»»195.
Ebbene, il massimo organo nomofilattico ha deciso di sposare pienamente la tesi maggioritaria e più garantista nei confronti del ristretto in vinculis dell’insuperabilità assoluta del limite del doppio del termine di fase. In altre parole la Corte, dopo aver dimostrato come l’approccio interpretativo minoritario sia privo tanto sul piano esegetico quanto su quello sistematico di un adeguato fondamento giuridico, afferma che proprio la collocazione topografica delle locuzioni in esame, ed in particolare quella dell’inciso «senza tenere conto», evidenzia come nel calcolo per verificare l’eventuale superamento dei termini finali, ai sensi dell’art. 304 co. 6 Cpp, non si deve tener conto dell’ulteriore aumento semestrale affermando, nel corpus motivazionale del provvedimento, che «è come se l’aumento di
sei mesi non esistesse; il giudice deve calcolare il doppio del termine di fase come se il n. 3-bis non fosse mai stato introdotto». A sostegno di questa tesi milita, altresì, un’interpretazione costituzionalmente orientata, basata sui principi sanciti dalla ben nota decisione 299 del 2005 della Corte Costituzionale, nella quale si evidenzia la «natura servente che la Costituzione assegna alla carcerazione preventiva rispetto al perseguimento delle finalità del processo, da un lato, e alle esigenze di tutela della collettività, dall’altro, tali da giustificare, nel bilanciamento tra interessi meritevoli di tutela, il temporaneo sacrificio della libertà personale di chi non è ancora stato giudicato colpevole in via definitiva»196. Sotto altro profilo, a favore della tesi maggioritaria, la Corte sottolinea inoltre come «benché nel testo della CEDU non vi sia un'espressa previsione che disciplini la materia riguardante i termini di custodia cautelare, il vincolo riguardante la necessità che la privazione della libertà personale sia il più possibile limitata nel tempo si ricava agevolmente dall'art. 5, comma 3, che prevede che ogni persona arrestata o detenuta «ha il diritto di essere giudicata in un tempo congruo, o liberata durante il corso
del procedimento».
L'enunciato è chiarissimo: o la persona sottoposta a custodia cautelare è giudicata "in un tempo congruo" (le sentenze della Corte EDU usano l'aggettivo "ragionevole") oppure deve essere liberata. Questa espressione sintetizza, sia pure in termini generali, il sistema relativo alla previsione dei termini massimi di custodia cautelare con un'impostazione ispirata ai principi già enunciati nell'art. 13, quinto comma, Cost. L'uso dell'aggettivo "congruo" (o "ragionevole") vale infatti a significare che, in relazione alle caratteristiche del caso concreto e alla natura del reato, il sacrificio della libertà personale prima della condanna definitiva non potrà protrarsi secondo criteri irragionevoli. Inutile ribadire come l'interpretazione che le Sezioni Unite ritengono non condivisibile verrebbe a lambire il margine di irragionevolezza con le note conseguenze nel caso in cui venisse ritenuto il contrasto di una diversa interpretazione con il contenuto della norma convenzionale che, per di più, ha anche carattere di norma interposta integratrice dell'art. 117, primo comma, della Costituzione»197.
8. Considerazioni conclusive
La questione affrontata dalla sentenza qui in commento è interessante ai fini della nostra analisi, in quanto mette in luce la frizione intercorrente tra le istanze di difesa sociale e il desiderio di sicurezza collettiva, da un lato e l' attenzione a non operare un generale aumento dei termini di custodia cautelare per individui che, seppure imputati di gravi delitti, sono, fino a quando una sentenza definitiva non statuirà il contrario, presunti innocenti, dall' altro.
Si tratta di un problema strettamente collegato a quello dei tempi del processo e al principio della ragionevole durata del medesimo: la lunghezza eccessiva del rito penale ha comportato, infatti, il progressivo sgretolarsi del principio di prontezza della pena e, di conseguenza, ha snaturato l' istituto della custodia. Quest' ultima ha perduto la caratteristica funzione “cautelare” per acquistare, di fatto - «anche in virtù della necessità di soddisfare le primordiali esigenze di giustizia provenienti dalla collettività»198 - una vera e propria valenza punitiva: la custodia, infatti, fa le veci di quella sanzione che il processo non è più in
grado di rendere applicativa in tempi accettabili.
L' unico presidio effettivo si trova nel disposto dell' art. 13 comma 5 Cost., il quale, imponendo termini massimi alla restrizione della libertà, è finalizzato ad evitare che, almeno dal punto di vista della durata, la custodia si trasformi in un' anticipazione della pena199. Eppure proprio la garanzia in oggetto, che dovrebbe costituire il più solido baluardo del bene supremo della libertà personale, si trasforma in un congegno pericoloso che presenta profili di frizione sia con gli artt. 13 e 27 comma 2 Cost., sia con l' istanza di tutela della società. Invero, il “sistema rigido” può cagionare un doppio rischio: in certi casi, i termini possono risultare troppo ampi e prestare il fianco all' utilizzo della custodia come anticipazione della pena; in altri possono risultare troppo brevi, tali da imporre ugualmente la scarcerazione di imputati pericolosi raggiunti da gravi indizi di colpevolezza200.
199 M. CHIAVARIO, Le due anime della legge Mancino-Violante, in Legisl.
pen, 1987, p. 433-434: «Alla base sta -più o meno confessata- la convinzione
che, bon grè mal grè, si sia tuttora costretti ad accettare come “normale” un' aberrazione: quella per cui degli “imputati in attesa di giudizio” (e nel senso più autentico dell' espressione, ossia di persone nei cui confronti non è stata ancora pronunciata alcuna sentenza) vedono prolungarsi per mesi ed anche ben oltre la soglia dell' anno la durata della custodia cautelare. Tale convinzione non è stata scalfita, né poteva esserlo, dalla previsione di una garanzia come quella dell' art. 13 comma 5 Cost., che anzi sembra accettarla come un dato di partenza per cercare soltanto di evitarne le dilatazioni più gravose e più arbitrarie»
200 P. TONINI- C. CONTI, Custodia cautelare e struttura del processo: come
Se questi sono gli “effetti collaterali negativi” che la lentezza processuale ha sull' utilizzo del “sistema rigido” , è interessante vedere come, di converso, l' utilizzo di un diverso sistema potrebbe garantire meglio i diritti del soggetto ristretto in
vinculis e le esigenze di difesa della collettività e sortire “effetti
collaterali positivi” sulla velocizzazione del procedimento penale.
Prima di entrare nel merito di questa prospettiva di riforma, va dato conto che, ad avviso di una certa dottrina201, se il congegno vigente non riesce in quest' intento e si presta all' utilizzazione della misura inframuraria come anticipazione della pena, il problema non andrebbe certo ricercato nella sua rigidità, che, anzi, rappresenterebbe una «grande conquista sulla via della tutela della libertà personale dell' imputato»202, ma, bensì, negli ingranaggi aggiunti al meccanismo dal legislatore ordinario a partire dalla legge Mancino-Violante, i quali, a loro avviso, striderebbero con quanto previsto dal Costituente all' art. 13
201 Vedi M. CERESA-GASTALDO, Riflessioni de iure condendo sulla durata
massima della custodia cautelare, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, pp. 824 ss. e
NACAR, La ragionevole durata delle misure cautelari personali, in Dir. pen.
proc., 2014, pp. 339 ss.
comma 5 e farebbero si che «la durata della carcerazione coincida di fatto con quella del processo, mentre nulla assicura che quest' ultimo si celebri sollecitamente»203.
Invero, nel rispetto dei limiti invalicabili fissati dall' art. 306 comma 4 c.p.p., il legislatore ammetterebbe un numero sempre maggiore di istituti che assumono di volta in volta nomi diversi (congelamento, sospensione, proroga ecc.) e che sono volti al prolungamento dei termini fasici204, rendendo, in tal modo, del tutto evanescente la loro natura perentoria.
Dalla lettura del codice, insomma, ad avviso di questi studiosi, emergerebbe una inversione dell' ordine delle priorità, non apparendo più necessario procedere con rapidità all' accertamento dei fatti quando l' imputato è in custodia cautelare: sarebbe la durata della misura ad ampliarsi in base alle evenienze processuali – complessità dell' accertamento o tempi morti - e indipendentemente dal soggetto che ha contribuito a
203 M. CERESA-GASTALDO, Riflessioni de iure condendo, op. cit., p. 825. 204 Secondo B. NACAR, La ragionevole durata delle misure cautelari
personali, cit.,p. 341: «al fine di evitare la scarcerazione dell' imputato per il
superamento dei termini intermedi quando la fase del processo non si è ancora conclusa in ragione delle inutili stasi processuali ovvero per l' esercizio di diritti da parte dell' imputato, sono stati predisposti istituti che assumono di volta in volta nomi differenti – congelamento, proroga, sospensione – i quali hanno tutti l'obiettivo comune di alterare la relazione di compromesso, individuata nei termini di fase, tra libertà personale ed esigenze processuali».
darvi causa – imputato, giudice o pubblico ministero205. In conseguenza di ciò, ad ogni aumento di quei termini corrisponderebbe, nella relativa fase, un aumento proporzionale dei tempi processuali206.
Pur condividendo alcune obiezioni sollevate da tale corrente, il problema principale dell' assetto attuale, ad avviso di chi scrive, è rappresentato, in realtà, dal fatto che i termini di custodia cautelare coprono indistintamente tutte le fasi del procedimento.
Se, invece, le varie situazioni venissero diversificate i rapporti tra custodia cautelare e processo diverrebbero più flessibili e razionali, e se ne trarrebbe giovamento anche in punto di ragionevole durata del procedimento.
Infatti, le “fasi” non sono tutte uguali: ci sono momenti in cui si svolge effettiva attività processuale (tempi vivi) e momenti non produttivi ai fini del' avanzamento del processo (tempi morti). Tempo vivo è senza ombra di dubbio quello in cui vengono escusse le prove in dibattimento; tempi morti sono quelli che intercorrono tra udienza preliminare e dibattimento (quando
205 B. NACAR, La ragionevole durata delle misure cautelari personali, cit., p.341.
206 P. FERRUA, Realtà e finzione sulla durata della custodia cautelare, in AA. VV., Il “decreto antiscarcerazioni”, cit., p. 23.
superino il termine dilatorio stabilito dalla legge), sia gli intervalli tra una udienza dibattimentale e l' altra oppure quegli stalli del dibattimento dovuti a rinvii o sospensioni, che non sono motivati da esigenze istruttorie. Più in generale, rientrano a ben diritto nella categoria dei tempi morti «tutti quei segmenti di inattività che ostacolano il principio della concentrazione e costituiscono spazi entro i quali l' appesantimento dei ruoli, le esigenze organizzative ed il carico complessivo della giustizia vengono a sfogarsi all' interno del singolo processo»207.
Prendendo le mosse da quanto appena detto, si può affermare che, in relazione ai tempi vivi, la durata del processo è ragionevole e la protrazione della custodia giustificata. Considerazioni diverse valgono, invece, in relazione ai tempi morti, i quali non servono a nessuno e sono “nemici” degli scopi del processo.
Più nello specifico, seguendo il pensiero espresso da Vassalli nella seduta del 21 Novembre 1986, n. 522, nella quale si discuteva su delle modifiche da apportare alla direttiva n. 61 per la riforma del codice di rito, i termini massimi di carcerazione
207 P. TONINI- C. CONTI, Custodia cautelare e struttura del processo: come
preventiva sono sacrosanti nella fase delle indagini preliminari: di tale fase è, infatti, dominus il pubblico ministero e la segretezza che la contraddistingue è di ostacolo ad un controllo penetrante sull' attività dell' organo dell' accusa. Per di più, non è facile distinguere tra tempi vivi e tempi morti, invero «non sappiamo se il magistrato inquirente abbia veramente bisogno di tutto il tempo che spende o se semplicemente lasci dormire gli atti e mantenga gli imputati in carcere, perché spera che qualche prova contro di loro venga alla luce; per cui non c'è dubbio che, per sua natura, la fase istruttoria richieda assolutamente una determinazione rigorosa dei termini massimi della carcerazione preventiva»208. Per quel che concerne la fase dibattimentale, ad avviso dello stesso Vassalli, emergono, viceversa, esigenze diverse, infatti «quando siamo nel dibattimento, qual è il pericolo per la libertà personale dell'imputato dal quale ci si deve guardare e preservare? È il pericolo dei famosi tempi morti, in cui non si fa assolutamente niente o si fa poco o si ritarda il compimento di atti sacrificando inutilmente la libertà personale di un soggetto. Ma, quando, viceversa, si lavora attivamente,
208 G. VASSALLI, Senato della Repubblica, 522° seduta pubblica, resoconto stenografico, venerdì 21 novembre 1986, presidente DE GIUSEPPE, p. 29, in
effettivamente, nel rispetto dei diritti di tutte le parti perchè il dibattimento vada a termine, a compimento, questo è il tema prioritario per tutti: per l'accusa, per la difesa per la società»209. Si potrebbe, quindi, prevedere una custodia cautelare sine die per quanto concerne i tempi vivi, rafforzando la tutela dell' imputato in fase di applicazione della custodia («quanto maggiori sono le garanzie concernenti i criteri applicativi della custodia, tanto meno pressante è la necessità di rendere breve la limitazione della libertà»210), ad esempio con la previsione di un contraddittorio c.d. anticipato211 e prevedendo il sistema dei “controlli periodici”212 in relazione alla legittimità del protrarsi
209 G. VASSALLI, Senato della Repubblica, 522° seduta pubblica, resoconto stenografico, venerdì 21 novembre 1986, presidente DE GIUSEPPE, p. 29, in
www.senato.it
210 P. TONINI- C. CONTI, Custodia cautelare e struttura del processo: come
perseguire una durata ragionevole, cit., p. 362.
211 Al riguardo A. CIAVOLA, Il rafforzamento delle garanzie dell’indagato
sottoposto a custodia cautelare, in Diritto penale contemporaneo, 2013, fasc. 1,
p. 135: «Pur essendo connaturale al concetto stesso di giurisdizione che il contraddittorio preceda il provvedimento sull’applicazione della misura cautelare: «è fisiologico che il contraddittorio – se esiste – preceda il