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Il fattore "tempo" e il processo penale:i termini delle indagini preliminari e della custodia cautelare nell' ottica della ragionevole durata del procedimento. Prospettive de iure condendo

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INDICE

pag. Introduzione . . . 4

Capitolo I

IL “TEMPO” NEL PROCESSO PENALE:

RIFERIMENTI NORMATIVI INTERNI E SOVRANAZIONALI

1. Considerazioni introduttive . . . 8 2. La ragionevole durata del processo . . . 10 3. Istituti codicistici funzionali allo sviluppo procedimentale . .19 4. La disciplina dei termini nel nuovo codice di procedura penale . . . 22 4.1. La distinzione tra i termini e il loro ruolo nell' ottica della ragionevole durata del processo . . . 24

Capitolo II

I LIMITI CRONOLOGICI DELLE INDAGINI PRELIMINARI

1. I limiti cronologici delle indagini preliminari: la genesi

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2. L' obbligatorietà dell' azione penale . . . 38

2.1 La “concludenza” delle indagini preliminari . . . 41

3. La completezza delle indagini preliminari e l' introduzione dei relativi termini di durata: questioni di legittimità costituzionale . . . 45

4. Indagini preliminari e ragionevole durata del processo . . . 51

4.1. La sentenza n. 184/2015 della Corte costituzionale . . . 56

5. Il dies a quo delle indagini preliminari . . . 61

5.1. Il controllo giurisdizionale . . . 66

5.2. Le prospettive di riforma . . . 71

6. La proroga delle indagini: la richiesta . . . 78

6.1. La proroga: tra completezza investigativa e rispetto del principio della ragionevole durata del processo . . . 81

Capitolo III

LA DURATA DELLA CUSTODIA CAUTELARE: TRA IL DIRITTO ALLA LIBERTÀ PERSONALE E L' ESIGENZA DI DIFESA DELLA SOCIETÀ 1. Considerazioni introduttive . . . 84

2. Il diritto alla libertà personale e il problema delle finalità della custodia cautelare . . . 86

(3)

2.2. Le esigenze cautelari . . . 94

2.3. Il pericolo di reiterazione del reato e l' esigenza di difendere la società . . . 95

3. L' art. 13 comma 5 Cost.: i limiti massimi alla carcerazione preventiva . . . 98

4. L' inserzione del sistema dei termini massimi di custodia cautelare nel codice di rito: percorso storico . . . 100

4.1. Il decreto “antiscarcerazioni” . . . 110

4.2. La disciplina attuale . . . 113

5. Il fenomeno delle “contestazioni a catena” e il tentativo di “contenerlo”: la retrodatazione . . . 117

5.1. Genesi ed evoluzione dell' istituto della retrodatazione . . 120

5.2. La risoluzione dei contrasti interpretativi riguardo alle contestazioni a catena concernenti fatti diversi . . . 124

6. La ragionevole durata della custodia cautelare nella CEDU . . . 130

7. La sentenza n. 29556/2014 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione . . . 137 8. Considerazioni conclusive . . . 146 Bibliografia . . . 157 Giurisprudenza . . . 171 Sitografia . . . 175 Ringraziamenti . . . 176

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Introduzione

Il processo penale, «come tutte le attività dell'uomo che non si esauriscono nell' intimo della sua coscienza»1, si dispiega, inevitabilmente, all' interno di un certo arco temporale. L' ovvia constatazione, però, deve fare i conti con quella che è stata definita, a ragione, come l' “urgenza della decisione”2: l' interesse pubblico all' efficacia e all' efficienza dello strumento processuale, le aspettative dei consociati, nonchè le esigenze delle parti e dei soggetti che, pur non rivestendo tale qualità, siano coinvolte a vario titolo nell' attività giurisdizionale, infatti, premono affinchè si giunga alla decisione con celerità3.

Il giusto compromesso lo si è trovato con l' affermazione, a livello sovranazionale, del principio della ragionevole durata del

processo, il quale, sebbene costituzionalizzato solamente sul

finire del secolo scorso, ha finito per permeare il nuovo codice del 1988, all' interno del quale, invero, è stata dedicata, lo si vedrà

1 F. LIMA, Termini II) Diritto processuale penale, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1994, p. 1.

2 J. DERRIDA, Il diritto alla giustizia, in AA. VV., Diritto giustizia e

interpretazione, a cura di J. DERRIDA- G. VATTIMO, Roma, 1998, p. 32.

3 C. MARINELLI, Ragionevole durata e prescrizione del processo penale, Torino, 2016, p. 4.

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nella prima parte della presente indagine (capitolo I), molta attenzione al fattore “tempo”: testimonianza di ciò è il fatto che il legislatore abbia assoggettato quasi tutti gli atti ad un termine -spesso perentorio - ed abbia, questa la vera novità, voluto contenere la fase delle indagini preliminari entro termini prestabiliti, ponendo fine alla durata smodata della fase istruttoria del tradizionale processo “misto”, la quale era ritenuta una delle maggiori responsabili delle lungaggini processuali. La novità, che rappresenta l' oggetto della seconda parte dell' analisi (capitolo II), sarà affrontata soffermandosi, in primo luogo, sui rapporti intercorrenti tra la limitazione cronologica e il principio di completezza delle indagini, dopodichè – una volta capito se anche le indagini preliminari rientrano nell' area del

fair trial - ci occuperemo del tema relativo al dies a quo

dell' iscrizione della notitia criminis nell' apposito registro. Si tratta di un tema che coinvolge le fondamenta stesse dell' intero procedimento penale: qualora l' organo dell' accusa eludesse l' obbligo di immediata iscrizione, vi sarebbe un contrasto con il principio della ragionevole durata del processo. Infatti, oltre a rendere priva di logica la previsione di limiti

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cronologici entro cui concludere le investigazioni, il ritardo nell' iscrizione andrebbe a costituire una della cause dell' eccessivo dilungarsi dei procedimenti penali.

Nell' ultima parte (capitolo III), l' indagine si occuperà dei termini massimi di durata della custodia cautelare. Dopo aver analizzato il fenomeno delle “contestazioni a catena”

-modus operandi che persegue il chiaro intento di spostare in

avanti l' inizio della decorrenza dei termini di custodia cautelare, in modo da prolungare la durata della misura ed aggirare i limiti stabiliti dalla legge – ed il tentativo di “contenerlo” (la c.d. “retrodatazione”), lo studio guarderà all' effetto che la c.d. scarcerazione automatica, indirettamente, dovrebbe sortire in termini di velocizzazione dell' iter processuale. Si vedrà come, invece, la previsione di termini massimi ex art. 13 comma 5 Cost. – la quale è in controtendenza rispetto a quanto statuisce l' art. 5 della CEDU, che non pone alcun limite massimo alla durata delle misure detentive in corso di processo - non riesca nell' intento di mettere pressione sugli addetti ai lavori (pubblici ministeri e giudici), prestando il fianco, al contrario, all' utilizzo della restrizione ante iudicatum come una sorta di anticipazione della

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pena, in palese contrasto con gli artt. 13 e 27 comma 2 della Carta fondamentale. Di conseguenza, si cercherà di prospettare soluzioni alternative che, scongiurando un simile utilizzo dello strumento, riescano, di converso, a garantire che il processo con imputati ristretti in vinculis si concluda in un tempo ragionevole.

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CAPITOLO I

IL “TEMPO” NEL PROCESSO PENALE: RIFERIMENTI NORMATIVI INTERNI E SOVRANAZIONALI

1. Considerazioni introduttive

La disciplina dei termini processuali, dopo essere stata abbandonata per un lungo periodo alla discrezionalità tecnica del legislatore ordinario, ha trovato riferimenti normativi sia all' interno della Carta costituzionale sia a livello sovranazionale. Partendo dal piano costituzionale, i riferimenti più importanti si trovano all'art.111 comma 2, dove è riconosciuta la durata

ragionevole del processo come cardine dell'intero iter

processuale, all'art.111 comma 3, volto alla garanzia di una concreta difesa (già deducibile dall'art. 24 Cost.)4 e all'art.13 ultimo comma, dove si invita il legislatore a porre termini massimi di carcerazione preventiva.

Per quel che concerne i riferimenti sovranazionali, l'art.5 della CEDU fissa il diritto della persona arrestata di essere condotta nel più breve tempo possibile davanti al giudice, mentre l'art.6,

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sempre della stessa Convenzione europea, impone la celebrazione e la definizione del procedimento penale in un tempo ragionevole al fine di dare certezza alle situazioni giuridiche coinvolte od implicate in qualsiasi vicenda processuale penale (il concetto di ragionevole durata a livello sovranazionale è, però, come si vedrà, solo parzialmente sovrapponibile a quello domestico). Anche la previsione di un tempo idoneo per preparare adeguatamente la difesa costituisce garanzia tutt' altro che trascurabile. Analoghe aperture si ritrovano negli art. 10 e 14 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici5.

È in questo contesto che va, dunque, riletta tutta la disciplina dei termini processuali del libro II, titolo V, del codice vigente, la quale «deve concorrere a realizzare lo speedy trial, tendendo a soddisfare le esigenze della collettività a che la macchina della giustizia venga amministrata con solerzia e ordine, garantendo al contempo la parità di trattamento delle parti processuali, la certezza e la stabilità delle situazioni giuridiche e, non da ultimo, la tutela del diritto inviolabile dell' imputato a un processo

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celere»6.

2. La ragionevole durata del processo

«Il semplice inizio e tanto più lo svolgimento del processo penale cagionano sofferenze...la sofferenza dell' innocente è, purtroppo, il costo insopprimibile del processo penale»7. Queste parole di Carnelutti, sebbene vecchie di quasi 60 anni, suonano sempre attuali, in quanto evidenziano come l' inevitabile implicazione tra processo e sofferenza può essere accettabile solo se contenuta in tempi ragionevoli8. Si deve partire da un dato di fatto, vale a dire che «i rapporti sociali esigono la certezza e la definitività delle situazioni ricadenti sotto la mano del diritto positivo (…), quel dubbio che è alla base di ogni processo deve cedere convenzionalmente alla certezza affermata in ogni sentenza, una certezza che è tanto più socialmente utile quanto più è rapida e tempestiva rispetto al momento della commissione, magari ipotetica, del fatto di reato»9.

6 R. APRATI, I termini processuali, in AA. VV. Teoria e pratica del processo, Torino, 2015, p. 732.

7 F. CARNELUTTI, Principi del processo penale, Napoli, 1960, p. 55.

8 M. G. AIMONETTO, La «durata ragionevole» del processo penale, Torino, 1997, p. 1.

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È su questo background che si inserisce la disciplina dei termini, la quale sottintende la problematica di fondo di ogni processo, infatti «tra utopistiche velleità di accelerazione, inadeguatezze di strutture giudiziarie antiquate ed una certa approssimazione di talune scelte tecniche che la realtà delle cose ha già dimostrato insufficienti allo scopo, la disciplina dei termini sta a ricordare che ogni processo deve comunque concludersi inevitabilmente»10. La frazione temporale atta a far si che l' organo giudicante giunga alla statuizione, deve essere parametrata tenendo conto del principio della ragionevole

durata del processo. Se è vero, come da alcuni sostenuto11, che con la riforma dell' art. 111 Cost. non si è fatto altro che dare una specie di interpretazione autentica della Costituzione, rendendo espliciti quei principi che erano già ricavabili da altre disposizioni della Carta, essendo l'esigenza dello speedy trial già desumibile, in generale, dalla tutela dei diritti inviolabili dell' uomo ( art. 2 Cost. ) e, in particolare, dalla tutela del diritto di difesa ( art. 24, comma 2, Cost. ) e dalla presunzione di non colpevolezza ( art. 27, comma 2, Cost. ), è altrettanto vero che la

10 A. GIARDA, Termine (dir. Proc. Pen. ), cit. ,pp. 262-263.

11 P. TONINI, “Giusto processo”: riemerge l' iniziativa del parlamento, in Dir.

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riforma del 1999 porta una ventata di novità per quanto concerne la tutela costituzionale del processo12. Infatti, sebbene si sia nell' impossibilità di definire in astratto una tempistica processuale che calzi a pennello con la “voglia” di ragionevolezza, non si può non convenire sul fatto che il nuovo art. 111 della Costituzione costituisca un monito al legislatore affinché provi a far convivere le esigenze della giustizia con la garanzia delle parti ad essere giudicate in un tempo ragionevole. Spostando la lente sui destinatari della novella di fine secolo, se è vero che il fine principale è quello di tutelare l' individuo sotto accusa, si deve però ricordare che essa risponde anche ad altri due bisogni: quello della persona offesa e quello della collettività13.

Sotto il primo punto di vista, invero, vi sarebbe un' ulteriore lesione derivante dal ritardo nella conclusione del processo: l' irragionevole durata determinerebbe, cioè, un' aspettativa di giustizia frustrata, che diverrebbe addirittura denegata una volta sopraggiunta la prescrizione del reato14.

12 G. DI CHIARA, Diritto processuale penale, in G. FIANDANCA- G. DI CHIARA Una introduzione al sistema penale per una lettura

costituzionalmente orientata, Napoli, 2003, p. 334.

13 M. G. AIMONETTO, La «durata ragionevole» del processo penale, cit., p. 1. 14 R. E. KOSTORIS, La ragionevole durata del processo. Garanzie ed efficienza

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Sotto il secondo punto di vista, vale a dire quello della tutela della collettività, va detto che la celebrazione di un giudizio in tempi ragionevoli sarebbe l' optimum anche per quanto concerne le istanze di difesa sociale, «cui si fornirebbe la risposta più corretta possibile e al tempo stesso non puramente velleitaria, giacché gli scopi di prevenzione generale appaiono soddisfatti più che dalla minaccia di una pena severa, dalla previsione di una pena giusta, ma certa e pronta»15. Non va trascurato, infine, come anche dal punto di vista dello stato, un processo eccessivamente lungo porti con sé, inevitabilmente, uno spreco di mezzi, risorse e uomini che ben potrebbero essere proficuamente impiegati in altri processi. L'apice della cattiva amministrazione della giustizia lo si raggiunge una volta intervenuta la prescrizione del reato, perché tale ending sta a dimostrare che il processo non ha portato a nulla, venendo meno all' assolvimento della sua funzione cognitiva. Merita di essere sottolineata un' altra conseguenza derivante dall' irragionevole durata dell' iter

processuale, vale a dire gli effetti sulle istanze di prevenzione

generale. Infatti, tutto ciò porta ad un affievolimento (addirittura

15 M. G. AIMONETTO, La «durata ragionevole» del processo penale, cit. , pp. 1-2.

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ad una negazione, nel caso della prescrizione) della funzione

general preventiva delle norme penali: da un lato, la minaccia

della sanzione penale si affievolisce man mano che il processo si dilunga, dall' altro si assiste ad un intaccamento della stessa funzione della pena, dato che quanto più ci si allontana dal momento di commissione del fatto, tanto meno la punizione è concepibile, facendosi largo la possibilità di trovarsi di fronte ad un individuo che il tempo può aver, in meglio o in peggio, cambiato. Quanto fin qui elencato porta ad individuare una sorta di 'circolarità a doppio senso' tra il processo e il diritto penale nella prospettiva della ragionevole durata : se da un lato si ha, infatti, un diritto sostanziale ipertrofico, gravante pesantemente sulla macchina giudiziaria, corresponsabile della lentezza dei tempi processuali, dall' altro è proprio la lunghezza eccessiva dell' iter che, come un boomerang, si ripercuote sulla reale possibilità di far sì che le finalità del diritto penale sostanziale siano realizzate16.

Sotto i primi due profili visti, quello dell' imputato e quello della persona offesa, la durata irragionevole è vista come causa di

16 R. E. KOSTORIS, La ragionevole durata del processo. Garanzie ed efficienza

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sofferenza individuale, sotto quello statuale, invece, il pregiudizio ha carattere oggettivo. Le istanze soggettivistiche sono prese in considerazione dalla CEDU, la quale all' art. 6 statuisce che « ogni accusato ha diritto a un' equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole per la determinazione della fondatezza dell' accusa elevata a suo carico», e all' art. 5 comma 3, dove dispone che « ogni arrestato detenuto va tradotto al più presto possibile dinanzi al magistrato, giudicato e rimesso in libertà entro un termine ragionevole». Sul piano sovranazionale siamo vicini alla singola vicenda processuale, in un disegno di tutela individuale sfociante nel garantire l' equo indennizzo all' interessato. A livello domestico, invece, con il nuovo art. 111 comma 2 Cost., lo speedy trial è inteso come valore oggettivo, di efficace amministrazione della giustizia: sta alla legge assicurare che ogni processo abbia una durata che corrisponda alla paventata voglia di ragionevolezza. Si tratta di due prospettive diverse che, peraltro, non sono in conflitto tra loro. Questo perché anche nel caso in cui l' ordinamento fosse strutturato in modo e maniera da rispondere nel modo più soddisfacente possibile alle istanze di ragionevole durata

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processuale, nulla potrebbe dare la certezza che con riguardo alla singola vicenda processuale non si possano sforare, in concreto, i tempi di un délai raisonnable. Ciò sta a significare che le previsioni della 'carta di Roma' restano ugualmente operative anche dopo la riforma dell' art. 111 Cost.17 Va detto, però, che la celerità, com' è normale che sia, non costituisce un valore assoluto, dovendo fare i conti con altri principi di medesimo o addirittura superiore valore, quali la corretta amministrazione della giustizia e la garanzia del diritto di difesa. Il “peso” della ragionevole durata processuale, per dirla in altri termini, non va a scontrarsi con le più risalenti garanzie di difesa e di corretto svolgimento della funzione giurisdizionale, potendo, di converso, fungere da valore aggiunto per entrambe le prospettive in un' ottica tesa al funzionamento effettivo di quei principi18. Se volessimo perseguire la sola speditezza, infatti, ci troveremmo di fronte a sentenze superficiali, arrivate al termine di un iter in cui non si è tenuto adeguatamente conto dei momenti di garanzia predisposti a tutela dell' imputato.

D' altro canto, però, se si andasse troppo per le lunghe, ci

17 R. E. KOSTORIS, La ragionevole durata del processo. Garanzie ed efficienza

della giustizia penale, cit., p. 4.

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troveremmo in mano decisioni si ineccepibili sotto il profilo squisitamente giuridico, ma così lontane dal momento di commissione del fatto, da risultare meri “documenti” buoni per i libri di storia. Quel che è incontrovertibile è il fatto che il tema della ragionevole durata ha rappresentato, prima della novella del 1999, un argomento non di primissimo piano nelle discussioni dottrinarie italiane.

Il principio, sebbene fosse già garantito, a livello internazionale, veniva nel nostro Paese trascurato, dedicandosi semmai attenzione a quell' aspetto che già l' art. 13 comma 5 Cost. imponeva di non ignorare, vale a dire il rapporto tra tempi processuali e status dell' imputato.

Ciò accadeva perché vi era scarsa consapevolezza in merito alla reale importanza che le norme convenzionali avrebbero dovuto assumere all' interno del nostro sistema. Invero, si riteneva che queste disposizioni non dicevano nulla di nuovo, andando solamente a ribadire quanto già albergava all' interno della nostra Carta costituzionale. Andando a ripercorrere un breve iter storico, va detto che è già a partire dagli anni sessanta del secolo scorso che, in realtà, si vedono spuntare i primi timidi segni di

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attenzione da parte della dottrina più vicina ai diritti dell' uomo, la quale, entrando nel merito di dette disposizioni, riusciva a coglierne ed estrapolarne i profili innovativi, spingendo nella direzione della loro costituzionalizzazione o, quanto meno, del conferimento di una posizione sovraordinata rispetto alla legge. Questa dottrina dovette però fare i conti con una giurisprudenza che apparve a lungo noncurante sia sul versante del giusto

processo, sia su quello più specificamente vertente sul fattore

temporale, arrivando a considerare le norme sovranazionali meramente programmatiche, le quali non potevano certamente aspirare a diventare sovraordinate rispetto alla legge ordinaria19. In tutto ciò si inserisce la redazione del nuovo codice di rito del 1988: infatti, mentre si continuava a negare che i principi fissati dalle carte dei diritti dell' uomo avessero rilevanza costituzionale, essi, insieme ai principi della nostra carta fondamentale, hanno fatto da leitmotiv nel lungo iter che ha portato alla sua stesura. Così, con o senza riferimenti diretti alla Convenzione o al Patto, l' attenzione ai tempi del processo ha

19 In merito all' evoluzione dell' atteggiamento della dottrina processualistica nei confronti dei dati ricavabili dalla Convenzione europea e dalla giurisprudenza degli organi chiamati a vegliare sulla sua attuazione, si veda, in particolare, M. CHIAVARIO, “Cultura italiana” del processo penale e

Convenzione europea dei diritti dell' uomo: frammenti di appunti e spunti per una “microstoria”, in Riv. Internaz. dir. uomo, 1990, p. 438 ss.

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finito per permeare la nuova codificazione : con la prima delega, si sono fissati precisi limiti cronologici all' attività processuale, con la seconda si sono previsti moduli procedimentali alternativi rispetto al processo ordinario. Giunti a questo punto, sarà l' opera critica della Corte costituzionale sul tessuto normativo del c.d. “codice Vassalli” che farà comparire il richiamo alla nozione del

giusto processo, andandosi a delineare, pur in assenza di un

esplicito riferimento, quel collegamento con i principi fissati a livello internazionale riguardo il fair trial20. Si è poi fatta strada

l' idea di costituzionalizzare la ragionevole durata, nell' ambito di una più ampia riforma della carta costituzionale, che culminerà, appunto, con la riforma dell' art. 111 Cost. ad opera della l. 2 del 1999.

3. Istituti codicistici volti alla dinamica processuale

Sebbene entrato in vigore undici anni prima della suddetta costituzionalizzazione del principio della ragionevole durata, il codice del 1988 è ugualmente imperniato sull' economia

20 M. G. AIMONETTO, La «durata ragionevole» del processo penale, cit. , pp. 2 ss.

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processuale, essendo figlio di quel lungo percorso, appena visto, durante il quale, pur non volendo far entrare in costituzione esplicitamente lo speedy trial, si seguiva lo stesso quanto dicevano le carte fondamentali dei diritti dell' uomo e i principi della nostra carta fondamentale in materia. Gli istituti del nuovo codice, miranti ad attuare un risparmio di tempi processuali, hanno un' origine piuttosto articolata. La dottrina ante e post prima legge delega per la riforma del codice, datata 1974, aveva provveduto ad evidenziare i punti critici del processo, i quali erano responsabili delle lungaggini processuali più macroscopiche, arrivando a prospettare alcune ipotesi di soluzione. Le maggiori cause della eccessiva durata della vicenda processuale erano state individuate nello sviluppo smodato della fase istruttoria; nel passaggio tra questa fase e quella del dibattimento; nell' uso distorto dell' istituto della connessione e nell' uso “esasperato” dei mezzi impugnatori, cui concorreva, come accade ancor oggi, la scarsità di strumenti atti a disincentivare le impugnazioni pretestuose. Tale dibattito dottrinale ha influito notevolmente sui lavori preparatori alle due deleghe, la prima delle quali ha affidato alla dinamica dei

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termini processuali – con particolare attenzione alla predisposizione di limiti temporali predeterminati per talune fasi – la realizzazione dell' obiettivo di contenimento dei tempi processuali; la seconda, sempre mirante al conseguimento dell' economia processuale, vuole raggiungere il fine, invece, con la predisposizione di riti alternativi, contraddistinti da una snellezza e rapidità che quello ordinario non ha. Ciò che qui interessa è il portato della prima legge delega. Sono almeno tre i filoni lungo i quali si è esercitato, col nuovo codice, lo sforzo di andare ad incidere sulla dinamica del processo, in modo da contribuire ad un' amministrazione della giustizia penale più celere. In primis, è stata irrobustita la rete dei termini legali per lo svolgimento dell' attività del giudice e delle parti, cercando di contenere, soprattutto, la fase delle indagini preliminari entro termini prestabiliti, al fine di evitare lo sviluppo ipertrofico della fase istruttoria del tradizionale processo “misto”21. Si sono così predisposti strumenti volti proprio alla garanzia dei suddetti limiti temporali, quali l' istituto dell' avocazione e la previsione dell' inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti oltre la

21 M. G. AIMONETTO, La «durata ragionevole» del processo penale, cit. , pp. 59-60.

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deadline. In secondo luogo, sempre in un' ottica di eliminazione

delle cause da cui ha scaturigine l' eccessiva dilatazione dei tempi processuali, si è fatto ricorso a meccanismi di concatenazione tra le diverse fasi, assicurando in tal modo un passaggio quasi automatico da una fase all' altra e eliminando, di conseguenza, i “tempi morti”. Infine, per evitare paralisi dell' iter processuale, si è limitata la dilatazione dei fenomeni sospensivi dell' udienza preliminare e del dibattimento22.

4. La disciplina dei termini nel nuovo codice di procedura penale

Nell' analizzare il primo dei tre filoni, che costituisce l' oggetto principale della seguente trattazione, va osservato, innanzitutto, come i motivi che portano alle prescrizioni cronologiche possono essere i più disparati: « speditezza del rito, razionalità della progressione tra gli atti, stabilità delle situazioni giuridiche, garanzia delle parti, specie dell' imputato»23. L' inserimento di termini – spesso perentori – ha avuto un ruolo preponderante nell' ottica del tempo ragionevole del processo. Infatti con essi si

22 M. G. AIMONETTO, La «durata ragionevole» del processo penale, cit., pp. 131-132.

23 G. P. VOENA, in CONSO-GREVI Profili del nuovo codice di procedura

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è voluto che – a differenza di quanto accadeva quando era in vigore il vecchio codice di rito - il procedimento seguisse un andamento dal ritmo incalzante e che divenisse, conseguentemente, ordinato ed efficace. Adesso quasi tutti gli atti sono assoggettati ad un termine, più o meno esplicitamente fissato. La vera novità del nuovo codice sta però nell' introduzione, come già anticipato, di termini massimi per la fase relativa alle indagini preliminari (art. 405 ss. c.p.p.), i quali devono essere rispettati se non si vuole incorrere nelle conseguenze previste dal comma 3 dell'art. 407 c.p.p., vale a dire la sanzione dell'inutilizzabilità per gli atti compiuti dopo lo spirare dei termini. L'art. 392 bis del codice abrogato, in merito allo stesso tema, nella versione originaria del 1982 parlava di termini perentori solo con riguardo alla fase dell'istruzione sommaria, lasciando al libero arbitrio del magistrato l'istruzione formale, ed anche dopo la riforma del 1984 si trattava pur sempre di un termine ordinatorio, che poteva portare soltanto a sanzioni disciplinari. Anche se, nella pratica, le strutture giudiziarie, oberate di lavoro, fanno fatica a trattare puntualmente tutte le notizie di reato che quotidianamente gli pervengono, si può

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pacificamente affermare di essere di fronte ad una innovazione che non può che essere condivisa ed apprezzata, basti considerare che per lungo tempo il ritardo nella trattazione dei procedimenti penali è stato lo strumento con cui si è tradito il precetto costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale (art. 112 cost.) e dell' uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge24.

4.1 La distinzione tra i termini e il loro ruolo nell' ottica della ragionevole durata del processo

Entrando nello specifico del codice, ci rendiamo conto che esso non opera, quanto ai termini, alcuna distinzione, neanche quella tra termini legali e termini giudiziali (a differenza di quanto fa il c.p.c. all'art.152), concedendo al giudice solo la facoltà di determinare discrezionalmente la durata di alcuni di essi. Nonostante l'art. 173 c.p.p. faccia riferimento solo ed esclusivamente ai termini « stabiliti a pena di decadenza», da un' attenta analisi del codice si vede che vi sono ulteriori categorie. Rispetto alla specie di attività, infatti, sulla scorta delle

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idee della dottrina meno recente, si è distinto tra termini per la comparizione, termini per la costituzione di parte civile e termini per il deposito delle liste testimoniali. Con riguardo alla dimensione del tempo, si è distinto tra termini indipendenti, fissati cioè a ore, giorni, mesi, anni, in modo definito e termini subordinati, la cui scadenza è correlata al verificarsi di eventi precisi, positivi o negativi che siano. Partendo dalla fonte da cui promanano, si sono individuati termini legali e termini giudiziali; facendo leva sulle forme, si è parlato di termini espliciti e impliciti, a seconda che siano indicati mediante precise unità di tempo o mediante la designazione espressa di un intervallo di temporale tra un evento e l'altro. Il modo in cui si sono determinati porta poi ad enucleare termini fissi, minimi e massimi. La distinzione pacificamente più rilevante è, però, quella che ha riguardo all'efficacia, si arriva così a parlare di

termini dilatori, perentori o ordinatori25, a seconda «che ,in base ad essi,l'attività processuale sia vietata, imposta o permessa»26. Sono soprattutto i termini perentori quelli che, per riprendere quanto già accennato, sono protagonisti nel perseguimento della

25 G. SOLA, I termini, in Trattato di procedura penale, a cura di G. Spangher,Torino, 2008, p. 289.

26 V. MANZINI, Trattato di diritto processuale penale italiano, Torino, 1970, p. 84.

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celerità. Fanno parte, assieme agli ordinatori, della più ampia categoria dei termini acceleratori, i quali fissano un determinato limite di tempo entro cui una attività (del giudice o delle parti) deve essere compiuta, pena la conseguente perdita del potere di compierla successivamente. Ci troveremmo, stando alla lettera dell' art.173 comma 1 c.p.p., all'interno di una categoria dove vige il principio di tassatività, con la conseguente decadenza della parte dal potere solo nei casi espressamente previsti dalla legge27. Da un'attenta lettura dell'impianto codicistico si vede però che esistono altresì decadenze implicite: non osta al principio di tassatività, infatti, il fatto che il legislatore applichi la disciplina relativa ai termini perentori anche a quei termini che, pur non definiti tali dal dato normativo, fanno conseguire alla loro inosservanza la perdita di un diritto o di una facoltà. Va aggiunto, poi, che ricorrono, all' interno del codice, due sintagmi equivalenti, «a pena di decadenza» e «a pena di inammissibilità». Si tratta del medesimo fenomeno visto da due diverse prospettive, l'una vertente sul piano soggettivo, l' altra su quello oggettivo28: decadenza-potere e inammissibilità-atto sono,

27 A. GIARDA,Termine (dir. Proc. Pen. ), cit., p. 255.

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infatti, quattro elementi di una correlazione biunivoca29. Anche per i termini stabiliti a pena di inammissibilità vale quanto detto per i termini a pena di decadenza, cioè che ne esistono di ulteriori rispetto a quelli espressamente previsti, implicitamente desumibili dalla struttura del sistema. In alcuni contesti è previsto, sempre in un' opera di parziale mitigazione del principio di tassatività, che il giudice abbia ex officio il potere di compiere l'atto, superando in tal modo l'inerzia della parte, ormai decaduta (art.81, 87, 95., comma 4 c.p.p., nonché art. 507 c.p.p.)30. I termini perentori non possono essere prorogati, salvo, come dispone l'art. 173 c.p.p. , che la legge disponga diversamente. Un modesto contributo acceleratorio viene fornito altresì dai termini ordinatori, molti dei quali sono preposti all' attività del giudice31. Essi, infatti, mirano a garantire il regolare svolgimento del processo, regolando e stimolando l'attività degli uffici giudiziari con la fissazione di un determinato periodo di tempo entro cui un atto deve essere compiuto32. Però qui, a differenza di quanto accade per la perentorietà, trascorso

29 A. GIARDA,Termine (dir. Proc. Pen. ), cit., p. 255.

30 R. APRATI, I termini processuali, in AA. VV. Teoria e pratica del processo,

cit. , p. 736.

31 M. G. AIMONETTO, La «durata ragionevole» del processo penale, cit., p. 133.

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infruttuosamente il predeterminato giorno finale, la parte o l'organo giudiziario non decade dallo stesso potere: in altre parole, allo spirare di un termine ordinatorio non fa seguito alcuna conseguenza processuale33, la loro inosservanza si concretizza in una mera irritualità, non andando ad intaccare l' efficacia dell' atto realizzato tardivamente34. Per fare alcuni esempi, è termine ordinatorio quello di cui all'art. 128 c.p.p., dove si stabilisce che gli originali dei provvedimenti del giudice emessi a seguito di procedimento in camera di consiglio debbano essere depositati in cancelleria entro cinque giorni dalla deliberazione. Trattandosi di un termine dall' arduo rispetto, non si può far altro che considerarlo, appunto, ordinatorio35. Siamo nell'ambito dell'ordinarietà anche all'art. 454 c.p.p., dove i novanta giorni, decorrenti dall' iscrizione della notitia criminis nell' apposito registro, se hanno natura tassativa sul versante del completamento delle indagini preliminari, la possiedono ordinatoria su quello della materiale presentazione della richiesta di giudizio immediato, la quale può benissimo essere avanzata oltre lo spirare del termine. Allo stesso modo, è

33 A. GIARDA, Termine (dir. proc. pen. ), cit. , p. 253.

34 R. APRATI, I termini processuali, in AA. VV. Teoria e pratica del processo,

cit., p. 737.

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ordinatorio il termine di cinque giorni previsto dall'art. 455 c.p.p. entro cui il giudice per le indagini preliminari deve provvedere sulla richiesta di giudizio immediato avanzata dall'accusa. Gli esempi da fare sarebbero molti altri, ma quel che preme sottolineare, sulla scorta di quanto statuisce l'art.124 c.p.p., è che, sebbene la loro inosservanza non comporti alcuna conseguenza sul piano dell'efficacia dell'atto realizzato una volta oltrepassata la deadline, non è detto che non possa essere fonte di responsabilità disciplinare36. Meno immediato è il collegamento dei termini dilatori con l' esigenza della ragionevole durata del processo, i quali, per loro natura, rallentano il processo con l' esigenza del rispetto di congrui tempi processuali. Si tratta infatti di termini per i quali il compimento di un atto può aver luogo solo dopo la loro decorrenza. Per dirla in altro modo, trattasi di un arco temporale durante il quale sono impediti gli effetti di un atto che sarebbe già completo nei suoi elementi essenziali, «operando unicamente alla stregua di un requisito di efficacia»37. Se non vengono rispettati, la conseguenza collegata è quella della nullità dell' atto, speciale, se prevista espressamente,

36 G. SOLA, I termini, in Trattato di procedura penale, cit. , p. 295.

37 G. GARUTI, Termini processuali penali, in Digesto delle discipline

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come ad esempio nell' art. 127 comma 5 c.p.p. ; ovvero generale, come nel caso dell' art. 178 comma 1, lett. C, c.p.p.38Occorre però considerare che la presenza di termini a difesa o di comparizione, che sono la parte più cospicua dei termini dilatori, costituisce il punto di convergenza tra le esigenze acceleratorie ed il rispetto dei diritti della difesa. Se ciò non bastasse, è da aggiungersi che la stasi del processo può essere utile anche per altri fini; invero le parti potrebbero approfittare della pausa per riorganizzare le proprie strategie, in modo che una volta che il processo riprende, esse siano pronte ad affrontarlo con più efficienza, traducendo la sosta in un risparmio di tempi processuali39. Ad esempio, è dilatorio il termine di cui all' art. 364 comma 3 c.p.p., dove è stabilito che il difensore, sia esso di fiducia o di ufficio, deve essere avvisato almeno ventiquattro ore prima quando si debba compiere un interrogatorio, un' ispezione o un confronto cui debba partecipare la persona sottoposta alle indagini o delle ispezioni cui esse non deve partecipare. Lo è ugualmente quello fissato all' art. 175 comma 4 c.p.p., dove si esige, invece, che l' invito a comparire davanti al p.m. vada

38 R. APRATI, I termini processuali, in AA. VV. Teoria e pratica del processo,

cit., p. 734.

39 M. G. AIMONETTO, La «durata ragionevole» del processo penale, cit. , pp. 133-134.

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notificato all' indagato almeno tre giorni prima di quello fissato per la comparizione, così come quello dell' art. 429 comma 3 c.p.p., il quale precisa che tra la data del decreto che dispone il giudizio e la data fissata per il giudizio stesso davanti al tribunale o alla corte d' assise «deve intercorrere un termine non inferiore a venti giorni». Il minimo comune denominatore dei tre esempi appena visti e riscontrabile anche in altre fattispecie codicistiche, sta nel fatto che il termine dilatorio è volto a garantire, soprattutto, la predisposizione dei mezzi adeguati per esercitare il diritto di difesa40. Per concludere, si deve dar conto di quanto statuisce l' art. 173 comma 3 c.p.p., il quale fa salva la possibilità che tali termini possano essere “abbreviati”, su impulso della parte nel cui interesse sono stabiliti. Starà poi all' organo chiamato a decidere operare una ponderazione tra la facoltà dell' abbreviazione, concessa dal codice, e il pregiudizio che l' eventuale accorciamento del termine arrecherebbe ad altri soggetti coinvolti nel procedimento41.

40 A. GIARDA,Termine (dir. Proc. Pen. ), cit. , pp. 254-255.

41 R. APRATI, I termini processuali, in AA. VV., Teoria e pratica del processo,

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CAPITOLO II

I LIMITI CRONOLOGICI DELLE INDAGINI PRELIMINARI

1. I limiti cronologici delle indagini preliminari: la genesi dell' attuale sistema

Pur susseguendosi una «legislazione labirintica e sconfinata»42, il quadro normativo riguardante i limiti cronologici delle indagini preliminari conserva, nonostante i numerosi interventi apportati nel corso degli anni, la matrice originaria. Ci troviamo davanti, infatti, a un impianto codicistico in cui restano fermi i “dettami” fissati dalla direttiva 48 della legge delega per la riforma del codice di procedura penale, vale a dire la previsione di un termine entro cui raccogliere gli elementi sui quali fondare le determinazioni in ordine all' esercizio dell' azione penale (art. 405 comma 2 c.p.p.); la possibilità della proroga (art. 406 c.p.p.), col conseguente spostamento in avanti del dies finale delle indagini, l' individuazione di un termine

42 G. DE LUCA, L' inchiesta preliminare, in AA.VV., Il codice di procedura

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massimo entro cui portarle a termine, eventuali proroghe comprese (art. 407 c.p.p.); la sanzione dell' inutilizzabilità degli atti compiuti oltre lo spirare del termine fissato dalla legge o prorogato dal giudice (art. 407 comma 3 c.p.p.).

È nella già vista prima legge delega per la riforma del codice di procedura penale del 1974 e nel progetto preliminare venuto alla luce quattro anni dopo, che va ricercata la genesi di tale sistema, figlio della volontà di porre una cesura rispetto all' ideologia da cui aveva avuto scaturigine il precedente codice di rito.

Così, in linea con quanto statuiva la direttiva n. 37 della prima legge delega, i poteri di indagine del pubblico ministero erano costretti nel rigoroso termine di trenta giorni. Entro tale termine l' accusa era tenuta ad esercitare l' azione penale, fatta salva la possibilità di chiedere al giudice il compimento di ulteriori atti, andandosi così a delineare una fase istruttoria della durata di dieci mesi, prorogabili fino a tredici. Sebbene in un contesto inquinato dalla costante presenza, accanto alle indagini dell' organo dell' accusa, di uno spazio riservato all' istruzione portata avanti dal giudice, la novità stava nel sancire espressamente l' inutilizzabilità degli atti compiuti una volta

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scaduti i termini che delimitavano la fase anteriore al dibattimento (artt. 377 comma 6 e 415 comma 4). Si voleva così rafforzare il ruolo di quest' ultimo, ponendo fine a quell' eccessivo dilungarsi della fase che lo precedeva.

Tale progetto non ebbe seguito e il tema di inserire sbarramenti temporali per lo svolgimento delle indagini preliminari tornò alla ribalta nel 1982, con l' introduzione nel codice abrogato dell' art. 392-bis. Quest' articolo stabiliva che, ove l' organo dell' accusa, nel termine di un anno dall' iscrizione del procedimento nell' apposito registro, non avesse chiesto l' archiviazione, il proscioglimento, la prosecuzione dell' istruttoria con rito formale ovvero il decreto di citazione dell' imputato, il procuratore generale avrebbe dovuto darne comunicazione al Ministro della giustizia, indicando i motivi del ritardo. Le conseguenze derivanti dall' inosservanza del termine fissato dall' art. 392-bis c.p.p. abr. però erano di scarso impatto.

In assenza di determinazioni dell' organo dell' accusa, l' imputato aveva solo la possibilità di mettere in moto il meccanismo di controllo previsto dall' art. 389 c. 4-6 c.p.p. abr., al fine di ottenere la conversione del rito da sommario a

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formale43. Il fine dell' art. 392-bis c.p.p. non era, quindi, quello di porre un termine entro cui l' istruzione avrebbe dovuto aver fine, bensì quello di garantire all' imputato sottoposto al rito sommario il passaggio a quello formale condotto dal giudice. L' intento era, insomma, solamente quello di mettere fine all' egemonia del pubblico ministero sugli sviluppi del procedimento44.

La logica conseguenza di quanto fin qui illustrato era il fatto che al decorso del termine di un anno non era collegata nessuna sanzione che andasse ad inficiare gli atti compiuti o l' azione penale esercitata tardivamente. Totalmente inefficace sul piano concreto era la previsione dell' art. 298 c.p.p. abr., che attribuiva un potere di vigilanza al procuratore generale, tenuto ad informare, nel caso di istruzione aperta da oltre un anno, il Ministro della giustizia. Quindi all' imputato non era offerto alcuno strumento di tutela in merito alla durata della fase istruttoria, anche perché l' eventuale richiesta di passaggio al rito formale, se da un lato garantiva la presenza dell' organo giurisdizionale, dall' altro dava il via ad una attività dai tempi

43 F. CORDERO, Procedura penale, Milano, 1987, p. 643.

44 F. MENCARELLI, La nuova disciplina in materia di provvedimenti restrittivi

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potenzialmente illimitati. Peraltro, il freno, già di per sè blando, imposto all' attività del pubblico ministero era vanificato dal “gigantismo” dell' istruzione preliminare, fase che risultava del tutto insensibile a vincoli di ordine temporale. Ad avviso delle Sezioni unite45, infatti, l' esigenza di completezza dell' istruzione non poteva essere sacrificata dal limite cronologico ex art. 392-bis c.p.p. Pertanto, qualora la fase degli atti preliminari non fosse stata terminata o neppure iniziata, la mancanza di elementi conoscitivi sulla cui base elevare l' imputazione impediva al pubblico accusatore di chiedere l' istruzione formale, non essendo configurabile, tra l' altro, una delega al giudice affinché procedesse a quegli atti riservati alla competenza esclusiva dell' organo dell' accusa; quest' ultimo, al contrario, avrebbe dovuto comunque completare le indagini preliminari, sia pure esponendosi al rischio di sanzioni disciplinari ove il ritardo fosse apparso ingiustificato. È solo con il codice del 1988 che, depurato il sistema dalla scorie dell' «errore pendolare»46, trova attuazione l' idea di fissare in misura rigida l' estensione cronologica delle indagini, sulla scorta di una disciplina ben più pregnante ed

45 Cass., Sez. Un., 24 novembre 1984, Saccomanno, in Cass. pen., 1985, p. 859. 46 G. FOSCHINI, Un errore pendolare: l' accusatore giudice e il giudice

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incisiva del timido tentativo operato con l' art. 392-bis c.p.p. abr. In una prospettiva radicalmente diversa, vale a dire quella di scongiurare il pericolo di indagini sine die, lo schema delineato dagli articoli 405-407 c.p.p. impone al pubblico ministero di esaurire la raccolta degli elementi di prova entro un lasso di tempo predeterminato in via legislativa. Simile scelta viene letta quale corollario della mutata impostazione sistematica: una volta spezzata la simbiosi tra azione e prova, in modo da porre un freno al rifluire in dibattimento del materiale acquisito negli stadi anteriori, i ristretti tempi delle indagini avrebbero spinto verso un definitivo tramonto il «mito della completezza dell' accertamento istruttorio»47, per far spazio ad una attività molto più snella i cui risultati sarebbero stati utilizzabili solo nella fase preliminare. Nel contesto del rinnovato modello processuale, ai paletti di natura cronologica che delimitano le indagini viene, così, riconosciuta una funzione acceleratoria del procedimento, allo scopo di favorirne, in sinergia con altre misure, la ragionevole durata, nel solco della garanzia sancita dall' art. 6 par. 1 CEDU, disposizione da annoverare per effetto

47 D. SIRACUSANO, Introduzione allo studio del nuovo processo penale, Milano, 1989, p. 131.

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del rinvio alle fonti convenzionali inserito nel preambolo della delega, tra i canoni vincolanti per il legislatore delegato48.

2. L' obbligatorietà dell' azione penale

Ci si deve soffermare, a questo punto, sul principio che fa da linea guida delle indagini preliminari, vale a dire quello dell' obbligatorietà dell' azione penale sancita all' art. 112 Cost. e valutarne l' evoluzione alla luce delle novità introdotte dal nuovo codice di rito.

Come si è visto, con il nuovo modello processuale l' istruzione, formale e sommaria, cede il passo alle indagini preliminari, le quali diventano attività prodromica all' esercizio dell' azione penale. Si assiste al passaggio dall' istruzione volta alla preparazione del processo, all' indagine che ha come fine quello di preparare l' azione49. Così l' esercizio dell' azione penale non è più collocato all' inizio del procedimento, bensì all' esito delle indagini preliminari, la durata delle quali dipenderà dalla complessità dell' accertamento preliminare e dalle scelte

48 D. VICOLI, La “ragionevole durata” delle indagini, Torino, 2012, pp. 1 ss. 49 G. CONTI- A. MACCHIA, Indagini preliminari, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989, p. 2.

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dell' organo inquirente in merito all' approfondimento che all' inchiesta vuole dare. Sono, così, l' imputazione e la richiesta di rinvio a giudizio a segnare l' inizio dell' azione penale, le quali si pongono come alternativa all' archiviazione50.

Il nuovo assetto sistematico che pone, appunto, la formulazione dell' imputazione all' esito dell' indagine, non è volto a far sì che il pubblico ministero sia libero di decidere se interrompere o, addirittura, non intraprendere le indagini prima di aver individuato le risposte agli interrogativi posti dalla notitia

criminis: il principio di obbligatorietà dell' azione penale, se si

accettasse una discrezionalità assoluta dell' accusa nella conduzione della fase preliminare, risulterebbe svuotato di contenuti51.

La consapevolezza che la fase delle indagini preliminari possa aprire la strada ad una serie di valutazioni in cui la discrezionalità la fa da padrona, porta alla previsione di una serie di vincoli per l' organo inquirente in ordine al modo in cui portare avanti la propria attività investigativa. Il primo di detti limiti è quello di dover effettuare tutti gli accertamenti utili a

50 F. SIRACUSANO, La completezza delle indagini nel processo penale,Torino, 2005, p. 19.

51 E. MARZADURI, voce Azione IV) Diritto processuale penale, in Enc. giur.

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saggiare la fondatezza o meno della notizia di reato. È evidente come solo un principio di tendenziale completezza delle indagini potrebbe evitare fenomeni di inazione scaturenti da indagini insufficienti.

Così, il nuovo codice di procedura penale impone una lettura aggiornata del principio dell' obbligatorietà dell' azione: il principio de quo, oltre a rendere doverosa la domanda di giudizio quando non si ravvisano i presupposti per richiedere l' archiviazione, ha efficacia impositiva anche all' interno della fase delle indagini, imponendo che esse debbano essere complete. Il vincolo derivante dalla necessità di sciogliere la riserva circa l' esercizio dell' azione penale porta con sè, di conseguenza, l' impegno di compiere indagini in grado di acquisire gli elementi necessari per decidere le sorti del procedimento. È proprio il principio di completezza a far coesistere la discrezionalità investigativa con l' obbligo posto dall' art. 112 Cost.

È sempre un' indagine completa a garantire, da un lato, la congruenza del giudizio di infondatezza della notizia di reato e, dall' altro, a tradurne i risultati in profili di concretezza

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dell' ipotesi accusatoria. Infine, è sempre grazie ad un' indagine coi crismi della completezza che si compiono scelte oculate in merito allo scioglimento dell' alternativa tra richiesta di archiviazione ed esercizio dell' azione penale da cui dipende la stessa funzionalità del sistema52.

2.1. La “concludenza” delle indagini preliminari

Se è vero quanto detto, bisogna tener conto, però, anche del fatto che gli interventi normativi di fine millennio hanno introdotto cambiamenti di una certa importanza all' interno dell' intero sistema processuale, andando a rimarcare ancora di più il ruolo nevralgico della fase investigativa. Non si tratta di innovazioni che hanno riguardato direttamente le indagini preliminari, ma che, toccando istituti ad esse collegati, hanno finito per incidere sulle stesse. Invero, alla luce della legge 16 dicembre 1999, n. 479 si è assegnato all' udienza preliminare (ed ai riti speciali che in essa trovano applicazione) un ruolo di vero e proprio fulcro dell' intero procedimento, cambiando di conseguenza un po'

52 V. GREVI, Archiviazione per «inidoneità probatoria» ed obbligatorietà dell'

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l' ottica entro cui il pubblico ministero deve orientare la propria attività: attività sempre preparatoria, ma non più funzionale unicamente alle iniziative concernenti l' azione, ma anche per le decisioni di merito da assumere nel contesto dell' udienza preliminare. Le risultanze delle indagini preliminari non servono più al pubblico ministero solamente in vista della delibazione circa la superfluità o meno del dibattimento, ma servono anche, e ormai sembrerebbe soprattutto, per la definizione anticipata del processo. L' indagine dell' organo inquirente, rivestita da una tendenziale completezza per consentire al giudice dell' udienza preliminare una valutazione di natura “prognostica” circa la fondatezza dell' accusa, sembra doversi ormai arricchire di un' inevitabile “concludenza” dei suoi risultati per poter permettere che si possa statuire in ordine alla responsabilità dell' imputato già in udienza preliminare. “Completezza” e “concludenza” delle indagini sembrano così formare un «binomio difficilmente scindibile»53. L' indagine deve andare oltre quello stato che consente di pronosticare la fondatezza dell' accusa, arrivando ad essere in grado di supportare un alto grado di “congruenza” probatoria. Il pubblico ministero si

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doterà, così, di un apparato probatorio talmente importante e solido che non solo risulterà idoneo a superare il vaglio dell' udienza preliminare circa la fondatezza dell' accusa (ormai affidato a parametri di giudizio assai più perentori che nel passato), ma anche per poter affrontare un giudizio abbreviato, avverso il quale non potrà più opporre alcun veto e all' interno del quale non potrà richiedere e ottenere integrazioni probatorie54. Al riguardo, ad avviso della Consulta, l' esigenza di completezza «(…) risulterebbe rafforzata dal riconoscimento del diritto dell' imputato ad essere giudicato, ove ne faccia richiesta, con il rito abbreviato. Il pubblico ministero dovrà (…) tenere conto, nello svolgere le indagini preliminari, che sulla base degli elementi raccolti l' imputato potrà chiedere ed ottenere di essere giudicato con tale rito, e non potrà esimersi dal predisporre un esaustivo quadro probatorio in vista dell' esercizio dell' azione penale».55 Appariva ed appare assai poco convincente la soluzione cui è pervenuto il giudice delle leggi nel respingere le censure di illegittimità costituzionale che erano state mosse al nuovo regime del giudizio abbreviato, soprattutto nella misura in

p. 525.

54 F. SIRACUSANO, La completezza delle indagini nel processo penale, cit., pp. 144 ss.

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cui vengono negati al pubblico ministero spazi di intervento nella fase di instaurazione del procedimento speciale. Ma anche lasciando da parte gli interrogativi derivanti dal riconoscimento dell' operatività nella fattispecie del principio di parità delle armi tra le parti processuali ai sensi ai sensi dell' art. 111 comma 2 Cost., non si potrà fare a meno di sottolineare come nella decisione citata si finisca con il pretendere che il pubblico accusatore «esaurisca, già nel corso delle indagini preliminari, tutte le possibili questioni oggetto del successivo giudizio, in previsione della soltanto eventuale scelta del rito abbreviato»56con esiti che paiono destare più di una incertezza sull' effettivo rispetto del principio della ragionevole durata delle indagini preliminari. Si potrà ,peraltro, constatare come dalla lettura fornita dalla Corte costituzionale, discenda per l' organo inquirente un impegno investigativo di estrema pesantezza: “negata la possibilità di ricostruire una completezza delle indagini “relativa”, non solo si impone al pubblico ministero una completezza “assoluta”, ma si riferisce questo connotato, per di più, a tutte le questioni che debbono trovare risposta nella

56 D. NEGRI, Il “ nuovo” giudizio abbreviato: un diritto dell' imputato tra

nostalgie inquisitorie e finalità di economia processuale, in AA.VV. , Il processo penale dopo la riforma del giudice unico, Padova, 2000, p. 460.

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sentenza del giudice.

Il tutto nel contesto della ben nota difficoltà manifestata dagli uffici della Procura della Repubblica a dare una risposta anche non tempestiva alle centinaia di migliaia di notizie di reato che ogni anno vengono registrate ex art. 335 c.p.p.: invero, non è necessario avere avuto particolari esperienze giudiziarie per comprendere come il raggiungimento di un livello di approfondimento analogo a quello ipotizzato dai giudici della Consulta non possa costituire un obiettivo realistico per le strutture del nostro procedimento penale”57.

3. La completezza delle indagini preliminari e l' introduzione di termini di durata delle stesse: questioni di legittimità costituzionale

Si è visto, però, come il progressivo affermarsi del principio di completezza delle indagini e della “concludenza” delle stesse in seguito all' introduzione della legge 16 dicembre 1999, n. 479, vada spiccatamente in controtendenza rispetto alla prima

57 E. MARZADURI, Considerazioni sui profili di rilevanza processuale del

principio di obbligatorietà dell' azione penale a vent' anni dalla riforma del codice di procedura penale, in Cass. pen. , 2010, pp. 392-393.

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finalità perseguita dal legislatore, destando la ricerca di una completezza “assoluta” «più di una incertezza sull' effettivo rispetto del principio della ragionevole durata della fase investigativa»58. Bisogna, quindi, a questo punto domandarsi se effettivamente il principio fissato dall' art. 112 Cost. sia esente dai limiti temporali fissati per le indagini preliminari e, pertanto, metta al bando scelte di segno opposto. A tale quesito, secondo una ben precisa linea di pensiero, viene data risposta affermativa; la tesi, prima solo abbozzata, deve essere ora approfondita, al fine di verificarne la rispondenza o meno al quadro dei valori costituzionali. Questi i capisaldi di tale corrente: l' obbligo di esercitare l' azione penale postula quello di svolgere indagini complete, ma, a causa della previsione di limiti temporali invalicabili, il pubblico ministero potrebbe trovarsi nell' oggettiva impossibilità di osservare quanto dispone la Costituzione59. Di conseguenza, situazioni di potenziale conflitto con l' art. 112 Cost. verrebbero a delinearsi ove, all' origine dell' insufficienza degli elementi raccolti a sostenere l' accusa, vi fosse proprio lo spirare dei termini: dall' ulteriore sviluppo delle

58 E. MARZADURI, Considerazioni sui profili di rilevanza processuale del

principio di obbligatorietà dell' azione penale a vent' anni dalla riforma del codice di procedura penale, cit., p. 392.

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indagini potrebbe emergere una piattaforma probatoria più ricca, tale da condurre - alla luce dell' art. 125 disp. att. c.p.p. - ad esiti favorevoli all' azione60. In quest' ottica a risultare compromesse sarebbero le stesse fondamenta dell' impianto processuale. Infatti, il deficit di conoscenze, nell' influenzare il momento genetico dell' azione finirebbe per ripercuotersi sull' accertamento, che verrebbe, per questa via, spinto verso i lidi della discrezionalità. Questo non dovrebbe essere permesso in un ordinamento improntato al principio di legalità ex art. 25 comma 2, il quale sarebbe rispettato solamente qualora il principio sancito dall' art. 112 Cost. non fosse ostacolato61. Una disciplina positiva che deviasse da questo schema andrebbe, quindi, ad intaccare il fondamento non disponibile del processo: tratto imposto dall' art. 112 Cost., a sua volta da leggere in simbiosi con la natura obbligatoria della norma incriminatrice62. È palese come la disciplina dell' art. 405 c.p.p. debba conciliare esigenze che appaiono tra loro in contrapposizione: «da un una parte quella di imprimere tempestività alle investigazioni al fine

60 V. GREVI, Archiviazione per «inidoneità probatoria» ed obbligatorietà

dell' azione penale , cit., p. 1323.

61 In questo senso, Corte cost., sent. 24 marzo 1993, n. 111, in

www.giurcost.org, che salda l' indisponibilità del processo al dovere

dell' organo d' accusa di esercitare l' azione penale.

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di circoscrivere il più possibile il periodo di assoggettamento all' indagine63 , e di evitare, in chiave di tutela dell' efficienza, che il dibattimento si svolga ad un' eccessiva distanza dalla commissione del fatto; dall' altra quella di rispettare in modo più deciso il principio di completezza»64. La soluzione sembra, però , conciliarsi in malo modo con la stessa obbligatorietà dell' azione penale, finendo infatti per apporre una limitazione temporale alla sua rilevanza procedimentale. Tuttavia, la Corte costituzionale è stata ferma nel salvare i termini di durata massima delle indagini preliminari.

A fronte di alcuni giudizi negativi espressi (anche se con toni diversi) dalla dottrina già all' indomani dell' entrata in vigore del nuovo codice65, la Consulta ha, in più occasioni, ribadito la legittimità costituzionale del sistema dei termini massimi di durata delle indagini, cogliendo la ratio dell' istituto nella necessità di imprimere tempestività alle investigazioni e di

63 Così, Corte cost., 15 aprile 1992, n. 174, in Giur. cost., 1992, p. 1292.

64 F. SIRACUSANO, La completezza delle indagini nel processo penale, cit., p. 54.

65 Si veda F. CORDERO, Chi abusa del processo, in Dir. pen. proc., 2007, p. 1422; F. CAPRIOLI, L' archiviazione, Napoli, 1994, p. 452; E. MARZADURI,

Azione IV) Diritto processuale penale, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1996, p. 11;

G. UBERTIS, Non termini astratti, ma garanzia del contraddittorio, in Quest.

Giust., 1992, p. 483; F. ALONZI, Le attività del giudice nelle indagini preliminari, Padova, 2011, p. 69 ss.

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contenere in un lasso di tempo predeterminato la condizione di chi a tali indagini è assoggettato. La scelta del legislatore, ad avviso della Corte, si raccorda intimamente alle finalità stesse della attività di indagine, la quale lungi dal riprodurre quella funzione “preparatoria” del processo che caratterizzava la fase istruttoria nel codice Rocco è destinata unicamente a consentire all' organo dell' accusa di assumere le determinazioni inerenti all' esercizio dell' azione penale, col conseguente corollario che il tendenziale principio di completezza delle indagini deve correlarsi proprio a quello specifico fine. Quindi il parametro della completezza, dovendo le indagini avere solo la funzione di creare il terreno per le determinazioni ex art. 326 c.p.p., non deve essere commisurato su di una formula analoga a quella dell' art. 299 c.p.p. abr. , ma sul criterio, ben diverso, dell' art. 125 disp. att. c.p.p.66. Oggi, però, gli scenari appaiono - come abbiamo visto con riguardo all' introduzione del giudizio abbreviato -radicalmente mutati e l' idea delle indagini come mera inchiesta preparatoria, agile nelle forme e snella nei contenuti, sembrerebbe solo un ricordo, avendo lasciato spazio ad una fase

66 Corte cost., ord. 22 dicembre 1993, n. 485 in www.gazzettaufficiale.it; Corte cost., ord. 14 ottobre 1996 , n. 350 in www.giurcost.org.

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ben più articolata e pervasa da una forte aspirazione alla completezza. Di conseguenza, potrebbero ritenersi ormai estranei al sistema i limiti cronologici imposti alle indagini preliminari. Certo, resta attuale la finalità di tutela della persona sottoposta alle indagini, titolare dell' interesse a vedere la propria posizione definita in tempi ragionevoli. Ma quale forza precettiva è in grado di sprigionare tale esigenza al cospetto dell' art. 112 Cost. , che governa, sul versante del pubblico accusatore, la fase delle indagini? Lo svolgimento di queste ultime costituisce, si osserva, pur sempre un dovere istituzionale per l' organo d' accusa67 ed ha come scopo la repressione dei reati. Affiora, così, in modo nitido, la tensione che segna i rapporti tra completezza delle indagini e ragionevole durata delle stesse.

In quest' ottica, mentre il fondamento costituzionale del primo polo dell' antitesi è stato già definito, è sul secondo che deve focalizzarsi l' attenzione. In questa prospettiva, non è difficile individuare il percorso da seguire. Prima che l' art. 111 Cost. fosse riscritto dalla legge cost. 23 novembre 1999 n. 2, i termini previsti

67 G. TURONE, Contro lo sbarramento imposto dall' art. 407 c.p.p., in Quest.

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dagli art. 405-407 c.p.p. erano si inquadrati tra le misure dirette a garantire la ragionevole durata del processo, ma risultava difficile ancorare tale esigenza al testo costituzionale68. Ora che l' art. 111 comma 2 Cost. offre un sicuro appiglio, sembrerebbe prendere corpo la necessità di bilanciare il livello di approfondimento investigativo preteso dal sistema con la ragionevolezza dei tempi processuali69 . «All' interno di tale schema relazionale, però, i rapporti di forza dipendono dal significato e dal peso che vengono attribuiti al principio del dèlai raisonnable; da qui, pertanto, è necessario partire»70 e domandarsi se anche le indagini preliminari stanno dentro al “giusto processo”, in special modo se sono ricomprese nella garanzia della ragionevole durata.

4. Indagini preliminari e ragionevole durata del processo

Come deve essere interpretato il sostantivo « processo» usato in seno all' art. 111 Cost. ? È da questa domanda che dobbiamo partire per capire se le indagini preliminari rientrano o meno

68 F. CAPRIOLI, L' archiviazione, cit., p. 453.

69 E. MARZADURI, Indagini preliminari e modello processuale: profili di

incoerenza originaria del codice Vassalli, in AA.VV., Verso la riscoperta di un modello processuale, Milano, 2003, p.225.

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nell' area del fair trial. Se ci volessimo attenere al tenore letterale, si dovrebbe rispondere che le indagini preliminari stanno fuori dal “giusto processo” e di conseguenza dal presidio dell' art. 111 Cost., i cui effetti sarebbero molto ridotti. I canoni della novella costituzionale del 1999 inizierebbero ad incidere in maniera significativa, quindi, solo una volta formulata l' azione penale. Se così fosse diventerebbe arduo riconoscere fondamento costituzionale alla previsione di limiti cronologici delle indagini preliminari e di conseguenza gli artt. 405-407 c.p.p. potrebbero difficilmente issarsi ad argine in grado di contrastare la forza espansiva del principio di completezza delle indagini preliminari

ex art. 111 Cost. Per superare questo approdo interpretativo, si

deve ricorrere all' argomento logico-sistematico. Infatti, l' art 111 comma 2 Cost. , pensato non solo per la materia penale, ma anche per quella civile ed amministrativa, sulla falsariga del testo dell' art. 6 CEDU, si riferisce, con la garanzia del fair trial, al «processo» inteso nella sua totalità: a ciò consegue, quindi, che nel campo penale per « processo» debba intendersi tutte le attività in risposta ad una notitia criminis71, includendovi, di

conseguenza, anche le indagini preliminari. Questo appare

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