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Sentenze aventi ad oggetto scambi di beni immateriali e servizi

3.7 Pronunciamenti della Giurisprudenza Italiana in tema di transfer price

3.7.2 Sentenze aventi ad oggetto scambi di beni immateriali e servizi

Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia ,Sez. VII, sentenza. n. 55 del 17.03.97

La controversia ha ad oggetto un rapporto di finanziamento infruttifero209 di interessi, erogato da una società italiana ad una società controllata Lussemburghese.

L’Ufficio delle Entrate aveva infatti determinato, in applicazione delle istruzioni della circolare n. 31/9/2267 del 1980210 e muovendo dal disposto di cui all’art. 76, comma 5 del D.P.R. 917/86 (oggi art. 110 comma 7 del Tuir), un interesse “normale” che secondo l'Ufficio avrebbe dovuto essere liquidato ed addebitato alla controllata lussemburghese.

La Commissione Tributaria Regionale ha invece disposto l'annullamento del recupero a tassazione degli interessi attivi liquidati dall'Ufficio imposte, giustificando l’illegittimità del recupero argomentando nel senso che la società italiana aveva esplicitamente deliberato l'infruttuosità del finanziamento erogato alla controllata lussemburghese.

209 Per approfondimenti in materia di finanziamenti intercompany, si rinvia a VALENTE P., "Transfer

pricing e contratti di finanziamento: la congruità dei tassi di interesse", in Corriere Tributario,

N.33/2012, pag. 2851 e ss.; VALENTE P., "Manuale del Transfer pricing", IPSOA, 2012, pag. 226 e ss.; MUSSELLI A. MUSSELLI A.C., "Transfer Pricing", Il Sole24Ore, 2012, pag. 208 e ss.

210Sul tema la Circolare pare essere sufficientemente chiara, nel senso che "in genere, ben difficilmente un prestito concesso dall'affiliata italiana potrà trovare una giustificazione economica che ne legittimi la gratuità". Cfr. Circolare M.E.F. n.32/1980, pag. 18.

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In materia di infruttuosità dei capitali erogati a titolo di mutuo, è intervenuta successivamente la sentenza della Corte di Cassazione n.2735 del 2011, mediante la quale i Supremi Giudici hanno precisato che "il prestito del socio erogato alla società in cui egli è partecipante è presunto legalmente a titolo oneroso. (..) un rapporto di mutuo produttivo di interessi esige che il diverso titolo risulti dai bilanci allegati alla dichiarazione dei redditi dalla società medesima, e quindi, non è sufficiente la mera enunciazione da parte del socio della destinazione del versamento ad incremento del capitale e l'assenza di dimostrazione contraria".

Precedentemente la Cassazione211 aveva precisato che costituisce onere di chi agisce in giudizio (per disconoscere una determinata qualifica contrattuale) provare che la effettiva volontà dei soci era diversa dalla qualifica attribuita dalle parti alla fattispecie, e se questa prova non viene raggiunta il giudice dovrà respingere la domanda del ricorrente (nel caso di cui trattasi, l'Ufficio imposte).

Commissione provinciale di Ravenna, sez. I, sentenza n. 253 del 18.10.2002

Si segnala la sentenza in commento, in quanto i Giudici di prime cure aditi sono addivenuti ad una decisione di tenore diametralmente opposta, in materia di finanziamenti infragruppo, rispetto alla sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia, n.55/97.

La controversia trae origine e fondamento da una fattispecie similare a quella rappresentata in commento alla succitata sentenza emessa dal Collegio provinciale Emiliano, vale a dire un rapporto di finanziamento infruttifero erogato a favore di una controllata Lussemburghese.

La controllante italiana si era vista pertanto imputare gli interessi attivi figurativi sulla quota capitale erogata a titolo di mutuo infruttifero alla controllata estera, a ciò addivenendo l'Ufficio delle imposte argomentando sulla valenza dell'allora vigente art.76 comma 5 del Tuir.

Il ricorso proposto dalla società italiana è stato respinto, avendo i Giudici di prime cure giustificato tale decisione asserendo che l'art.76 comma 5 ha valore di presunzione legale di fruttuosità dei capitali concessi a mutuo. Detta presunzione, nel caso concreto, non sarebbe stata vinta da “notizie e motivazioni”, da fornirsi ad opera del contribuente e atte a smentire quanto presunto.

211Cfr. Cassazione sentenza n.2314 del 19.03.96, in Il Fisco, N.38/2000. Ancorché la sentenza sia stata

emessa in ambito civilistico, si ritiene che sull’onere della prova i principi in essa espressi siano applicabili alla fattispecie di cui trattasi, non sussistendo in ambito civile e tributario alcuna diversità rispetto all’onere di provare i fatti, che grava perciò su chi agisce in giudizio.

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A ben vedere però, il tema sollevato dalla sentenza della C.T.P. in commento attiene il più generale onere della prova, e non la possibilità di recuperare gli interessi attivi non riscossi.

Di guisa che qualora l'Ufficio delle Entrate, almeno in prima battuta, riesca a determinare un valore normale che differisce da quello calcolato dal contribuente, seguendo il principio espresso nella sentenza de qua, sarà onere del contribuente stesso contro argomentare.

Corte di Cassazione, sentenza n.3861 del 31 maggio 2001

La fattispecie in commento212 vede coinvolte una società estera e la propria stabile organizzazione italiana. Quest'ultima aveva ricevuto un avviso di accertamento dall'Ufficio delle Entrate di Milano, mediante il quale venivano contestate e quindi riprese in aumento indebite deduzioni di costi relative a spese di regia, sul presupposto che tali spese sfuggirebbero al potere decisionale della stabile organizzazione.

La società estera ha pertanto proposto ricorso avverso l'avviso di accertamento anzidetto, risultando vittoriosa in primo grado. L'Ufficio ha proposto quindi ricorso in appello, ove i Giudici regionali hanno inteso accogliere le doglianze proposte dalla parte ricorrente.

La sentenza di secondo grado pur avendo riconosciuto che "le stabili organizzazioni non costituiscono soggetti giuridici distinti dalle società estere", aveva tuttavia argomentato nel senso che "le stabili organizzazioni non avrebbero alcun potere di decisione su tali costi (spese di regia, ndr), che conseguentemente non potrebbero essere considerati inerenti alla produzione del reddito".

La società estera ha conseguentemente proposto ricorso in Cassazione.

I giudici di legittimità, muovendo dalla motivazione addotta nella sentenza emessa dal Collegio regionale, hanno di converso rilevato che "se le stabili organizzazioni sono parte integrante dell'impresa esercitata dalla società estera quest'ultima, quale che sia l'atteggiarsi della propria organizzazione interna e l'articolarsi dei suoi poteri decisionali, deve essere considerata nella sua unitarietà".

212Vi sono altre sentenze emesse dalla Giurisprudenza di legittimità che si sono occupate del tema delle

prestazioni di servizi, e nello specifico dei riaddebiti infragruppo delle spese di regia, sostenute dalla casa madre estera e riaddebitate alle stabili organizzazioni italiane. Si segnalano la Cass. n. 14016 del 13.7.1999, la Cass. Sez. Trib. n. 10062 del 17.5.2000, Cass. Sez. Trib. n. 1133 del 22.9.2000, oltre a quella in commento.

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Condivisibile appare quindi l'interpretazione della Suprema Corte, atteso che non esiste (se non per fictio iuris) alcuna soggettività giuridica distinta tra casa madre e stabile organizzazione, essendo quest'ultima per sua natura priva di alcun poter decisionale.

Le argomentazioni addotte dal Collegio regionale sono pertanto infondate nella misura in cui non consentono la deducibilità dei riaddebiti delle spese di regia, e la sentenza è stata perciò cassata.