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I servizi sanitari dell’area pediatrica

Capitolo VI - Salute e servizi di base

4. I servizi sanitari dell’area pediatrica

3.4 3.8

Già da alcuni anni il sistema complessivo della pe-diatria si confronta da un lato con fenomeni culturali, sociali e demografici in continua evoluzione e, dall’al-tro, con vecchie e nuove problematiche professionali e organizzative che, a loro volta, devono fare i conti con rigidità strutturali e capacità di previsione e pianifica-zione degli eventi non sempre adeguate23.

L’area delle cure per l’infanzia e l’adolescenza perse-gue da sempre, pur con modalità e percorsi talora di-somogenei, una stretta integrazione fra attività territo-riali e servizi specialistici più tipicamente ospedalieri.

Dalla pediatria di famiglia o di comunità fino ai reparti di terapia intensiva neonatale o pediatrica – passando attraverso i servizi dedicati di neuropsichiatria, chirur-gia e oncoematolochirur-gia – è atteso che il bambino e l’ado-lescente trovino risposta ai propri bisogni di salute con percorsi circolari (territorio-ospedale-territorio) che presentino caratteristiche mandatorie di integrazione e continuità. La rete tesa tra i diversi livelli assistenzia-li deve avere nodi di pari rilevanza e dignità, pur nella diversità dei compiti e delle specializzazioni.

Tuttavia, il calo demografico dei pediatri ha innescato

“una competizione per la sopravvivenza” fra sistemi ospedale-territorio, a cui si aggiunge la regionalizza-zione delle cure, che rende possibili gravi differenze e disequità nei livelli di assistenza, facilitate dalla crisi economica e politica dell’ultimo decennio.

23 FIARPED (2019), Libro bianco dell’assistenza pediatrica, Edizioni Scientifiche Ma.Gi., Roma. Cfr. www.fiarped.it.

La recente emergenza legata alla pandemia di SARS-CoV-2, pur avendo dimensionalmente interessato in misura ridotta l’età evolutiva, ha messo in luce nume-rosi aspetti resilienti del sistema assistenziale pedia-trico ma, al contempo, molti altri perfettibili per rag-giungere quell’auspicata, ed oggi sappiamo più che mai, completa integrazione.

La frammentazione delle risposte deriva anche dalla frammentazione delle relazioni fra le istituzioni (scuo-la, sanità, servizi sociali e per la famiglia), che talora non consente una piena integrazione istituzionale e gestionale.

La distinzione fra ospedale, territorio e sanità pub-blica, ancora utilizzata nelle definizioni e nelle azioni ministeriali e istituzionali, è un modello datato e non più corrispondente all’attuale necessità di organizza-re percorsi di salute trasversali (orizzontali e verticali) rispetto alla centralità del bambino. Ad esempio, i di-stretti previsti dalla Legge 502/1992 come unità fun-zionali delle aziende sanitarie locali per la program-mazione dei servizi (sia ospedalieri che territoriali), in risposta ai bisogni della popolazione, spesso assu-mono competenze gestionali territoriali non comple-tamente integrate dalla direzione sanitaria dei presìdi ospedalieri, contribuendo così alla frammentazione della governance e delle azioni. Ne deriva che spes-so un taglio orizzontale fra ospedale e territorio fi-nisce col provocare una non completa sinergia fra i due sistemi, mentre andrebbero privilegiati i rapporti verticali fra i servizi sui singoli percorsi (consultorio familiare e ostetricia per la gravidanza e la salute del-la donna e deldel-la famiglia; pediatra di famiglia, di co-munità e ospedaliero; neuropsichiatra infantile) per la promozione della salute e della cura, acuta e cronica, fisica e mentale, oltre che scolastica, e quant’altro sia centrato sul bambino e sulla sua famiglia.

Area territoriale

Con la definizione di cure primarie non vanno identifi-cati interventi a bassa complessità, ma piuttosto cure prossimali: siano esse per malattie acute o croniche o per necessità di presa in carico ad alta

complessi-3.8

3.4

6. SALUTE E SERVIZI DI BASE

tà. La prossimità e la domiciliarità, nella salute dei bambini, rappresentano un valore irrinunciabile, tan-to più importante quantan-to più complesso è l’interventan-to.

Il domicilio è la sede privilegiata per le situazioni cro-niche a elevata complessità e per la palliazione, che prevedono tempi di presa in carico spesso lunghissimi e necessitano pertanto di proteggere il più possibile la parte di normalità nella vita del bambino e della fami-glia: la casa, gli amici, la scuola. Per questo motivo l’ambiente ospedaliero va riservato solo a momenti necessari e possibilmente brevi (monitoraggio perio-dico o controllo delle riacutizzazioni).

Il pediatra di famiglia costituisce a tutt’oggi il respon-sabile clinico della salute del bambino, in una visione sistemica che comprende la famiglia e la comunità (scolastica, sociale) all’interno della quale vive. Tutta-via il modello attuale consente ancora ai convenzio-nati la possibilità di lavorare in modo solitario, con un massimale di 800 (estendibile fino a 1000) assistiti.

Il calo demografico dei pediatri potrebbe non rende-re più sostenibile questo modello, se non a prende-rezzo di ridurre la popolazione assistibile ai bambini con età fra 0 e 6 anni, abbandonando così il rapporto con gli adolescenti, mettendo a rischio quello coi ragazzi con bisogni speciali, rinunciando insomma a quel ruolo di advocacy – da parte dei professionisti sanitari e sociali dell’età evolutiva – tanto sostenuto negli ultimi decen-ni ed esclusivo vanto, in Europa e nel mondo, del no-stro panorama assistenziale.

Appare dunque necessario che i pediatri di famiglia funzionino in modo coerente con gli altri servizi e all’interno di obiettivi di salute condivisi, e che venga prevista una valutazione e una verifica sui risultati rag-giunti non solo sulle attività, ma anche sugli outcomes di salute.

All’interno di un sistema multi-professionale, su base territoriale, ciascun pediatra potrebbe seguire ben più di 800 bambini fino a 18 anni: un ambulatorio infermie-ristico a supporto delle attività cliniche e della gestio-ne dei percorsi per bisogni speciali potrebbe evitare centinaia di accessi al Pronto Soccorso per problemi a bassa complessità oppure ospedalizzazioni per riacu-tizzazioni in corso di malattie croniche; un infermiere di comunità per le attività di promozione della salute e prevenzione, sia individuali che collettive nelle scuole,

libererebbe importante tempo “clinico” al pediatra.

La pediatria di comunità, ove presente, esercita fun-zioni derivate dalla fusione di due aree d’intervento, l’una di stampo “igienistico” (la medicina scolastica), l’altra di stampo pediatrico (i consultori pediatrici), a seguito dell’istituzione della pediatria di base (Legge 833/1978). È un servizio a forte impronta infermieri-stica che esplica attività rivolte sia alla collettività (promozione alla salute, vaccinazioni e profilassi delle malattie infettive in comunità, promozione di ambien-ti scolasambien-tici e ricreaambien-tivi a misura di bambino, dieteambien-tica in collettività, attività di screening, epidemiologia), sia rivolte al singolo, in sinergia e non in competizione col pediatra di famiglia (visite infermieristiche domicilia-ri ai neonati e alle famiglie con fattodomicilia-ri di domicilia-rischio so-cio-sanitario, sostegno alla genitorialità, management dei percorsi assistenziali al bambino con malattia cro-nica ad alta complessità assistenziale e con bisogni speciali, promozione della salute nell’adolescenza).

L’infermiera pediatrica di comunità costituisce un for-te punto di connessione fra i diversi sisfor-temi pediatrici:

sanitari, educativi, scolastici e sociali.

Il consultorio familiare, la pediatria di famiglia e di comunità, la neuropsichiatria sono i servizi pubblici territoriali che, insieme alle Unità operative ospedalie-re specialistiche (UUOO), si occupano dell’assistenza e della tutela della salute fisica e psichica dei bambini e delle bambine, degli adolescenti, della salute femmini-le, della procreazione, della sessualità, dello stato psi-cologico degli individui, delle relazioni di coppia e della famiglia. È necessario che tutti questi servizi operino in stretta continuità con le UUOO ospedaliere: ostetricia, ginecologia e terapia intensiva neonatale – per quanto riguarda la salute della donna, della gravida, del neona-to e i percorsi ginecologici specifici – pediatria ospeda-liera e le specialità pediatriche, per quanto concerne la promozione della salute e la prevenzione in età pediatri-ca e adolescenziale e la presa in pediatri-carico di ragazzi/e con malattie croniche e bisogni speciali. È anche indispen-sabile che cooperino con gli altri dipartimenti territoria-li: Dipartimento di sanità pubblica, per la promozione della salute e la profilassi delle malattie infettive; Dipar-timento di salute mentale e dipendenze patologiche, per i temi del disagio in adolescenza e le maternità “difficili”

con disagio psico-sociale.

6. SALUTE E SERVIZI DI BASE

Area ospedaliera

Alcuni temi fondamentali contribuiscono a delineare oggi le maggiori criticità dell’area pediatrica ospeda-liera. Il primo è la carenza di specialisti pediatri (lo stesso vale per i neuropsichiatri infantili) che vengono diplomati dalle scuole di specializzazione e resi dispo-nibili per reintegrare il ben maggior numero di profes-sionisti che si apprestano a cessare il servizio per rag-giunti limiti di età o per scelte professionali che portano verso il territorio o il privato. Si tratta di un fenomeno già prevedibile e noto da diversi anni ma che, in assen-za di un’adeguata programmazione formativa e di una riorganizzazione delle strutture sanitarie, sta mettendo in grave difficoltà tutto il sistema delle cure pediatri-che. I concorsi ospedalieri per pediatri e neonatologi pressoché deserti e lo stillicidio di professionisti che migrano verso la pediatria di famiglia depauperano progressivamente gli organici ospedalieri e spingono a soluzioni organizzative estemporanee e di dubbia effi-cacia. In assenza di un incremento di nuovi specialisti, entro il 2025 potrebbe realizzarsi una carenza di circa 3.000 pediatri con prevedibili conseguenze sul funzio-namento di tutta l’area materno-infantile24.

Il saldo negativo dei pediatri che mancheranno all’ap-pello nei prossimi cinque anni corrisponderà – secon-do le previsioni di Anaao-Assomed – alla chiusura di circa 200 punti nascita in tutta Italia25. Si segnala una recente attenzione al problema: i contratti di specializ-zazione disponibili per pediatria e NPIA (neuropsichia-tria infantile e dell’adolescenza) erano rispettivamente 496 e 100 nel 2018, 633 e 139 nel 2019 e per il 2020 la previsione è di un ulteriore incremento26. Nonostante questo, la razionalizzazione dei punti nascita, la rior-ganizzazione dei reparti di pediatria e una diversa inte-grazione funzionale fra la pediatria territoriale e quella ospedaliera sembrano ormai indispensabili.

La pediatria ospedaliera si confronta oggi con l’e-mergente scenario degli adolescenti con scompenso psichiatrico e la crescente necessità di dare risposta

24 Anaao-Assomed (2018), La pediatria ospedaliera italiana: un settore a rischio di estinzione, 17 settembre (www.anaao.it);

FIARPED, op. cit.

25 Anaao-Assomed (2018), op. cit.

26 MIUR: www.miur.gov.it.

alle patologie croniche complesse, sia nella fase di riacutizzazione, sia in termini di gestione del dolore e di palliazione27. Il 50% circa delle Regioni italiane non ha strutture e percorsi organizzativi per un’assistenza appropriata alle situazioni di urgenza psichiatrica in età evolutiva e ancora oggi il ricovero di questi adole-scenti avviene troppo frequentemente in reparti diversi da quelli NPIA (per lo più in reparti di pediatria o di psichiatria per adulti)28. I posti letto di ricovero dedicati alla NPIA sono meno di 350 in tutta Italia e non più di un centinaio sono dedicati all’emergenza psichiatrica, con evidenti disomogeneità sul territorio nazionale29. La difficoltà nel far convergere l’area pediatrica nel suo complesso sul target di età 0-18 anni e la scar-sa implementazione dei percorsi di transizione per le patologie croniche dalle cure pediatriche a quelle dell’adulto creano perduranti incertezze nella gestione ospedaliera degli adolescenti e dei giovani adulti, con situazioni cliniche ad elevata complessità30. Sembra quindi opportuno che la pediatria si attrezzi cultural-mente e organizzativacultural-mente per farsene carico.

Osservazioni trasversali

È noto come nel corso delle epidemie influenzali ci sia una chiara associazione fra posizione socio-econo-mica e outcomes di salute31. La pandemia COVID-19 sollecita a perseguire il difficile equilibrio organizzati-vo organizzati-volto a mantenere da una parte la sostenibilità del sistema e il buon utilizzo del Servizio Sanitario Nazio-nale e, dall’altra, la necessità di garantire risposte ai

27 Baroncini, S. (2016), Cure palliative pediatriche: la gestione del dolore, Edizioni Bentivoglio, Bologna.

28 Farruggia, R. – Costa, S. (2016), “Psychiatric emergency in de-velopmental age: organizational situation of childhood and ado-lescence neuropsychiatry services in Italy. Preliminary data”, in Giornale di Neuropsichiatria dell’età evolutiva, 36, 38-47.

29 Farruggia, R. (2019), Memoria per la Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati sulle Risoluzioni 7-00164 e 7-00206.

Cfr. www.camera.it.

30 Nave, E. – Bignamini, E. (2020), “Transitional healthcare: il pas-saggio alla medicina dell’adulto del paziente pediatrico affetto da patologia cronica e complessa”, in Quaderni ACP, 27, 67-72;

FIARPED, op. cit.

31 Marra, M. – Costa, G. (2020), “Un health inequalities impact assessment (HIIA) della pandemia di COVID-19 e delle politiche di distanziamento sociale”, in Epidemiologia e Prevenzione, 14/04. Cfr. https://www.disuguaglianzedisalute.it/.

6. SALUTE E SERVIZI DI BASE

bisogni sempre più complessi delle fasce fragili, al di là della sede di cura, sia essa il domicilio, l’ambula-torio, l’ospedale, la struttura temporanea o l’hospice.

La definizione di popolazione in carico ai servizi dell’età evolutiva va chiarita, poiché al momento è for-temente eterogenea: obbligatoria per i pediatri di fa-miglia fino ai 6 anni con possibilità di arrivare ai 14 (16 in presenza di malattia cronica); 18 anni per la neu-ropsichiatria infantile e per la pediatria di comunità (ove presente); fra i 14 e i 18 (a discrezione locale) per i reparti ospedalieri. Tutto ciò provoca un forte scolla-mento e disallineascolla-mento fra i servizi e gli interlocutori coinvolti nella presa in carico di bambini/e e ragazzi/e specie con malattie croniche, abbandonando quasi completamente la fascia degli adolescenti.

È necessario ripensare, in termini di salute e di equi-tà, alla popolazione 0-18, rendendo il sistema pedia-tria-NPI-scuola-tutela sincrono e salvaguardando anche la fascia degli adolescenti. Bisogna rivedere il modello organizzativo dell’area pediatrica in senso complessivo e competitivo, rispetto alle funzioni da svolgere e non alla geografia dell’ospedale e del ter-ritorio.

Vanno previsti e garantiti i rapporti con la scuola e la comunità locale di riferimento, e su questa prospettiva disegnati i servizi e i modelli organizzativi. Il Decreto Legge 158/2012 (c.d. “decreto Balduzzi”), che prevede lo sviluppo delle Case della Salute per un approccio socio-sanitario integrato che risponda con percorsi e non unicamente con prestazioni, al fine di dare risposte a bisogni sempre più complessi, è ancora largamente inapplicato, mentre nel panorama internazionale sono presenti realtà basate sui principi della Comprehen-sive Primary Health Care, dove le équipes multidisci-plinari di assistenza primaria hanno un forte legame con un territorio specifico (assistenza geolocalizzata) e con la comunità32. Lo stesso modello va previsto per i servizi territoriali dell’età evolutiva: pediatria di fa-miglia e di comunità, neuropsichiatria, riabilitazione pediatrica, consultorio familiare, spazi giovani. Vanno identificate zone territoriali quale ambito di attività e di specifica afferenza e responsabilità per ciascun

32 Lettera aperta al Ministro della Salute, in SaluteInternazionale del 27 Aprile 2020.

operatore, preparato a riconoscere i bisogni espressi dal territorio, affinché possa mantenere connessioni fra le attività compiute con le famiglie, con i pediatri di riferimento per quella zona, con le scuole che in-sistono in quell’ambito, con i servizi sociali, educativi e con le associazioni di volontariato presenti. Il per-sonale sanitario tecnico e infermieristico ricopre un ruolo determinante, potendo assumersi la responsa-bilità di attività in autonomia (gravidanze fisiologiche, vaccinazioni pediatriche, interventi di collegamento fra famiglia-pediatra-scuola, dimissioni ospedaliere pre-coci o protette, supporto al domicilio) senza bisogno della presenza medica, permettendo così di ridefinire il ruolo del pediatra e del NPI su interventi a maggior complessità, e liberando risorse mediche sempre più difficili da reperire.

Un sistema prossimale efficace qualifica anche i centri ospedalieri, e i suoi professionisti, che possono occu-parsi di problemi a elevata complessità, essere mag-giormente attrattivi nei confronti dei nuovi specialisti e dare risposte integrate col territorio.

È necessario che i servizi sanitari di area materno-in-fantile (ospedalieri e territoriali) lavorino a stretto con-tatto con i servizi sociali, educativi e scolastici, con i centri per le famiglie, con il Terzo Settore e con le as-sociazioni di volontariato.

Mortalità infantile e punti nascita

Negli ultimi anni si evidenzia una netta e positiva dimi-nuzione della mortalità infantile passata da 3.8 a 2.8 morti per mille nati vivi, con una progressiva riduzione del 50% negli ultimi 15 anni, soprattutto grazie al mi-glioramento della qualità dell’assistenza al parto e al bambino nel periodo perinatale33. Il 75% dei decessi nel primo anno, infatti, continua a interessare bambini che hanno meno di un mese di vita. Un fenomeno che vede maggiormente coinvolti i maschi (2.9) rispetto alle femmine (2.6) e i bambini del Sud rispetto a quelli del Nord (Sicilia 4.2 vs. Lombardia 2.7).

La riduzione della mortalità ha interessato comunque tutte le fasce di età pediatrica e le classi 1-4 e 5-14

33 Cfr. ISTAT: http://dati.istat.it/.

6. SALUTE E SERVIZI DI BASE

anni, con una riduzione pari al 40% negli ultimi 15 anni. Gli indicatori che descrivono la mortalità entro il primo mese di vita, dovuta a cause di tipo endogeno (determinanti dell’individuo), denotano un andamento decrescente meno marcato. Ciò dimostra che la dimi-nuzione della mortalità infantile è imputabile soprat-tutto alla diminuzione della mortalità post-neonatale, dovuta a fattori di tipo esogeno (determinanti prossi-mali) legati all’ambiente (igienico, sociale ed economi-co) in cui vivono la madre e il bambino. A livello regio-nale però permangono delle differenze per quel che riguarda la mortalità perinatale da attribuire alla di-versa efficienza territoriale del Sistema Sanitario (de-terminanti distali), e quindi a conferma del fatto che in alcune Regioni persistono delle carenze nell’assisten-za neonatale e infantile; carenze che dovrebbero esse-re migliorate34. La mortalità perinatale è un esempio di “morte evitabile” ed è costituita da due componenti:

la natimortalità e la mortalità neonatale precoce35. La natimortalità resta inferiore al 3% (2.78%), ma anche in questo caso le differenze regionali sono considere-voli: è inferiore al 2% in Valle d’Aosta, Provincia Auto-noma di Bolzano, Lazio e Molise; mentre è superiore al 3.5% in Puglia e nelle Marche ed è oltre il 4% in Basilicata. Rimane ancora alto il numero di bambini morti prima di nascere o entro la prima settimana di vita. I risultati del progetto SPItOSS (Italian Perinatal Surveillance System)36, che si è concluso dopo tre anni di lavoro e che ha coinvolto tre Regioni italiane, rileva-no che ogni 1.000 bambini nati si registrarileva-no 4 morti in Sicilia, 3.5 in Lombardia e 2.9 in Toscana. Rispetto alla mortalità materna si tratta di un evento di gran lunga più frequente: 1.800 morti perinatali contro 40 morti materne per anno.

Per quanto riguarda l’impatto dell’epidemia da CO-VID-19, le infezioni da coronavirus SARS-CoV-2 tra i bambini e gli adolescenti in Italia sono state molte basse e non hanno avuto criticità tra i pazienti. Per-tanto, anche la mortalità infantile attribuibile al virus è da trascurare.

Gli ultimi dati disponibili del 2018 evidenziano che in

34 Ibidem.

35 Ibidem.

36 Cfr. https://www.epicentro.iss.it/itoss/SorveglianzaMortalitaPe-rinatale.

Italia su 418 punti nascita ben il 15% presenta meno di 500 parti/anno e circa 27.000 bambini sono nati in tali strutture, che non sono in grado di garantire la miglio-re esperienza clinica e l’organizzazione necessarie per prevenire ed eventualmente affrontare le situazioni a rischio37.

Secondo l’ultimo Rapporto CedAP, l’89.2% dei parti del 2016 è avvenuto negli istituti di cura pubblici ed equi-parati, il 10.5% nelle case di cura e solo lo 0.1% altrove (altra struttura di assistenza, domicilio etc.)38. Il 63.9%

dei parti si svolge in strutture dove avvengono alme-no 1.000 parti annui ed esse rappresentaalme-no il 37% dei punti nascita totali. Il 5.8% dei parti ha luogo invece in strutture che accolgono meno di 500 parti annui.

Ogni 100 parti si registrano 6.96 pretermine. Nei punti nascita con meno di 500 parti all’anno, la frequenza dei pretermine raggiunge il 3.9%, e di questi il 3.8% è costituito da parti molto pretermine e l’1.7% è costitu-ito da parti estremamente pretermine.

L’accesso alla terapia intensiva per i neonati estrema-mente pretermine e molto pretermine è determinante per la sopravvivenza e la futura qualità della vita del bambino, risulta pertanto essenziale analizzare la pre-senza di UTIN (terapie intensive neonatali) nei punti nascita, in relazione all’età gestazionale.

L’unità di terapia intensiva neonatale è presente in 123 dei 467 punti nascita analizzati; 104 UTIN sono collocate nell’ambito dei 172 punti nascita dove hanno luogo almeno 1.000 parti annui. Delle restanti 19 UTIN, 11 sono collocate in punti nascita che effettuano meno di 800 parti annui. Le unità operative di neonatologia sono presenti in 213 punti nascita, di cui 131 svolgono più di 1.000 parti annui.

La rilevazione 2005, che per completezza possiamo considerare quella di riferimento per un confronto di quanto è cambiato negli ultimi 15 anni, non evidenzia sostanziali differenze con i dati riferiti al 2016, rispet-to alla distribuzione dei parti, per caratteristica della struttura e dimensioni del punto nascita. Un dato da sottolineare invece è la riduzione del numero di punti nascita che passano da 560 a 467.

37 Cfr. https://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/arti-colo.php?articolo_id=80271.

38 Cfr. http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lin-gua=italiano&menu=notizie&p=dalministero& id=3882.

6. SALUTE E SERVIZI DI BASE

L’Accordo Stato-Regioni del 16 dicembre 201039 fissa in almeno 1000 nascite/anno lo standard a cui

L’Accordo Stato-Regioni del 16 dicembre 201039 fissa in almeno 1000 nascite/anno lo standard a cui