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Le sfide di Apollo

Nel documento Primo Piano. Primo Piano. L evoluzione (pagine 45-48)

saga scritta da Rick Riordan.

Al momento, i libri pubblicati sono cinque: “L’oracolo nascosto”, “La profezia oscura”, “Il labirinto di fuoco”,

“La tomba del tiranno” e “La torre di Nerone”. Quest’ultimo libro è uscito in italiano solo il 27 novembre e devo ancora leggerlo.

Questi romanzi sono fantasy ambientati nell’era moderna con molti riferimenti alla mitologia e alla storia greco-latina. Riordan infatti, associa ai tradizionali personaggi mitologici, nuovi protagonisti di sua invenzione, per collegare il mondo contemporaneo a quello classico.

Le vicende narrate

raccontano del divino Apollo che, diventato mortale per punizione di Zeus, deve liberare l’oracolo di Delfi per riconquistare la sua natura divina. Per compiere questa impresa Apollo si avvale delle profezie di altri oracoli le cui vicende si intrecciano tra mitologia e mondo

contemporaneo creando un intrigo molto avventuroso, talvolta un po’ complicato.

Per volere di Zeus, Apollo è aiutato da una semidea chiamata Meg. Ovviamente ha anche parecchi nemici:

mostri della mitologia e il

“Triumvirato”.

Come spesso accade nei fantasy, anche ne ‘‘Le sfide di Apollo’’ l’autore arricchisce i romanzi con citazioni di personaggi o episodi da lui stesso ideati per altre saghe, creando un unico mondo per

tutte le sue storie; tuttavia, pur essendo ricorrenti luoghi e persone, non è obbligatorio per il lettore conoscere anche le vicende precedenti per apprezzare questi romanzi.

La cosa che più mi è piaciuta di questi romanzi è

l’evoluzione caratteriale e la crescita emotiva di Apollo, nel passaggio da divinità ad essere umano. La dinamicità dei personaggi è una

caratteristica ricorrente e molto curata dall’autore nei suoi libri, ciò appassiona senz’altro il lettore.

Concludendo ritengo che questi siano quattro splendidi libri, infatti non vedo l’ora di leggere il quinto. Ne consiglio la lettura a tutti coloro che cercano dei libri avventurosi e appassionanti. Non

spaventatevi dalla mole di pagine, la scrittura è davvero piacevole e molto scorrevole.

Comunque la cosa più

importante è che il libro che state leggendo vi piaccia, altrimenti ricordate le parole di Daniel Pennac: “Non finire un libro è un diritto

imprescindibile del lettore”.

Samuele Gibertini

Le sfide di Apollo

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Una catastrofe sconosciuta e inattesa ha investito la Terra:

nelle strade solo resti del tempo, cadaveri, macchine bruciate, case abbandonate.

In questo scenario post-apocalittico, due figure scomposte, sfocate, senza nome vengono sorprese e osservate mentre compiono un cammino che non ha meta, un viaggio disperato alla ricerca di un inattingibile salvezza. Sono un uomo e un bambino, un padre e suo figlio che oppongono la loro gracile e provvisoria presenza al morso di una morte che si è affacciata sulla vita, si è aggirata sulla sua soglia e ha disseminato parvenze di sé ovunque: negli alberi spogli, nella cenere che ricopre ogni cosa, nella “natura snaturata”, nell'opacità di una luce che si rifiuta di consegnare, con il suo bagliore, una speranza ad un mondo che persino Dio pare aver dimenticato.

Tutto il libro è occupato da questo cammino, dilatato a tal punto da coincidere con un’intera esistenza, che si dispiega come inchiesta sul senso, esplorazione di un significato smarrito. Su questo tragico orizzonte, prende forma il forte rapporto che lega padre e figlio e che si mostra come l'esile appiglio capace di trattenerli in una realtà frantumata e

irragionevole che non ha più nulla da offrire. Sopravvive alla devastazione una sottile fiamma che i due personaggi si portano dentro: è il lampo di una possibilità non ancora negata, di un’occasione che, pur fuggitiva e contratta nel vuoto dell’impossibile, si

configura come prossima, percorribile, raggiungibile.

Solo a chi sa ospitare questo fuoco dentro di sé,

alimentandolo, è concesso proseguire e sottrarsi al gelido abbraccio della fine.

Sostare tra le pagine de “La strada” significa interrogare la ragione per cui si sceglie di restare e resistere, quando si è perso tutto. Quando si

affina la coscienza che niente potrà più essere come prima.

Un libro, questo, che vibra di un’inquietudine tragica e la riverbera nel suo linguaggio:

spoglio, asciutto, essenziale.

Sabrina Bocedi

La strada

Libri Willy

Nel tragico dell’epoca delle due Grandi Guerre, la vita di un professore universitario di lettere, William Stoner, si svolge silenziosa ma

contraria. Figlio di agricoltori, decide di lasciare l’isolata Boneville per intraprendere gli studi umanistici. È presso l’Università che Stoner si affaccia, per la prima volta, sul mondo: l’amicizia profonda con due suoi compagni di corso, David Masters e Gordon Finch, cancella la solitudine a cui si era sempre condannato, e poi, nell’inatteso, un incontro, quello con Mr.Sloane, il suo insegnante di lettere, ricama sulla trama della sua vita un nuovo motivo, la orienta in un’altra direzione, la accende di passione, di desiderio.

Negli anni successivi, ormai uomo, William consegue la laurea,

ottenendo una cattedra presso l’Università di cui era stato studente e sposa Edith, figlia di un ricco banchiere.

Aspro sarà il cammino di Stoner nella indecifrabile geografia della sua storia:

presto la

relazione con la moglie si opacizza in un’intimità alienata, in una familiarità solo esteriore e, perfino a scuola, personalità invidiose e disoneste cercheranno di incrinare la sua immagine e mostrarne una versione che la sovverte. Il giovane diviene con il Libro, con il dispiegarsi della storia di cui è vittima, e insieme, vincitore.

Un’esistenza, la sua, inutilmente faticosa e incompiuta, mi appare tuttavia, se osservata dalla fine all’inizio, lambita da una bellezza che la riscatta. La bellezza che, con il suo lampo, visita la trama del tempo inscritto nel racconto, perlustra le pagine e le sillabe di ciascuna parola, non è che la vita stessa colta nella sua quotidianità, sorpresa nel suo ostinato e muto svolgersi, scorta con le sue ferite. La lingua di Williams, essenziale

quanto delicata, ritrae un dramma moderno. Un dramma che appartiene anche al nostro tempo.

E svela la storia di Stoner nello splendore del sorriso che ci rivolge. Un sorriso di

“disperata allegrezza” che nella sua luce ospita già il suo lutto e cioè la coscienza del dolore, dell’ingiustizia, della fine. Dopo la lettura, cala un silenzio che sembra negare l’intensità del testo, ma che in realtà si scopre solo stupito e accoglie il linguaggio, non rumoroso, della riflessione.

Un romanzo durissimo e al contempo straordinario e commovente che descrive l’azzardo e la meta di ogni uomo: accorpare felicità e disperazione nell’unità di uno sguardo quieto, osservare, persino sulla soglia della morte, negli ultimi bagliori visibili la presenza di una possibilità che si oppone alla rassegnazione, la parvenza fluttuante e fuggitiva di un senso. Un libro di ostinatezza e contrarietà che con le parole che lo abitano lotta contro la decadenza delle istituzioni e contro la

tendenza ad essere estranei nella propria vita: passivi, agiti dall’esterno.

Sabrina Bocedi

Stoner

Libri Willy Libri Willy

Scritto tra il 1950 e il 1952, è il romanzo più famoso di Tobino ed è il risultato della rielaborazione di

un'esperienza di vita e di lavoro in qualità di medico psichiatra.

Ci troviamo ambientati in un manicomio vicino a Lucca, dove lo scrittore-protagonista tiene quotidianamente traccia di ciò che accade nel reparto femminile del manicomio.

Durante la lettura conosciamo a poco a poco molte figure, pazienti e non, del

manicomio. Dapprima ci vengono presentate alcune pazienti, descritte con occhio popolare, non medico, di modo che le malate ci sembrino più vicine a come noi le descriveremmo. Lo stesso scrittore sottolinea ciò alla fine del libro, spiegando che per ottenere migliori trattamenti per i malati, doveva richiamare

l'attenzione dei sani su coloro che erano stati colpiti dalla follia; quindi per questo usa parole come manicomio e non ospedale psichiatrico, oppure matti al posto di malati di mente. Il suo

secondo intento era quello di dimostrare che anche i matti sono creature degne

d'amore, e attraverso l'amore si può arrivare a garantire loro miglior cura. Per raggiungere questo suo secondo obiettivo, Tobino, nella presentazione delle pazienti, oltre a spiegare in breve la malattia di cui sono affette, ci mostra soprattutto come le malate soffrano, e quali comportamenti usino per mostrare la loro

sofferenza agli altri. Durante

queste descrizioni spesso ci troviamo di fronte a donne impazzite, assalite dalla tristezza e con

comportamenti quasi animaleschi, ma proprio questa diversità nei loro comportamenti spinge il lettore a capire di più sull'origine di essi e a partecipare alla sofferenza delle donne colpite dalla malattia.

Oltre alle pazienti, lo scrittore si preoccupa di presentarci le varie figure che lavorano all'interno del manicomio. Le infermiere dell'ospedale sono suore o contadini, comunque tutte figure che si occupano minuziosamente delle malate.

Tobino denuncia con durezza il comportamento dei

contadini, poiché si tratta di persone con una mentalità limitata e ottusa a causa della loro vita che si è sempre svolta nelle pianure lucchesi, senza possibilità di vedere altro di ciò che la vita offre.

Questo naturalmente

rappresenta un limite che non dipende da queste persone di umilissima origine costretti a vivere una vita quasi

elementare, ma che comunque purtroppo li ha portati a non vedere l'umanità che c'è dentro ai malati; i contadini si limitano

essenzialmente a svolgere il loro lavoro che custodiscono gelosamente, essendo il lavoro di infermiere in un ospedale psichiatrico sicuramente più redditizio della coltivazione della terra.

Oggi chiaramente le cose sono diverse, le infermiere dei manicomi sono tutte

figure specializzate che sanno come fare il proprio lavoro. C'è una cosa però che Tobino chiarisce sugli

ospedali psichiatrici dei giorni nostri, cioè che gli

psicofarmaci hanno talmente cambiato i manicomi che in certi giorni non si riconoscono più. Adesso accade che un uomo infuriato entra in manicomio e con pochi medicinali si placa. E a volte succede che attraverso i farmaci si ristabilizza, ed esce come un uomo dal cancello dell'ospedale. Un uomo come questo è uno dei fortunati, ma ad altri, tanti altri, gli

psicofarmaci non bastano, essi rompono le nebbie, ma non guariscono del tutto. Per questo servirebbe l'aiuto da uomo a uomo, più dedizione, più accuratezza, più pazienza giornaliera.

Ed è con quest'ultima frase che si può riassumere il pensiero che Mario Tobino voleva trasmettere, attraverso una descrizione reale delle malate, al lettore: aiuto da uomo a uomo.

Erica Chiosa

Nel documento Primo Piano. Primo Piano. L evoluzione (pagine 45-48)

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