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2.4.1.4 Lo sguardo etnografico: l’adolescenza da una prospettiva emica

Cercare di descrivere l’adolescenza da una prospettiva emica è un compito arduo e la descrizione che segue non intende essere esaustiva, ma cerca piuttosto di delineare alcuni elementi di rilievo che sono emersi nel corso dell'osservazione partecipante.

Molti adolescenti per come si vestono (ciuffo e capelli rasati da una parte, jeans stretti con il risvoltino, scarpe Jordan, etc.), per come parlano in modo ermetico con il loro slang o in maniera volgare, magari a voce alta (es. "ehi bro, bella lì! Frate oggi balziamo?"), per come si pongono con gli adulti (dal rispondere con le parolacce, al "girare per la strada" con le casse nello zaino e la musica a tutto volume, oppure muovendo le mani e dondolandosi con uno stile da rapper), ci infastidiscono oppure ci spaventano, "a pelle", ovvero emotivamente, specialmente se non li conosciamo e ci capita di imbatterci in qualche "comitiva" per strada. Perlomeno, così a me spesso è successo prima di iniziare l’etnografia. Li vediamo subito diversi, altri, come se appartenessero a qualche strana ed esotica tribù che non è sicuramente "La Nostra" e che non segue le medesime regole di convivenza civile, ciò che li rende imprevedibili. Tendiamo a vederli "brutti" nel loro modo di vestirsi e truccarsi e li giudichiamo spesso negativamente, comparandoli con la nostra generazione. Tendiamo altresì a evitarli per paura di ciò che potrebbero fare, non essendo né facilmente prevedibili, né controllabili. Loro, dall’altra, non sono troppo interessati agli adulti e, se non sono i nostri figli, nipoti o alunni, il

105 processo di reciproco evitamento va spesso a buon fine, complici anche dei ritmi e dei luoghi di vita differenti.

Vivere per un anno con loro, entrare nella loro "tribù"35, ha per me cambiato radicalmente

l’immagine che avevo di essi e il relativo sentire. Per prima cosa, direi che quegli adolescenti che colpiscono il nostro sguardo sono probabilmente solo una parte degli adolescenti, ovvero quelli più trasgressivi. Molti ragazzi, forse la maggioranza di quelli che ho incontrato sono, infatti, abbastanza "normali" nel comportamento (timidi, gentili, educati) 36 e non

particolarmente appariscenti nel loro abbigliamento, sebbene comunque sempre riconoscibili nell’appartenenza alla loro tribù rispetto a quella degli adulti.37 Dall’altra parte, dopo aver

passato un po’ di tempo nelle varie tribù ed essendomi acculturato ed abituato (i professori cominciano a non accorgersi più della mia presenza, ci salutiamo con i loro segni,38 utilizzo

ogni tanto un po’ di slang, i ragazzi mi invitano nei pomeriggi insieme a loro), nonché essendo stato accolto e sentendomi parte del gruppo, ho cominciato a non percepire più quel "noi" e "loro", sentendomi parte del noi.

Tutti quei loro gesti, quei loro modi di fare ed essere mi sono sembrati sempre più normali ed ho cominciato a non farvi troppo caso, scorgendo ciò che veniva nascosto da questa scorza: i ragazzi. Una percezione che ho avuto dal di dentro una volta "acclimatato", dopo lo "shock" iniziale, e che mi viene in mente per prima, per dare un affresco di questi giovani, è che li ho trovati "belli". Non brutti, tormentati, disagiati, ma belli, pieni di vita, spensierati, giocosi, leggeri. Questo è quello che inizialmente mi ha colpito, probabilmente nel paragone con la tribù degli adulti che ci osservava da dietro la cattedra (spesso disturbata) o nelle vie della città che invece, in contrapposizione, vedevo spesso più brutta, seria, grigia, triste e pesante: "un mondo morto" come mi racconta un ragazzo nel corso delle interviste.

Chiacchierando in classe fra un video e uno scherzo, su facebook a leggere qualche post demenziale, esultando durante la lezione per aver vinto a un match online di "clash royale", parlando di ragazzi/e o di moto e auto, "sparando cazzate" durante l’intervallo o giocando a "lupi e contadini", a pallavolo o a biliardo, ho visto dei ragazzi che vivono il presente e lo

35 Uso il termine come utile metafora, nonostante sia antiquato, per rimarcare la distanza fra le due culture,

rievocando quella fra l’occidente civilizzato ed i contesti "primitivi".

36 Intendo nei modi e non certamente nel linguaggio. Questo vale anche per il professionale, dove se si viene

rispettati, i ragazzi sono spesso egualmente gentili.

37 È da notare che, per quanto mi riguarda, rispetto al livello di alterità, sia dal punto di vista estetico che linguistico

e comportamentale, vi sia un gradiente decrescente andando dal professionale uomini al professionale donne e, infine, al liceo.

38 Vi sono varie forme di saluto rituale, alcune anche personalizzate fra due sole persone. La più diffusa è quella

di "dare un cinque" a mano aperta come fosse una sberla e poi battere il pugno, sia per salutarsi all'arrivo che in partenza.

106 spremono con tutta la loro forza, istante per istante. Tante risate e spesso un clima leggero di spensieratezza. A stare insieme a loro anch’io ho percepito queste emozioni, spesso mi sono divertito e molti momenti sono trascorsi veloci e spensierati.

È presente, inoltre, molta corporeità: le ragazze fra loro si coccolano, si fanno la treccia. I ragazzi si azzuffano (in maniera più scherzosa al liceo e più seria alla scuola professionale), ma anche ogni tanto si accasciano a scuola uno sulla spalla dell’altro, si toccano per gioco "facendo un po’ i gay". Le ragazze spesso si fanno "prendere sulle gambe" da qualche ragazzo, si sdraiano sui loro amici in maniera molto fluida e naturale. Sono dei corpi molto presenti: spuntano dai jeans strappati, si evincono dalle pieghe dei pantaloni attillati o dalle magliette scollate. Dall’altra parte, frammisto a questo scenario, altrimenti paradisiaco, posso dire che nel loro modo di essere fanno poco trasparire i lati con tonalità più scure, che invece emergono nelle relazioni più intime oppure nel corso delle interviste in profondità. Ciò che traspare maggiormente nel corso dell’osservazione partecipante e che potremmo identificare come "sofferenza" dal punto di vista dei ragazzi è, a tratti, la noia, il fatto di venire isolati, sottomessi o passare come "sfigati" rispetto ai pari all'interno di dinamiche competitive che si giocano in maniera differente a secondo del contesto (si veda il paragrafo VI.2.4.2 ), l'ansia e lo stress per la scuola al liceo e il non potersi "permettere" economicamente alcune cose, dalle scarpe al go- kart, per i ragazzi del professionale.

107 VI.2.4.2 Percezione del futuro