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Uno sguardo d'insieme Danimarca e Olanda

3. L'eutanasia in Danimarca,Olanda e Belgio

3.1 Uno sguardo d'insieme Danimarca e Olanda

Nei paesi del Nord Europa, dove maggiore è stato lo sviluppo delle forze produttive e più equa la distribuzione del reddito a livello sociale, si è sviluppato un intenso dibattito sull'accanimento terapeutico volto a limitare il sempre maggiore potere dei medici nell'erogare in ogni caso cure mediche ai pazienti. Essendo, infatti, la salute del cittadino affidata allo Stato ed alle strutture di assistenza pubblica, il malato si trova coinvolto in un circuito nel quale perde la sua autonomia, arrivando a non essere più in grado di scegliere in merito alle terapie da adottare a sostegno della propria vita.

La discussione sulla tematica dell'eutanasia coinvolse l'opinione pubblica e le Chiese, raggiungendo un primo traguardo attraverso il conferimento di efficacia giuridica al

Living Will , attraverso il quale venne posto un argine all'accanimento terapeutico su persone divenute incapaci di intendere e di volere; in questo modo si arrivò a legalizzare l'eutanasia passiva e quella indiretta, ma non quella su richiesta, e tantomeno l'aiuto al suicidio. Se i tempi non erano ancora maturi per affrontare in tutti i suoi aspetti il tema dell'interruzione volontaria della vita, la legge approvata in Danimarca il 1 ottobre 199284 sull'esercizio della professione medica diede una prima disciplina dei trattamenti sanitari la quale limitava i poteri del medico, vietandogli in modo assoluto di somministrare medicinali contro la volontà del paziente, anche quando questa fosse stata espressa in un testamento biologico.

L'art 6.4 di suddetta legge, stabiliva che: " Per trattamento che prolunga la vita si intende un trattamento che non offre alcuna prospettiva di guarigione, di miglioramento o sollievo, ma che è finalizzato solamente a prolungare la vita"85, per poi affermare al successivo articolo 6.5 che: " Nei casi in cui il paziente è morente o la sua morte è inevitabile, ma non c'è un suo testamento di vita (ai sensi dell'art. 6a della stessa legge) il medico può esimersi dal cominciare o proseguire delle cure che non possono che ritardare la data del decesso. Nelle stesse circostanze il medico può somministrare degli analgesici, dei calmanti o dei prodotti analoghi che sono necessari per sostenere il paziente anche se una tale azione può condurre ad avvicinare il momento del decesso"86. Tali norme sono la dimostrazione del fatto che ancora oggi, in Danimarca, il termine eutanasia si riferisce esclusivamente a quella passiva, a quella indiretta e concerne i malati terminali la cui morte è inevitabile. Per questi ultimi, in

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Art 6.3 - << A meno che non disponga di un'autorizzazione speciale un medico non deve iniziare a

applicare un trattamento sanitario contro la volontà del paziente. Questa disposizione si applica anche quando il paziente ha espresso in un testamento di vita il suo desiderio di essere dispensato da tutti i trattamenti di prolungamento della vita nell'ipotesi di essere morente o quando la sua morte è inevitabile.>> Cfr. Eutanasia e diritto. Confronto tra discipline, cit., pag. 138

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Ibidem. 86

particolare, le disposizioni del testamento di fine vita hanno effetto obbligante nei confronti del personale curante, il quale era costantemente indirizzato, in tutte le mansioni che lo riguardavano, dal Ministero della Sanità.

Si è avuto un atteggiamento diverso nei confronti dell'eutanasia passiva ed indiretta, grazie agli articoli 239 e 240 del codice penale danese, i quali condannano rispettivamente l'omicidio commesso su richiesta della vittima e l'aiuto al suicidio, ma allo stesso tempo, gli articoli 84 e 85 del medesimo codice, prevedono un' attenuazione della pena nel caso in cui l'atto venga commesso in particolari circostanze, date ad esempio da una forte emozione o da condizioni particolari che giustificano lo stato di colpevolezza.

Il diritto penale dei Paesi Bassi presentava negli anni '80 un quadro normativo sull'omicidio del consenziente e l'aiuto al suicidio, non molto diverso da quello danese. Nel 1969 vennero pubblicati studi sugli ultimi sviluppi della medicina in Olanda, accompagnati da foto sconvolgenti riguardanti mutilazioni operate su alcuni pazienti, al solo scopo di prolungarne la vita, spesso vegetativa. La reazione a questa pratica fu subito molto accesa, tanto che la stessa Chiesa olandese ritenne opportuno intervenire per prendere una posizione su questa complessa tematica. All'interno del dibattito intervennero numerose associazioni, si aprì un confronto triangolare tra Governo, ordine dei medici e magistratura finalizzato a definire una procedura per la segnalazione dei casi di eutanasia: i medici si impegnarono a mettere in luce i casi di eutanasia di fatto praticata, mentre il governo si impegnava ad adoperarsi, presso la magistratura, per limitare l'esercizio dell'azione penale. I giudici accettarono tale compromesso per poter contribuire all'elaborazione di criteri per la regolamentazione di un fenomeno che sfuggiva alla funzione di regolamentazione del diritto.

Molto importante fu l'intervento all'interno del dibattito, dei medici di base, direttamente coinvolti nelle scelte relative alle cure da praticare ai pazienti; proprio per questo motivo, infatti, l'inizio del dibattito sull'eutanasia in Olanda si fa

estremamente mite (una settimana di detenzione) una dottoressa che si era rifiutata di praticare cure da essa ritenute inutili, alla propria madre van Haringa, malata terminale. Si trattò, quindi, fin dall'inizio, di un confronto e di un dibattito istituzionalizzato, caratteristica peculiare di un sistema consociativo quale quello olandese il quale, prima di arrivare a scelte definitive su temi e materie di rilievo, ritiene necessario un approfondito dibattito tra i diversi interessi coinvolti ed i soggetti che ne sono portatori, con l'unico fine di poter adottare scelte che siano ampiamente condivise all'interno del paese.

Mentre all'interno della società olandese si svolgeva tale dibattito, un ruolo importante per cercare soluzioni al problema, venne rivestito dalla giurisprudenza, la quale venne chiamata a dare soluzioni concrete ai casi che venivano sempre più spesso sottoposti al suo giudizio. Fu proprio la giurisprudenza ad elaborare alcuni criteri in grado di guidare le decisioni delle Corti ed i comportamenti di medici e pazienti; innanzitutto l'eutanasia poteva essere praticata senza subire alcuna sanzione penale, solo in presenza di alcune condizioni: prima fra tutte, il paziente doveva essere malato terminale, altrimenti non poteva esserci alcuna prospettiva in tal senso; inoltre, si richiedeva la presenza di un dolore intollerabile fisico oppure mentale, per il quale il paziente avesse fatto richiesta di eutanasia, allo scopo di esserne liberato. Da ultimo, come era ovvio, la persona che poneva in essere le procedure eutanasiche doveva essere un medico, e la morte del paziente avrebbe dovuto essere imminente.

Il dibattito si sviluppò anche a livello sociale, infatti si arrivò a parlare di eutanasia distinguendo tra "de dood" e " het levenseinde"87, ovvero tra la morte da un lato e la fine della vita dall'altro, sottolineando in tal modo che la vita può giungere alla fine quando la sua qualità è tale da non voler continuare a viverla. Fu proprio a causa di questa constatazione che numerosi malati terminali iniziarono a chiedere che venisse loro

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praticata una particolare procedura "medische beslissingen rond levenseinde" (MBL)88, la quale prevedeva la piena e completa informazione del malato sulle cause della malattia e sulla natura e gli effetti delle cure che ad essi venivano somministrate.

Nel 1993 venne adottata una legge che prese il nome di " Wet op de lijkbezorging" , la quale entrò in vigore il 1 giugno 1994, consistente in una modifica delle procedure relative al rilascio del certificato di morte, la quale doveva consentire, a determinate condizioni, la non punibilità del medico che aiutava il paziente a morire. Perché ciò potesse avvenire, occorreva che il malato fosse in una grave situazione di sofferenza, senza alcun tipo di soluzione praticabile, e senza doversi per forza trovare nella fase terminale della malattia; la decisione del paziente doveva essere libera e pienamente cosciente, oltre che reiterata nel tempo. Tuttavia, l'intervento eutanasico non poteva avvenire senza la consultazione di un altro medico che confermasse il fondamento della richiesta del paziente, senza la previa informazione della famiglia e del personale medico.

La depenalizzazione delle pratiche eutanasiche favorì una loro larga diffusione, poiché sempre di più furono i soggetti che ne fecero richiesta, la quale venne resa ancora più semplice, poiché basata sulla semplice compilazione di un questionario (espressamente previsto in tutti i suoi punti dalla menzionata legge del 1993) come unica modalità di accesso. Si fece presto sentire la necessità di porre dei limiti a tale fenomeno, il quale rischiava di oltrepassare i confini della legalità che si era riuscita a raggiungere negli anni precedenti; fu così che il 1 aprile 1995 entrò in vigore una legge generale sui trattamenti medici, all'interno della quale venne affrontato il problema del consenso alle cure della persona incapace di intendere e volere. La legge regolò i rapporti tra medici e pazienti, obbligando i primi ad elargire informazioni su qualsiasi trattamento praticato al paziente, con il conseguente divieto di praticare qualsiasi tipo di atto senza il previo

88 Ibidem

consenso di quest'ultimo. Venne così risolto il problema del l'accanimento terapeutico, creando le condizioni per un'azione informata, costituente la precondizione per l'accesso all'eutanasia.

Per razionalizzare le norme introdotte grazie agli interventi della giurisprudenza, si sentì forte il bisogno di una nuova legge in materia, tant'è che i partiti della coalizione che vinsero le elezioni la inclusero già nel 1997 nel programma del futuro governo; tale proposta, venne presentata alla Camera dei deputati il 16 aprile 1998 e discussa nella Commissione Giustizia della Seconda Camera, presieduta da Hirsch Ballin. Essa tendeva al perfezionamento della pratica dell'eutanasia, attraverso una modifica del Codice Penale, arrivando ad escludere l'esercizio dell'azione penale da parte del Pubblico Ministero nei casi in cui la pratica fosse stata eseguita in tutte le fasi previste dalla legge. Tale proposta non venne accolta dal governo, il quale rilevò che tale legge avrebbe rappresentato un tentativo di allargamento del controllo sull'applicazione dell'eutanasia, attraverso una procedura favorevole per la professione medica; il controllo del P.M. sarebbe dovuto avvenire a distanza, mentre tale proposta estendeva questa linea, senza toccare le competenze giuridiche del Pubblico Ministero.

Fu la legge del 200189 a concludere il percorso iniziato nel 1993, ponendo fine alla sperimentazione nel campo dell'eutanasia, e dando risposte ai problemi messi in luce dalla giurisprudenza negli ultimi anni. Tale legge non considerava l'eutanasia come reato, poiché conteneva una riformulazione degli articoli 293 e 294 del codice penale; essa modificò, inoltre, la legge del 1994, abbassando i limiti di età per poter fare richiesta di eutanasia. Ma la novità più importante introdotta da tale provvedimento, fu la costituzione di cinque Commissioni regionali, le quali, attraverso l'esame della

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Wet toetsing levensbeeindiging op verzoek en hulp bij zelfdoding, 12 april 2001 (" Legge contenente le norme di valutazione per porre fine alla vita su richiesta e per l'aiuto al suicidio"). Si specifica che la legge contiene modificazioni del codice penale e della legge mortuaria. Staatsblad, 2001, 194, pp. 1-4. Pag 150 Eutanasia e diritto.

documentazione loro fornita dai medici, dovevano permettere un miglior funzionamento della legge stessa, ma sopratutto, assicurare il rispetto di brevi termini per la pronuncia su casi dubbi. Tale legge traspose all'interno del codice penale la procedimentalizzazione seguita dalla giurisprudenza negli anni precedenti, costituita dal combinato disposto degli artt. 393, 294 e 40 del codice penale.

In Olanda sono ancora oggi in vigore gli articoli 293 e 294, ma ciò che si può constatare, è che alla base dell'intervento del legislatore vi fu la considerazione che si era di fronte ad un fenomeno caratterizzato dall'incontrollabile potere dei medici sulla vita dei pazienti, i quali praticavano l'eutanasia senza segnalarlo alle competenti autorità, per non incorrere nelle pene previste dalla legge, e conseguentemente per non dover giustificare il loro intervento; tale situazione lasciava un'ampia zona d'ombra, che il legislatore preferì riempire facendo emergere il fenomeno. La novità apportata dalla legge del 2001, fu la depenalizzazione dell'eutanasia praticata secondo le condizioni previste dalla legge stessa; l'estensione della nozione di "stato di forza maggiore" contenuto nell'art 40 c.p venne usata per dare una definizione piena e compiuta del concetto di eutanasia (artt. 1 e 2 della legge medesima) e diede vita alla previsione di un comportamento che non dava in nessun modo luogo all'esistenza di un reato, tant'è che l'intervento del Procuratore della Regina venne ristretto ai casi manifesti di violazione delle procedure previste dalla legge.

Si arrivò, così, a considerare la disponibilità della vita come diritto soggettivo, ma rimase la contraddizione sul piano concettuale, per il fatto che vennero mantenuti in vigore i reati di omicidio del consenziente ed aiuto al suicidio.