Capitolo 3 – Trasformazione del fenomeno: vittime di tratta sessuale richiedent
3.2 Il sistema d’asilo che accoglie richiedenti protezione internazionale vittime di tratta
3.2.1 Il sistema di accoglienza richiedenti asilo in Italia e la centralità dei Centri d
Dal punto di vista strutturale il sistema è stato consolidato con il D.lgs. 142/2015 che ha articolato tre distinte fasi, una di primo soccorso ed assistenza, che ad oggi prevede il passaggio nei già citati hotspot e in Centri di Prima Accoglienza e Soccorso (CPSA) dove i migranti vengono identificati e viene effettuato un primo screening sanitario e possono manifestare la volontà di richiedere protezione internazionale, da qui vengono inviati in vari
hub regionali o in altri centri già presenti sul territorio come i Centri Di Accoglienza (CDA)375 o Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA)376, questi centri sarebbero dovuti essere sostituiti interamente dagli hub, strutture con una capienza di 100-250 posti letto, che avrebbero dovuto essere istituiti in tutte le regioni, passaggio ancora non completato. A queste strutture, in caso di particolare emergenza possono affiancarsi i Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS)377, gestiti delle Prefetture in accordo con gli enti locali e affidano la gestione delle strutture a enti del terzo settore. Una volta terminato l’espletamento della procedure di identificazione e la formalizzazione della domanda di protezione internazionale, coloro che risultino privi di mezzi di sostentamento sono indirizzati verso la seconda fase dell’accoglienza costituita dalla rete SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati), mirata all’inserimento socio-economico e alla creazione di un percorso di autonomia378.
374 Bove C., Accoglienza ed esclusione: il sistema di accoglienza italiano, in in Il diritto d’asilo tra accoglienza
ed esclusione, Edizioni dell’asino, 2015, p. 182
375 Istituiti con la Legge 536/1995
376 Si tratta di centri istituiti con DPR 303/2004, poi confluiti nel d.lgs. 25/2008, ex art. 20, comma 2 (abrogato dall’attuale d.lgs. 142/2015) per consentire l’identificazione del soggetto e fornire accoglienza durante la procedura per il riconoscimento dello status
377 D.Lgs. 142/2015 art. 11
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Tenuto conto della divisione formale in fasi dell’accoglienza è possibile affermare che questa non venga attuata come previsto dalla normativa, in particolare si deve segnalare il collo di bottiglia che si è venuto a creare tra la prima e la seconda accoglienza, nonostante gli sforzi per implementare la capienza dello SPRAR che dalla sua nascita che nel 2003379 vedeva inseriti 1'365 beneficiari mentre nel 2016 si è arrivati a 35’352380 , il 2017 ha invece visto un calo delle presenze, che arriva a 31’270381, ad ogni modo questi numeri seppur segno di un miglioramento non sono decisamente sufficienti per poter accogliere tutti gli aventi diritto ad entrare nel sistema. In questo ambito sono i CAS a sopperire alla maggior parte dei posti disponibili, nel 2016 su 188'084 persone accolte nel sistema di accoglienza il 73% era ospitato in questi centri, mentre il 7,8% era ospitato negli altri centri (CDA, CPSA, CARA), il sistema SPRAR accoglieva solo il 18,7% del totale382, da qui è possibile vedere come la divisione teorica di prima e seconda accoglienza è difficilmente raggiungibile in mancanza di un numero adeguato di Comuni che decidono di entrare nella rete dello SPRAR. Questo “ingorgo” è dovuto vari fattori, da un lato la lunga durata del procedimento della protezione internazionale rende particolarmente lento il ricambio di beneficiari, tempistiche che in caso di ricorsi si allungano ulteriormente, dall’altro vi è il fatto che lo SPRAR è un sistema al quale i comuni aderiscono su base volontaria, pertanto data anche l’attenzione e la strumentalizzazione politica che si fa di questo fenomeno, la volontà da parte dei Comuni di fare una scelta che può risultare impopolare può essere frenata.
In questo contesto il ruolo ricoperto dai CAS diventa di primo piano perché è dove l’accoglienza della gande maggioranza dei richiedenti protezione internazionale inizia e si sviluppa. Il fatto che debbano costituire la prima fase dell’accoglienza fa sì che il livello dei servizi garantito in queste strutture sia meramente essenziale, anche perché la loro natura “emergenziale” dovrebbe significare una breve permanenza e pertanto non viene richiesto all’ente attuatore del progetto alcuna forma di integrazione (vengono garantiti solo i servizi base come vitto, alloggio, assistenza legale e sanitaria, ultimamente viene richiesto anche di provvedere a delle lezioni di italiano).
379 Istituito dalla Legge 189/2002 la cosiddetta Legge Bossi-Fini
380 AA. VV., Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2017, Gemmagraf, Roma, 2017, p. 23
381 Dati reperiti sul sito del Servizio Centrale all’indirizzo web: http://www.sprar.it/wp- content/uploads/2017/12/SPRAR-Numeri-SITO-2017-1130.pdf
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L’esistenza di queste strutture può essere considerata un’eredità dell’Emergenza Nord Africa del 2011, perché ne ricalca il meccanismo di salvataggio considerando il fatto che oltre ad essere adibite a centro di prima accoglienza in caso di arrivi massicci e concentrati (anche se oramai hanno perso da tempo il carattere emergenziale che gli viene attribuito considerando il fatto che gli arrivi non si sono mai arrestati), queste possono essere adibite per sopperire ai posti mancanti nella seconda accoglienza383. Questa pratica è entrata in vigore in particolare a seguito di Circolari ministeriali del 2014 che chiedevano alle Prefetture di tutta Italia di trovare nuove strutture adatte ad ospitare i richiedenti asilo nel più rapido tempo possibile, sono state emesse diverse circolari nel corso dell’anno e in tutte veniva richiesto di trovare un numero sempre maggiore di posti (arrivando a chiedere nel settembre 2014 l’individuazione di 18'000 posti), col tempo il Ministero dell’Interno aggiungeva che si sarebbero dovuti adottare degli standard d’intervento il più possibile simile allo SPRAR e di dotarsi di strumenti di monitoraggio384.
Ma una delle problematiche proprie dei CAS è la loro natura fumosa e non chiara, non esiste un elenco pubblico di tali strutture, della loro collocazione e degli enti che le gestiscono, manca chiarezza anche per quanto riguarda gli affidamenti, i finanziamenti e il rispetto degli standard del servizio erogato in base alle convenzioni e gli appalti385.
Il modo emergenziale con il quale è stato gestito questo strumento fin da subito, che ha privilegiato la rapidità della disponibilità a ospitare queste persone, ha lasciato terreno fertile all’abuso e alle infiltrazioni criminali che sfruttando il mancato controllo e l’onere di rendicontazione meno stringente ha portato in certi casi all’occultamento delle risorse386, facendo sviluppare un malsano “business dell’immigrazione” che oltre a potare profitti a chi sfrutta queste falle strutturali ne sistema di accoglienza, porta anche cattiva luce sul tema dell’accoglienza in generale, ricadendo anche su quegli enti che mettono in atto un’accoglienza degna.
Inoltre, il tipo di strutture individuate spesso non sono adeguate per questo tipo di accoglienza, ricalcando quanto avvenuto durante l’Emergenza Nord Africa, le persone sono
383 Bove C., Accoglienza ed esclusione: il sistema di accoglienza italiano, Edizioni dell’asino, 2015, pp. 178-179 384 Cittadinanzattiva, LasciateCIEntrare, Libera, InCAStrati iniziative civiche sulla gestione dei centri di
accoglienza straordinaria per richiedenti asilo, Febbraio 2016, pp. 11-12
385 Ivi, p. 7
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state collocate in strutture alberghiere o ex caserme, senza la preoccupazione di assicurare l’erogazione dei servizi necessari all’accoglienza adeguata dei beneficiari387.
In certi casi sono state rilevate condizioni limite come la mancanza di acqua corrente, sopperita utilizzando l’acqua del pozzo, altre problematiche ancora sono legate alla mancata tutela di persone vulnerabili all’interno di questi centri, ad esempio la presenza di donne minori assieme a uomini, oppure la mancata assistenza psicologica per chi mostra disturbi di questo genere, fattore che può portare anche al suicidio da parte degli “ospiti” di questi centri388. Queste persone vengono anche sfruttate lavorativamente, molti dei centri collocati in zone del Sud Italia (ma non solo), caratterizzate dalla piaga del caporalato, vengono utilizzati come serbatoio di manodopera a bassissimo prezzo. Un ulteriore elemento che porta al malfunzionamento dell’accoglienza è dettato dalla collocazione spaziale molto distante dai centri abitati che porta ad un isolamento ancora maggiore che si va ad aggiungere alla totale assenza di attività proposte e alle scarse competenze degli operatori che vi lavorano, o allo scarso numero di questi. Infatti se da un lato la carenza di formazione porta ad un’inevitabile creazione di un servizio non adeguato, dall’altra si aggiunge il fatto che molti di questi centri sono gestiti da un solo o da un numero troppo esiguo di operatori che si trovano a dover gestire una vastità di compiti che li impiega per tutta la giornata a fronte di contratti part-time o che si trovano a non essere pagati e pertanto lasciano il lavoro, questo continuo turnover di personale è un altro elemento che porta e ad una situazione che per forza di cose non potrà rispettare l’indicazione del Ministero dell’Interno di cercare di equiparare i servizi dei CAS a quelli offerti dal sistema SPRAR389. In questo contesto così degradante e privo di stimoli si aggiunge un’attesa interminabile, le persone vengono spesso “parcheggiate” in questi centri in attesa di essere convocati in Commissione Territoriale che però in certe zone può arrivare dopo 2 anni come per le zone dell’agrigentino e del napoletano390.
Per quanto venga riportata dell’esistenza di CAS virtuosi, che attuano le indicazioni del Ministero e pertanto decidono di attuare l’accoglienza “in buona fede”, secondo criteri che
387 Bove C., Accoglienza ed esclusione: il sistema di accoglienza italiano, Edizioni dell’asino, 2015, p. 181 388 Cittadinanzattiva, LasciateCIEntrare, Libera, InCAStratiiniziative civiche sulla gestione dei centri di
accoglienza straordinaria per richiedenti asilo, Febbraio 2016, p. 27
389 Bove C., Accoglienza ed esclusione: il sistema di accoglienza italiano, Edizioni dell’asino, 2015, p. 180 390 Cittadinanzattiva, LasciateCIEntrare, Libera, InCAStratiiniziative civiche sulla gestione dei centri di
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mirino effettivamente ad un percorso di assistenza individuale mirato e completo, che non si fermi solo all’erogazione di servizi essenziali, la possibilità per i richiedenti asilo di entrarvi è affidata esclusivamente al caso391.
Questo sistema caratterizzato da un’endemica mancanza di posti e da un’accoglienza che non sempre garantisce un livello dignitoso di assistenza crea anche un altro fenomeno, ovvero quello delle persone che vivono in insediamenti informali a causa dell’uscita dal sistema di accoglienza o prima del dovuto (attraverso l’utilizzo indiscriminato della revoca delle misure di accoglienza, utilizzata in particolare come sanzione rispetto all’infrazione dei regolamenti o all’allontanamento dei centri, mentre nella Direttiva europea 2013/33/UE la revoca delle misure dell’accoglienza era contemplata ma come extrema ratio392), o a percorso del riconoscimento della protezione internazionale concluso, senza che questo abbia dato però esito ad una forma di integrazione o autonomia. Secondo il rapporto “Fuoricampo” nel 2017 sono 10'000 le persone che sono escluse dal sistema di accoglienza e che vivono in situazione di marginalità sociale all’interno di insediamenti informali, che possono essere al chiuso come all’aperto, in particolare nelle zone di confine (come Ventimiglia e Como) e in base alla stagione agricola nelle zone “ghetto” del Sud Italia (ad esempio Foggia e Rosarno) con scarso accesso ai beni di prima necessità come servizi igienici e assistenza sanitaria393.