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Potest (Salmeri2016) rappresenta il tentativo di trarre le giuste lezioni dai tentativi passati e di giungere ad una soluzione che sia in grado di rispondere, meglio di qualsiasi altro sistema attualmente esistente, alle esigenze della scrittura di testi strutturati (articoli, tesi, libri) in materie umanistiche. Il punto di partenza è costituito dall’uso di Pandoc come motore di conversione e di Markdown come linguaggio leggero di marcatura. I motivi sopra esposti mantengono infatti la loro validità.

Riguardo ai problemi legati a LaTeX, si è concluso che essi potevano essere superati in un solo modo: abbandonando LaTeX come motore di composizione per la stampa su carta. La scelta è caduta dunque su una via completamente diversa: HTML+CSS come formato principale di uscita. Fino a poco tempo fa questa scelta per la stampa su carta sa- rebbe stata impossibile o temeraria. Da quando però con la versione 3 del linguaggio CSS e soprattutto con lo sviluppo del motore di composizione Prince (già PrinceXML) si ha la possibilità di una conversione di eccellente livello di un sorgente HTML in un file PDF im- paginato, la scelta appare naturale o almeno possibile. Il fatto che Prince incorpori al suo interno alcuni algoritmi fondamentali di LaTeX fa sì che il risultato possa essere nei casi comuni praticamente indistinguibile dal punto di vista della qualità tipografica. Scegliere CSS come linguaggio di descrizione della pagina significa inoltre avere la strada spianata verso una facile definizione di nuovi formati. Il fatto che il file HTML+CSS sia generato da Pandoc permette inoltre una flessibilità senza limiti: Pandoc permette infatti la scrittura diback end in Lua, nei quali può essere incorporata qualsiasi logica (è per esempio banale riordinare in qualsiasi modo i metadati di un testo, o far in modo che a partire da essi ne vengano calcolati altri). I file di supporto di Prince sono stati inoltre modificati in maniera da permettere, contemporaneamente a qualsiasi altra lingua, la corretta spezzatura in fin di riga del greco classico e, insieme con l’italiano, anche del latino: una facilitazione che per quanto ci risulta non è finora prevista in nessun altro sistema e che guarda direttamen- te ad alcuni frequenti usi umanistici. Per creare invece un ambiente di lavoro è necessario considerare un editor come parte integrante del sistema di scrittura. Dopo averne preso in esame molti, si è trovata la soluzione ideale in Textadept, un editor «minimalista» basato su Scintilla, disponibile per tutti i maggiori sistemi operativi. Il minimalismo di Textadept ha risolto fin dall’inizio due problemi degli attuali programmi di videoscrittura: la lentezza

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e lo sviluppo di interfacce sempre più complesse e sovraccariche (che sottraggono spazio spesso prezioso nello schermo): Potest si presenta così con un editor dall’interfaccia sem- plicissima ed estremamente veloce. Ma soprattutto il fatto che Textadept sia scritto quasi interamente in Lua significa che in esso non c’è limite alla personalizzazione: intere parti possono essere in maniera relativamente facile modificate, tolte, aggiunte o sostituite. È così che un editor destinato principalmente alla scrittura di codice si è potuto trasformare in un editor ottimizzato per la scrittura di testi in linguaggio naturale e avente sott’occhio le esigenze di usabilità.

Alcune funzioni sono state aggiunte per facilitare l’inserimento di caratteri utili per l’u- so umanistico: per esempio un sistema estremamente efficiente per scrivere in greco, cirilli- co o IPA, oppure combinazioni di tasti che inseriscono lo «spazio non separabile» e il «trat- tino opzionale», oppure una raffinata funzione che inserisce le virgolette tipograficamente corrette secondo il livello e la lingua prescelta (distinguendo tra tredici diverse consuetudini nazionali). Altre funzioni ancora sono destinate esplicitamente alla manipolazione di testi Markdown: per esempio il comando per inserire i metadati, o per trasformare le note da «interne» ad «esterne» e viceversa (una funzione questa che rende la scrittura ed elaborazio- ne delle note più semplice e flessibile che in un programma di videoscrittura), oppure infine per trasformare una tabella nella matrice trasposta (permettendo quindi di operare in ma- niera immediata sulle colonne, un’operazione notoriamente impossibile o laboriosissima negli attuali editor di testo).

Una categoria a parte è costituita infine dai comandi di importazione e soprattutto esportazione: il primo permette di trasformare in formato Markdown un testo LaTeX o Word; il secondo di trasformarlo in uno dei formati previsti: PDF per la stampa (via Prince), oppure HTML per la pubblicazione in rete, docx per i casi in cui esso è richiesto, oppure in futuro altri ancora (DocBook, TEI ecc.). In questo modo l’utente si troverà sempre al- l’interno del medesimo ambiente di lavoro, senza dover sapere nulla del fatto che dietro le quinte il sistema Potest è costituito dalla collaborazione di tre programmi principali (una versione molto modificata di Textadept, Pandoc, Prince) e altri secondari.

4 Conclusioni

È in grado dunque il sistema Potest di rispondere alle necessità per le quali è stato pensato? La risposta sembra positiva. Finora sono stati elaborati principalmente due formati per la composizione di tesi di laurea del corso di laurea in Filosofia di Tor Vergata, e gli esperimen- ti condotti hanno mostrato che fin da oggi Potest, rispetto ai sistemi di scrittura esistenti, almeno offre risultati di qualità tipograficamente migliore e in tempi molto più rapidi. Nel tempo più rapido consideriamo anche il periodo di apprendimento: con l’editor di Potest si può cominciare a scrivere immediatamente (tutti i principali comandi di modifica sono stati intenzionalmente resi identici a quelli dei programmi di videoscrittura) e apprendere la marcatura Markdown non richiede più di qualche minuto. La guida completa di Potest occupa solo una quarantina di pagine, che includono però molti consigli di scrittura gene- rici. Alla fine una «Guida telegrafica per l’impaziente», sufficiente per scrivere la maggior parte dei testi, è costituita da appena una pagina. Notiamo infine che il sistema Potest è multipiattaforma: i programmi su cui si basa sono disponibili per Linux, OSX e Windows e tutto il codice aggiunto tiene conto delle rispettive differenze. Coloro che finora hanno

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provato Potest, provenendo tutti da una lunga abitudine con i programmi di videoscrittura, lo hanno definito più facile da usare, più veloce, più adatto. Diversi hanno notato che la composizione di testi diventa più «piacevole» e che in essa si è meno distratti.

Oltre a soddisfare meglio le esigenze del singolo utente, Potest sembra rispondere me- glio anche a quelle della comunità scientifica. I testi composti in questo modo possono in- fatti non solo essere immediatamente trasformati in qualsiasi formato strutturato di uscita (dunque per basi di dati, depositi istituzionali e così via), ma sono anche pronti per accet- tare metadati arbitrari, necessari per un’archiviazione e condivisione efficiente. Il dialetto Pandoc di Markdown permette infatti di includere dati in formato YAML, e in Potest essi sono automaticamente inseribili nel documento e anzi necessari per il suo completamento: qualsiasi utente non avrà dunque nessuna difficoltà ad inserire quelli necessari, perché fin dall’inizio è abituato ad usarli per le informazioni essenziali (autore, titolo, ecc.) del docu- mento che sta scrivendo. Un problema cruciale che non è stato ancora affrontato è quello della gestione automatica dei riferimenti bibliografici. Essa è già fornita di per sé da Pan- doc, ma si è scelto di non inserirla in Potest finché non si sarà valutato quale sia la forma di uso più facile e con un risultato più adatto all’uso umanistico, anche a costo di doverla riprogrammare daccapo: non sembra infatti opportuno prevedere un sistema di riferimenti bibliografici che sia, anche solo per il primo uso, più laborioso di un inserimento manuale. Un grande interesse nelle Digital Humanities è dedicato giustamente all’edizionedigita- le di testi, alla loro analisi, alle infrastrutture che ne favoriscano l’accessibilità e lo studio. È però paradossale che il mondo umanistico nella sua vita quotidiana, di cui una parte impor- tante è costituita dalla semplicissima produzione digitale di testi, sia costretto ad affidarsi a strumenti che hanno poco a che fare sia con le sue specifiche esigenze, sia con quelle più vaste della condivisione della cultura, e che generano testi che riproducono, benché su scala diversa, le stesse difficoltà delle opere prodotte prima dell’avvento dell’informatica. Mentre ovviamente pochi di coloro che operano nel campo umanistico sono direttamente interessa- ti alle Digital Humanities, praticamente tuttiscrivono: e per questo immenso campo molte cose ancora non sono abbastanza pensate. Potest vuole costituire un piccolo passo avanti in questa direzione.

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Interrogare la varia lectio. La