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IL SISTEMA DELLE PRESTAZIONI TOTALI Il “Saggio sul dono” di Marcel Mauss

Parlare di dono significa non poter prescindere dall’opera Saggio sul dono del sociologo francese Marcel Mauss. Parlare di dono, ripartendo costantemente proprio dal saggio maussiano, significa calarsi nello spirito di una domanda sconcertante, ovvero cosa porti gli esseri umani a stabilire tra di essi delle relazioni di scambio non equivalente.

Lo scambio, nel sistema del dono, è chiaramente non equivalente, cosa che lo distingue, in maniera non discutibile, dal sistema di mercato: cosa significa, infatti, che lo scambio è non equivalente? Si parta da un esempio banale desunto dalla quotidianità di ciascuno: ogni giorno ci si deve confrontare con transazioni economiche a scambio equivalente, dove l’equivalenza, non più stabilita da merci, è stabilita per mezzo dal denaro come misura di valore. Il rapporto di equivalenza è unilaterale: nello scambio commerciale è il commerciante che stabilisce un costo-valore per la merce che decide di immettere nel sistema di scambio, basandosi su un criterio di massimizzazione del profitto e sulla regolamentazione che parte dall’analisi di curve di domanda e curve di offerta; l’eventuale compratore può, per mantenerci in una modellizzazione eccessivamente semplificata della transazione commerciale, scegliere se acquistare o meno, in base ad

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un suo sistema di valorizzazione della merce. Nel momento in cui decida di acquistare la merce, stabilirà che l’equivalenza di scambio è equa; altrimenti, avrà stabilito che l’equivalenza è iniqua. A questo punto, nell’istante, avverrà la transazione commerciale in cui, alla corresponsione dell’equivalenza stabilita dal commerciante, il compratore otterrà merce e proprietà della stessa.

Al contrario, il dono è uno scambio non equivalente in quanto non è presente questa forma di immediatezza (non-mediatezza, ovvero assenza di termini di mediazione) della transazione: il rapporto non è legato

necessariamente ad un valore di equivalenza stabilito da uno dei due attori

ed eventualmente accettato dal secondo; diversamente, il sistema di dono

nasce da uno scambio libero32, in cui è il secondo attore che stabilisce

un’equivalenza la quale però non è mai assolutamente simmetrica e, spesso, è asimmetrica per eccesso. Dire dunque che il dono stabilisce una equivalenza asimmetrica (per eccesso o, raramente, per difetto) è come dire che il dono instaura un sistema di scambio non equivalente.

Rifarsi all’opera di Mauss implica innanzi tutto comprendere cosa significhi, per lo studioso francese, il concetto di prestazione sociale totale, termini in cui egli definisce la pratica di dono. Scrive Mauss: “[…] tutto, clan, matrimoni, iniziazioni, sedute di sciamanismo e del culto dei grandi

32 Si vedrà a breve come il valore di libertà nella pratica di dono debba essere considerato in modo

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dei, dei totem o degli antenati collettivi o individuali del clan, tutto si mescola in un groviglio inestricabile di riti, di prestazioni giuridiche ed economiche, di determinazioni di ranghi politici nella società degli uomini, nella tribù, nelle confederazioni di tribù ed anche sul piano

internazionale”33. Parlare dunque di una prestazione sociale totale significa

parlare di una pratica che assorbe l’individuo in una dinamica sociale all’interno della quale si mescolino in modo non più chiaramente distinguibile la sfera economica, quella politica, quella religiosa, quella giuridica, quella morale. Parlare di prestazione totale significa immaginare olisticamente la realtà in cui il prodotto di un’analisi volta alla comprensione risulta insufficiente se non si opera successivamente una sintesi che dia ragione dell’insieme e non della somma delle “variabili” sociali ottenute smembrando il fatto. Non è questa unicamente una problematica di tipo cognitivo o, ancor meglio, figurativo: l’operazione di sintesi, uno sguardo onnicomprensivo sono necessari in quanto, laddove si percepisca l’esistenza di un fatto sociale totale, si noterà il collasso dei sistemi causali non reversibili; ogni aspetto della pratica implica ed è implicato da tutti gli altri, i confini si affievoliscono fino a dissolversi rendendo le capacità di astrazione, separazione, e definizione così care al pensiero occidentale, impotenti ad abbracciare un fenomeno che non può che sfuggire costantemente ad un occhio impreparato. Ogni sfera si

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concatena all’altra senza soluzione di continuità, senza una qualche teleologia razionalista, senza che si possa tentare un approccio che faccia della divisione tra livello strutturale e livelli sovrastrutturali il principio irrinunciabile di una teoria esplicativa della realtà sociologica. Scrive Mauss: “Solo considerando il tutto nel suo insieme, ci è stato possibile cogliere l’essenziale, il movimento del tutto, l’aspetto vivente, l’istante fugace in cui la società, gli uomini acquistano coscienza di se stessi e della

loro situazione rispetto agli altri”.34

Le pratiche di dono principali cui Mauss fa riferimento sono il kula, pratica di dono studiata dall’antropologo inglese Bronsilaw Malinowski nell’arcipelago delle isole Trobriand, ed il potlach, altra pratica studiata dall’antropologo americano Franz Boas presso gli indiani Kwakiutl del continente nordamericano. Pur con le dovute differenze tra il kula, che risulta essere una pratica in cui dei gioielli di particolare importanza vengono scambiati all’interno di un sistema che mette in collegamento le varie isole dell’arcipelago, ed il potlach, pratica agonistica ed ostentativa in cui vengono distrutti i beni di maggior prestigio, leggendo il saggio maussiano si possono evincere, nella sua trattazione ricca di dati etnografici, gli elementi comuni alle varie pratiche di dono, tutte di tipo

agonistico, elementi che consentono di formulare una teoria generale sui

meccanismi del dono. Si possono schematicamente riportare come segue:

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 Il dono-scambio non è vincolato ad una razionalità economicista in

cui la possibilità di scambio risulti legata ad un principio di equivalenza;

 Come già detto sopra, queste pratiche possono essere considerate

prestazioni sociali totali:

In quanto prestazioni sociali totali, e dunque fortemente intrise di

uno spirito cerimoniale, esse avvengono in una dimensione pubblica e sono demarcate, appunto, da pratiche rituali e cerimoniali;

 La pratica di dono avviene secondo un modello tripartito che prevede

tre momenti distinti: il dare, il ricevere ed il ricambiare.

Detto ciò, per ritornare alla domanda “perche si dona?”, Mauss interpreta la complessità di tali prestazioni come un sistema volto alla produzione di relazioni sociali. La creazione di queste relazioni sociali è garantita, secondo Mauss dalla commistione di due aspetti che influenzano tutto il senso della pratica: un certo grado di libertà iniziale che, pur rimanendo apparentemente inalterato nel corso di tutta la pratica di dono, viene a legarsi ad un alto grado di obbligatorietà. Tale commistione di libertà e obbligatorietà dipende dal fatto che la posta in gioco, in una pratica di dono, è altissima. Utilizzo il testo stesso di Mauss per chiarire questo

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punto, visto che la sua analisi è impeccabile e non necessita di ulteriori interpretazioni:

“L’obbligo di dare è l’essenza del potlàc. Un capo deve dare dei potlàc per se stesso, per il figlio, per il genero e per la figlia, per i suoi morti. Egli perde la sua autorità […] se non prova di essere frequentato dagli spiriti e dalla fortuna, di essere posseduto da quest’ultima e di possederla. […] Nel Nord-ovest americano, infatti, perdere il prestigio, è proprio come perdere l’anima: ciò che viene veramente messo in gioco […] è la persona. […]

L’obbligo di ricevere non è meno forte. Non si ha il diritto di respingere un

dono, di rifiutare il potlàc. Agire in questo modo significa ammettere che si ha paura di dover ricambiare […]. Più che trarre beneficio da una cosa o da una festa, si accetta una sfida; e si è potuto accettarlo, perché si ha la certezza di poter ricambiare, di poter dimostrare che non si è inferiori. […]

L’obbligo di ricambiare è tutto il potlàc nella misura in cui non consiste in

una mera distruzione. […] L’obbligo di ricambiare degnamente è imperativo. Si perde la ‹‹faccia›› per sempre, se non si ricambia ciò che si è

ricevuto, o se non si distrugge un valore equivalente”35. Rileggendo questo

passo, si capisce perfettamente il concetto di prestazione sociale totale. Nella pratica del dono si fa confluire tutto ciò che appartiene al sociale, finanche l’autorità, il prestigio personale, il favore delle divinità.

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Ma Mauss non si ferma qui. Egli è interessato a comprendere cos’è che rende ragione di questa paradossale commistione tra libertà di donare e obbligatorietà di donare. Ed in particolare, egli è interessato a comprendere cosa vi sia alla base del vincolo che “imponendo” il momento del

ricambiare crea antagonismo, reciprocità, legami. Al di fuori di dinamiche

contrattuali, cos’è che garantisce la possibilità, subdolamente obbligatoria, del controdono?

Mauss risponde facendo riferimento ad un’essenza spirituale desunta dal sistema religioso dei Maori della Nuova Zelanda: tale essenza è lo hau, lo spirito del dono, questo principio animistico che una volta distaccato dal luogo d’origine, brama ritornarvi, pena l’annientamento di chi ostacola questo ritorno. “[…] ecco l’idea fondamentale che sembra presiedere […]

alla circolazione obbligatoria delle ricchezze, dei tributi e dei doni”36

. La teoria maussiana sullo hau e lo spirito del dono è valsa al socioantropologo francese molte critiche, tra le quali spiccano quelle dell’allievo di Bronislaw Malinowski, Rymond Firth, e di Lèvi-Strauss. Come ricorda Aria nel suo saggio su la storia diacronica del paradigma del dono, Firth appuntò a Mauss tanto una rilettura inesatta dei dati etnografici in suo possesso quanto una prospettiva “eccessivamente religiosa”. Scrive Aria: “A suo avviso (di Firth, nota di chi scrive) il celebre concetto maori non è riferito allo spirito del donatore, ma a quello della cosa donata e Mauss

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confonde costantemente i differenti tipi di hau – delle persone, della foresta, dei taonga – che i maori invece distinguono. È proprio questo “mescolare le persone con le cose e le cose con le persone” a indurlo ripetutamente in errore. A differenza di quanto sostiene Mauss, infatti, lo

hau non “si sforza” di tornare al luogo d’origine, né i maori per punire i

reati economici si affidano all’azione autonoma dello hau”37

.

Fu lo stesso Firth che tacciò la spiegazione maussiana di spiritualismo e animismo poiché l’inserimento del termine, all’interno di un discorso fondato su presupposti scientifici, non poteva né ammettere una deriva di tipo metafisico e religioso né sviare dai dovuti riferimenti etnografici. Di differente natura sono invece le critiche di Lévi-Strauss rivolte alle conclusioni sullo hau avanzate da Mauss. Per Lévi-Strauss, a livello epistemologico, l’operazione proposta da Mauss è non solo corretta ma anche arguta. Tenendo ben presente le problematiche che insorgono nell’applicare categorie occidentali a pratiche indigene, Mauss ha sagacemente mantenuto intatta una categoria indigena. Semmai, secondo Lévi-Strauss si può obiettare a Mauss una svista ingenua nel trascurare l’implicita sovrabbondanza di senso che sfugge costantemente all’attore sociale. L’errore non è tanto l’utilizzazione della categoria dello hau bensì il non essere andato al di là della stessa, di non essersi mossi su un piano

37 M. Aria, Dono, hau e reciprocità. Alcune riletture antropologiche di Marcel Mauss, in Culture del dono,

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più profondo, strutturale. Conclude Lévi-Strauss: “Non ci troviamo qui in uno di quei casi (che non sono rari) in cui l’etnologo si lascia mistificare

dall’indigeno?”38

È da notare che Mauss stesso sottolinea i limiti in cui il linguaggio occidentale è, gioco forza, relegato nel relazionarsi a pratiche su cui si fonda la vita sociale, e dunque culturale, di un altro gruppo etnico. Scrive, nelle Conclusioni di sociologia economica ed economia politica al Saggio

sul dono: “È possibile scomporre, rimescolare, colorire, definire

diversamente le principali nozioni di cui ci siamo serviti. I termini da noi adoperati: presente, regalo, dono non sono del tutto esatti. Non ne troviamo altri, ecco tutto. Sarebbe bene rimettere in un crogiolo tutti i concetti giuridici ed economici che ci compiaciamo di contrapporre: libertà e

obbligo, liberalità, generosità, lusso e risparmio, interesse, utilità”39 . Alla

luce di ciò, appare estremamente puntuale l’analisi lévistraussiana secondo cui l’utilizzo del termine hau è, non una deriva metafisica, religiosa, animistica o spiritualistica, bensì un tentativo di restituire una pratica così peculiare di una cultura del tutto differente alla sua cristallinità, cristallinità garantita proprio dall’opacità del termine hau. Qualora invece si volesse ipotizzare uno spostamento metafisico, anche qui, sarebbe difficile muovere critiche così dure e serrate alla scelta maussiana. Dal Saggio

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C. Lévi-Strauss, Introduzione all’opera di Marcel Mauss, in Teoria generale della magia, di M. Mauss, Einaudi, Torino, 2000, p. XLII

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emerge chiaramente la volontaria contrapposizione tra un’economia a base non equivalente, al di fuori di uno scambio commerciale, e l’economia di mercato occidentale, così fortemente impregnata di un sistema morale imperniato sul primato dell’io in un individualismo assoluto. Nonostante l’onesta sottolineatura del carattere in parte egotistico di pratiche suntuarie come il potlach, e l’implicazione che ne deriva, ovvero una accresciuta potenza nel contesto sociale, dunque nulla al di fuori dell’interesse, il discredito in cui versa l’economia di mercato agli occhi di Mauss non richiede sovra interpretazioni particolari: “Sono state le nostre società occidentali a fare, assai di recente, dell’uomo, un «animale economico». […] L’homo oeconomicus non si trova dietro di noi ma davanti a noi; come l’uomo della morale e del dovere, come l’uomo della scienza e della ragione. L’uomo è stato per lunghissimo tempo diverso, e solo da poco è diventato una macchina, anzi una macchina calcolatrice. […] Secondo noi, però, non è nel calcolo dei bisogni individuali che si troverà il metodo economico migliore. […] Il perseguimento brutale degli scopi dell’individuo nuoce ai fini e alla pace dell’insieme, al ritmo del suo lavoro

e delle sue gioie e – di rimbalzo – all’individuo stesso”40. Proprio in

considerazione di questo fatto, l’utilizzazione della categoria dello hau, anche fosse stata fatta allo scopo di stabilire un confronto morale tra due culture, è coerente e consequenziale alla limpidezza della posizione di

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Mauss, critica nei confronti di una società occidentale meccanizzata, burocratizzata, disumanizzata; a ciò basti aggiungere che non vi è ambiguità ed equivoco nell’intento dell’autore: il Saggio, svolto in una prospettiva chiaramente etnografica ed antropologica, si conclude con un carattere del tutto differente: sia sufficiente una semplice analisi dei titoli del saggio maussiano: il Capitolo quarto, ovvero le Conclusioni, infatti è ripartito in Conclusioni di ordine morale, Conclusioni di sociologia

economica e di economia politica, Conclusioni di sociologia generale e di morale. Lo spostamento dello sguardo dello studioso non è celato dietro

ambiguità di sorta: che la teoria dello hau la si voglia interpretare in chiave marcatamente antropologica, come fa Lévi-Strauss, o in chiave morale, bisogna constatare l’inadeguatezza di qualsiasi critica sostanziale.

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2. LA RECIPROCITÀ

Lévi-Strauss: dalla critica allo hau a “Le strutture elementari della parentela”

Nel paragrafo precedente ho volutamente tralasciato di specificare meglio una delle critiche mosse da Lévi-Strauss alla teoria dello hau di Marcel Mauss. Quando Lévi-Strauss, nell’Introduzione all’opera di Marcel Mauss, si chiede se l’etnologo si sia lasciato mistificare dall’indigeno sta portando all’estrema conclusione una considerazione fatta poco prima: l’incapacità di Mauss di riportare una pratica che si articola in tre momenti differenti ad una struttura. È la sintesi ultima che manca sebbene, come egli scrive espressamente, sia l’operazione necessaria e fondamentale per poter comprendere ciò che i dati empirici fanno risaltare all’occhio: “Un curioso aspetto dell’argomentazione seguita nell’Essai sur le don ci metterà sulla via delle difficoltà-. Mauss vi appare dominato con ragione da una certezza di ordine logico, e cioè che lo scambio è il comune denominatore di un grande numero di pratiche sociali apparentemente eterogenee. Ma egli non giunge a vedere questo scambio nei fatti. L’osservazione empirica non gli fornisce lo scambio, ma soltanto – come dice lui stesso – «tre obblighi: dare, ricevere, ricambiare». Tutta la teoria esige così l’esistenza di una struttura, di cui l’esperienza non offre che frammenti, i membri sparsi, o

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piuttosto gli elementi”41

. Per Lévi-Strauss, dunque, il valore dell’analisi maussiana rispetto ai dati etnografici in suo possesso è inappuntabile: l’osservazione del kula non può prescindere da una descrizione di tale pratiche come un sistema tripartito, intriso tanto di un certo livello di obbligatorietà quanto di libertà, in cui si scambiano beni, si acquista prestigio, si intessono relazioni sociali. Ciò che manca a tale descrizione analitica è proprio, come detto sopra, un momento sintetico che spinga oltre ai fatti etnografici, che per una loro impenetrabilità intrinseca agli occhi

dell’indigeno42

rischiano di rimanere muti di fronte all’etnologo in ascolto, la ragione dello scienziato e lo porti a comprendere ciò che è al fondamento di una massa così polimorfa, frammentata e differenziata di atti e pratiche, di piéces svolte dagli attori sociale. In altre parole, cosa manca al Saggio

sul dono di Mauss? Manca non aver compreso fino in fondo che la struttura

soggiacente a tutta questa molteplicità è la reciprocità. La prospettiva in cui si muove Lévi-Strauss è sempre quella di comprendere, in una divisione netta tra natura e cultura, in che modo la cultura stabilisca un sistema normativo ordinato: d’altronde, la densità del divieto dell’incesto, estensione del principio di reciprocità, la sua sostanzialità, non è che essenzialmente il “fatto stesso della regola”, ovvero ciò che sovraintende ad una organizzazione sociale. È la regola che sottolinea la presenza di una

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C. Lévi-Strauss, Op. cit., p. XLI

42 Una teoria “offre tutt’al più una via d’accesso, perché ciò che credono gli interessati, siano essi fuegini

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cultura che ordina la natura caotica, che garantisce la possibilità per un gruppo di costituirsi come gruppo sociale. Scrive Lévi-Strauss: “Il ruolo primordiale della cultura è di assicurare l’esistenza del gruppo come gruppo, dunque di sostituire l’organizzazione al caso […] La proibizione dell’incesto costituisce una forma […] d’intervento. Ma prima di ogni altra

cosa essa è intervento; più esattamente l’intervento”.43

La proibizione dell’incesto, dunque, come particolare forma di reciprocità. Cos’è dunque questa struttura così pervasiva, universale, che viene chiamata reciprocità?

La reciprocità è proprio ciò che, regolando le forme di scambio (entro cui si devono annoverare anche e soprattutto le unioni matrimoniali) rende possibile la costituzione di legami sociali. Il termine, di derivazione latina, è il composto di due parole “recus”, ovvero indietro, e “procus” ovvero avanti. Un’azione reciproca è un’azione che stabilisce delle frecce direzionali che partono da un punto e si arrestano in un altro e che, viceversa, ripartono dal punto in cui si sono arrestate e tornano al punto da cui inizialmente sono partite. Un’azione è reciproca quando stabilisce un legame biunivoco e bidirezionale. Si pensi all’uso nel linguaggio comune: aiutarsi reciprocamente, nutrire stima reciproca, prestarsi reciproca assistenza. In ognuno di questi casi, il lemma “reciproco” potrebbe essere sostituito con “l’un l’altro”; si indica, cioè, che le azioni non hanno una direzione preferenziale che va da un agente ad un paziente. Ogni attore, in

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una dinamica reciproca, è tanto agente (in un primo momento) quanto paziente (in un secondo momento). Per essere ancora più chiari ed esemplificare in maniera più estesa quanto detto sopra, si faccia riferimento all’ipotesi dell’“aiuto reciproco” nella fattispecie di due studenti universitari che preparano insieme un esame di Antropologia Culturale: lo studente 1 si rivolge allo studente 2 proponendo di impegnarsi nella preparazione di questo esame fornendosi aiuto reciproco; lo studente 2 accetta e iniziano a studiare l’esame. Ad un certo punto, studiando Le

strutture elementari della parentela di Lévi-Strauss, lo studente 1 chiede

allo studente 2 aiuto in quanto non riesce a comprendere cosa significhi che “il fatto stesso della regola, considerato in modo assolutamente indipendente dalle sue modalità, costituisce, in effetti, l’essenza stessa della

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