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STATO DELL’ARTE E COSTRUZIONE DISCIPLINARE

A seguito di una crescita esponenziale di interesse a vari livelli – economico, isti- tuzionale, sociale, educativo – la lingua e la cultura cinesi sono state recentemen- te introdotte come materia curricolare nella scuola secondaria di secondo grado1

italiana.2

Come disciplina accademica, l’insegnamento della lingua cinese gode di una tradizione piuttosto affermata in Italia, con la prima cattedra di Lingue dell’Estre- mo Oriente inaugurata nel 1864 presso l’Istituto di Studi Superiori di Firenze.3 Pa-

rallelamente all’attività didattica che è andata progressivamente diffondendosi, si è sviluppato un processo di interrogazione e consolidamento della materia, per cui oggi si può dire che essa abbia raggiunto lo status di “disciplina scientifica.” Se, infatti, ancora non ne sono stati organicamente analizzati e descritti i fondamenti epistemologici in un’ottica didattica – ma solo da un punto di vista storico4 - vi 1 Da qui in poi, con il termine “secondario” si farà sempre riferimento al secondo grado dell’istru-

zione secondaria italiana, dal momento che la materia di Lingua e cultura cinese è stata introdot- ta come curricolare soltanto a questo livello.

2 La Lingua e cultura cinese è divenuta materia curricolare nel quadro di sperimentazioni auto- nome a partire dal 2004. Si veda Davor Antonucci e Serena Zuccheri, L’insegnamento del cinese tra passato e presente (Roma: Edizioni nuova cultura, 2010), 114. Con il riordino degli indirizzi operato con la Riforma della scuola nel 2010, l’insegnamento è stato stabilizzato ma ancora non esistono indagini complete sul numero di scuole dove sia stato attivato, il numero di studenti e di ore di lezione.

3 Si veda Antonucci e Zuccheri, Insegnamento del cinese, 17.

4 Si veda il testo intero di Antonucci e Zuccheri, Insegnamento del cinese. Un approccio di- dattico è stato inaugurato in Francia da Joël Bellassen. Si veda Joël Bellassen, “La didac- tique du chinois et la malédiction de Babel. Émergence, dynamique et structuration d’une discipline,” Etudes chinoises Numero fuori serie (2010), ultimo accesso 14/05/2016, http://www.afec-etudeschinoises.com/IMG/pdf/Bellassen_Didactique.pdf. L’analisi è stata svi- luppata Ying Zhang (Colin), all’interno della sua ricerca di dottorato, dove la studiosa utilizza il concetto di “disciplinarizzazione” per esplorare la storia dell’insegnamento del cinese e l’episte- mologia del sapere sviluppato in tale processo. Si veda Ying (Colin) Zhang, “Le chinois dans l’en- seignement français, la construction d’une discipline. Une approche historico-épistémologique” (tesi di dott., Università Grenoble Alpes, 2016). I riferimenti al processo di disciplinarizzazione nel presente articolo traggono ispirazione da questi testi.

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possiamo comunque scorgere alcuni segni distintivi di una disciplina consolidata, come l’essere una “forma di conoscenza organizzata e stabilizzata” con un “com- plesso di problematiche incentrate su un oggetto disciplinare, con dei tentativi di soluzione e una partecipazione accademica ed istituzionale.” Ma soprattutto, ai fini del nostro discorso, vi possiamo rilevare un modello dominante di disciplina come “accumulazione di conoscenze”, modello più in generale tipico del sistema educativo superiore.5

Una nuova disciplina?

Niente di similmente organico può essere, viceversa, ipotizzato al momento per l’insegnamento della lingua cinese nella scuola secondaria. Dopo la regolarizza- zione come disciplina curricolare, dei passi importanti sono stati certamente fatti dal punto di vista istituzionale. Dal 2011, la materia è stata inclusa nel percorso di “Tirocinio Formativo Attivo”6 e dal 2016 anche nel concorso nazionale di recluta-

mento del personale docente per posti in organico.

Sul piano della ricerca, le comunità accademica e scolastica hanno iniziato a interrogarsi su cosa implichi il cambiamento di contesto didattico e di tipologia di apprendente. Alla fine del 2015 è stata inaugurata una collaborazione tra referenti istituzionali e accademici per intraprendere la redazione del primo sillabo nazio- nale per la lingua cinese.7

Accanto a questo considerevole progetto, però, molti dei lavori rilevati nel corso della nostra ricerca risultano assumere ancora una prospettiva storico-narrativa,8

mentre le indagini sviluppate nella direzione della riflessione metodologica sono riconducibili alla sfera dell’efficacia didattica mostrando, in questa focaliz- zazione su un ambito specifico, un approccio alla ricerca di ascendenza accade-

5 Citazioni tratte da Joël Bellassen, “Didactique du chinois,” 29-34 (nostra traduzione). L’intero con- cetto è sviluppato da Bellassen in relazione al contesto francese dell’insegnamento superiore del- le lingue straniere e, in particolare, della lingua cinese. Riteniamo che l’analisi e le considerazioni possano essere applicate anche al corrispondente contesto italiano.

6 Da qui in poi “TFA”.

7 Al progetto partecipano il Dipartimento “Istituto Italiano di Studi orientali-ISO”, dell’Università Sapienza di Roma, e la Direzione generale per gli Ordinamenti scolastici del Ministero dell’Istru- zione, dell’Università e della Ricerca. Su invito del Ministero, contribuisce ai lavori anche una rappresentanza di docenti di scuola secondaria.

8 Si veda, ad esempio, la sezione dedicata nel già citato Antonucci and Zuccheri, Insegnamento del cinese, ma anche molti degli interventi presentati in occasione della conferenza “La didattica del cinese nella scuola secondaria di secondo grado: Esperienze e prospettive” (Roma, 7-8 settembre, 2015). Sfortunatamente, non esistono atti della conferenza, ma il programma è accessibile su http://www.istruzione.it/allegati/2015/programma_avviso040915.pdf.

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mica.9 Ancora non è emersa, cioè, quella sensibilità verso una visione globale e

complessa,10 che è invece caratteristica dell’istruzione secondaria, dove il discorso

di costruzione disciplinare si sviluppa attraverso fasci di interrogativi che si in- tersecano in maniera interdisciplinare, sinergica ed a spirale: quali principi gui- da, didattici e pedagogici, dovrebbero essere assunti; quali finalità ed obiettivi il processo didattico dovrebbe stabilire e perseguire; come scegliere ed organizzare i contenuti e, infine, quale modello di trasmissione del sapere dovrebbe essere se- guito e incoraggiato. Quest’ultimo è, in effetti, uno dei temi che meglio caratteriz- za il livello d’istruzione secondario, contemplando l’estensione dell’interesse dalla semplice conoscenza disciplinare ad un’ampia gamma di competenze, che si dira- mano nella duplice direzione didattica e pedagogica.11

Inoltre, le potenziali declinazioni delle questioni sopra descritte si prefigurano ancora più numerose, in considerazione del fatto che la materia scolastica è indi- viduata in “Lingua e cultura cinese”, e non semplicemente “Lingua cinese” come avviene al livello superiore, dove abbiamo la sezione di cultura approfondita attra- verso una serie di materie specifiche. La formula combinata e concisa che trovia- mo al livello secondario nasce dalla natura meno specializzata di questo grado di istruzione e dai limiti di tempo a disposizione, ma nel contempo rende giustizia al legame indissolubile che sussiste tra lingua e cultura.

Nonostante tale indissolubilità, però, le due dimensioni ricevono un’attenzione impari da parte dei ricercatori del mondo scientifico e scolastico. Infatti, mentre esiste un’ampia produzione di ricerche e materiali per la didattica della lingua,12

l’attività di ricerca e pubblicazione di strumenti didattici per la didattica della cul- tura è piuttosto esigua, trovando per lo più spazio solo all’interno dei manuali di lingua.

9 Si vedano alcuni contributi della presente raccolta.

10 Alcuni studi fanno eccezione, come l’intervento di Agnese Formica, “Lingua cinese e Disturbi Spe- cifici dell’Apprendimento. Alcune esperienze” (intervento presentato alla conferenza La didattica del cinese nella scuola secondaria di secondo grado: Esperienze e prospettive, Roma, 7-8 settembre, 2015). 11 Tale principio educativo è assunto non solo nelle line guida nazionali italiane, ma anche at- traverso raccomandazioni dell’Unione Europea. Si veda per il contesto italiano Indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento concernenti le attività e gli insegnamen- ti compresi nei piani degli studi previsti per i percorsi liceali di cui all’articolo 10, comma 3, del decre- to del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89, in relazione all’articolo 2, commi 1 e 3, del me- desimo regolamento, ultimo accesso 14/05/2016, http://www.indire.it/lucabas/lkmw_file/ licei2010/indicazioni_nuovo_impaginato/_decreto_indicazioni_nazionali.pdf. Per le indica- zioni europee, invece, si veda Recommendation  2006/962/EC of the  European Parliament and of the Council of 18 December 2006 on key competences for lifelong learning, ultimo accesso 14/05/2016, http://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=celex%3A32006H0962.

12 Solo nella prima metà del 2016 sono stati pubblicati due manuali per l’apprendimento del- la lingua. Si veda Claudia Ambrosini et al., Shuo Hanyu, xie Hanzi, 说汉语,写汉字, Parla e scrivi in cinese(Bologna: Zanichelli, 2016); Federico Masini et al., Women shuo Hanyu, 我们说汉语, Parliamo cinese(Roma: Hoepli, 2016).

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Principi guida e pratica di classe

L’insegnamento della cultura è affrontato, su un piano generale, nelle linee guida nazionali e, su un piano più specifico, nei programmi di formazione,13 nei manuali

e nelle attività di classe,14 ma in entrambi i livelli è introdotto secondo una pro-

spettiva che riteniamo non dia atto dell’importanza né, tantomeno, delle poten- zialità che questa dimensione riveste nel processo di apprendimento linguistico, in termini di motivazione e di competenza di interpretazione ed interazione con il contesto obiettivo.

Dal punto di vista delle Indicazioni Nazionali, le istruzioni che riguardano le lingue straniere sottendono un modello di insegnamento tradizionale e piuttosto schematico, basato sulla dicotomia tra “cultura formale” e “cultura profonda”,15

con un vago invito a una riflessione comparativa e interculturale che, in maniera non meglio precisata, dovrebbe essere stimolata durante le attività di classe.

Per quanto riguarda la cultura cinese nello specifico, da una serie di dati da noi raccolti tra il 2013 e il 2016 sulla programmazione didattica e sulla pratica d’aula,16

emerge che nell’insegnamento si rintraccia ancora un modello di trasmissione del sapere come “accumulazione di conoscenze” e che esso è realizzato attraverso la tradizionale lezione frontale.17 Relativamente ai contenuti, nella programma-

zione si ripresenta spesso la sopra citata dicotomia tra cultura formale e cultura profonda. La cultura vi è concepita come un oggetto del sapere sezionabile in compartimenti autonomi, anche qui traendo in prestito dall’istruzione superiore una visione dell’oggetto disciplinare che tende alla parcellizzazione, invece che alla costruzione di una lettura articolata dei fenomeni. Questa prospettiva è osser- vata anche nei materiali più frequentemente utilizzati.18

13 In particolare, TFA.

14 Come è stato riportato, ad esempio, in alcuni interventi in occasione della La didattica del cinese nella scuola secondaria di secondo grado: Esperienze e prospettive, Roma, 7-8 settembre, 2015.

15 La dicotomia è stata introdotta per la prima volta da Nelson Brooks nel 1968. All’epoca, la ri- flessione era mirata a sollecitare un’estensione dell’interesse da quei fenomeni percepiti come rappresentativi della civilizzazione e da Brooks definiti come “cultura formale” (letteratura, arte, musica, architettura, filosofia, conquiste della scienza e della tecnica), ad aspetti culturali legati della quotidianità e ricondotti al concetto di “cultura profonda” (costumi sociali, abitudini, stili di vita, organizzazione e relazioni sociale, ecc.). È evidente come oggi una tale categorizzazione risulti inadeguata a descrivere la complessità delle società contemporanee. Si veda Nelson Bro- oks, “Teaching Culture in the Foreign Language Classroom,” Foreign Language Annals 1(3) (1968), 204–17, ultimo accesso 14/05/2016, doi: 10.1111/j.1944-9720.1968.tb00135.x.

16 I dati sono stati raccolti attraverso quattro metodi: osservazione partecipata in aula; memorie su esperienza d’insegnamento personale; interviste semi-strutturate a docenti e analisi dei manuali citati nelle interviste.

17 Va rilevato, comunque, che si vanno diffondendo metodi di lezione attiva (con l’utilizzo ad esem- pio di strumenti quali brainstorming, discussione guidata, lezione dialogica, narrazione di espe- rienze) e strumenti di informatizzazione della didattica.

18 Si veda Miriam Castorina, La cultura cinese. Manuale di mediazione linguistica (Roma: Hoepli, 2011) e Giuliano Bertuccioli, La letteratura cinese, a cura di Federica Casalin (Roma: L’asino d’oro, 2013).

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Processi di trasposizione didattica

La diffusa influenza di modelli di trasmissione del sapere di derivazione superiore si accompagna a una generale mancanza di attenzione al processo di trasforma- zione a cui il sapere sviluppato dalla comunità scientifica deve essere sottoposto, affinché diventi fruibile in un contesto di istruzione secondaria. Assumendo il mo- dello di trasposizione didattica sviluppato da Yves Chevallard19 per analizzare i do-

cumenti istituzionali e i dati raccolti sopra citati, si è osservato che, nel processo di adattamento del sapere sapiente in sapere insegnabile, insegnato ed acquisito, alcuni passaggi risultano mancanti o non propriamente sviluppati.

Innanzitutto, oltre alle Indicazioni Nazionali, non abbiamo materiali mediati di riferimento per la programmazione,20 come non abbiamo alcun materiale didattico

disegnato specificatamente per il livello secondario.

Questa insufficiente mediazione nella prima fase del processo di trasposizione – combinata con il fatto che i programmi dei corsi di TFA non sono coordinati a livello ministeriale, ma sono basati sull’approccio formativo delle singole univer- sità, determinando così una significativa eterogeneità quanto a competenze d’in- segnamento e conoscenze disciplinari – porta ad una qualità diseguale in termini di risultati, quando giungiamo alla seconda fase del processo: la programmazione didattica e la realizzazione delle attività in classe.

Per ciò che concerne infine la terza fase, che riguarda l’acquisizione dei conte- nuti e la relativa valutazione del docente, non esistono dati sufficienti per elabora- re osservazioni verificabili sul processo di acquisizione e valutazione delle compe- tenze di una cultura distante qual è quella cinese.

Un nuovo modello di competenza culturale

Sebbene determinante, l’insufficiente sviluppo della trasposizione didattica non è però l’unico fattore che influenza il perdurare di modelli di trasmissione del sapere di derivazione superiore, a discapito di modelli di costruzione delle competenze.

19 Si veda Yves Chevallard, La transposition didactique. Du savoir savant au savoir enseigné (Grenoble: La Pensée Sauvage, 1985). Il modello di Chevallard prevede una catena di adattamenti successivi che rende il sapere sviluppato dalla comunità scientifica (“sapere sapiente”) fruibile in un contesto d’istruzione non superiore. Il primo passaggio, da cui si sintetizza il “sapere insegnabile”, è ope- rato da istituzioni e curatori di materiali didattici; il secondo passaggio viene quindi realizzato dal docente che adegua e rende fruibile il sapere insegnabile nello specifico contesto di apprendi- mento in cui si trova ad operare (creando così il “sapere insegnato”); nel terzo passaggio, infine, interviene l’apprendente che, a sua volta, opera la sua trasformazione del sapere in “sapere ac- quisito”.

20 Come avviene invece nel corrispondente contesto francese. Si veda ad esempio Ressources pour le cycle terminal. Exemples de sujets d’études. Chinois, (Eduscol, 2012), ultimo accesso 14/05/2016, http://cache.media.eduscol.education.fr/file/LV/34/3/RESS_LGT_cycle_terminal_LV_chinois_ sujets_etudes_235343.pdf.

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La nozione stessa di “competenza” è, in effetti, tutt’altro che pacifica. Mentre negli ambiti accademici, scolastici ed istituzionali esiste accordo su cosa si intenda per “competenza linguistico-comunicativa”, non troviamo una visione ugualmente organica quanto al concetto di “competenza culturale”, e la questione appare ben lontana dall’essere risolta.

Una nozione che per molti decenni è stata il principale riferimento in questo processo di definizione, è stata quella di “competenza interculturale”, idea mo- dellizzata alla fine degli anni Novanta da Michael Byram con il “Modello di com- petenza comunicativa interculturale”.21 Per quanto il modello abbia resistito nel

tempo per la sua solidità teorica e la funzionalità sul piano didattico, è necessario oggi chiedersi se esso mantenga ancora quella capacità di fornire uno schema di interpretazione e interazione con contesti sociali, culturali, politici ed educativi profondamente trasformati negli ultimi decenni. Come osservano alcuni critici,22

il concetto di cultura che vi è sotteso è riconducibile, infatti, a quello di “cultura nazionale”: un’equazione che ormai risulta insufficiente a descrivere le configura- zioni socio-culturali contemporanee.

Una posizione analoga è assunta da Christian Puren che, però, indirizza la sua critica sul concetto stesso di “competenza interculturale”.23 Puren osserva che il

concetto, in origine, nasce in stretta connessione con una specifica “situazione so- ciale di riferimento” (l’esperienza di viaggiare in un altro paese linguisticamente e culturalmente organico) ed una conseguente “azione sociale di riferimento” (ge- stire linguisticamente degli incontri occasionali). Ma, continua l’autore, la situa- zione sociale si è trasformata rispetto all’epoca in cui il modello venne sintetizzato e non ci troviamo più a relazionarci con contesti omogenei: oggi siamo immersi in contesti multilinguistici e multiculturali, dove le dinamiche interpersonali non si limitano più, come avveniva nell’esperienza del viaggio, all’incontro, ma contem- plano la condivisione di spazi e la collaborazione tra persone dalle culture articola- te secondo i percorsi più diversi. E questo vale non solo per l’ambiente sociale, ma anche e soprattutto per il contesto che ci interessa, la classe.

Di fronte a tale scarto, Puren propone un nuovo strumento: il “Modello com- plesso di competenza culturale”.24 Il modello, di carattere descrittivo, contempla 21 Si veda Michael Byram, Teaching and assessing intercultural communicative competence (Clevedon:

Multilingual Matters, 1997).

22 Si veda Catherine Matsuo, “A Critique of Michael Byram’s Intercultural Communicative Compe- tence Model from the Perspective of Model Type and Conceptualization of Culture,” Fukuoka Uni- versity Review of Literature & Humanities 44(2) (2012), 347-80, ultimo accesso 14/05/2016, doi: id.nii. ac.jp/1316/00001140.

23 Si veda Christian Puren, “La compétence culturelle et ses différentes composantes dans la mise en œuvre de la perspective actionnelle. Une problématique didactique,” Intercâmbio, 2° serie, 7 (2014), 21-38, ultimo accesso 14/05/2016, http://ler.letras.up.pt/uploads/ficheiros/13060.pdf.

24 Si veda Christian Puren, “Modèle complexe de la compétence culturelle (composantes histori- ques trans-, méta-, inter-, pluri-, co-culturelles): exemples de validation et d’application actuel- les,” ultimo accesso 14/05/2016, http://www.christianpuren.com/mes-travaux/2011j.

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cinque componenti: trans-culturale, meta-culturale, inter-culturale, pluri-cultura- le e co-culturale. Assumendo come riferimento per la definizione degli obiettivi didattici la prospettiva azionale,25 è sviluppato a partire da una lettura storica della

didattica delle lingue, in ambito francese, che incorpora le tradizioni metodologi- che precedenti.

Le componenti sono introdotte, da un lato, per descrivere contenuti culturali e, dall’altro, per sostenere lo sviluppo di una specifica competenza o di una certa abilità propedeutica al suo raggiungimento. L’approccio complessivo è sia didatti- co che pedagogico, ed è indirizzato a sostenere l’apprendente nel raggiungimento di competenze di apprendimento, comunicazione, coabitazione e collaborazione, in un contesto linguisticamente e culturalmente complesso. Inoltre, avendo ognu- na delle componenti origine da una specifica metodologia didattica ed essendovi associati compiti di natura sia linguistica che culturale, il modello può essere inte- grato in modo organico all’interno della metodologia già strutturata del docente.

Una struttura così articolata permette a questo strumento di dare atto della complessità della società contemporanea e di modulare la programmazione didat- tica su contesti eterogenei. Ciononostante, essendo stato concepito in ambito eu- ropeo e mai messo alla prova sull’insegnamento di una lingua e cultura distanti, il modello di Puren potrebbe necessitare di alcuni aggiustamenti, quando messo al servizio della didattica della cultura cinese. Ad esempio, chiamando in causa i “valori universali” ipoteticamente condivisi dai membri del gruppo classe, la com- ponente trans-culturale è concepita per abbassare il filtro affettivo e migliorare la disponibilità emotiva ed intellettiva dell’apprendente. Questo può risultare ovvio nell’insegnamento di una lingua e cultura europea, in una classe di apprendenti di origine europea. Ma se, nello stesso gruppo classe, si passa ad occuparsi di cultura cinese, una tale dinamica di riconoscimento non può essere data per scontata, in considerazione della significativa distanza tra gli universi europeo e cinese nella loro evoluzione attraverso i secoli.

Una riflessione analoga dovrebbe essere sollevata riguardo la fattibilità delle attività linguistiche, dal momento che le componenti trans-culturale e meta-cultu- rale includono, rispettivamente, traduzione di testi classici e attività con materiali autentici. In considerazione della distanza linguistica e del fatto che, generalmen- te, l’apprendimento inizia tra il primo e il terzo anno della scuola secondaria, an- che qui, non può essere dato per scontato che tali attività possano essere svolte in tutti i contesti di apprendimento.

25 Come introdotta dal QCER e diffusamente sviluppata da Puren. A seconda che sia tratta dalla versione francese o da quella inglese del QCER, l’espressione italiana varia da “prospettiva azio- nale” a “approccio orientato all’azione”. Si veda, ad esempio, Council of Europe, Common European framework of reference for languages: Learning, teaching, assessment (Cambridge: Cambridge Univer-