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Step 5.1: Definizione dei KPIs e del Risk Appetite

IV. Aspetti metodologici

4.3 Fase 2 – Gestione delle strategie di transizione

4.3.2 Step 5: Gestione e monitoraggio delle strategie

4.3.2.1 Step 5.1: Definizione dei KPIs e del Risk Appetite

Il primo passo del processo ERM consiste nella declinazione degli obiettivi di alto livello definiti in fase di pianificazione strategica in un set di Key Performance Indicators che permettano di tenere sotto controllo l’andamento delle strategie. Nel paragrafo 2.2.3 abbiamo discusso relativamente alle modalità di analisi degli impatti climatici sui modelli di business aziendali ed è stato esplicato per quale motivo un approccio che consideri l’utilizzo di KPIs prettamente economico-finanziari non sia sufficiente per verificare il grado di sostenibilità e resilienza di un’impresa.

Quanto è stato descritto a livello aggregato relativamente al climate change risk, verrà declinato all’interno del presente framework per quanto riguarda la gestione specifica della transizione. Gli obiettivi strategici di alto livello per quanto concerne la transizione necessitano di essere declinati in un set di KPIs di tipo ESG, questo perché non è possibile verificare il grado di transizione di un modello di business tramite l’utilizzo di classici indicatori EPF. Ad esempio, risulterebbe particolarmente difficile (se non impossibile) declinare tramite l’utilizzo indicatori economico-finanziari un obiettivo di riduzione dell’impatto carbonico dei propri processi produttivi entro un certo periodo temporale. Diversamente, facendo ricorso a KPIs di tipo ESG, il processo diventa molto agevole e intuitivo, nel nostro caso potrebbero essere utilizzati i seguenti indicatori:

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KPI ID Scope Specification

Energy Efficiency E01-01 I Energy consumption, total

GHG Emissions E02-02 I GHG emissions, total

Emissions to Air E03-01 II Total CO2, NOx, SOx, VOC emissions in million

tonnes

Emissions to Air E03-04 III

TOP 2 components of emissions to air by

environmental importance (according to TRI; PRTR; and E-PRTR46) Rank 1

La tabella presenta un set di KPIs di tipo ESG adatti a declinare in termini puntuali gli obiettivi strategici di alto livello. Essi sono stati ricavati dal già citato studio dell’EFFAS e della DVFA KPIs for ESG, nel quale vengono presentati set di KPIs di tipo ESG suddivisi per sottosettori economici di appartenenza. Nella prima colonna è presentato il nome del KPI, nella seconda il codice identificativo, nella terza il livello di disclosure e nell’ultima vi è una specificazione sulla modalità di calcolo. Come si può notare, un KPI relativo alla stessa dimensione (Emission to Air) può essere calcolato e costruito per rispondere a più o meno approfonditi livelli di disclosure. L’EFFAS propone la classificazione in tre misure:

− Scope I: rappresenta il grado di informativa minimo relativamente agli indicatori di prestazione ESG che le tutte le imprese dovrebbero essere in grado di comunicare. Gli indicatori appartenenti allo Scope I sono pressocché identici per tutti i sottosettori in quanto si ritiene che rappresentino degli indicatori estremamente rilevanti per gran parte di essi e che dovrebbero essere tenuti in particolar conto dal management nella valutazione del grado di sostenibilità dell’impresa.

− Scope II e Scope III:i KPIs appartenenti al secondo e al terzo grado di disclosure differiscono in termini di dettaglio e granularità dell’analisi. Quanto più un’impresa si colloca in un sottosettore particolarmente esposto ai fattori climatico-ambientali tanto più sarà possibile individuare indicatori chiave di performance, per tale motivo,

46 La sigla PRTR sta per Pollutant Release and Transfer Register e qualifica un qualsiasi registro di rilascio

e trasferimento di sostanze inquinanti ovvero, un sistema finalizzato alla raccolta e alla diffusione di informazioni circa le emissioni ambientali di sostanze pericolose effettuate da impianti industriali e di altro tipo. Il TRI è il registro in vigore negli Stati Uniti mentre l’E-PRTR è il registro in vigore in Unione Europea.

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sottosettori come l’estrazione mineraria o la raffinazione del petrolio saranno caratterizzati da un seti di KPIs molto più vasto e approfondito rispetto ai servizi di consulenza immobiliare.

Una volta definiti i KPIs ESG che meglio descrivono gli obiettivi strategici di alto livello in tema di transizione, il management deve fissare un valore target pe ciascun indicatore scelto che rappresenta in modo quantitativo e puntuale l’obiettivo che si intende perseguire tramite l’implementazione della strategia. Riprendendo l’esempio precedente, se l’obiettivo di alto livello è quello di ridurre entro due anni l’impatto carbonico del proprio processo produttivo, può essere scelto come indicatore chiave: GHG Emissions (E02-02) e fissare un valore target di emissioni annue totali a 80 mila tonnellate (rispetto alle ipotetiche attuali 100) da raggiungere entro due anni. In questo modo il management sintetizza in modo robusto gli obiettivi di transizione.

Per quanto concerne la dimensione economico-finanziaria essa ricopre comunque un ruolo rilevante nel verificare la realizzabilità delle strategie. La componente ESG dunque non elimina quella EPF ma si aggiunge ad essa per migliorare la valutazione delle strategie in quanto rappresentano due dimensioni strettamente connesse. Il management dovrà disporre di un insieme di KPIs di tipo ESG per valutare il livello di raggiungimento degli obiettivi di transizione ma dovrà allo stesso tempo tenere sotto controllo la componente EPF generale dell’impresa per verificare che sia garantita la stabilità economico-patrimoniale e finanziaria dell’impresa in modo da garantirne la corretta operatività.

Una volta definito un set di KPIs ESG significativi è necessario compiere un passo ulteriore prima di poter valutare i rischi strategici di transizione. Di concerto alla definizione dei target, il management ha il compito di definire il Risk Appetite. Il rischio strategico dev’essere gestito nei limiti di quella che viene definita propensione al rischio dell’impresa, il Risk Appetite ovvero, quali scostamenti dal target il management ritiene di voler sopportare per il raggiungimento dell’obiettivo e in che modo gestirli nel caso si verificassero. L’introduzione del Risk Appetite è un elemento di fondamentale importanza per poter valutare in modo corretto i rischi strategici di transizione e rappresenta una grandezza idiosincratica alla capacità totale di rischio di ogni singola impresa. La capacità totale di rischio, altresì detta Risk Capacity, rappresenta una grandezza oggettiva, diversamente dal Risk Appetite che è di tipo prevalentemente

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soggettivo. La Risk Capacity può essere definita come l’insieme degli scostamenti dal target che l’impresa può sopportare mentre il Risk Appetite viene definito come l’insieme degli scostamenti che l’impresa vuole sopportare e come li gestirà nel momento in cui si dovessero verificare. Quanto più il Risk Appetite sarà ampio tanto più il management metterà a disposizione le risorse necessarie per fronteggiare gli scostamenti ma esso, perché risulti una grandezza robusta, dev’essere in ogni caso contenuto all’interno della capacità totale di rischio.

Presentiamo di seguito un semplice schema che evidenzia la relazione tra il valore target assegnato al KPI ESG, gli scostamenti possibili, il Risk Appetite e la Risk Capacity:

Lo schema riprende l’esempio introdotto precedentemente. Il management ha fissato come valore target ottimale per garantire un miglioramento significativo nella sostenibilità del business la riduzione delle emissioni annue di gas serra a 80 mila tonnellate rispetto alle attuali 100. La retta superiore rappresenta i possibili scostamenti rispetto al target. Comparando i benefici attesi in termini di costi operativi nel medio- lungo periodo con l’investimento iniziale per avviare il progetto, il management ha valutato che la capacità totale di rischio si colloca all’interno di scostamenti che si trovano tra le 60 e le 90 mila tonnellate di emissioni annue.

Variazioni insufficienti nelle emissioni annue che portano a quote superiori alle 90 mila tonnellate causerebbero perdite non sostenibili all’impresa in quanto il beneficio in termini di riduzione dei costi operativi derivante da una minore tassazione delle emissioni sarebbe di gran lunga minore rispetto all’investimento iniziale nel progetto di transizione. Dunque, per quanto concerne variazioni minori rispetto al target il management decide di fissare una soglia a 85 mila tonnellate annue come scostamento minimo accettabile rispetto al target.

D’altro canto, il management valuta che una riduzione eccessiva delle emissioni, al di sotto delle 60 mila tonnellate annue, sia sintomo di un grave rallentamento della

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produzione e che quindi, in questo caso, nonostante si osservi una riduzione significativa dei costi operativi, il rallentamento della produzione non consentirebbe di mantenere una soglia di ricavi sufficiente a garantire una corretta operatività. Da queste analisi il management decide di fissare come soglia di variazione massima accettabile un livello pari a 70 mila tonnellate.

Lo step 5.1 si conclude quindi con la definizione di un valore target per ciascun KPI ESG e del livello di Risk Appetite ad essi correlato.