• Non ci sono risultati.

I perché e la struttura del processo

IV. Aspetti metodologici

4.1 I perché e la struttura del processo

In questa fase dello studio verrà presentato un framework finalizzato a dotare le singole imprese di un insieme di logiche necessarie per gestire in modo efficace il processo di transizione. Come abbiamo avuto modo di esporre, l’unico modo per poter mitigare l’avanzamento del cambiamento climatico è l’avvio di un processo di transizione concreto verso un’economia sostenibile. Perché ciò avvenga è necessario che ciascuna impresa analizzi approfonditamente il proprio modello di business in ottica attuale e prospettica in modo tale da adattarlo alle nuove logiche di sostenibilità. La transizione è un fenomeno macroscopico e particolarmente complesso e presenta al contempo diverse fonti di rischio e di opportunità che differiscono in modo significativo da impresa a impresa. Ad oggi non esiste un processo univoco di gestione della transizione che sia implementabile da ciascuna impresa; i report e le analisi sulla sostenibilità nel medio- lungo periodo sono spesso prodotti in modo autonomo e risultano di difficile comparabilità in quanto non esiste un'unica modalità di approccio alla tematica. Questa multiformità nella gestione della transizione contribuisce a rendere problematica l’analisi di tali dati e informazioni da parte di eventuali finanziatori interessati a investire in progetti sostenibili. Come esposto all’interno del Piano d’Azione per il finanziamento della crescita sostenibile (di cui è stato discusso nel paragrafo 3.3.2) una delle tre finalità principali per dare impulso al processo di transizione è quella di riallocare i flussi di capitale incentivando imprese e investitori pubblici e privati a spostare le proprie risorse finanziarie da investimenti brown a progetti finalizzati a una crescita sostenibile. Risulta quindi necessario fornire le imprese di un modello univoco di gestione della transizione che permetta la produzione di set informativi di qualità che siano al contempo comparabili da parte degli analisti.

Dunque, un framework con queste caratteristiche permetterebbe di conseguire due importanti obiettivi; il primo consiste nel dotare le imprese di logiche di gestione di rischi e opportunità legate a un fenomeno relativamente nuovo, la cui analisi non è ancora entrata in modo significativo nella pianificazione aziendale; in secondo luogo

86

consentirebbe agli analisti di poter valutare report che seguono il medesimo schema logico e che presentano informazioni comparabili, aiutando quindi a verificare il grado di sostenibilità del modello di business nell’ambito della transizione e comprendere quali imprese siano più meritevoli da questo punto di osservazione, aiutando quindi nelle decisioni circa la riallocazione del capitale finanziario.

Il framework presentato si riferisce al solo rischio di transizione, non approfondendo la tematica del rischio fisico. Il rischio fisico e le opportunità che ne possono derivare rappresentano una realtà che diverrà sempre più rilevante nel tempo. La scelta di non considerare questa dimensione nel progetto non è sinonimo di una minore importanza della tematica ma è stata fatta per delimitare lo spettro di analisi e renderlo più particolareggiato. Nel futuro è auspicabile che il framework proposto venga ampliato anche con l’introduzione dell’analisi dei rischi e delle opportunità legati ai cambiamenti fisici del clima.

Le logiche proposte dal framework sono implementabili univocamente da ciascuna impresa, indipendentemente dal modello di business o dal settore di appartenenza e possono essere applicate a livelli di analisi più o meno approfonditi. Con ciò si intende che le imprese aventi maggiori risorse e capacità relative a queste tematiche potranno concorrere alla produzione di report particolarmente dettagliati, contribuendo a fornire un insieme di best practices che potranno essere d’aiuto per tutte le imprese che si affacciano per la prima volta a questi temi. Ciò non toglie quindi che tali logiche possano essere implementate anche da società più piccole, calibrandole in linea con le proprie capacità. Dunque, l’utilizzo di un framework comune da una parte aiuterebbe a introdurre un iniziale modus operandi per gestire la transizione in tutte le società che fin ora non avevano approcciato il tema e dall’altro consentirebbe di essere a sua volta migliorato grazie al contributo delle società che hanno già un set di conoscenze e di competenze particolarmente sviluppato.

87

Il framework è strutturato in cinque step36, l’ultimo dei quali si articola in quattro ulteriori sotto-fasi all’interno dell’ambito di Enterprise Risk Management (ERM). I cinque step possono essere a loro volta raggruppati in due macro-fasi.

Di seguito è presentata la struttura in cui si articola il framework: 1. Analisi di materialità dei rischi di transizione

2. Definizione degli scenari di transizione e calibrazione 3. Valutazione degli impatti sul Business

4. Definizione delle strategie

5. Gestione e monitoraggio delle strategie

5.1 Definizione dei KPIs e del Risk Appetite 5.2 Risk Identification

5.3 Risk Quantification 5.4 Risk Monitoring

Si fa presente che il processo non rappresenta un’analisi puntuale di tipo estemporaneo ma dev’essere svolto in modo iterativo sia per quanto concerne la fase di definizione del contesto, sia per quanto concerne il monitoring delle strategie attuate. Si ritiene che una revisione annuale del processo di definizione del contesto possa essere sufficiente mentre, per quanto concerne il monitoraggio delle strategie, esso dev’essere svolto in via continuativa secondo un’ottica di ERM.

La Fase 1 (contenente i primi tre step) è finalizzata alla definizione del contesto di transizione in cui si trova ad operare l’impresa ovvero, a identificare quali siano i fattori di rischio esogeni di transizione e in che modo essi modifichino (tanto nel breve quanto nel medio-lungo periodo) l’ambiente esterno in cui l’impresa si trova ad operare. La Fase 1 permette al management di costruire un set informativo completo che facilita l’efficace formulazione di strategie da implementare per adattare il modello di business al contesto di transizione. La Fase 2 infatti, inizia con la definizione delle strategie finalizzate alla gestione della transizione basandosi sulle informazioni ottenute grazie ai primi tre step.

36 Nella definizione della struttura del framework si è ritenuto corretto seguire le linee guida e i technical

supplement della TFCD. Per approfondire il tema si rimanda agli studi Implementing the Recommendations

of the Task Force on Climate-related Financial Disclosures (2017) e The Use of Scenario Analysis in Disclosure of Climate-Related Risks and Opportunities (2017)

Fase 1) Definizione del contesto – Fattori di rischio esogeni di transizione

Fase 2) Gestione delle strategie di transizione – Fattori di rischio strategici di transizione

88

Lo scopo della Fase 2 è quello di gestire e monitorare correttamente le strategie di transizione che si vogliono implementare alla luce dei rischi ad esse connessi.

Un punto fondamentale su sui fare chiarezza è la distinzione tra i fattori di rischio esogeni di transizione, che vengono studiati all’interno della Fase 1, e i fattori di rischio strategici di transizione, che sono analizzati all’interno della Fase 2. Nonostante l’ambiguità lessicale vi è una differenza profonda tra queste due dimensioni; i fattori di rischio relativi alla prima categoria sono quelli di cui abbiamo già trattato più volte all’interno di questo studio37 e rappresentano dei fattori che impattano sull’ambiente esterno in cui opera l’impresa, sono delle fonti di rischio che esistono indipendentemente dalle strategie adottate dall’impresa e alle quali essa si deve necessariamente adeguare. D’altro canto, definiamo il concetto di rischio strategico di transizione come il rischio di scostamento dagli obiettivi di transizione fissati in fase di definizione delle strategie.

Per comprendere meglio facciamo un esempio: il management dell’impresa ALFA definisce un set di strategie per reagire agli stimoli esterni di transizione (dettati dai rischi esogeni di transizione e dalle opportunità connesse) e aumentare il grado di resilienza del modello di business. Nel fare questo, fissa determinati target di tipo ESG che rappresentano gli obiettivi di transizione da perseguire e i connessi Risk Appetite ovvero gli scostamenti che l’impresa è disposta a sostenere nel perseguimento dei suoi obiettivi. Ipotizziamo in questo caso che venga definito un obiettivo di riduzione delle emissioni annuali di GES di 100 tonnellate entro due anni (in vista di un rincaro delle tariffe sulle emissioni) e che il management sia disposto a sostenere uno scostamento negativo massimo del 10%. Quindi, in questo caso, il management non ritiene di subire un impatto eccessivamente penalizzante finché si riuscirà a ridurre le emissioni per un minimo di 90 tonnellate, diversamente, scostamenti maggiori del 10% non daranno benefici sufficienti in termini di risparmio sui costi delle emissioni tali da giustificare l’investimento di transizione. La possibilità che si assista ad uno scostamento maggiore esiste e rappresenta esattamente ciò che abbiamo inteso come rischio strategico di transizione, il quale può derivare da differenti fonti di rischio ad esempio ritardi nel avanzamento del progetto o riduzioni dei fondi necessari al rimborso dei finanziamenti per cui è necessario lo stop del progetto stesso. Dunque, ogniqualvolta si definiscono dei target e un Risk Appetite, si

37 Ci riferiamo alle quattro categorie standard di classificazione del rischio di transizione: Tecnologico,

Politico-Giuridico, Mercato e Reputazionale. Per un’analisi approfondita dei rischi di transizione di tipo esogeno si veda il paragrafo 2.2 “L’impresa e i cambiamenti climatici”.

89

presenta anche il connesso rischio di scostamento da tali obiettivi, la Fase 2 ha quindi la finalità di consentire al management di monitorare il raggiungimento degli obiettivi alla luce dei rischi strategici di transizione connessi.