La ricerca sul consumo alimentare ha ampiamente dimostrato che la scelta di quanto mangiare (o non mangiare) non è semplicemente guidata da meccanismi fisiologici interni, ma risulta fortemente influenzata dal desiderio di suscitare negli altri un’impressione positiva. Dalla quantità di cibo che scegliamo di mangiare nei diversi contesti sociali, per esempio durante una cena romantica, tra amici o di lavoro, i nostri commensali sono in grado di formarsi un’impressione di noi. In particolare, la letteratura mostra che la quantità di cibo è una informazione rilevante soprattutto per valutare la femminilità delle donne. In uno dei primi studi su questo argomento, Chaiken e Pliner (1987) hanno chiesto a partecipanti di entrambi i generi di leggere il diario alimentare di un target maschile o femminile sconosciuto. I pasti descritti erano scarsi o abbondanti a seconda della condizione sperimentale. Successivamente, i partecipanti valutavano il target su una serie di tratti, tra cui la mascolinità e la femminilità. Dai risultati è emerso che le donne traevano maggiori vantaggi sociali se limitavano l’assunzione di cibo:
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infatti, quando erano descritte mangiare poco erano percepite come più femminili e socialmente attraenti di quando mangiavano molto. Tali giudizi risultavano condivisi dai partecipanti indipendentemente dal loro genere. La valutazione del target maschile invece non era influenzata dalla quantità di cibo consumata. Risultati simili sono emersi anche in studi successivi che hanno utilizzato questo paradigma (e.g., Vartanian, 2000).
L’esistenza di stereotipi di genere legati al cibo è emersa anche in situazioni «più reali». Pliner e Chaiken (1990) hanno offerto la possibilità ai/alle partecipanti di mangiare delle tartine mentre svolgevano un compito insieme a un/a altro/a partecipante. Ancora una volta le donne che mangiavano molto erano percepite dagli altri partecipanti al compito come meno femminili rispetto a quelle che limitavano l’assunzione di cibo.
Questi risultati hanno portato diversi autori a verificare anche al di fuori del laboratorio se le donne si comportano secondo quella che viene definita la eating lightly hypothesis. Mori, Chaiken e Pliner (1987) hanno rilevato che sia gli uomini che le donne mangiavano meno mentre erano in compagnia di un partner di sesso opposto. Tuttavia, le donne mostravano una tendenza significativa a limitare la loro assunzione in presenza di un partner maschile desiderabile, e non quando il partner maschile era poco attraente, presumibilmente con lo scopo di apparire più femminili. In un secondo studio, le stesse autrici hanno riscontrato che le partecipanti limitavano il loro consumo di cibo in presenza di un partner maschile, soprattutto quando la loro identità femminile era minacciata (cioè, quando veniva fatto credere loro che i loro interessi, indicati in un questionario precedentemente compilato, risultavano tipicamente maschili e che il partner maschile era a conoscenza di tale risultato). Quindi, per queste partecipanti mangiare poco rappresentava un modo per riaffermare la propria identità femminile.
Studi sul campo confermano che le donne variano strategicamente la quantità di cibo ingerita in funzione del contesto sociale. Nelle coppie, infatti, sembra che le donne mangino di più quando sono con un’altra donna piuttosto che un uomo (Young, Mizzau, Mai, Sirisegaram e Wilson, 2009) e che mangino meno con un estraneo che con il loro partner (Salvy, Jarrin, Paluch, Irfan e Pliner, 2007). Nei gruppi, invece, le donne mangerebbero meno in funzione del numero di uomini presenti, mentre la presenza di altre donne sembrerebbe avere un impatto positivo sul consumo di cibo (Young, et al., 2009).
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Indagando le cause che portano alla restrizione di cibo, Pliner e Chaiken (1990) hanno chiesto ai partecipanti quali motivazioni guidassero il loro comportamento alimentare in situazioni sociali, soprattutto quando interagivano con un partner di sesso opposto. Dai risultati è emerso che sia gli uomini, sia le donne diminuivano la quantità di cibo spinti dal desiderio di fare una buona impressione sul partner, tuttavia per le donne questo comportamento era motivato dal voler apparire più femminili agli occhi dei commensali. Le donne quindi sembrano essere consapevoli che il loro comportamento alimentare influenzerà l’impressione che gli altri, soprattutto sconosciuti, si faranno di loro e di conseguenza riducono la quantità di cibo per influenzarla positivamente. A questo proposito O’Doherty Jensen e Holm, (1999) suggeriscono che gli individui, durante il processo di socializzazione, imparano quali sono le caratteristiche dello stile alimentare femminile e dello stile alimentare maschile, e imparano quali sono i vantaggi (o gli svantaggi) sociali dell’adeguarsi (o non adeguarsi) a questi comportamenti alimentari stereotipici.
Oltre alla quantità, anche il tipo di cibo ha una forte connotazione di genere: la carne, soprattutto la carne rossa, è ritenuta una pietanza tipicamente maschile, mentre la verdura, la frutta, il pesce e i latticini sono ritenuti tipicamente femminili (Vartanian, 2015). Tuttavia, allo scopo di presentare al meglio se stessi in situazioni sociali, le persone sono più attente al controllo della quantità di cibo che alla qualità dello stesso (Cavazza, Guidetti e Butera, 2017).
L’idea che le donne debbano limitare l’apporto calorico è inoltre incoraggiata nelle società occidentali in cui, se sono in sovrappeso sperimentano un maggiore stigma sociale rispetto agli uomini (O’Doherty Jensen, 2003). Tale rappresentazione è anche perpetuata dalle norme culturali che, esaltando forme longilinee, equiparano la bellezza femminile con la magrezza (Polivy, Garner e Garfinkel, 1986). Di conseguenza, comportamenti volti al controllo e alla restrizione alimentare sono diventati sempre più diffusi tra le donne, così come l’insoddisfazione verso il proprio corpo (Smolak, 2006; Tiggemann, 2003). Nonostante questa tendenza al controllo, è esperienza comune, soprattutto in situazioni conviviali, esagerare con il cibo. Gli studi sulla facilitazione sociale, infatti, mostrano che le persone mangiano di più quando sono insieme ad altri, soprattutto amici o familiari, rispetto a quando sono sole, e che la quantità di cibo ingerita è correlata al numero di commensali (Herman, 2015). Tale effetto è maggiore quando le persone “mangiano
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fuori”: in questi casi le persone sembrano utilizzare uno script condiviso secondo cui ci si aspetta di consumare più cibo (Cavazza, Graziani e Guidetti, 2011). Se, come la letteratura mostra, la quantità di cibo rappresenta una variabile importante per le donne nella presentazione di sé, mentre le occasioni sociali portano spesso ad esagerare con il cibo, allora è importante chiedersi quali siano le conseguenze del trasgredire la norma sociale del «mangiare poco» e quali siano le strategie che le donne utilizzano per contrastare tale trasgressione.