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Web 2.0: un ambiente ostile alle donne

dalla pubblicità ai social network

1. Web 2.0: un ambiente ostile alle donne

Negli ultimi anni i siti di social networking sono diventati un importante canale di comunicazione per milioni di persone. Mentre queste tecnologie offrono opportunità preziose per stabilire nuovi rapporti personali e professionali e per condividere informazioni, va tuttavia evidenziato come nelle interazioni sociali online siano in aumento i livelli di aggressività espressa. Questo fenomeno viene definito in modi diversi fra cui cyber-hate, cyber-bullying, cyber-harassment etc.

Quali sono le specificità dell’ambiente online che facilitano l’espressione di una comunicazione aggressiva? Suler (2004) parla di online disinhibition effect, per definire l’effetto di disinibizione (spesso negativo) che può verificarsi nel comportamento degli utenti online proprio per le caratteristiche intrinseche del web e dei social network. Fra i fattori che individua, l’invisibilità si riferisce sia alla condizione di anonimato in cui si

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trova l’utente sia alla condizione di impossibilità da parte dello stesso utente di cogliere un eventuale stato emotivo di disagio del proprio interlocutore a partire dall’osservazione di segnali non verbali del volto o del corpo. Nelle interazioni faccia a faccia la possibilità di comunicare e inviare segnali non verbali di approvazione/disapprovazione assume un’importanza cruciale nel regolare l’interazione sociale, contenendone anche gli aspetti aggressivi (Fox, Cruz, e Lee, 2015; Suler, 2004). Suler (2004) concettualizza la

dissociative anonymity (anonimità dissociativa) come quella condizione per cui si

dissocia il comportamento online dal comportamento offline. L’anonimato che alcuni social network consentono può promuovere una dissociazione fra il proprio comportamento abituale e il comportamento (negativo) assunto online. Si percepisce per questo la propria identità online - protetta dall’anonimato – come qualcosa di distinto e separato dalla propria identità «reale». Poiché Facebook non consente un accesso anonimo come ad esempio Twitter o Instagram, più adatto a spiegare il comportamento di disinibizione online su Facebook è l’immaginazione dissociativa (dissociative

imagination) che si collega all’anonimità dissociativa. Quest’ultima ha a che fare con il

crearsi un’identità alternativa online che consente di assumere comportamenti che offline non si assumerebbero mai. L’asincronicità dell’ambiente riduce il senso di immediatezza della comunicazione limitando l’impatto negativo percepito del proprio messaggio. Il non ricevere immediatamente una risposta per il proprio messaggio spiacevole può indurre a percepire quel messaggio come meno sgradevole di quanto non lo sia in realtà. La

minimizzazione dello status e dell’autorità ha a che fare con l’effetto di annullamento

delle differenze in termini di status quando si è online. Se lo status o l’autorità differente possono essere percepite nell’ambiente offline come un regolatore dell’interazione, questo accade meno nell’ambiente online. Inoltre la mancanza percepita di autorità/regole/leggi che monitorano e regolano il comportamento online è un fattore che spinge le persone a considerare il proprio comportamento aggressivo online più accettabile di quanto non lo sia in realtà.

Accanto a questa aggressività generalizzata, va rilevata una specifica e crescente aggressività online espressa nei confronti delle donne. Sono numerose le etichette che in letteratura sono state adottate per descrivere questo fenomeno quali ad esempio

cybersexual harassment, oppure online gender harassment o ancora gendertrolling. A

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all’interno delle quali far rientrare le tipologie di molestie online nei confronti delle donne (Powell e Henry, 2017). La prima relativa alle sollecitazioni sessuali online riguarda l’inviare richieste non desiderate a contenuto sessuale via email, chat o social media. La seconda riguarda le molestie basate su immagini sessuali, fra le quali possiamo annoverare l’inviare alla vittima immagini nude di sé o immagini sessualmente esplicite, la creazione e distribuzione di foto o video manipolati in cui la vittima è rappresentata in modo sessualmente compromettente o degradante, l’uso di siti internet o pagine di social network per pubblicare e valutare e/o denigrare immagini di donne/ragazze. La terza categoria è relativa alle minacce di stupro e infine la quarta è relativa al linguaggio d’odio, termine con cui possiamo tradurre l’espressione inglese hate speech ovvero un linguaggio offensivo che esprime mancanza di rispetto, odio e volontà di umiliazione nei confronti dei membri di un gruppo minoritario (Brison, 2013). Da un’indagine italiana condotta da VOX (osservatorio italiano sui diritti) nel 2015 su Twitter (http://www.voxdiritti.it/ecco- le-mappe-di-vox-contro-lintolleranza), è emerso che su un totale di 1.800.000 tweet pubblicati nell’arco temporale gennaio-agosto 2014 il 61% conteneva insulti e offese contro le donne. Come ha argomentato la giornalista americana Amanda Hess (2014) – denunciando la tolleranza della cultura della violenza nell’ambito informatico – Internet non è un posto per donne, essendo le stesse spesso messe a tacere, private della loro competenza e trattate come sprovviste della capacità di parlare. Lo scopo del linguaggio aggressivo online e delle minacce sessuali contro le ragazze e le donne è, infatti, quello di intimidirle e controllarle generando sentimenti di paura. Come effetto, molte donne, più e meno giovani, scelgono di ritirarsi dai social network, perdendo come conseguenza le opportunità relazionali e professionali connesse a questi mezzi. Il comportamento aggressivo nei confronti delle donne assume così i connotati di una «polizia di genere» che rafforza la conformità con gli stereotipi di genere tradizionali e ribadisce le disuguaglianze fra uomini e donne (Barak, 2005).

Sebbene vi sia una consistente mole di letteratura sulle molestie sessuali in generale, la ricerca sul modo in cui questo fenomeno si verifica online e sul modo in cui può essere impedito e contrastato è ancora scarsa, soprattutto nel contesto europeo. La ricerca esistente proviene per lo più dagli Stati Uniti, dove emerge che le molestie cyber-sessuali presentano come target privilegiato le ragazze (Pew, 2017). Per quanto riguarda l'Europa,

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la European Union Agency for Fundamental Rights (FRA, 2014) ha dimostrato che sono le ragazze di 18-29 anni ad essere le più bersagliate dalle molestie online.

Le molestie online sono un fenomeno preoccupante perché colpisce la vita personale e professionale delle donne negando loro, oltre che l’inclusione nelle forme di comunicazione oggi più diffuse, anche la cittadinanza digitale, le opportunità economiche collegate al mondo della rete e la partecipazione democratica (Mossberger, Tolbert, e McNeal, 2007). Emblematica, nel 2014, la campagna online «Gamergate», attraverso cui alcune programmatrici di spicco del settore dei videogiochi (Zoë Quinn, Brianna Wu e Anita Sarkeesian) sono state bersaglio di minacce di stupro e di morte per aver criticato con fermezza l’assenza di diversità dei ruoli femminili nei videogiochi e la rappresentazione ipersessualizzata delle donne negli stessi (Lees, 2016).

2. Uno studio esplorativo sulla comunicazione social di personaggi pubblici