4. IL CASO DI N
4.1 Storia di N
N. è rimasto in posizione podalica fino all’ultima settimana di vita intrauterina; nella visita dopo il parto tradizionale alla visita viene sentito uno strano rumore al torace dopo l’ascolto con lo stetofondendoscopio, la prima ipotesi fu una sospetta destrocardia. Nei successivi accertamenti la destrocardia fu esclusa e la motivazione di questo rumore anomalo che si sentiva ascoltando il torace fu attribuito alla posizione podalica mantenuta fino a poco prima della nascita.
Furono fatti accertamenti periodici all’età di un anno e due anni per escludere complicanze. La cardiografia e la visita cardiologica fatta all’età di un anno esclusero complicanze cardiache. Nel controllo successivo (età N. di 22 mesi) tentarono di eseguire una radiografia toracica, alla quale N. non volle sottoporsi con prima “crisi” caratterizzata da urla e ai pianti. Qualche giorno dopo fu possibile fare la cardio radiografia con la presenza del padre. Però in seguito al primo tentativo di cardiografia N. inizia ad assumere comportamenti insoliti che mai prima erano stati presenti in lui. N. fino all’età di 22 mesi aveva uno sviluppo cognitivo e abitudini allineate con la fascia di età. A 22 mesi mangiava in autonomia, senza ausilio del seggiolone. Da quel giorno però ogni volta che la madre tentava di sollevarlo da terra per posizionarlo sulla sedia iniziavano le crisi(caratterizzate da urla, pianti e paura), le prime proprio successive al tentativo del cardiografia. Questo avvenne per il pranzo, però una volta messo a sedere N. mangiò il pranzo tranquillamente. Sempre quel giorno, di sera, si presentò una situazione analoga quando N. fu sollevato per essere messo nella vasca da bagno. Nessun comportamento faceva pensare all’imminente crisi, N. fu spogliato per il bagno, era tranquillo, ma nel momento in cui fu sollevato si presentò la crisi, con gridi di spavento e cominciò a piangere. Questi furono i primi comportamenti strani, che N. non aveva mai avuto in precedenza. Il giorno seguente fu contattato subito il pediatra, andarono a fare una visita, ma niente in quel momento fece capire cosa potesse essere accaduto. La prima ipotesi fu che N. potesse essere
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rimasto spaventato dalla stanza buia e dal macchinario che si muoveva per fare la radiografia. Aspettarono qualche giorno per vedere se si fosse notato qualche cambiamento, qualcosa che potesse chiarire la situazione. Nei giorni successivi N. iniziò a giocare in modo strano. Iniziarono i primi comportamenti stereotipati, N. iniziò a roteare forte su sé con il braccio destro disteso con la mano aperta e lo sguardo rivolto verso essa. Dopo questo movimento veloce N. barcollava (si pensa che in seguito a questa attività le prime volte avesse la sensazione di “sbandamento”) senza mai tuttavia cadere. Camminando iniziò a passare col lato del corpo accostato a ciò che delimitava il luogo in cui era (pareti, siepi), sempre con lo sguardo rivolto lateralmente, talvolta correndoci vicino. Oltre a roteare su se stesso iniziò a trasferire questo moto ai giochi. N. iniziò a far girare tutti gli oggetti che gli capitavano sotto mano, osservando compiaciuto questo moto. N. all’età di due anni aveva eliminato l’utilizzo del pannolone, lo utilizzava non in maniera continuativa ma solo per fare i propri bisogni. N. si rifiutava di usare il wc ed era capace di trattenere la pipì anche per 22 ore. All’età di 11 anni N. iniziò a fare i suoi bisogni sul wc.
Nella crescita di N. ci sono stati vari blocchi; in certi periodi N. non voleva bere ed in altri mangiava molto lentamente.
In seguito a questi eventi i genitori in accordo col pediatra decisero di vedere il comportamento di N. in gruppo, per questo N. fu iscritto all’asilo nido. N. all’asilo stava sempre da solo e in disparte, negli angoli vicino ai radiatori. Dopo due mesi di asilo su i sei che erano stati programmati in accordo, col pediatra si decise di fare una visita alla neuropsichiatria infantile di Pisa. N. fu tenuto sotto osservazione per sei mesi, gli furono fatte domande a cui non rispose, non conosceva gli oggetti e durante la giornata piangeva molto, come se avesse sempre un malessere psichico; stava male, era angosciato e trasmetteva angoscia pure a chi gli stava vicino perché non capivano cosa avesse. I dottori non ebbero chiara subito la situazione in quanto aveva dei comportamenti che non erano proprio in linea con l’autismo. N. guardava negli occhi le persone, distoglieva lo sguardo ma dopo aver preso un contatto visivo (l’autistico ha proprio difficoltà fin da subito a stabilire un contatto visivo), gli piaceva il contatto con le persone;
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in particolare farsi accarezzare (anche questa cosa non è in linea con l’autismo).
La diagnosi non fu chiara, ipotizzarono che questi comportamenti fossero dovuti alla poca presenza del padre che come mestiere fa il panettiere, per cui N. poteva avere carenze affettive e parziale mancanza della figura paterna. La famiglia d’accordo col pediatra decise di fare ulteriori visite presso la Stella Maris dove N. fu tenuto sotto osservazione per quindici giorni. La diagnosi, arrivata all’età di tre anni fu di disturbo generalizzato dello sviluppo. Nel novembre del 1995 iniziarono le prime terapie presso la Stella Maris e nello stesso mese fu fatta una visita a Siena, nel reparto di neuropsichiatria infantile con il Prof Zappella. A quel punto la diagnosi fu chiara. N. aveva grosse difficoltà cognitive e già all’età di quattro anni iniziò privatamente un percorso di logopedia e continuò il percorso di terapie alla Stella Maris. All’età di sei anni N. fu tenuto sotto osservazione in day hospital per tre giorni nel reparto di neuropsichiatria infantile di Siena. Fu consigliato di sfruttare il canale visivo che N. aveva ben sviluppato per aiutarlo nella comunicazione non verbale. Fu adottato il PCS comunicazione aumentativa alternativa. L’iscrizione alle scuole elementari fu ritardata di due anni, che furono utilizzati per aumentare la conoscenza di cose e verbi. Così N. iniziò a capire maggiormente ciò che gli veniva chiesto e detto. Parallelamente N. inizio a frequentare corsi di cavallo con frequenza settimanale, la lezione era strutturata in due parti. Nella prima parte N. accudiva il cavallo e successivamente iniziava la parte centrale della lezione. Accudire il cavallo aiutò un poco a capire a N. la cura del proprio corpo ed in particolare l’igiene. N. iniziò a farsi il bagno impugnando la spugna come impugnava la spazzola con cui puliva il cavallo, col passare del tempo N. riuscì ad adattare la propria impugnatura, ma la cosa più importante fu che N. capì il senso del lavarsi. Salire sul cavallo fu difficoltoso per la paura che N. aveva, quando improvvisamente un giorno vedendo il fratello maggiore salire sul cavallo fece cadere questa paura e N. iniziò a salire da quel giorno senza problemi. L’imitazione e la competitività che è presente tra fratelli servirà da stimolo più volte durante la crescita di N.
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Successivamente per facilitare la comunicazione furono fatti delle schede personalizzate per N. dove c’erano raffigurate le attività della sua vita quotidiana, i luoghi che di solito frequentava, le persone che maggiormente incontrava, i dolori fisici.
N. continuava ad avere paura di essere sollevata da terra e neanche l’altalena, che da piccolo era uno dei suoi passatempi preferiti poteva fargli vincere questa paura.
Si rifiutava di salire su qualsiasi mezzo a due ruote e anche il galleggiare in acqua, (capacità innata di N. mantenuta nel tempo) non era tollerata. N. quando l’acqua raggiungeva il livello del collo tornava indietro. Nell’estate del 2003, quando N. era in vacanza con la famiglia riesce a sconfiggere la paura dello staccare i piedi da terra. In mare viene trainato dal fratello che nuota, come se ciò fosse una cosa che avveniva solitamente. I giorni seguenti N. continua a giocare in acqua col fratello quando improvvisamente decide di mollare la presa che aveva salda sul fratello ed iniziò a nuotare, senza paura e come se fosse un attività che svolgeva quotidianamente da tempo.
N. è sempre stato un attento osservatore, quando dopo aver osservato attentamente un’attività capisce che non vi sono pericoli e si fida della situazione creata acquisisce fiducia fa con naturalezza cose che fino a qualche minuto prima erano impensabili.
Durante la crescita la famiglia di N. cercava di fargli fare una vita in linea con l’età, tenendo sempre conto delle problematiche. N. usciva spesso con la madre e il fratello, andava al parco. Nei momenti in cui N. si agitava e aveva qualche crisi la famiglia lo portava a casa e poi lo riportavano nel luogo dove aveva avuto comportamenti isterici, quando ciò era sensato e possibile. Queste abitudini hanno aiutato molto N. a tollerare sempre di più situazioni che non gli andavano a “genio”, N. per quanto possibile è stato cresciuto come un ragazzo della sua età e nonostante la sua malattia non l’aveva “vinta” facilmente. Penso che questo aspetto educativo abbia inciso molto su N., infatti in tutte le numerose attività svolte nel corso degli anni N. si è sempre trovato bene con tutte le persone che sono venute a contatto. Infatti all’età di 15 anni N. inizia a fare le prime vacanze fuori casa organizzate dall’ A.S.D con cui N. faceva equitazione.
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Fin dalla scuola materna N. è stato affiancato da insegnanti di sostegno; N. ha avuto un buon percorso scolastico, infatti conosce i numeri, le lettere, sa leggere e scrivere. Si è diplomato all’istituto magistrale. Negli ultimi anni di scuola N. ha iniziato un percorso di inserimento, prima pomeridiano poi mattutino, in un centro riabilitativo dove vengono fatti vari laboratori di cucina, pittura, falegnameria e teatro.
N. è sempre stato sensibile agli odori sgradevoli, li percepisce in maniera amplificata e fa capire che ciò lo infastidisce inspirando ed espirando in maniera forzata. Il riposo notturno è sempre stato buono. Non è mai stato restrittivo col cibo, ha fastidio solo nell’ingerire cibi molli come ad esempio stracchino, nutella.
Per quanto riguarda il linguaggio il percorso di N. è stato il seguente: a 8 mesi vengono pronunciate le prime parole (mamma, bombo che per lui significava acqua). A 10 mesi inizia a pronunciare il nome del fratello. Intorno ai 18 mesi si verifica una regressione nel linguaggio, N. non diceva più nemmeno queste parole. Il metodo PCS consigliato dalla neuropsichiatria infantile di Siena fu utilizzato per facilitare la comunicazione perché N. aveva bisogno di comunicare, anche se fu ipotizzato che questo metodo avrebbe potuto rallentare lo sviluppo del linguaggio visto che comunque gli avrebbe consentito di comunicare. N. era troppo nervoso perché non riusciva a farsi capire.
Questo metodo fu utilizzato in tutti i luoghi frequentati da N. Il lavoro è sempre stato rivolto a limitare le sue carenze. A scuola furono fatti numerosi laboratori manuali con das, pasta molle, pittura e sabbia per migliorare l’uso delle mani e fargli accettare il contatto con questi materiali che sporcavano le mani, cosa che a N. non piaceva.
Fu sviluppato un programma per aumentare l’autonomia di N. con educatori specializzati nel pomeriggio in cui il fine era quello di insegnargli l’uso del semaforo per i pedoni e capire l’uso della moneta.
Intorno ai 12 anni il lavoro sull’autonomia si spostò anche in ambito domestico, iniziarono le prime faccende come spazzare, apparecchiare e cucinare cose semplici come pasta, uova e dolci. L’ordine cronologico delle ricette era scandito da schede che facevano da ricettario e aiutavano a rispettare l’ordine per la preparazione dei pasti.
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A scuola aveva un cartellone dove giornalmente venivano appese le attività e le materie che avrebbe dovuto svolgere a scuola, questo dava serenità a N. Negli anni le schede per la comunicazione cartacee iniziarono ad essere limitate per N. che conosceva molti simboli e voleva farsi capire molto di più ed esprimere più cose. Aveva sviluppato una cosa molto importante, la voglia di comunicare e di farsi capire. Vi furono dei progressi nella comunicazione verbale, che andarono avanti per qualche anno fino ad una nuova brusca interruzione.
La famiglia continuava lo stesso a stimolare la sua voglia di comunicare, senza mettere pressione, ma questo lui lo percepiva a tal punto da affermare un giorno alla madre di non voler parlare, dicendo: “ io no parlare”. All’età di undici anni N. viene seguito dalla Usl dove vengono confermate le schede per la comunicazione. In età adulta viene deciso in accordo con i dottori che seguono N. dopo vari test che indicano che N. è pronto per l’ausilio del tablet per la comunicazione. Questo dispositivo tecnologico per la comunicazione consente a n. di avere più simboli per la comunicazione a disposizione e se qualche simbolo fosse mancato c’è la possibilità di usare la tastiera per comunicare. La voglia di comunicare in lui è aumentata e adesso anche se non viene compreso e molto paziente mentre prima si innervosiva facilmente.