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3.2 Artiste e gruppi di neoavanguardia

3.2.2 Strategie d’affermazione

Le esperienze di gruppo prese in esame restituiscono alcune sfaccettature della vivace seppur breve stagione delle poetiche di neoavanguardia.

In questo periodo, l’affermazione del singolo è condizionata da specifiche dinamiche corali che per certi versi rispondono alle regole del mainstream e per altri sono determinate dai gruppi stessi. Riflettendo sulle ragioni a monte della nascita dei collettivi, afferma Lamberto Pignotti:

l’attuale ordinamento culturale sembra sempre più scoraggiare l’azione dei singoli artisti che si sentono naturalmente portati in qualche modo a coalizzare le loro forze. Si assiste così al formarsi di raggruppamenti che, al più basso gradino della gerarchia culturale, si limitano a rivendicare una più vasta libertà di circolazione per le proprie opere e una conseguente maggiore attenzione da parte di fruitori e critici e, ai più alti gradini della stessa scala, si costituiscono in veri e propri gruppi di pressione sociale.306

Nonostante la presenza di donne sia contemplata nella maggior parte dei casi, le

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C. Ricciardi, ripr. in P. Pitagora, Fiato d'artista: dieci anni a Piazza del Popolo, Sellerio, Palermo 2001, pp. 83-84.

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artiste operano in un orizzonte ancora sessista dove, pur avendo alle spalle un percorso di formazione analogo a quello dei colleghi, sono oggetto, nei casi di non aperto antagonismo, di maggiori riserve e di tempi di riconoscimento più lunghi.

Questo andamento varia anche sensibilmente a seconda dei gruppi e delle geografie culturali di riferimento. In ambito cinetico-visuale l’utopia modernista dell’artista che crea la società, l’affermazione del lavoro anonimo e corale a discapito del culto della personalità isolata, predestinata e geniale, favorisce la nascita di compagini non gerarchiche e più aperte alla partecipazione femminile. Organizzazioni simili facilitano al loro interno il confronto paritario, incoraggiano un intervento allargato e meno discriminatorio e danno modo alle donne di esprimersi anche sul piano teorico. Cionondimeno, le neoavanguardiste sono coscienti di agire in un quadro fortemente connotato al maschile, impregnato dalla tradizione vasariana dell’artista-genio, per cui la loro presenza è concepibile solo nell’ordine dell’eccezione. In questa prospettiva, dimostrano dunque una certa astuzia, giacché il loro riscatto è frutto di un comportamento pragmatico che le induce a riconfigurare atteggiamenti e attitudini alla luce del contesto in cui lavorano. Nel complesso, si muovono in un «campo sociale dell’arte»,307

per dirla come Bourdieu, di cui pur di entrarvi accettano le logiche di dominio maschile come legittime, partecipando così al processo della loro riproduzione. Per quanto possano godere di uno status formale di parità rispetto ai loro colleghi, l’adesione all’economia di significazione maschile si ravvisa, ad esempio, nella propensione a cercare d’inserirsi in équipe di soli uomini. La presenza di donne nei gruppi neoavanguardistici pur se - o proprio perché - minoritaria, consente loro di aggirare le asimmetrie di genere. Una volta accolte o riconosciute nei collettivi possono velocizzare il percorso d’affermazione.

D’altra parte, lo stesso Dorfles riconosce alla costituzione dei gruppi una «esclusiva ragione pratica e utilitaria: creare una ‘massa d’urto’ e ottenere così un più facile accesso all’agone artistico di quanto non sarebbe possibile all’individuo singolo».308

Motivazione ancora più valida per le donne poiché la trama dei rapporti di forza, stabiliti nel campo, fa da base alla rete di relazioni d’interdipendenza tra i soggetti coinvolti inducendoli al riconoscimento reciproco.309 In tal modo, la dignità d’artista

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Cfr. P. Bourdieu, Quelques proprietès des champ, «Questions de Sociologie», novembre 1976.

308

G. Dorfles, in Le problematiche artistiche di gruppo, «Arte oggi», cit., p. 27.

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passa attraverso il successo del gruppo (maschile) d’appartenenza: sicché, a livello simbolico, il sistema-gruppo agisce come lasciapassare, visto che il riconoscimento individuale è conseguente a quello collettivo.310

Al contrario nei gruppi individuati e promossi dalla critica, l’assenza di orientamenti programmatici prestabiliti indebolisce il cameratismo tra gli artisti. Nella Scuola di Piazza del Popolo, ad esempio, il venir meno di un obiettivo condiviso e l’inanità della cooperazione rinsalda forme di rivalsa e pregiudizi sessuali. Un trend che si accentua nella seconda parte del decennio Sessanta, quando lo scioglimento di gruppi di neoavanguardia contestualmente al ripristino dei ruoli tradizionali nel campo dell’arte riattiva dinamiche discriminatorie nei confronti delle artiste. Basti pensare, ad esempio, al movimento Arte povera, sorto nel 1967 e teorizzato dal critico Germano Celant.311 Anche in questo caso, l’etichetta gruppo è calata dall’alto per unificare personalità e poetiche vicine tra loro. Il percorso di Marisa Merz, moglie di Mario Merz e unica donna del gruppo, segue una traiettoria del tutto singolare: alla presenza attiva alle fasi di gestazione del collettivo corrisponde un processo di misconoscimento sul piano storico e critico.312 La sua incostante partecipazione alle mostre e la tardiva storicizzazione della sua poetica ben rendono i risvolti dannosi del ripristino di un

Bologna, Il Mulino, 2004, p. 97.

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Ad esempio, per Alan Bowness, tale iter può assume la forma di quattro cerchi concentrici, il cui diametro è direttamente proporzionale alla notorietà raggiunta dall’artista. Ma nel nostro caso a passare da un cerchio all’altro, prima che l’individuo in sé è il gruppo di cui fa parte. V: A. Bowness, The Conditions

of Success. How the Modern artist Rises to Fame, Thames and Hudsun, Londra 1989. Sulle dinamiche

sociologiche che regolano il campo dell’arte si veda inoltre: e H. Becker, Art Worlds, University of California, Bekerley-Los Angeles 1982, trad. it., I mondi dell’arte, Il Mulino, Bologna 2004.

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Il gruppo di artisti esordisce nel 1967 alla Galleria La Bertesca di Francesco Masnata a Genova, dove espongono Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Giulio Paolini, Pino Pascali e Angelo Prini. Il V numero di Flash Art dello stesso anno pubblica il manifesto redatto dal critico che affilia al gruppo anche Giovanni Alselmo, Mario Merz, Gianni Piacentino, Michelangelo Pistoletto e Gilberto Zorio nella mostra Arte povera del 1968 alla Galleria de' Foscherari di Bologna. Questi artisti espongono ancora insieme a Trieste al Centro Arte Viva-Feltrinelli, dove si aggiunge Piero Gilardi, infine nella manifestazione Arte povera + Azioni povere negli Arsenali di Amalfi nel 1968, che vede coinvolta anche Marisa Merz. V. G. Celant, Arte Povera, cit.

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Nella prima metà degli anni Sessanta, l’artista fa vita ritirata, impegnata ad accudire la figlia Bea e a collaborare con Mario Merz. L’isolamento casalingo in cui si chiude, alimentato dalla poetica sperimentale del marito, la inducono a sviluppare una particolare ricerca espressiva sul filo in relazione con l’infanzia della figlia; ricerca i cui risultati sono presentati nei suo studio a Torino nel 1966, l’anno successivo in una personale alla Galleria Sperone presentata da Tommaso Trini, e in ultimo nel 1968 agli Arsenali di Amalfi. Nonostante la presenza di Marisa Merz nel movimento sia costante e discreta sul piano personale, tempestiva e originale su quello poetico, l’artista è esclusa da When attitudes become

form, organizzata da Szeemann presso la Kunsthalle di Berna 1969, dal volume Arte povera e

dall’esposizione Conceptual art, arte povera, land art curata da Celant presso la Galleria civica d’arte moderna e contemporanea. La storicizzazione di Marisa Merz avviene dunque solo diversi anni dopo la parentesi poverista. V: C. Italiano (a c. di), A proposito di Marisa Merz, cit.

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assetto tradizionale che segue il rapido dissolvimento dei gruppi programmatici. In contesti simili il sostegno di uomini influenti è un fattore primario nella realizzazione delle artiste. Relazioni sentimentali con artisti famosi, galleristi e critici hanno un impatto fondamentale e controverso sulle carriere femminili:313 talvolta leniscono le discriminazioni sessuali, consentendo alle donne un maggior attivismo; altre volte, viceversa, le costringono al ruolo di coadiutore del compagno o del marito.

Ad ogni modo, come sottolinea Landau in riferimento al contesto statunitense, a questa altezza cronologica, i legami interpersonali tra le artiste e i colleghi uomini sono migliori – per quanto strutturati su un’introiettata gerarchia di genere - di quelli che si andranno a stringere nei decenni a seguire. Ne dà prova, ad esempio, la scarsa attitudine delle artiste italiane a solidarizzare con le altre donne presenti nel campo: mostrano un atteggiamento individualistico e non riconoscono nelle colleghe delle possibili alleate. Una situazione antitetica a quella neofemminista, ribaltata solo a traino degli eventi storici che segnano il 1968.

Di fatto, per quanto i movimenti di fine decennio si pongano in contrasto con il sistema, sono ben lungi dall’affrontare l’asimmetria di genere che covano al loro interno. Al pari dei collettivi studenteschi, condensano le aspettative di una generazione desiderosa di capovolgere le logiche di potere della società patriarcale, ma perseverano nelle dinamiche di subordinazione sessuale che essa avalla. Così, il movimento studentesco e operaio del 1968, mentre rivendica il rifiuto della struttura sociale data, della politica delegata, delle sue forme di organizzazione partitiche e statali, difende la sua intrinseca gerarchia sessista.

L’acuirsi della frizione tra i sessi spinge rapidamente le artiste ad adottare forme di separatismo parallele a quelle dei movimenti politici e sociali femministi. In tal senso, vale la pena notare come, tra quelle nate negli anni Trenta, questa iniziativa venga presa perlopiù dalle artiste che non vantano un’esperienza di gruppo o che restano piuttosto defilate rispetto ai principali filoni espressivi degli anni Sessanta. Weller, Gut, Ricciardi sperimentano precocemente e loro malgrado gli effetti del machismo nel campo dell’arte. A loro si uniscono alcune artiste della generazione precedente – Accardi e Bentivoglio - che, avendo alle spalle un trascorso più lungo, vivono il disagio dell’altalenante condizione femminile all’interno del mainstream.

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E. G. Landau, Tough Choices: Becoming a women artist, 1900-1970, in R. Rosen; C. Brawer, Making

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Viceversa, le neoavanguardiste che riescono a beneficiare delle logiche di dominio maschile si mostrano più refrattarie a identificarsi con le rivendicazioni femministe. Di conseguenza anche i processi di autonarrazione risentono non poco di questa biforcazione esperienziale: chi ha fatto parte di gruppi di neoavanguardia tende a sminuire gli effetti del maschilismo sul contesto artistico.