• Non ci sono risultati.

Riprendiamo per prima cosa il discorso appena accennato sulla struttura di Das

Kalkwerk. Lette le prime pagine del romanzo, nelle quali il narratore si sofferma

sull’omicidio della Konrad, ci imbattiamo in una lunga descrizione fatta da Konrad a Wieser dell’edificio in cui abita. A un certo punto della descrizione troviamo un passo particolarmente interessante, soprattutto perché, là come altrove, Bernhard sembra giocare con l’ambiguità originata dalla consonanza fra il nome dell’edificio e quello del romanzo. Quando Konrad parla della fornace si ha così l’impressione che Bernhard stia nello stesso tempo parlando della sua opera, che stia cioè dialogando metaletterariamente con il lettore, in questo caso mettendolo in guardia dai rischi di un’interpretazione troppo affrettata della vicenda:

Sie können im Kalkwerk wie in keinem andern Gebäude, das ich kenne, soll Konrad zu Wieser gesagt haben, und er kenne die größten und vorzüglichsten und im Grunde alle möglichen Arten von Gebäuden oder besser gesagt, Mauerwerken, soviel Sie wollen und zwar immer soviel Sie wollen, ohne fortwährend die gleiche Strecke Weges benützen zu müssen, hin- und her- und im Grunde immer weiter- und weitergehen, in jedem Fall auf das fortschrittlichste fortschreiten. Die Konstruktion des Ganzen sei auf Totaltäuschung angelegt, der oberflächliche Beurteiler auf jeden Fall in die Falle gegangen. (KA 29)

La descrizione della fornace riguarderebbe dunque sia l’edificio, sia il romanzo, sia l’opera in muratura (“Mauerwerk”), sia l’opera in parole che le dà asilo. Da una parte Come vedremo in seguito, il labirinto di Bernhard avrà ovviamente una sua Arianna, e Arianna il

100

troviamo Konrad e Bernhard, dall’altra Wieser e il lettore, a seconda che si legga alternativamente questo passo come interno al mondo di invenzione del romanzo o come commento al romanzo stesso. Ma perché Bernhard avrebbe dovuto definire la sua opera come un inganno totale (“Totaltäuschung”)? Perché un osservatore, e dunque un lettore superficiale sarebbe destinato a cadervi in trappola ? La risposta è 101

meno enigmatica di quel che sembri.

Come sappiamo il romanzo prende le mosse da un fatto di sangue, l’omicidio della Konrad da parte del marito, che è anche ciò che “provoca” la narrazione e ciò su cui essa in un primo momento si concentra. Nelle prime pagine, infatti, l’assicuratore di polizze sulla vita - un tipico esempio, come vedremo, di narratore bernhardiano - riporta le varie chiacchiere, supposizioni e pettegolezzi circolanti nelle locande della zona (Laska, Lanner, Stiegler, Gmachl), proprio a proposito dell’omicidio avvenuto poco tempo prima nella fornace. In questo marasma di voci eterogenee, sono però quelle di Fro e di Wieser (e inoltre di pochi altri personaggi che di tanto in tanto prendono la parola all’interno del libro), a dominare sulle altre, cosicché l’intera opera risulta proprio dalle “deposizioni” di questi due supertestimoni, peraltro caratterizzati da indoli e caratteri affatto diversi (nello specifico si viene a sapere, fra l’altro, che Fro è più prudente rispetto a Wieser, ma che è anche più capace di imitare lo “stile narrativo” di Konrad - KA 163/166).

Il romanzo sembra insomma configurarsi come un giallo, con l’omicidio che apre la narrazione andando a turbare l’equilibrio precedente alla narrazione stessa (equilibrio che, se si dà retta alla teoria narratologica della “storia minima” o “intreccio minimo completo” , non sarebbe in sé e per sé abbastanza interessante da meritare di essere 102

narrato). Ma al contrario della maggior parte dei gialli, in questo caso conosciamo già l’identità dell’assassino, che non è inoltre a piede libero, ma già rinchiuso nel penitenziario, in attesa del processo. Come si è già notato in precedenza a proposito di altre opere, anche in Das Kalkwerk la trama, l’intreccio, la storia, o comunque la si voglia chiamare, precede difatti l’inizio della narrazione, e questa non è altro che un

Più avanti, nel romanzo, viene detto ancora una volta: “in das Kalkwerk gegangen, hieße

101

zweifellos, in eine Falle gegangen” (KA 86). Cfr. Mazzoni 2011, p. 54.

lungo commento di quella. La storia, tutta quanta racchiusa nelle prime tre o quattro pagine del libro, viene dunque effettivamente “distrutta”, nello stesso tempo decostruita e relativizzata, in questo caso per mezzo dei vari punti di vista che si intrecciano, non sempre armoniosamente, andando così a formare la trama, che è tale nel senso più letterale del termine.

Qui più che in altri romanzi pare che Bernhard abbia persino voluto mostrare al lettore, attraverso un mutamento stilistico interno all’opera, il compiersi della storia, o meglio il formarsi della trama a partire da singoli fili narrativi, i quali, uniti gli uni agli altri, vanno progressivamente a formare quel blocco compatto che il romanzo ben presto diventa. Le primissime pagine del libro ricordano infatti maggiormente lo stile utilizzato da Bernhard in alcune opere precedenti, per esempio in Amras, dove a lunghi periodi rigorosamente scanditi da un andamento ipotattico veniva preferito un ductus maggiormente franto, che procede, per così dire, a singhiozzi. Ma se in Amras questo tipo di stile mirava al lirismo, se tradiva, in sostanza, la volontà di esprimere l’inesprimibile senza mai potervi riuscire, e tuttavia senza per questo volervi rinunciare, in Das Kalkwerk i primi brevi periodi introdotti e conclusi da puntini di sospensione, separati addirittura da altrettanti a capo (evento assai raro, come sa bene chiunque conosca anche soltanto approssimativamente la prosa di Bernhard - KA 7-15) paiono invece voler rendere, anche visivamente, il costituirsi e tessersi dell’intreccio, da un minimo a un massimo di coesione. Le maglie della narrazione, in un primo momento larghe, si infittiscono infatti sempre di più, fino a raggiungere ben presto quella compattezza, si diceva, peraltro tipica della calce, una compattezza che rende questo romanzo, Das Kalkwerk, simile per l’appunto a un’opera in calce, a un

Werk aus Kalk, all’interno del quale il lettore si ritrova, per così dire, imprigionato.

Compattezza che trapela, oltre che dalla forma, anche dal contenuto. Il romanzo infatti tradisce ben presto le aspettative del lettore, giocando a bella posta con il suo orizzonte d’attesa: quello che infatti pareva voler essere un Kriminalroman si rivela in realtà qualcosa di molto diverso . Nel libro per esempio non si verrà mai a sapere il 103

movente preciso che ha spinto Konrad a un gesto così brutale, né tantomeno si verrà informati della sorte di Konrad (il processo, la reclusione ecc.). L’opera è insomma

Cfr. Nienhaus 2010 pp. 90-92.

priva di plot twists, e non vi è nemmeno una vera e propria Pointe, figura a cui l’autore era già ricorso, per esempio in Die Mütze, e che sfrutterà al massimo grado nella raccolta di brevi prose del 1978, Der Stimmenimitator. Anche il finale di Das

Kalkwerk infatti, seppur sicuramente d’effetto, rappresenta in realtà la ripresa di un

motivo in precedenza già ampiamente trattato, quello relativo all’impossibilità di scrivere il saggio, che viene per l’ennesima volta riformulato, assumendo in chiusura la sua forma definitiva, volendo anche lapidaria, ma priva di nuovo contenuto informativo. Essa inoltre riguarda il saggio, non il delitto.

Il romanzo dunque prende l’assassinio a pretesto per parlare di qualcos’altro, e cioè di Konrad, della sua vita nella fornace, della sua convivenza con la moglie e soprattutto dei suoi inutili tentativi di scrivere il saggio. Il focus si allontana sempre di più dal fatto sensazionale, necessario affinché la narrazione appaia giustificata, per concentrarsi interamente sulla figura di Konrad e sulla sua vita grottesca, ma al contempo squallidamente ordinaria, all’interno della fornace. Questa è la prima trappola (più precisamente si potrebbe parlare di depistaggio) in cui Bernhard fa cadere il lettore, che è anche, però, una beffa nei riguardi del suo personaggio, ironica e crudele come tutte le beffe. Konrad infatti riesce a far parlare di sé, a ottenere quella attenzione che è andato cercando per tutta la vita, non in virtù del rivoluzionario saggio (a ogni modo non scritto) sull’udito, come avrebbe voluto, ma per l’assassinio della moglie. Soltanto grazie al secondo, un fatto eccezionale che ha incuriosito un anonimo assicuratore di polizze sulla vita, egli ha potuto, quasi casualmente, parlare del primo, tra l’altro non direttamente, ma indirettamente, in maniera anzi doppiamente indiretta . 104

Lo stesso atteggiamento beffardo dello scrittore nei confronti del Geistesmensch lo possiamo

104

riscontrare nel romanzo Die Billigesser (1980). Colà Koller, che è qualcosa a metà fra uno sbandato e un Geistesmensch, intende scrivere uno studio sulla fisiognomica intitolato, appunto, I mangia a poco, in onore dei quattro personaggi con i quali ha preso l’abitudine di pranzare assieme ogni giorno alla CPV (la cucina pubblica viennese). Come Konrad, anche Koller è a un passo dalla stesura del saggio, che gli risulta però impossibile a causa della morte inaspettata a seguito di una caduta dalle scale. Il narratore, amico del protagonista appena deceduto, decide così di scrivere qualcosa sull’amico, e ciò che scrive è appunto il romanzo Die Billigesser, intitolato allo stesso modo del saggio di Koller. A Koller dunque non è concesso di riuscire a redigere il suo studio, ma ciò che non è concesso a lui lo è invece all’amico narratore (proprio qui sta la beffa). Ma a questi in fondo la fisiognomica e i mangia a poco interessano fino a un certo punto, e anzi si può dire che proprio a causa del suo scarso interesse egli può scrivere su di loro e sull’amico. Se avesse deciso, programmato e ardentemente desiderato di scrivere su di loro molto probabilmente avrebbe fallito, al pari di tutti gli altri Geistesmenschen bernhardiani. Mutatis mutandis, lo schema che si ripete in Das Kalkwerk è più o meno lo stesso.

E qui veniamo alla seconda trappola, se così la vogliamo chiamare, che stavolta riguarda direttamente i modi della narrazione, più che il genere della stessa, e dunque la - o meglio le figure cui è affidato il racconto della storia di Konrad.

Occorre innanzitutto precisare che in Das Kalkwerk non è presente un singolo narratore, ma che anzi la narrazione si svolge su più livelli, risultando in tal modo stratificata. Il livello più esterno della narrazione è occupato dalle varie voci che circolano nelle locande di Sicking, soprattutto da quella di Fro e da quella di Wieser, i due personaggi in assoluto più vicini a Konrad. Né Fro né Wieser possono però essere considerati, in senso strettamente tecnico, i narratori del romanzo. Essi sono piuttosto dei narratori orali di secondo grado che raccontano la storia di Konrad a un terzo personaggio, il quale a sua volta decide di annotare ciò che gli viene raccontato, in maniera più o meno diretta, ovvero più o meno mediata e rielaborata (primo livello della narrazione). In generale si ha l’impressione che l’assicuratore di polizze sulla vita, che è l’Ich-Erzähler vero e proprio del romanzo, intenda restare il più fedele possibile alle parole di Fro e di Wieser, che si limiti cioè a organizzare i discorsi dei due personaggi “cucendoli” l’uno con l’altro e adattandoli alla forma verbale utilizzata in tedesco per il discorso riportato (Konjunktiv I), senza però intervenire ulteriormente su di essi. Nella fase di passaggio da un codice linguistico all’altro, ossia da un tipo di narrazione che si serve della parola pronunciata (scambio diretto fra due persone), a un tipo di narrazione che si serve della parola scritta (mediazione dello scambio verbale avvenuto precedentemente), non vanno così eccessivamente persi quei tratti che possono essere considerati tipici dell’oralità, e che sono dovuti in primo luogo a una ridotta possibilità di elaborazione concettuale e formale del discorso. Le tante ripetizioni del romanzo, per esempio, oppure il continuo ritornare su un tema precedentemente già trattato, poi lasciato per un certo lasso di tempo da parte, infine ripreso, per poi essere di nuovo accantonato, sono entrambi interpretabili anche come residuo di una narrazione di tipo orale, cioè della narrazione che sta alla base del romanzo, pur non coincidendo con esso . 105

Sulle diverse strategie di verbalizzazione tipiche del linguaggio orale e di quello scritto si rimanda

105

Infatti, nonostante il ruolo fondamentale di Fro e di Wieser, è all’assicuratore di polizze sulla vita che dobbiamo la storia di Konrad. Su di lui però, pur trattandosi di un personaggio intradiegetico, veniamo a sapere ben poco, quel poco, per la precisione, che egli si degna di scrivere sul proprio conto. E siccome chi scrive per sé non ha bisogno di specificare chi sia, né le ragioni che lo hanno spinto a scrivere, il lettore si sente un po’ come colui che trova per caso il diario di uno sconosciuto (certamente un diario molto particolare), lo apre e comincia a leggere. Molto di ciò che è possibile dire riguardo al narratore lo possiamo perciò soltanto dedurre o congetturare.

Egli innanzitutto potrebbe non essere originario di Sicking. Ce lo immaginiamo semmai occupato in un viaggio di lavoro, il cui fine principale è quello di stipulare quante più polizze possibili, ovviamente per il proprio tornaconto professionale. Fra un discorso di Konrad riportato da Fro e un discorso di Konrad riportato da Wieser, egli infatti non perde occasione di annotare i propri progressi lavorativi.

L’assicuratore riesce, alla fine del romanzo, a far firmare diverse polizze sulla vita agli avventori delle locande della zona, e inoltre sia a Wieser (più impulsivo), sia a Fro (più cauto e riflessivo). Il fatto anzi che nella penultima pagina del romanzo sia presente questo inciso: “zu Fro, mit dem ich heute die Lebensversicherung habe abschließen können, soll Konrad gesagt haben […]” (KA 230) lascia appunto intendere che l’obiettivo reale del narratore, e dunque il motivo principale della narrazione, non sia tanto quello di far chiarezza sull’assassinio di Konrad, né sulla sua vicenda o tantomeno sul saggio, ma piuttosto quello di far firmare una polizza sulla vita a quante più persone possibili, come detto poc’anzi. Fro in questo senso rappresenta l’ostacolo maggiore per lui, perché non sembra affatto interessato alla polizza, ma piuttosto (e al contrario) alla storia di Konrad, che gli preme raccontare a qualcuno, meglio se non originario di Sicking (tutti infatti, in paese, sanno o credono di sapere già tutto sul fatto di sangue). Per cui la narrazione non dura un momento di più del necessario, e probabilmente sarebbe durata ancora di meno, se Fro avesse firmato prima la sua polizza di assicurazione sulla vita.

In questo equivoco generale, cui sottosta l’intera narrazione, consiste a nostro avviso buona parte dell’ironia del romanzo, che è di altra natura rispetto all’effetto

ironico provocato dalle tragicomiche disavventure di Konrad. Ovviamente la beffa nei confronti di quest’ultimo risulta, a questo punto, raddoppiata: non solo si è potuto sapere qualcosa del suo saggio di importanza capitale soltanto grazie all’assassinio, ma si è saputo qualcosa dell’assassinio soltanto grazie alle polizze sulla vita che il narratore ha dovuto far firmare a coloro che di quell’assassinio erano ben informati.

D’altra parte lo zelo del narratore, l’attenzione e la precisione un poco pedante con la quale annota ogni singola esternazione di Fro e di Wieser, mitigano in parte quanto appena sostenuto. Il narratore non si limita ad assecondare i due testimoni (altrimenti perché perdere tutto questo tempo a scrivere su Konrad?), è realmente interessato a quanto accaduto nella fornace, ma anche in questo caso la natura del suo interesse potrebbe essere, per così dire, professionale. Un assicuratore di polizze sulla vita vorrà infatti ben conoscere la sicurezza di una regione, potrà ben interessarsi al caso della fornace (peraltro teatro di numerosi altri delitti); ma ciò prescinde comunque, a ben vedere, se non da Konrad in quanto “carattere”, in quanto individuo particolare, quantomeno dal saggio, intorno al quale ruota però gran parte della narrazione.

Essa assume dunque fin dal principio lo strano tono di un resoconto privato e al contempo protocollare . Dal secondo mutua in parte lo stile, ma non il contenuto. 106

Proprio riguardo allo stile protocollare, possiamo dire fin da ora che il merito di Bernhard (il quale del resto aveva lavorato proprio come cronista giudiziario) è consistito principalmente nell’avere intuito che i tratti peculiari di un certo registro stilistico, soprattutto se parodiati e quindi sottoposti alla Übertreibungskunst, potevano essergli utili a esprimere, attraverso lo stile, ciò che i personaggi, e fra questi soprattutto i Geistesmenschen, dicono apertamente nei loro lunghi monologhi.

Soffermiamoci dunque per un attimo sul registro protocollare. Esso può essere generalmente ricondotto al linguaggio burocratico, un linguaggio che, com’è noto, risulta spesso sgradito a causa della suddetta pedanteria, della complessa sintassi, del vocabolario talvolta inutilmente complicato. È uno dei linguaggi che meglio presta il fianco alla parodia, proprio per i suoi tratti particolarmente marcati. Lo scopo di tale registro è duplice: da una parte vuole essere perentorio e incutere dunque un qual certo timore reverenziale nel lettore (infatti esso è, per così dire, la voce dell’autorità, è

Cfr. Sorg 1992, p. 83.

l’autorità stessa fatta linguaggio); dall’altra intende risultare tanto meno vago e fraintendibile, quanto più neutrale e obiettivo. Tuttavia questo secondo fine viene spesso perseguito con una scrupolosità eccessiva, che perde di vista la misura e che tende quindi a generare effetti opposti, quasi autoparodici.

Bernhard, che con la sua prosa ha sempre ricercato l’effetto comico, era inoltre un autore austriaco. Per lui doveva trattarsi quindi di uno stile ben noto, non soltanto per ragioni personali e lavorative, ma anche e ancor prima perché è stata la stessa lingua tedesca ad avere subìto, nella fase storica decisiva per una sua prima, ancorché incerta regolamentazione, un’importante spinta propulsiva proprio dalle cosiddette

Kanzleisprachen, le lingue delle principali cancellerie tedesche . L’autore, come 107

abbiamo cercato di dimostrare, conosceva poi sicuramente bene la prosa di Kafka (e dunque il suo stile, spesso definito, appunto, protocollare), che rappresenta un valido esempio di come sia possibile sfruttare esteticamente un tipo di registro che persegue scopi del tutto diversi. L’adozione di questo stile da parte di Bernhard (dei suoi narratori) risulta dunque più che giustificata, e inoltre ben radicata nella tradizione letteraria.

Protocollare, in Das Kalkwerk, può essere definita la volontà del narratore di non tralasciare alcun dettaglio, la minuziosità con la quale vengono riportate le parole di Konrad, sempre, in tedesco, attraverso la forma del Konjunktiv I, che è peraltro poco utilizzata nel linguaggio comune, e che perciò non passa affatto inosservata. L’utilizzo del congiuntivo rispecchia certamente la pretesa obiettività e il distacco del narratore nel riferire fatti e discorsi altrui, ma venendo usato in maniera così diffusa ed esagerata (si può parlare anche in questo caso di Übertreibungskunst) trasmette anche, al lettore, una seconda sfumatura semantica, quella dell’incertezza e del dubbio, sia in merito a quanto accaduto , sia in merito a quanto detto. Si tratta insomma di una forma che 108

Per i tratti in comune fra la prosa di Bernhard e il Kanzleistil, e inoltre per una breve storia di

107

quest’ultimo, vedi Eyckeler 1995, pp. 115-123.

Esemplare, in tal senso, il passo del romanzo nel quale il narratore riporta le varie supposizioni

108

riguardo al delitto circolanti nelle locande della zona (ora del delitto, arma utilizzata, numero di colpi esplosi, modus operandi dell’assassino ecc.), differenti le une dalle altre ma in fondo tutte ugualmente valide, poiché neanche in seguito si verrà mai a conoscenza del reale svolgimento dei fatti (KA 13-15).

Bernhard utilizza ancora una volta a scopo ironico (la presa di distanza assume infatti spesso connotati ironici ). 109

Ironiche, sempre perché eccessive, dovrebbero essere pure, per il lettore, le numerose Wiederholungen, le ripetizioni a breve distanza di parole o interi sintagmi, con mancata pronominalizzazione degli stessi. Assieme alle inquit-Formeln - onnipresenti all’interno del romanzo, e in questo caso particolarmente importanti per distinguere le varie voci dei narratori di secondo grado - sono anch’esse caratteristiche del registro protocollare , principalmente perché mirano, entrambe, a un più alto 110

grado di precisione e di accuratezza, a prescindere dalla fluidità del discorso.

Tuttavia l’utilizzo a fini artistici di questo tipo di figure dà origine a una prosa per l’appunto fluida, a uno stile che ora potremmo definire, con un composto che non dispiacerebbe allo stesso autore, ironico-ritmico-musicale:

Ein Verbrecher könne ja tatsächlich durch keine Vorsichtmaßnahme an seinem

Documenti correlati