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Il 1967 è anche l’anno di pubblicazione di Verstörung, uno dei romanzi di Bernhard a tutt’oggi fra i più letti e apprezzati. Si tratta di un’opera sotto certi aspetti fondamentale, per il suo valore, a un tempo, di summa di ciò che lo scrittore aveva espresso nelle prose precedenti e prefigurazione di alcune tematiche che avranno ampio spazio nelle opere successive. Già la suddivisione del romanzo in due grandi blocchi narrativi può essere in tal senso letta come riconoscimento, da parte dell’autore, della doppia anima dell’opera, che va così a configurarsi come opera di passaggio, opera-soglia nella quale a vecchi motivi ormai consolidati si mescolano nuovi spunti da sviluppare in futuro . Il quadro appena delineato è reso ancora più 57

chiaro e definito dallo stacco, narrativo non meno che stilistico, che separa i due tempi del romanzo, dal fatto cioè che il “nuovo” e il “vecchio”, a fronte di un intreccio che comunque mantiene la sua coerenza e la sua linearità per tutta la durata del romanzo, non si amalgano armonicamente, ma quasi vengono fatti cozzare l’uno con l’altro, affinché i relativi tratti distintivi ne risultino ancor più esaltati e siano dunque, per il lettore, più facilmente riconoscibili. Lettore che comunque, passando dalla prima parte dell’opera alla seconda, viene inevitabilmente sottoposto a uno shock del proprio orizzonte d’attesa, uno shock che lo stesso Bernhard, fedele a una concezione che vede nella letteratura un’occasione di scontro , pare avergli voluto infliggere in piena 58

consapevolezza. Servendoci di una distinzione introdotta da Barthes in S/Z, potremmo allora definire la prima sezione del romanzo leggibile, mentre la seconda, contenente il

Altre opere di questo tipo presentano la stessa struttura di Verstörung, per esempio Korrektur, Beton

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o ancora Auslöschung, nonostante che la morte dell’autore, sopraggiunta poco dopo la pubblicazione del romanzo, ci obblighi a considerare quest’ultima come opera definitiva, e non di transizione. In merito a Verstörung cfr. Sorg 1992, p. 65.

“[…] ma perché ho finito proprio per scrivere, perché scrivo dei libri? Per un’improvvisa

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opposizione contro me stesso, e contro questa condizione - poiché i contrasti, come ho già detto una

volta, per me sono tutto… Volevo proprio questo mostruoso contrasto, e perciò scrivo della prosa…” (DT 23).

monologo riportato del principe Saurau, andrebbe piuttosto definita scrivibile, per le asperità che presenta al lettore, prima che a colui che la ha composta . 59

Ma veniamo, senza perdere altro tempo, alla trama. Narratore della vicenda è uno studente di scienze minerarie iscritto all’università di Leoben, rientrato a casa dal padre e dalla sorella per trascorrere qualche giorno in loro compagnia. La mattina del sabato in cui ha inizio la narrazione il padre dell’io-narrante, un medico condotto, contrariamente al solito decide di portare con sé il figlio nel quotidiano giro di visite ai pazienti. Essendo l’unico medico della zona, una zona peraltro relativamente grande e per giunta difficile (VE 7), egli ha sempre da svolgere molto lavoro ed è costretto a stare a stretto contatto con gli abitanti della regione, a essere vittima di una popolazione malata fino al midollo, portata alla violenza e anche alla pazzia (“Opfer einer durch und durch kranken, zur Gewalttätigkeit sowie zum Irrsinn neigenden Bevölkerung”, si definisce lui stesso - VE 8).

Dopo una breve visita a un bambino caduto in un mastello per maiali pieno di acqua bollente, ora dimesso dall’ospedale ma destinato a morire entro breve tempo, i due vengono interpellati da un oste di Gradenberg, il quale prega il medico di seguirlo all’istante. Nella notte, si viene a sapere, la moglie dell’oste, rimasta a servire gli avventori della locanda fino a tardi, è stata colpita alla testa da uno dei minatori ubriachi che si trovavano nell’osteria, cadendo subito a terra priva di sensi. Dopo aver malamente trasportato la donna svenuta in una stanza al primo piano della locanda, i minatori, di nuovo sobri, avevano svegliato l’oste e gli avevano consigliato di denunciare Grössl, un furfante della zona conosciuto da tutti, sia pure di vista. L’oste dunque si era recato dai gendarmi, era tornato con due di questi alla locanda, dove però, di tutti i minatori fino a poco prima presenti, ne aveva trovato soltanto uno, il meno sveglio, rimasto al fianco della moglie ancora priva di sensi. I gendarmi avevano a quel punto liquidato la questione tranquillizzando l’oste: non sarebbe stato difficile reperire il latitante Grössl, una faccia nota a tutti con alle spalle numerosi precedenti penali. Trascorse altre due ore, l’oste aveva deciso di andare a chiamare il medico.

Cfr. Compagnon 2000, pp. 40/232. Semplificando, Barthes definisce leggibili quei testi di facile

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consumo, che si inseriscono in una tradizione già consolidata; scrivibili quelli invece sovversivi, sperimentali, che hanno sul lettore un effetto straniante. La fruibilità dei secondi sarà dunque assai minore rispetto a quella dei primi.

I tre giungono dunque alla locanda con l’automobile dell’oste. La donna, in condizioni gravissime, viene trasportata in tutta fretta all’ospedale di Köflach, ma muore ancor prima di entrare in sala operatoria a causa di una emorragia cerebrale. Dopo aver tentato di confortare l’oste, rimasto ora vedovo, padre e figlio si dirigono verso il centro del paese e giungono infine nei pressi dell’appartamento di un avvocato, amico di vecchia data del medico, da cui fanno colazione, conversando di quanto appena accaduto. I discorsi del medico, riportati con dovizia dal figlio, vertono soprattutto sulla bestialità della gente di campagna (“Leute auf dem Land”), gente che degenera prima nella brutalità (“zuerst in die Brutalität…”) e poi nella più totale impotenza riguardo alla propria brutalità (“…und dann in die völlige Hilflosigkeit über ihre Brutalität”), che degenera in tutto, che deve degenerare in tutto (“die immer in alles ausarten, in alles ausarten müssen” - VE 16). Egli ha la sensazione che ciò che tocca diventi automaticamente malato e triste, di muoversi in continuazione “in einer kranken Welt unter kranken Menschen” (VE 14), motivo per cui, fino a quel momento, si era sempre rifiutato di portare con sé il figlio e la figlia: “am meisten fürchte er, daß einer von uns, meine Schwester oder ich, durch das Anschauen eines Kranken und seiner Krankheit für sein ganzes Leben geschädigt sein könne, wo er doch immer auf das Gegenteil an uns bedacht sei” (VE 15), annota il narratore. Accomiatatisi dall’avvocato, i due recuperano l’oste e fanno ritorno a Grandenberg, alla locanda, per poi rientrare a casa e cominciare finalmente il giro di visite.

L’atmosfera del romanzo, fin dal principio cupa e tetra, sarà di qui in avanti sempre

più cupa e sempre più tetra, per diventare, alla fine della prima parte, quasi

insostenibile. Il viaggio che s’inizia si configura dunque come una sorta di descensus

ad inferos, o meglio come una ascesa verso l’inferno, poiché l’ultima tappa, il castello

geograficamente più in alto . Ed è questo soltanto uno dei tanti ribaltamenti che 60

Bernhard mette in opera all’interno del romanzo . 61

La prima persona cui il medico e suo figlio fanno visita è un proprietario di un’agenzia immobiliare, l’ebreo Bloch. Il padre del narratore è riuscito col tempo a stringere con questi un’amicizia che ha in sé qualcosa di filosofico (“ihr Philophisches in sich hat” - VE 24), tanto che il motivo della visita non risiede nei dolorosi mal di testa che affliggono l’agente immobiliare, ma in alcuni libri (di Kant e di Marx) che Bloch aveva precedentemente dato in prestito al medico. Prima di giungere da lui, padre e figlio trascorrono conversando il pezzo di strada che li divide da Stiwoll, ma ciò che il narratore annota sono in verità soltanto le frasi del padre, cui si aggiungono le proprie (mute) riflessioni. In questo passo come in molti altri, similmente a quanto avviene in Frost, ci troviamo in presenza di un narratore cui piace osservare e ascoltare, piuttosto che parlare, oppure - il che in fondo è lo stesso - di un narratore discreto, ma soltanto nei riguardi di se stesso.

Tuttavia vengono aggiunti alcuni dettagli importanti che definiscono meglio il rapporto padre-figlio, intorno a cui è incentrata la prima parte del romanzo. Il medico ricorda la moglie defunta già da qualche tempo, il duro periodo successivo alla sua morte e la quiete che il ricordo di lei è adesso in grado di procurargli. Ammette anche di averla capita soltanto una volta che lei se ne era andata, poiché “das Wesentliche an einem Menschen komme erst dann, wenn wir ihn als für uns verloren anschauen müssen, in der Zeit, in welcher dieser Mensch nur noch von uns Abschied nimmt, zum Vorschein” (VE 20). Per parte sua, il figlio si ricorda di una lettera scritta qualche giorno prima e indirizzata proprio al padre, una lettera che in precedenza non era stato in grado di scrivere ma che poi gli era riuscito all’improvviso di redigere, nella quale si era sforzato di descrivere e analizzare i motivi dei cattivi rapporti intercorrenti fra i tre membri della famiglia: lui, il padre e la sorella. Adesso egli crede che il padre non

Si badi bene però: Hochgobernitz sarà situato nel punto più alto di una gola, sarà cioè il punto più

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alto in una zona di per sé depressiva. Rappresenterà, metaforicamente, il “culmine della disperazione”, per usare il titolo di un noto libro di Cioran.

Il primo e più evidente è quello che fa della prima parte di Verstörung un anti-idillio, un

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rovesciamento di generi tutti tedeschi come le Dorfgeschichten e gli Heimatromane. Cfr. Bernardi 1981, p. 226, Magris 1977, p. 230-231.

potrà mai rispondergli, ma in realtà il viaggio stesso, cioè la proposta di accompagnarlo durante il giro di visite ai pazienti, è già di per sé una risposta, seppur indiretta, di questi agli interrogativi del figlio . L’introversione del figlio, gli stati 62

depressivi della sorella (di cui per ora sappiamo comunque ben poco) e l’incapacità del padre di affrontare direttamente le problematiche legate al rapporto fra i tre delineano una costellazione familiare nel segno dell’impotenza (soprattutto da parte del padre), della frustrazione, dell’incomprensione , nel segno insomma dell’estraneità reciproca 63

e dell’incomunicabilità, situazione che il viaggio non riuscirà di per sé a cambiare, ma semmai soltanto a mitigare, anche per la prepotenza con la quale il principe Saurau, è proprio il caso di dirlo, entrerà in scena, convergendo tutta l’attenzione su di sé. Ciò che il lettore si aspetta, non a tutti i costi un lieto fine ma quantomeno un’evoluzione dei due personaggi principali, ossia del rapporto che li lega l’uno all’altro, in realtà non avviene o avviene solo in parte, perché Bernhard nel secondo tempo di

Verstörung, facendo ristagnare l’azione fin quasi a sopprimerla, sposterà nello stesso

tempo l’attenzione quasi esclusivamente su Saurau, mentre i due protagonisti della prima parte saranno costretti a fare da spettatori alla “recita” del principe. Ma questo a suo tempo.

Giunti da Bloch, abbiamo modo di incontrare una delle poche figure positive del romanzo. Il buon gusto, la bella casa piena di libri, l’acume intellettuale e l’assennatezza che gli permettono di avere fortuna nei propri affari e in generale nella vita (nonostante sia malvisto, a causa delle sue origini, dalla maggior parte dei suoi compaesani) fanno sì che egli sia l’unica persona con cui il medico riesca a intrattenersi senza mai sentirsi a disagio (VE 26), l’unica di cui si fidi veramente. Tuttavia si tratta, come detto, di un’eccezione, vale a dire di uno di quei casi rari, eppure sempre più frequenti, in cui personaggi positivi, anche se secondari, hanno l’opportunità di fare la loro comparsa all’interno delle opere di Bernhard.

Dopo Bloch è la volta della Ebenhöh, primo paziente affetto da una malattia cronica, peraltro mortale. La Ebenhöh è infatti un’inferma costretta a letto senza più

Cfr. Sorg 1992, p. 63.

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È lo stesso medico a dire che “es ist alles ganz anders. Es ist immer alles ganz anders. Sich

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alcuna speranza di guarigione. Ex maestra elementare, vive reclusa nella sua stanza, circondata dall’odore insopportabile della malattia. Spera continuamente che le si venga a far visita, ma per lo più viene lasciata sola, sia dai parenti, sia dai vicini. Rimpiange la sua vita passata a fianco del marito deceduto, la passione per la musica che ha dovuto abbandonare. Pensa spesso al figlio, nerboruto ma debole di mente, al fratello che, dopo aver scontato la sua pena nel penitenziario di Stein per un omicidio, si era trasferito da lei, salvo poi impiccarsi tre giorni dopo alla traversa di una finestra della casa, e così via. Nel frattempo si intrattiene con la lettura della Princesse de

Clèves, ma non può fare a meno di pensare che la sua stanza da letto sia ormai

diventata una camera mortuaria.

Il medico tenta di distrarre la malinconica paziente parlando ancora una volta della moglie, poi alternativamente del figlio e della figlia. Le risposte che il narratore pretende dal padre, egli gliele fornisce così ancora una volta indirettamente, conversando con la Ebenhöh. Stavolta viene detto qualcosa di più anche sulla sorella, la quale, per così dire, trova modo di esistere nel romanzo soltanto attraverso le parole del padre e del fratello, che si riferiscono occasionalmente a lei durante la lunga giornata trascorsa insieme. È lo stesso medico a dire di scorgere nella figlia gli stessi sintomi della “malattia” della moglie, sintomi fisici e psichici di giorno in giorno più pronunciati, tipici di un carattere sempre più simile a quello della madre, come scrive il narratore. Una ragazza “vollkommen ihrem Nervensystem unterworfen, […] ständig in Gefahr” (VE 39), sempre più isolata in se stessa e dunque lontana dai parenti più stretti, il padre e il fratello. Il medico la aveva in un primo momento sistemata in un collegio vicino al lago di Costanza, ma la scelta era poi risultata sfortunata a causa dell’intransigenza delle suore, il cui regime severo l’aveva piombata in quella spaventosa malinconia, in quello stato di disperazione che da allora in poi era diventato permanente (“unaufhörlich” - VE 40). Il padre racconta ancora di alcune gite fatte assieme alla figlia, durante le quali la ragazza non aveva quasi mai aperto bocca, circonfusa da un’apatia inscalfibile, facendosi sempre più triste nonostante, o meglio

proprio a causa della bellezza della natura che li circondava. Ma mentre seguita a

parlare di lei, la Ebenhöh si addormenta, risvegliandosi poco dopo per l’arrivo della vicina, per poi riaddormentarsi di nuovo.

Padre e figlio lasciano così la casa della donna e si dirigono verso Hauenstein, al padiglione di caccia dove dimora l’industriale, personaggio sul quale ci soffermeremo in seguito e che dunque mettiamo per il momento da parte. Stavolta, durante il tragitto in macchina, è soprattutto il figlio a parlare, della sua vita a Leoben e degli studi in scienze minerarie. Fatto strano, come egli stesso riconosce, sottolineando la sorpresa del padre di fronte alla sua improvvisa loquacità (“plötzliche Gesprächigkeit” - VE 44).

Conclusasi la visita all’industriale, il medico e suo figlio si dirigono a Geistthal, per pranzare. Mentre sono all’osteria il medico ricorda un vecchio paziente defunto, ripercorre la sua storia e ne fa una sorta di exemplum sull’incapacità dei medici di curare a dovere i propri pazienti (VE 57). La loro colpa maggiore sarebbe, a sua detta, quella di regolarsi totalmente in base agli schemi terapeutici più grossolani, di evitare costantemente lo studio della componente psichica degli uomini (“Studium des Seelischen der Menschen”), i quali, inermi e bisognosi, seguendo una tradizione sciagurata (“aus einer unheilvollen Tradition heraus”), si affidano a essi completamente. Tutto ciò renderebbe i medici degli ipocriti prescrittori di medicine (“medikamenteverschreibende Heuchler”), pigri e vigliacchi (“faul und feig”), dei lavoratori non qualificati della medicina (“ungelernte Arbeiter der Medizin”), la medicina stessa una “Pseudowissenschaft”. Questa concezione totalmente negativa della scienza medica è un motivo comune della prima fase poetica di Bernhard, che attraversa per intero sia Frost sia Verstörung, ma che è presente anche in Amras,

Watten e Die Mütze, articolandosi in quest’ultimo racconto nelle lamentele del

protagonista rivolte agli psichiatri che lo hanno visitato, oltre che, implicitamente, nella storia stessa, qualora si consideri la parabola discendente che lo precipita nella follia come un ironico caso di effetto Pigmalione (l’io narrante finisce con l’impazzire perché gli psichiatri hanno visto in lui un futuro pazzo). Il fatto che i protagonisti di queste prime opere, vale a dire, in un certo senso, i più papabili alter ego dello stesso Bernhard, siano soprattutto medici, testimonia bene quanto lo scrittore avesse a cuore questo tema . 64

Cfr. Höller 2011 pp. 75-76. Anche in Das Kalkwerk Konrad si soffermerà spesso su questo motivo,

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sempre sottolinenando l’incapacità dei medici e il fondamentale malinteso su cui si basa la medicina (KA 54-56).

L’orografia del romanzo subisce a questo punto un importante mutamento. Lasciata la locanda i due personaggi si dirigono infatti verso il mulino dei Fochler, situato in una gola stretta e tenebrosa, dominata da un’opprimente, costante “Gewitterstimmung” (VE 64). Naturalmente si tratta di un luogo invivibile, come sottolineano più volte sia il narratore, sia suo padre. Ma non per i Fochler. Il nucleo familiare vero e proprio è composto dal padre, mugnaio, dalla madre e dai loro due figli. Vi è poi un terzo ragazzo, di origine turca, appena trasferitosi nella gola per aiutare i figli nel lavoro. L’economia domestica è invece affidata alla sorella della moglie, che però, al momento della visita del medico, è assente. Infine viene fatta menzione di uno zio, deceduto da appena tre settimane.

E ora veniamo ai malati: il padre e la madre, similmente alla Ebenhöh, sono entrambi costretti a letto da una malattia non meglio definita che pare farli marcire dall’interno. Anche in questo caso il tanfo sarebbe insopportabile, se non fosse per la frutta fresca presente nell’angusta camera che li ospita. A completare un quadro già di per sé non propriamente rassicurante vi è poi un cane lupo, che vive con la coppia, si direbbe, a scopo di difesa, facendo continuamente la spola fra il letto di lui e quello di lei.

Questo è l’ambiente in cui viene a trovarsi il medico durante la sua visita. Il narratore, nel frattempo, rimasto fuori dall’abitazione, ha modo di conoscere il minore dei figli dei Fochler, ma soltanto dopo essersi imbattuto in una enorme gabbia popolata da gracchianti uccelli esotici, bellissimi e terribili allo stesso tempo. Dell’aspetto di tali uccelli, abbandonati a se stessi, apparentemente in preda alla più alta disperazione, il figlio del medico osserva quanto segue: “alle an ihnen war aber feindselig. […] Auch ihr Gefieder war feindselig, die Farben, die sich ununterbrochen unter ihrer Nervosität veränderten” (VE 63). “Feindselig”, ostile, è certamente l’aggettivo più appropriato per descrivere ciò che questo episodio del romanzo (una delle ultime stazioni del viaggio a tappe verso Hochgobernitz) vorrebbe trasmettere alla coscienza già a sufficienza perturbata del lettore. Un’ostilità che andrebbe in realtà attribuita ai Fochler, prima che agli uccelli, e alla gola intera, prima che ai Fochler. Anche questi animali esotici, unica macchia di colore in un luogo per il resto completamente oscuro, freddo e sinistro, paiono insomma venire infettati da quel non-so-che di ostile che è

impalpabile eppure onnipresente. È dunque la natura stessa, infestata e infestante, a contenere in questo caso il germe della follia, un tipo di follia per così dire atmosferica da cui neanche il figlio del medico sembra essere del tutto immune:

Ich wollte von der Mühle weg und ging ein Stück den Fluß entlang […]. Aber ich sagte mir, daß sich die trübsinnige Stimmung in mir nur verstärken muß, wenn ich noch weiter in die Schlucht hinein gehe, und ich kehrte um. War ich nicht immer,

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