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Studi sugli Animali: chi ascolta?

Capitolo 5. Questione animale e Vegetarianismo morale

5.4 Studi sugli Animali: chi ascolta?

Nel saggio Speaking of Animals Bodies254 Gaard intende proporre un bilancio sull’effettività dei numerosi studi sugli animali, partiti con gli anni Settanta grazie ai lavori di Singer e Regan e rilanciati nel 2002 con la scoperta della soggettività animale da parte di Derrida255. A tal

251 Peter Singer, Animal liberation, HarperCollins, 1975.

252 Tom Regan, The Case for Animal Rights, Routledge & Kegan Paul, 1983.

253 Greta Gaard, Vegetarian Ecofeminism. A Review Essay, «Frontiers», 2002, Vol.23, No.3, p.123. 254 Greta Gaard, Speaking of Animals Bodies, «Hypatia», vol.27, No.3, Summer 2012, p.520-524.

255 Jaques Derrida, scrisse il libro intitolato, L’animal que donc je suis, all’interno del quale emergono le forzature

e le debolezze dell’antropocentrismo attraversando la tradizione filosofica occidentale, da Descartes a Kant, da Heidegger a Lacan, dimostrando il confine labile tra l’uomo e l’animale.

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proposito si chiede: «Has the growth of animal studies been good for animals?»256. L’autrice fa

riferimento al susseguirsi dell’attivismo delle donne che, prendendo spunto dalle loro esperienze di vita dove hanno subito o percepito la marginalizzazione, l’oppressione o la mancanza di pari opportunità dovute a razza, genere, classe, sessualità, si sono battute contro il sistema sociale e politico che perpetuava queste ingiustizie sociali. Sempre nel corso del XIX secolo la sensibilità femminista sposta l’attenzione anche sulla questione animale, in particolare sulla sofferenza animale e sul porre fine a questa oppressione. I movimenti attivisti di questo periodo, si opposero alla vivisezione animale, all’utilizzo di piume e pellicce animali nell’industria dell’abbigliamento e alla macellazione degli animali. Nel XX secolo le femministe vegane e le ecofemministe animaliste, utilizzando la metodologia di ricerca femminista nell’esplorazione delle intersezioni tra specie, genere, razza, classe, sessualità e natura, lottarono per porre fine alla sofferenza animale causata dalla ricerca scientifica per testare cosmetici, all’allevamento intensivo di galline per la produzione di uova e altri animali per la carne, condussero dibatti per gli animali tenuti in cattività negli zoo o per gli animali considerati prede nella caccia. L’empatia femminista nei confronti della sofferenza animale fu però derisa dall’opinione della cultura patriarcale poiché fu descritta come “emotional little old

ladies in tennis shoes”. Ma quando ad interessarsi ai diritti degli animali, distanziandosi dai

sentimenti di empatia e cura, furono uomini bianchi (es. Singer, Regan), la questione animale ottenne considerazione. Questo dimostra che quando è una donna a proporre un progetto o ad analizzare un problema non viene ascoltata e considerata, mentre se poco dopo è un uomo a soffermarsi sulle medesime questioni, allora riscuote la giusta attenzione. Le ecofemministe animaliste negli anni Novanta hanno faticato ad essere ascoltate e a trovare dei giusti alleati che sostenessero la loro causa. Nonostante il lavoro teorico e l’attivismo politico delle ecofemministe animaliste e delle femministe vegane, la visibilità delle specie all’interno dell’accademia diminuì dopo Singer e Regan. Non ci sorprende, quando nei primi anni Duemila, la confluenza dei lavori di Derrida257, Wolfe258 e Haraway259, ha ricevuto un’accoglienza del tutto rispettabile in ambito accademico per quanto concerne gli studi sugli animali. Gaard scrive:

256 Greta Gaard, Speaking of Animals Bodies, «Hypatia», vol.27, No.3, Summer 2012, p.520. 257 Jacques Derrida, The Animal That Therefore I am, «Critical Inqury», 28, 2, 2002, pp.369-418.

258 Cary Wolfe, Animal Rites. American Culture, the Discourse of Species, and Posthumanist Theory, University

of Chicago Press, Chicago and London, 2003.

259 Donna Haraway, The Companion Species Manifesto. Dogs, People, and Significant Otherness, Prinkly

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Perhaps something similar has occurred in this field of knowledge about animals, where feminists have been developing theory around species, identity, oppression, relationality, society, and ecology for at least three decades, but the topic itself only punctures the glass ceiling and surfaces as an academically respectable field when articulated by the dominant group of scholars- Singer and Regan in the 1970s and 1980s, and now Derrida, Wolfe, and Haraway by 2010.260

Gaard riflette sulla metodologia femminista dove meritevole di attenzione è sia chi parla sia chi ascolta e svela un atteggiamento generale per il quale ai discorsi viene attribuito la caratteristica di potere, sapere e dominio, mentre all’ascolto viene attribuita la caratteristica della subordinazione:

«[…] If animal ecofeminists and vegan feminists have been speaking and acting in ways that articulate a feminist animal studies approach, the absence of their scholarship from the foundation and development of animal studies indicates that the academic elite have not been listening»261.

Guardando ai temi trattati all’interno degli studi sugli animali, Gaard evidenzia che riproduzione e consumo sono anche temi femministi e, sottolineando come in tutte le specie il corpo delle femmine svolge un impegno importante nella riproduzione, dice che questa dovrebbe essere libera sia per le femmine animali, sia per le donne del Sud e Nord del mondo, tuttavia l’autrice fa notare che la schiavitù riproduttiva e sessuale femminile è in ogni caso non etica, si verifica in diversi ambiti ed è una pratica che beneficia pochi alle spese di molti. L’autrice scrive:

[…] The female animals, their mates and offspring, the workers paid to slaughter them, the subsistence farmers driven out of work by industrial agribusiness, the land clearcut or polluted with excrement, the water contaminated with antibiotics and growth hormones, the air polluted with excesses of flatulence and carbon dioxide, and the consumers who contract heart disease, obesity, and a variety of cancers and infectious diseases262.

Nelle connessioni tra studi animali e critica eco-culturale, intesa come femminismo post- coloniale, ecologico ed animale, Gaard intravede uno spostamento da un ambito puramente intellettuale ad uno politico, rendendo così la teoria più rilevante. Queste connessioni evidenziano il nostro ruolo all’interno delle strutture oppressive come parte attiva nella perpetuazione del dolore sugli animali, sul cambiamento climatico e sulla scarsità di cibo, oltre

260 Greta Gaard, Speaking of Animals Bodies, «Hypatia», vol.27, No.3, Summer 2012, p.523. 261 Ibidem.

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che a sottolineare la relazione storica che lega le relazioni tra umani ed animali nella colonizzazione.

[…] In sum, making these broader connections requires restoring what Adams (1990) calls “the absent referent”, the fragmented bodies of animals, and in the face of such suffering, it requires action. In the words of Josephine Donovan (1990), “We should not kill, eat, torture, and exploit animals because they do not want to be so treated, and we know that. If we listen, we can hear them”. Let’s start listening263.

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