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SULLE VICENDE GIUDIZIARIE DELLO "SCANDALO TANGENTI"

Nel documento Cronache Economiche. N.003, Anno 1986 (pagine 63-67)

Pier Domenico Clemente

tivo anomali o sospetti, ancor prima di giun-gere alla conclusione che gli stessi ineriscono a fattispecie penalmente rilevanti: l'abitudine di « passare la mano alla Magistratura » nei ca-si sospetti è un dovere la cui attuazione — di-ce il magistrato — deve essere predi-ceduta dal corrispondente obbligo dell'accertamento pre-ventivo sul piano amministrativo.

Ed anche per altri aspetti, che la giurispruden-za consolidata ritiene ininfluenti sotto il pro-filo penale, il giudice istruttore sembra lasciar capire, senza alcuna intenzione di infierire, che un pubblico amministratore avrebbe dovuto sentire con maggiore richiamo l'obbligo mo-rale di astenersi da atteggiamenti «confiden-ziali » verso controparti probabili del rappor-to amministrativo.

Dicevamo della questione morale. A giudizio di molti, ancor più che un dovere essa va con-siderata un modo di pensare, un habitus men-tale che al pubblico amministratore non deve fare assolutamente difetto. Ricordiamo l'im-perativo che un illustre uomo politico e giuri-sta torinese del dopoguerra, il prof. Giuseppe Grosso, inculcava alle nuove leve di funziona-ri che si apprestavano ad entrare nell'ente da lui presieduto: « la gestione del denaro pubbli-co va fatta pubbli-con molta maggior cura che per il denaro privato; se qualcuno può permettersi di dissipare il proprio patrimonio, non può perdere quello comune, di ogni cittadino». Il processo delle tangenti ha opportunamente risvegliato, da questo punto di vista, un mag-gior senso critico e, se non in tutte le circostan-ze, in molte occasioni di tale accresciuto rigo-re si sono avute di rigo-recente prove certe. Si po-trebbero citare esempi e fare nomi: basti inve-ce ricordare come desueta è divenuta l'abitu-dine di trarre da leggi e da prassi tutte le possibili valenze, anche quelle chiaramente di-scutibili, riportandole invece ad intepretazio-ni meno estremizzanti, più vicine al buon senso comune, in linea con le presumibili intenzioni del legislatore. Ed ancor più significativa da A distanza di qualche mese dalla sentenza di

primo grado relativa alla «tangenti story», una vicenda che ha squassato impetuosamente le acque limacciose della politica torinese nel 1983, qualche serena riflessione sembra ora possibile. Il Tribunale di Torino, alla fine di un dibattito subito rivelatosi defatigante e complesso, sicuramente sofferto, ha emesso un verdetto pesante, quasi ammonitorio. Tuttavia, più che la sentenza del Collegio giudicante, ri-teniamo che al cittadino interessi l'esito del-l'operazione di ristabilimento della credibilità nelle istituzioni pubbliche, che i fatti denun-ciati avevano non poco contribuito a demolire. Ci si chiede: l'indagine della Magistratura è per lo meno valsa ad eliminare dall'orizzonte politico-amministrativo la schiera dei maneg-gioni, dei faccendieri, degli opportunisti, sem-pre pronti ad approfittare di amicizie o di leg-gerezze per lucrare sulla pelle del contribuen-te? Oppure tutto è rimasto come prima. La ri-sposta è obiettivamente difficile, per chi non voglia trincerarsi dietro al generico ed all'ov-vio, per chi si avvalga della dietrologia (ci si passi il brutto neologismo) per meglio com-prendere i fatti reali, le vere prospettive che stanno nascoste oltre l'angolo.

Guardiamo all'ambiente regionale. Ci par giu-sto incominciare con il ribadire come la que-stione morale anche qui giochi un ruolo non indifferente, pur se ovviamente non per tutti i fatti inquisiti, né per tutte le persone toccate dai sospetti, né oltretutto alla stessa maniera, indiscriminatamente. In attesa di conoscere nei dettagli le motivazioni della sentenza, già la lettura della decisione di rinvio a giudizio è su questo punto categorica, richiamando l'ammi-nistratore pubblico ai doveri di una etica per certi versi anche più stringente di quella co-mune; il giudice dell'istruzione riconferma cioè taluni doveri dell'ufficio che le prassi in atto hanno spesso fatto dimenticare, come quello — fra gli altri — di compiere verifiche ed ac-certamenti su fatti sotto il profilo

amministra-questo angolo visuale è la coraggiosa inversio-ne di tendenza operata dagli organi di vigilanza (CO.RE.CO, Commissariato di Governo, Corte dei Conti) e dalla Magistratura amministrati-va (T.A.R., Consiglio di Stato) ed ordinaria (Preture, Tribunali, Corti), per i quali l'atto amministrativo posto in essere dall'istituzio-ne viedall'istituzio-ne valutato in rapporto alla sua legitti-mità non più soltanto formale ma anche so-stanziale: i cedimenti, che talora in passato si erano verificati sia sul versante della legittimità formale sia su quello della legittimità sostan-ziale, basati su argomentazioni di opportuni-tà politica, sono oggi abbastanza dimenticati e si registra con sempre maggior frequenza la prevalenza delle esigenze del diritto rispetto a quelle della pratica. Lungi con ciò dal voler af-fermare che così, con l'appello cioè al para-metro della legge, ogni problema sia stato ri-solto; ma certo un punto di riferimento preci-so è ritrovato e tale criterio nei casi incerti è fuor di dubbio un importante ausilio al buon governo. L'aver maggiormente radicato nella pubblica amministrazione piemontese il dovu-to rispetdovu-to all'ordinamendovu-to giuridico è già un primo positivo frutto dello scandalo. Sono poi intervenuti, a conferma se non di una nuova mentalità almeno di un maggior scru-polo o di più attenta valutazione dei rischi, al-cuni fatti politici di una certa rilevanza. È stata approvata una legge regionale in ordine alle modalità di scelta e di nomina dei rappresen-tanti regionali in enti ed istituzioni varie: la nuova normativa prevede come requisito essen-ziale la specifica professionalità per il posto da coprire e, per certi versi, allontana almeno formalmente l'influenza — talora incoerente ma comunque spesso determinante — delle forze politiche.

Tuttavia non v'è chi non veda che già in pas-sato la legislazione avrebbe ben potuto appor-tare i necessari sbarramenti antireato sol che fosse stata applicata: occorrerà quindi raffor-zare nei fatti la volontà di far seguire alla nor-ma una sua corretta attuazione, ispirandosi al-la ratio sottostante al-la regoal-la, senza dar spazio a interpretazioni improvvisate se non capzio-se. Ed altresì, aggiungiamo noi, con il corag-gio di saper immolare qualche vittima inno-cente sull'altare della posizione di principio, pur di far entrare nel corpo vivo della cultura politica attuale un « modo nuovo » (termine abusato) di gestire la cosa pubblica.

A questo primo positivo risvolto della «tangenti-story», ne è anche conseguito un al-tro, quello di guardare in maggior misura agli aspetti di compatibilità fra le risorse a

dispo-sizione e quelle spendibili, riconducendo la spi-rale dei disavanzi a livelli significativamente più attenuati: qui hanno giocato da un lato l'ef-fettivo contenimento di taluni tipi di spesa (ri-cordiamo quelle di rappresentanza, quelle per le missioni di studio all'estero, quelle qualifi-cabili come effimero), e dall'altro una più ac-centuata responsabilizzazione dell'Amministra-zione, sia quando ha avuto il coraggio di im-porre prezzi dei servizi più vicini ai costi reali, sia quando ha dovuto subire il ricatto gover-nativo di provvedere in proprio alla copertura degli scoperti, senza il possibile ricorso all'in-tervento statale.

C'è poi il problema, anzi i problemi specifici che hanno permesso in passato il gioco della speculazione sull'ente pubblico e che hanno da-to luogo all'imporsi di prassi o al realizzarsi di circostanze favorevoli all'inquinamento della gestione amministrativa. Sempre per limitarci al caso della Regione — e ancora ovviamente prescindendo dalle singole vicende all'esame del Magistrato penale — a giudizio unanime degli osservatori politici le discrasie registrate possono in prima approssimazione ricondur-si a tre tipi di aburicondur-si: il primo è quello del non aver coltivato le normative vigenti, specie quel-le dell'attribuzione delquel-le competenze per ma-teria ai singoli Servizi regionali, permettendo che la struttura A espletasse compiti propri della struttura B, soltanto perché la pratica era d'interesse della prima; il secondo è quello del troppo facile ricorso a forme di acquisizione della proprietà di beni e servizi sulla base di trattative private, spesso fondando tale ricor-so sull'urgenza o sulla specializzazione dell'ac-quisto; il terzo è legato alla prassi dell'esame

dei provvedimenti « fuori sacco », che non al-tro è se non la iscrizione di una deliberazione all'ordine del giorno del collegio competente decisa seduta stante, senza la formale comu-nicazione dell'oggetto nei tempi e nelle forme regolamentari.

Ebbene, cosa si è fatto in Regione sui suddetti tre versanti della corretta amministrazione? Di-ciamo che si è fatto parecchio, soprattutto sot-to l'impulso di alcuni amministrasot-tori che del « restyling » dell'istituzione hanno voluto fare una bandiera. Gente che andando contro cor-rente ebbe ad assumere come imperativo ca-tegorico il rischio del decidere, il gusto della responsabilità, l'impegno nel vederci chiaro, quando invece l'ovatta politica vorrebbe che ogni cosa venisse glissata, sopita, obliata. Ciò che più favorevolmente impressiona in questo difficile momento è l'aver scoperto tra i fau-tori del rinnovamento persone che magari in passato non avresti ritenuto come possibili compagni di strada nel momento moralizza-tore. Il che può soltanto significare che il mon-do degli onesti è ancora prevalente, anche se spesso gli manca il coraggio di esprimersi ai livelli auspicabili; che qualsiasi mafia, del nord come del sud, ha in sé il virus di una intrinse-ca debolezza, solo che si sia intrinse-capaci di orga-nizzarsi per il corretto uso del potere; che alla fin fine il futuro si prospetta come di speran-za, purché lo si voglia affrontare con corag-gio e senza cedimenti.

Al di là di questa premessa a contenuto gene-rale, occorre scendere nei dettagli. Avevamo detto in precedenza che un primo tipo di abu-so riscontrato presabu-so l'Amministrazione regio-nale si imperniava sulla utilizzazione non cor-retta delle normative regionali vigenti per quanto riguarda le attribuzioni di competen-za dei vari Servizi regionali, nell'esercizio del-le funzioni istituzionali. Per scendere ulterior-mente al caso concreto, è convinzione di mol-ti operatori del settore, in parmol-ticolare dell'ap-parato regionale, che taluni fatti e circostanze emersi in seguito con evidenza sarebbero dif-ficilmente assurti al rango di penalmente rile-vanti se fosse stata rispettata rigorosamente la distinzione di compiti fra ufficio ed ufficio del-l'ente. In effetti molte volte si è visto che l'in-tromissione di personale incompetente ha avu-to come conseguenza o la mancata evidenzia-zione del non rispetto di norme di legge o di prassi amministrative vigenti, oppure ha di fat-to favorifat-to per motivi particolari l'aggiramenfat-to delle stesse con interventi solo fittiziamente corretti: dal qual pericolo l'amministratore oculato ha certo potuto difendersi,

ricorren-do ad iniziative o professionalità proprie, men-tre quell'altro amministratore, che per motivi diversi non ha saputo — o non ha voluto — cautelarsi, alla fine è incappato in situazioni difficili, soltanto talora riconducibili a ragio-ni di lucro proprio o di partito. Da questo pun-to di vista alla Regione Piemonte molte situa-zioni sono ora cambiate, non solo con radica-li mutamenti in molte prassi consoradica-lidate, ma , anche con la predisposizione (per ora si è

so-lo a tale livelso-lo procedurale!) di normative or-ganizzative nuove, fra l'altro tali da prevedere dirette responsabilità del dirigente in ordine ai provvedimenti di cui ha cura. Negli ultimi mesi si è rafforzata cioè la consapevolezza della ne-cessità di rivalutare il ruolo del dirigente re-gionale, con maggiori sue responsabilità accan-to a più incisivi poteri di partecipazione alla formazione degli atti amministrativi. Se ancora non si è pervenuti ad un definitivo

riconosci-mento formale di tale esigenza, tuttavia passi significativi nella giusta direzione sono stati senza dubbio compiuti o quantomeno impo-stati.

Un secondo tipo di abuso era considerato (ed ancora in parte trova oggettivi riscontri) il ri-corso prevalente alla forma della trattativa pri-vata in occasione dell'acquisizione al patrimo-nio regionale di beni o servizi. La legge, come è noto, consente tale forma di contrattazione in presenza di ben precisi presupposti di fatto 0 di diritto, considerandola un'eccezione rispet-to ad altre forme di contrattazione più caute-lanti per l'Amministrazione stessa. Ebbene, molte volte in passato la discriminante fra trat-tativa e licitazione privata non era valutata sul-la base dei diversi presupposti di legge, ma con riferimento ad altri parametri, quali la facili-tà della contrattazione, l'opportunifacili-tà di strin-gere rapporti con una ditta, oppure ancora la fiducia relativa alle capacità realizzative della controparte. Di fronte alle aberranti conse-guenze derivanti dall'abuso di tale forma di contrattazione, la Regione Piemonte ha rite-nuto necessario avviare una sua propria nor-mativa in materia contrattuale e nel gennaio del 1984 con la legge regionale n. 8 ha codifi-cato in maniera precisa e minuziosa le proce-dure e le forme di contrattazione, arrivando a definire un « corpus » di norme che indub-biamente ha rappresentato un freno ai possi-bili abusi in materia (anzi ha finito con l'ag-giungervi anche qualche remora in più sul già defatigante iter di provvedimenti amministra-tivi, remora che in futuro è interessante poter correggere). Ormai tanto le procedure che pre-cedono l'assegnazione del contratto, quanto quelle successive (ed in particolare le forme di stipulazione, le clausole penali, le cauzioni di garanzia, i controlli sull'esecuzione ed i collau-di) sono regolate in maniera così minuziosa che 1 più evidenti rischi della discrezionalità sono stati di molto ristretti. Quando poi il ricorso alla trattativa privata appare necessario, intor-no al concetto di urgenza (che intor-non consente il ricorso ad altre forme di contrattazione) o di unicità del prodotto da acquistare, vengo-no richieste tali precisazioni che il fevengo-nomevengo-no appare sostanzialmente ricondotto al suo am-bito naturale.

Il terzo abuso, l'esame dei provvedimenti de-liberativi senza la previa iscrizione all'o.d.g. del-le sedute dell'organo coldel-legiadel-le, attraverso la cosiddetta prassi del « fuori sacco », appare an-cora oggi purtroppo un fenomeno non elimi-nato, anche se ridimensionato. Intanto, ora co-me prima, è una prassi in teoria sempre

sotto-posta ad un rischio, quello dell'annullamento della determinazione assunta su semplice ri-corso di un solo membro del collegio non pre-sente alla seduta. Ma se questa minaccia ap-pare più teorica che concreta, assai più peri-colosa e foriera di negativi riflessi potrebbe ta-lora rivelarsi la « spada di Damocle » delle pos-sibili valutazioni degli atti o fatti ammini-strativi sottostanti al provvedimento adot-tato senza la regolare previa iscrizione al-l'o.d.g.: v'è spesso il sospetto, cioè, che qual-cuno possa aver avuto interesse a fini partico-lari di ritardare la conoscenza del progettato provvedimento. Sta di fatto che anche su que-sto punto l'effetto «scandalo delle tangenti» ha prodotto notevoli conseguenze, con drasti-ca riduzione dei drasti-casi di fuori sacco. Concludendo, se all'inizio dell'indagine penale erano in parecchi a dubitare sull'incisività del-l'iniziativa giudiziaria nell'ambito delle rifor-me comportarifor-mentali o normative della p.a., oggi è oggettivamente riscontrabile un positi-vo risveglio della coscienza comune per for-me di gestione della cosa pubblica più corret-te e meno inquinacorret-te. Il ritardo — non certo allarmante per i tempi tecnici abituali — con cui venne registrata l'apertura del dibattito giu-diziario e poi la ripetizione di parte dello stes-so per le note ragioni ha in parte smorzato qualche spunto riformatore, ma non li ha bloc-cati. La direzione di marcia intrapresa sembra quella giusta. Notevole spinta al progresso ver-so l'auspicata completa trasparenza dell'atti-vità pubblica potrà forse derivare dalle deci-sioni definitive della Magistratura, quando si potrà con maggior chiarezza capire i fatti e sce-verare il vero dal falso, il sospetto dalla real-tà, l'indizio dalla prova. È certo, peraltro, che gli effetti del blitz giudiziario del marzo 1983 non sono passati in Piemonte senza traccia: ed è stato un segno di maturità generale. Per questo «oportet ut scandala eveniant». Piuttosto sarà opportuno tener presente un al-tro rischio: quello di dimenticare presto — co-me evenienza sgradevole — Io scandalo e le sue conseguenze. Se ha ragione Edward Gibbon nel suo paradosso: « la corruzione è il sinto-mo più infallibile della libertà costituzionale », di corruzione occorre saper sopravvivere.

Nel documento Cronache Economiche. N.003, Anno 1986 (pagine 63-67)