Dallo Sviluppo allo sviluppo sostenibile: elementi di modernità.
2.1 Sviluppo: storia di un concetto dalle diverse declinazion
Il fenomeno dello sviluppo è stato accompagnato da vari paradigmi che si sono fatti portavoce di quello che poteva essere l‟atteggiamento dominante della società, dello Stato e dell‟economia di fronte ad esso.
Spesso il termine sviluppo è stato associato al termine crescita, divenendone addirittura sinonimo, soprattutto nelle società occidentali in cui l‟elemento principale per misurare lo sviluppo di un territorio è la crescita economica. Durante gli anni ‟50 del secolo scorso al centro delle varie teorie economiche, al di là delle dispute teoriche e dei diversi modelli che privilegiavano l‟una o l‟altra priorità, fu la crescita del prodotto pro capite e il modo per ottenerlo (Bottazzi, 2009).
Alla base di quella che molti teorici definiscono “teoria della modernizzazione” vi è una logica di distribuzione della ricchezza causata dalla penuria.
Nonostante fosse presente la convinzione che parallelamente alla crescita economica dovessero essere prese in considerazione anche variabili extra- economiche come la struttura sociale, il sistema culturale, le istituzioni e la politica.
Durante gli anni ‟50 e ‟60 il “paradigma della modernizzazione” attuò numerosi interventi e iniziative a sostegno dello sviluppo la cui regia era affidata a istituzioni finanziarie internazionali come l‟International Monetary Fund e la World Bank.
Una delle prime teorie economiche avanzata per spiegare lo sviluppo di alcuni paesi (l‟Occidente in generale) a fronte del sottosviluppo di altri ( il Terzo Mondo) fu quella del “circolo vizioso”, secondo cui la povertà e l‟arretratezza dei secondi era causata essenzialmente da fattori endogeni e «il sottosviluppo veniva definito come uno stato che si autoperpetua» (Bottazzi, 2009, p.31), così come avviene nei paesi sviluppati in cui «una costellazione circolare di forze» contribuisce alla crescita economica continua.
Alla base delle teorie economiche che si basavano sul modello del circolo vizioso vi era la convinzione che le categorie tipiche delle economie occidentali come, la crescita economica e produttiva che avrebbe portato a una crescita sempre
Stefania Frongia – Ambiente, agricoltura e sviluppo: il sistema Arborea – Tesi di dottorato in Scienze sociali - Indirizzo Scienze della Governance e dei Sistemi ComplessiUniversità degli Studi di Sassari
50 maggiore , dovessero essere applicate anche a quei paesi che si trovavano in condizioni di “sottosviluppo”. Secondo alcuni economisti sostenitori di tale teoria un modo per spezzare la catena del sottosviluppo, dal momento che esso trovava la sua causa principale all‟interno del suo stesso circolo, era quello di immettere capitali provenienti dall‟esterno, attraverso quelli che vennero definiti “aiuti allo sviluppo”, ma che ben presto risultò essere una strategia inefficace (Mutti, 1973). Una delle interpretazioni di tale fallimento, che proveniva fuori dal coro delle teorie neo- classiche, fu quella di Myrdal (1959) secondo cui «il capitale, nel complesso, evita i paesi sottosviluppati, specialmente perché gli stessi paesi progrediti continuano a svilupparsi rapidamente e possono offrire ai proprietari di capitale sia buoni profitti che sicurezza». È la logica delle forze di mercato che se lasciate agire liberamente, secondo Myrdal generano ineguaglianza e accumulo di capitale nei paesi sviluppati e inevitabile impoverimento nei paesi sottosviluppati.
Ciò che maggiormente contribuì all‟ondata di ottimismo relativo all‟efficacia dei modelli teorici di sviluppo degli economisti neo-classici negli anni ‟50 e ‟60 da adottare nei paesi del Terzo Mondo, fu il successo ottenuto dal Piano Marshall nella ricostruzione delle economie dei paesi dell‟Europa occidentale, e della loro rapida ripresa dopo la seconda guerra mondiale (Hettne,1997; Sachs, W. 1998). Ottimismo accompagnato dalla convinzione che leggi che stavano alla base dei sistemi economici, così come le caratteristiche dei fenomeni di sottosviluppo e quelle dello sviluppo fossero simili, per cui si potesse intervenire con leggi universali applicabili ovunque, senza tener presente le diversità delle caratteristiche sociali, culturali e storiche dei diversi paesi. Si pensava, inoltre, che attraverso la crescita economica anche le strutture sociali e culturali ne avrebbero giovato e si sarebbero sviluppati secondo una concezione deterministica derivante da un retaggio positivista ed evoluzionista (Mutti, 1973; Hettne, 1997).
Un ulteriore fenomeno predominante in quel periodo fu la corsa all‟industrializzazione, vista come «unico e vero sentiero per imboccare la via della crescita sostenuta e dello sviluppo» (Bottazzi, 2009 p. 39) e il ruolo attivo che lo Stato doveva avere nella pianificazione delle politiche di sviluppo di ogni paese per cercare di forzare i tempi per il raggiungimento di obiettivi di crescita ambiziosi. Si moltiplicarono così tecniche, consulenti ed esperti nelle nuove tecniche presso le
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51 agenzie internazionali e gli uffici del piano dei vari paesi, il cui principale obiettivo era la crescita del reddito da perseguire attraverso una rapida e massiccia industrializzazione. Un esempio di tale tendenza culturale e politico è fornito in Italia dall‟istituzione della Cassa per l‟intervento straordinario nel Mezzogiorno, i cui interventi si basavano sulle teorie di economisti dell‟epoca (da Rosenstein-Rodan a Vera Lutz a Hirschman) e seguendo le linee guida dell‟epoca , all‟intervento pubblico furono destinate ingenti risorse da destinare alla realizzazione di poli industriali, ovvero alle industrie di base come la siderurgia e la petrolchimica, che avrebbero dovuto provocare nei territori circostanti quel Big Push auspicato da Rosenstein- Rodan (Bottazzi, 2009).
Il paradigma della modernizzazione, nonostante le numerose variabili, presenta delle caratteristiche comuni che rappresentano l‟atteggiamento dominante delle società occidentali che si sono sentite portatrici di sviluppo economico, sociale e di libertà, e detentrici della formula per il raggiungimento di esso.
Una delle caratteristiche comuni alla modernizzazione è la dicotomia tra società tradizionali e moderne, le prime considerate arretrate a causa delle loro peculiarità culturali ed economiche come l‟assenza della ricerca del profitto e di una logica di mercato che perseguisse bisogni economici (Kumar, 2000).
La società tradizionale perseguiva bisogni meramente sociali, come il riconoscimento sociale attraverso il raggiungimento di status o prestigio. L‟economia predominante era un‟economia di sussistenza, in cui mancava l‟attenzione verso un aumento della produzione e alla crescita economica. Una società definita statica secondo quelli che sono i parametri della modernizzazione. Ad essa si contrappone la società moderna, che corrisponde al modello avanzato industriale – capitalistico dell‟economia, caratterizzato dal dinamismo e dalla trasformazione (Marx, 1968; Weber, 1983) . La modernizzazione è vista come un processo irreversibile, un passaggio obbligato da parte di una società di tipo tradizionale secondo i criteri della teoria evoluzionista (Spencer, 1967).
Così la modernità è considerata come un processo sequenziale e lineare che passa per tappe obbligate. In linea con tale principio Walt Rostow elabora la sua teoria nel libro “The stages of economic growth” nel 1960, in cui egli fornisce una sua spiegazione storica dello stato e dello sviluppo di tutte le possibili società del
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52 passato e del presente in opposizione all‟interpretazione marxista, per cui al culmine del processo di sviluppo egli vedeva il capitalismo avanzato anziché il socialismo.