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2. I FONDI PENSIONE IN EUROPA: UN’ANALISI COMPARATA

1.6. Tassazione ed incentivi fiscali

Il riconoscimento di agevolazioni al trattamento della previdenza complementare trova la sua ragion d’essere nel ruolo di supporto da questa rivestito nell’assicurare agli individui la continuità del proprio tenore di vita anche in età anziana. La leva fiscale è, a tal proposito, tanto più importante laddove il perseguimento della citata finalità previdenziale non sia imposto forzosamente, ma sia affidato alla libera iniziativa individuale. Risulta pertanto essenziale riuscire ad implementare un adeguato sistema di incentivi che stimoli i singoli ad assumere su base volontaria decisioni e comportamenti di interesse collettivo.

A titolo di premessa, occorre dire che, pur costituendo un elemento potenzialmente propulsivo per lo sviluppo dei fondi pensione, l’incentivo fiscale in ogni caso non rappresenta una condizione necessaria nè sufficiente al raggiungimento di tale scopo: altri fattori di carattere politico, strategico ed istituzionale si combinano ad esso e concorrono a determinare l’effettivo grado di efficacia del piano fiscale in ambito previdenziale per ciascun Paese. Ad esempio, un piano ben congegnato di incentivi fiscali difficilmente potrà dispiegare pienamente i suoi effetti in assenza di un’adeguata campagna informativa promossa dal Governo e senza un’altrettanto efficace campagna di marketing messa in atto dai provider.

Per quanto concerne l’effetto delle incentivazioni sul risparmio complessivo, alcuni studi empirici sembrano indicare che tale impatto non riguardi tanto il livello del risparmio, quanto una differente composizione dello stesso, col risparmio agevolato previdenziale che spiazzerebbe il risparmio non previdenziale, ma solo in misura parziale: le caratteristiche peculiari del risparmio pensionistico, infatti – soprattutto in termini di vincoli di lunga durata alla sua disponibilità – lo rendono un sostituto assai imperfetto rispetto ad altre forme di accantonamento.

Il trattamento fiscale di favore riconosciuto da sempre al risparmio previdenziale non può essere valutato con esclusivo riferimento al regime di tassazione cui sono sottoposti i fondi pensione: è necessario calarsi in un’ottica multiperiodale, che tenga conto delle tre diverse fasi in cui si suddivide la procedura di tassazione in ambito pensionistico:

a) la fase di contribuzione, in cui vengono versati i contributi;

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c) la fase di erogazione, in cui si ha la percezione della rendita pensionistica e dell’eventuale quota di risparmio erogato sotto forma di capitale.

Per comprendere con quali differenti modalità è possibile tassare il risparmio previdenziale, consideriamo l’esempio riportato in Tabella 5, dove si suppone che un individuo versi contributi di ammontare pari a 100 per due periodi, dopodichè, all’inizio del terzo periodo, va in pensione ottenendo il montante maturato in un’unica soluzione. L’ammontare della pensione è in questo caso pari ai contributi capitalizzati al tasso di interesse di mercato (che si ipotizza essere pari al 10%).

Fase Voce Contribuzione 100 100 Accumulazione Interessi su 10 11 Interessi su 10 Erogazione Pensione 231

Tabella 5. Le tre fasi del risparmio previdenziale: un esempio. Fonte: nostra elaborazione da Guerra, M.C. (2004).

Negli Stati che adottano uno schema di imposta sul reddito entrata, i flussi relativi alla fase di contribuzione vengono tassati (T). Analogamente sono tassati i redditi di capitale e le plusvalenze maturati nella seconda fase, quella dell’accumulazione (T). La pensione, erogata nella terza fase, viene invece esentata (E): essa infatti non rappresenta nuovo reddito, essendo pari alla somma dei contributi e degli interessi maturati sugli stessi, che sono già stati tassati nelle due fasi precedenti. Questa modalità di tassazione può essere sintetizzata con le lettere TTE (acronimo di tassazione-tassazione-esenzione) ed il relativo caso è illustrato dalla (Tabella 6), in cui si ipotizza un’aliquota di tassazione pari al 20%.

Fase Voce Contribuzione 100(1-0,20)=80 100(1-0,20)=80 Accumulazione Interessi su 8(1-0,20)=6,4 8,64(1-0,20)=6,9 Interessi su 8(1-0,20)=6,4 Erogazione Pensione 179,7

Tabella 6. Imposta sul reddito entrata: un esempio. Fonte: nostra elaborazione da Guerra, M.C. (2004).

L’individuo pagherebbe imposte per il 20% di 100 in fase di contribuzione, potendo così investire contributi per 80, che sarebbero capitalizzati al tasso lordo del 10%, cui

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corrisponde un tasso netto dell’8% giacchè anche i redditi da capitale vengono tassati all’aliquota del 20%. La pensione, esentata da tassazione, risulta essere pari a 179,7; ne ne consegue che l’ammontare complessivo di imposte al tempo risulta pari a 51,3.

La seconda modalità di tassazione prevede invece un’aliquota di imposta sulla spesa: secondo tale concezione, gli accantonamenti e gli interessi, dal momento che non si traducono in consumo effettivo, non concorrono alla determinazione del reddito imponibile. Prima e seconda fase sono pertanto esenti da imposta, mentre viene tassata l’erogazione del capitale finale (Tabella 7). Ne risulta uno schema del tipo EET (esenzione-esenzione-tassazione), che implica una tassazione complessiva al tempo pari a 46,2. Fase Voce Contribuzione 100 100 Accumulazione Interessi su 10 11 Interessi su 10 Erogazione Pensione 231(1-0,20)=184,8

Tabella 7. Imposta sulla spesa: un esempio. Fonte: nostra elaborazione da Guerra, M.C. (2004).

L’onere di imposta che grava sul soggetto risulta in questo contesto più basso rispetto al caso precedente in virtù dell’eliminazione del fenomeno della doppia tassazione del risparmio che si verifica tassando il reddito entrata: tassando entrambe le voci di reddito in ingresso nello schema previdenziale (contributi e interessi capitalizzati), la medesima base di risparmio iniziale subisce una duplice tassazione in corrispondenza di due fasi successive, ossia quella del suo versamento e quella della maturazione dei suoi frutti.

L’eliminazione dell’inconveniente fenomeno della doppia tassazione del risparmio può essere ottenuta, oltre che ricorrendo ad una tassazione sulla spesa, anche nell’ambito di un’imposta sul reddito, esentando i redditi da capitale. In questo caso i contributi vengono inclusi nella base imponibile, mentre sono esentati gli interessi maturati. Analogamente sarà esentata la pensione, che come si è visto è composta dai contributi versati, già tassati, e dagli interessi maturati in fase di accumulazione, esenti da imposizione. Lo schema di riferimento in questo caso è del tipo TEE (tassazione- esenzione-esenzione).

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Come mostra la Tabella 8, esso risulta equivalente allo schema EET, in termini di valore capitalizzato al tempo se l’imposta è proporzionale; in presenza di imposte progressive la diversa allocazione temporale della base imponibile può invece dare ad oneri di diversa entità.

Fase Voce Contribuzione 100(1-0,20)=80 100(1-0,20)=80 Accumulazione Interessi su 8 8,8 Interessi su 8 Erogazione Pensione 184,8

Tabella 8. Imposta sul reddito con esenzione dei redditi da capitale: un esempio. Fonte: nostra elaborazione da Guerra, M.C. (2004).

Nonostante l’interesse suscitato in più di un’occasione dal modello di imposizione sul reddito spesa, a livello europeo non è stato finora implementato alcun modello di primo pilastro ad esso riconducibile. Tuttavia i regimi di tassazione delle pensioni adottati dai diversi Stati membri non sono mai pienamente aderenti neppure al modello di tassazione sul reddito entrata: nella fattispecie i redditi di capitale, pur non essendo esentati, sono frequentemente assoggettati ad un prelievo agevolato (sostitutivo) rispetto a quello riservato agli altri redditi. I contributi versati, così come le pensioni, sono in genere assimilati a redditi da lavoro e ricadono pertanto nel campo di influenza della tassazione ordinaria sui redditi da lavoro. Alcuni sistemi tuttavia riconoscono e tassano separatamente, con diverse aliquote, le due componenti che formano le prestazioni pensionistiche (contributi versati e interessi maturati).

Per quanto concerne i fondi pensione, il modello fiscale prevalentemente applicato è il cosiddetto modello anglosassone, e cioè un modello EET, in cui la contribuzione è esente da imposta – i contributi versati sono quindi deducibili dall’imposta sul reddito – i redditi maturati nella fase di accumulazione non vengono sottoposti a tassazione, mentre le pensioni sono tassate in via ordinaria. Tale sistema quindi differisce il prelievo fiscale al momento dell’acquisizione dei benefici pensionistici, determinando un minor gettito fiscale nella fase di accumulazione. L’adozione su ampia scala di tale regime può essere letta come una validazione in chiave empirica dell’ipotesi di superiorità dell’imposta sulla spesa rispetto all’imposta sul reddito: quest’ultima tratta il risparmio previdenziale come se fosse un qualunque bene o servizio, senza tener conto della sua natura di reddito differito, quindi di mezzo tramite

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il quale provvedere al consumo futuro.L’imposta sulla spesa, viceversa, si rivela neutrale rispetto alla scelta temporale relativa al consumo e, di conseguenza, al risparmio. L’imposta sulla spesa garantisce inoltre una maggiore semplicità amministrativa, in quanto tassare i proventi di un investimento, in specie i capital gains non realizzati, può risultare difficile. Infine, l’imposizione sul reddito, avendo come base imponibile il rendimento nominale, può prestare il fianco al problema dell’inflazione: se, ad esempio, il rendimento reale dell’investimento fosse del 2,5% e l’inflazione si attestasse al 7,5%, una tassazione sui redditi da capitale pari al 25% determinerebbe un rendimento post- tassazione del 7,5% in termini nominali, ma dello 0% in termini nominali. Per tassi di inflazione ancora superiori, il rendimento reale sarebbe addirittura negativo.

L’adozione di un regime fiscale di tipo EET pone i fondi pensione in un’indubbia situazione di favore rispetto, ad esempio, ai fondi comuni di investimento, i quali sono sottoposti ad una tassazione sul reddito entrata (TTE), nella quale gli accantonamenti derivano da reddito tassato; i redditi da capitale derivanti dagli interessi maturati in fase di accumulo sono generalmente tassati, ancorchè con aliquote di prelievo più miti rispetto alla tassazione ordinaria; infine i proventi dell’investimento sono in genere esentati.

Tabella 9. Classificazione per sistema di tassazione dei paesi dell’Unione europea. Fonte: Lesca, A. (2007).

In generale, le contribuzioni dei datori di lavoro sono deducibili dal reddito aziendale e non sono tassate come reddito da lavoro per i lavoratori; i rendimenti finanziari della gestione sono di norma esenti, sebbene alcuni Stati vi applichino una tassazione

EEE EET TEE ETT TTE

Cipro (Provident funds) Austria Belgio Finlandia Francia Germania Grecia Irlanda Olanda Portogallo Spagna Regno Unito Cipro (Mandatory pension funds) Estonia Lettonia Malta Polonia Slovacchia Slovenia Lussemburgo Ungheria Germania (Pensionskassen) Lituania Croazia Danimarca Italia Svezia -

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sostitutiva: ad esempio, in Svezia è prevista un’aliquota ridotta del 15% rispetto a quella praticata sulle altre tipologie di gestione (pari al 30%), mentre l’Italia prevede una tassazione dell’11% rispetto al 12,5% applicata agli investimenti finanziari, anche se l’ipotesi di un innalzamento dell’imposta sui rendimenti al 20% è attualmente sul tavolo del Governo.

La possibilità offerta ai lavoratori di portare in deduzione le proprie contribuzioni alla previdenza complementare è in genere concessa, tuttavia il tetto massimo di deducibilità varia molto da paese a paese, potendo coincidere con una percentuale della contribuzione annua ovvero con una cifra fissa annua, o ancora con una combinazione delle due. In alcuni Stati membri le esenzioni fiscali sui contributi non hanno limiti massimi; è il caso tipico degli schemi occupazionali e individuali obbligatori in vigore nei Paesi Bassi, come di quelli di secondo pilastro svedesi. In qualche caso è prevista una “sovvenzione diretta”, ossia un credito d’imposta concesso dallo Stato in favore dei lavoratori a basso reddito, per i quali l’esenzione sui contributi non determinerebbe significativi benefici. Strumenti di questo tipo sono presenti negli schemi individuali cechi e nelle Stakeholder pension britanniche.

Regole fiscali “disgiunte” possono essere stabilite anche con riferimento alla natura delle prestazioni: in Irlanda e Regno Unito, ad esempio, parte dei benefici erogati in capitale possono essere esentati, mentre il Belgio ha provveduto nel 2003 ad omogeneizzare i trattamenti fiscali per rendite e capitali, in modo da favorire la diffusione delle prime.

Un’importante considerazione, che in questa sede ci limitiamo a richiamare ma che sarà meglio approfondita nel successivo capitolo, riguarda le implicazioni che le differenti configurazioni del trattamento fiscale riservato alle forme pensionistiche complementari possono avere sulla mobilità transfrontaliera dei lavoratori. Infatti, stante lo scarso livello di armonizzazione delle normative fiscali negli Stati membri, un lavoratore che si trasferisse in un nuovo paese rischierebbe di incorrere in problemi di doppia tassazione38, ovvero potrebbe non essere tassato affatto39.

38 Ciò potrebe accadere qualora nel paese di origine venissero tassati totalmente o parzialmente le

contribuzioni ed i rendimenti, mentre nel nuovo paese fosse imposto un regime di tassazione integrale sulle rendite.

39 Questo si verifica, ad esempio, se nel paese di origine sono esentate le contribuzioni ed i rendimenti,

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Da tempo la Commissione europea auspica una maggiore armonizzazione dei regimi fiscali applicabili ai piani pensionistici complementari, al fine di evitare situazioni di pregiudizio o di arbitraggio fiscale, e di abbattere le residue barriere poste ad ostacolo per la realizzazione del mercato unico.