Farinati e Ligozzi: singolarità iconografiche venete
2. Temi grafici, codificazioni pittoriche e utilizzo politico dei continent
Nel Seicento le personificazioni dei Quattro Continenti diventano un soggetto estremamente popolare. Il pensiero dell’età barocca sul mondo, sul suo ordine politico, sociale e spirituale, vi trova infatti una congeniale manifestazione visiva. Nel capitolo sono delineate le modalità di riproposizione di modelli precedenti, evidenziando prima di tutto la penetrazione del tema, visto fino a ora preminentemente nelle arti grafiche, nella pittura da cavalletto e tracciando, successivamente, un itinerario attraverso alcune esemplificative declinazioni politiche.
Queste personificazioni non trovano, soprattutto agli inizi, un grande spazio nella pittura. Come sottolinea Elizabeth McGrath, la primigenia elaborazione di idee e strategie visive a loro connesse avviene in altri contesti, quali illustrazioni di resoconti, serie stampate, decorazioni di feste cittadine, riverberando eventualmente nella grande decorazione parietale, soprattutto italiana. Anche se il ruolo dei dipinti rimane marginale, si possono nondimeno rintracciare e delineare tre importanti casi realizzati nel corso del secolo. Nel primo, il più significativo, assistiamo all’utilizzo del soggetto in seno a una tematica familiare, nella fattispecie l’omaggio al sovrano del Sacro Romano Impero Carlo V. Il secondo caso, opera di Rubens, è in realtà di più ambigua interpretazione e, probabilmente, non è da inserirsi nel novero di opere a esso dedicate. Il terzo caso, invece, è rappresentato da quattro oli a loro volta circondati da sedici più piccole tavole dipinte, un assemblaggio complesso e affascinante che ci conduce in un territorio tuttavia non esattamente centrato nei suoi intenti con il filo rosso che guida la presente ricerca.
L’abdicazione di Carlo V è il soggetto di una tavola di Frans Francken il giovane, datata circa 1635 e conservata al Rijkmuseum di Amsterdam (fig. 118)375. L’opera figura il momento in cui l’imperatore decreta la suddivisione dei suoi domini tra il fratello Ferdinando e il figlio Filippo, abbandonando tutto il potere riunito per passare il resto della vita nel monastero di San Jerónimo in Estremadura. Tale scissione pone le premesse per lo
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375 Carlo V abdica tra il 1555 e il 1556. La tavola, in particolare, figura l’abdicazione di Bruxelles del 1555,
come attestato dall’iscrizione: «S.R. Imperii spontanea resignatio a Carolo V Imp. in Ferd. I Fr. regnorumq. haered. in Phlm. II Hisp. Regem Fil. Facta Brux. Ae 1555. Ex inven. D. Petri. de Hannicart». Pieter Hannicaert è, come si evince, quindi in parte responsabile dell’iconografia proposta.
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sfaldamento dell’Impero, nonché dell’anelito universalistico - una nozione che Frances Yates definisce «transitoire et irréel» - sul quale era stato edificato376.
L’ossequio dei popoli della terra, con lo scopo di manifestare ed esaltare l’autorità globale del sovrano, è un tema iconografico utilizzato già dai primi imperatori del Sacro Romano Impero - come Ottone I, II e III - ma è nel contesto delle parate cittadine analizzate nella parte precedente di questa ricerca, in seno al complesso propagandistico di Carlo V, che le popolazioni in omaggio sono metamorfosate nelle personificazioni ecumeniche377. Francken, coinvolgendole nella sua tavola, tramuta il Theatrum mundi di fine Cinquecento in un tema pittorico. Nel fare ciò attua un processo di minimizzazione dello stravagante e ristringe lo spazio dedicato agli attributi di ciascuna figura, fauna esotica compresa. D’altronde, come rileva McGrath, non doveva essere semplice tradurre «literary and humanist inventions made for books, print series or pageants into the common currency of painting»378.
L’immagine, così come il frontespizio della Cosmographia di Matthias Merian e tutte le immagini similari che saranno prese in considerazione nelle prossime pagine, è teatrale nella disposizione: Carlo è seduto al centro con le braccia spalancate, le mani guidano lo sguardo dell’osservatore sulle due ali che lo fiancheggiano, con i suoi attori mitologici a sinistra e le terre sottomesse a destra379. In particolare, in primo piano, troviamo !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
376 Si veda Frances Yates, Charles Quint et l’idée d’empire, in Jacquot, 1960, p. 57: la studiosa si interroga
sulla natura transitoria e irreale di questa nozione di universalità tracciando, parallelamente, l’incalcolabile importanza dell’impero di Carlo e la presenza in tutta Europa dei simboli della sua propaganda. Yates parte dall’idea di impero medievale per comprendere i mutamenti apportativi nel corso del Quattrocento, ripercorrendo le tappe del suo sfaldamento sotto l’influenza del nuovo pensiero storico e politico e indagando la sua successiva ‘resurrezione’ sotto Carlo. In ultimo, si sofferma sul contributo del suo impero alla creazione delle nascenti monarchie nazionali. L’analisi della Yates prende le mosse, quindi, da Romolo Augusto, passa per Carlo Magno, Federico II e Massimiliano I, percorre la contrapposizione e compenetrazione tra civitas Dei e civitas terrena agostiniana, la definizione dantesca di impero nel De
Monarchia, la teoria della continuità dell’impero espressa da Petrarca, si sofferma sulle idee a riguardo di
Leonardo Bruni, Machiavelli, Erasmo per approdare, infine, alla glorificazione di Carlo V come novello Carlo Magno così come è espressa tra le righe dell’Orlando Furioso.
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Una miniatura, per esempio, contenuta nei Vangeli di Ottone III mostra quattro donne rappresentanti la popolazione italiana, quella gallica, la germanica e la slava genuflesse presso il trono dell’imperatore. In altri esempi troviamo, a fiancheggiare il trono dell’imperatore per rendergli omaggio, le personificazioni delle principali nazioni sotto il suo dominio.
378 McGrath, 2000, p. 46. Si veda Hendrik Horn, The Allegory of the Abdication of the Emperor Charles V by Frans Francken II: Some Observations in the Iconography of Antwerp’s Plight in the Early Seventeenth Century, in «Art Canadian Review-Revue d’art canadienne», XIII, 1986, pp. 23-30.
379 Secondo McGrath (2000, p. 60) le connessioni con l’immagine di Merian non si fermano alla sola
impaginazione. Anche le offerte presentano consonanze, quali il corallo poggiato sul piatto retto da Africa e il forziere che Asia tiene davanti alle sue ginocchia. Tuttavia, si può anche notare che le due immagini differiscono per un fondamentale elemento: sul frontespizio America, infatti, porge ‘solo’ della frutta e non gli ori e gli argenti esposti dalla sua controparte pittorica. Gli oggetti sembrano, in effetti, presentare, in un caso e nell’altro, diverse connotazioni: se nella Cosmographia assurgono al ruolo di attributi, Francken pone
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inginocchiate, quasi fossero dei novelli Magi, Africa, una giovane dalla pelle bruna al centro del terzetto che stringe in mano un corallo e alcuni fili di perle, una variopinta America, che non tradisce neanche in questo caso la sua natura di forziere di ricchezze dell’impero spagnolo presentando una cassetta colma di ori e di argenti, e Asia, con turbante ottomano e un cofanetto di gioielli, che volge lo sguardo fuori dal quadro (fig. 120). Nello spazio del dipinto incorniciato dalle loro mani in profferta si scorge il muso di un coccodrillo, evidentemente associato ad Africa come nella serie di de Vos-Collaert, e un armadillo di proporzioni questa volta non gigantesche. Quanto al cammello sembra assente. Una miriade di tessuti ricamati e sontuosamente dipinti, di accessori, di piatti, di vasi finemente decorati e un incensiere fumante, chiaramente associato ad Asia, sono accatastati ai loro piedi.
Un po’ scostata si erge una fanciulla bionda che guarda lo spettatore direttamente negli occhi: ha un mantello con la doppia aquila degli Asburgo (una su ciascuna spalla), la corona, la spada in una mano e il globo crucigero nell’altra. Al suo fianco troviamo una figura a lei molto simile, con la medesima corona, sebbene in verde invece che in rosso, e con lo scettro in luogo della spada. Dietro alla coppia tre fanciulle reggono altrettante bandiere recanti gli stemmi dei possedimenti asburgici nei Paesi Bassi, in Spagna e in Italia. Le due figure potrebbero rappresentare la Potestas imperialis e la Maiestas
imperialis, come nell’Allegoria in onore di Filippo III incisa da Adriaen Collaert su
disegno di Stradano (cfr. fig. 131), sebbene i caratteri della presunta Potestas differiscano dagli elementi solitamente assegnateli nella tradizione figurativa (si veda la corrispondente allegoria così come è presentata da Philip Galle nella sua Prosopographia). Ad ogni modo la presenza di questo ambiguo ‘doppio’ conduce a pensare che la personificazione di Europa, come la tradizione ha abituato fino a questo punto a pensarla, sia sostanzialmente assente, e che si sia scelto di frammentare il continente nelle tre figure con gli stemmi. L’impaginazione dell’Abdicazione era già stata utilizzata dal pittore in una sua opera di poco anteriore (1629): l’Omaggio ad Apollo (fig. 122)380. Anche qui le divinità marine sulla sinistra e le creature terrestri sulla destra sono colte nell’atto di porgere i loro doni al dio che si erge al centro. Tra le seconde figurano Europa - in questo caso inequivocabile - Asia, Africa e America, le prime tre in piedi e quest’ultima inginocchiata davanti a un enorme globo che, quasi ci fosse bisogno di conferirle ulteriore definizione, mostra la !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
l’accento sulla loro qualità di ‘doni’, splendidamente preziosi, destinati al sovrano, più che sul loro aspetto caratterizzante e rappresentativo di quella parte del mondo.
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faccia con il suo continente e l’iscrizione Brasilia (fig. 121). America sta porgendo oro e gioielli, Asia un fumante incensiere, Europa delle armi e alcuni oggetti d’artigianato, Africa dei coralli e un vaso. Il contesto scevro di stravaganze esotiche, fatta eccezione per un piccolo e quasi riluttante armadillo che compare in primo piano in prossimità del piede della sua ‘padrona’, e l’accento sui doni offerti sono gli elementi che vengono puntualmente ripresi nell’opera posteriore. McGrath espone l’ipotesi, per via del Cancro - segno precedente al Leone, ‘casa’ del sole - che appare al di sopra di Apollo, della posa e del trattamento esteriore del dio, che il dipinto sia una rappresentazione simbolica del potere di Filippo IV381. Quale che sia il reale significato allegorico di quest’altra tavola, l’associazione tra il monarca asburgico e il sole costituisce il punto focale delle analisi che seguono.
Come preannunciato nelle righe introduttive, è doveroso citare in conclusione altre due opere. Per quanto riguarda la celebre tela di Pieter Paul Rubens comunemente nota come
Le quattro parti del mondo (fig. 119), si rimanda al contributo di Elizabeth McGrath del
1993: l’iconografia delle quattro figure, accompagnate da altrettante ninfe - secondo la studiosa, con la quale si concorda, erroneamente interpretate come le personificazioni del Nilo (Africa) e del Gange (Asia), in primo piano insieme al coccodrillo e alla tigre, del Danubio (Europa) e del Rio de la Plata (America) in secondo piano, ciascuna in rappresentanza del continente nella quale il corso del fiume si snoda - sembra condurci, infatti, a considerare l’immagine come un’allegoria dei quattro fiumi paradisiaci. Avremmo, quindi, più precisamente, il Tigri in luogo del Gange, l’Eufrate in luogo del Danubio, il Gange (il Phison biblico) in luogo del Rio de la Plata e il Nilo (Geon), unico a rimanere il medesimo per via degli inequivocabili attributi che lo accompagnano (la ninfa dalla pelle scura, l’urna e, soprattutto, il coccodrillo solcato da putti)382.
Un caso particolare, molto interessante nella sua intelaiatura compositiva ma che esula dalla tematica principale proposta dalla ricerca, è costituito dalle quattro tavole di Jan van !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
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2000, p. 61.
382 E. McGrath, River-Gods, Sources and the Mystery of the Nile. Rubens’s Four Rivers in Vienna, in «Die
Malerei Antwerpens - Gattungen, Meister, Wirkungen», Internationales Kolloquium (Wien 1993), Köln 1994, pp. 73-82 (p. 75 per quanto riguarda l’identificazione di Nilo e Tigri, i due fiumi che guidano la studiosa in questa interpretazione). Questa conclusione prende le mosse da alcune constatazioni: appare, per esempio, incongruo che l’unica fanciulla dalla pelle e dai capelli chiari sia scelta per accompagnare la supposta Asia ma, soprattutto, mancano del tutto gli elementi propri della tradizione figurativa dei continenti utilizzati da Rubens stesso in altre opere, come Le conseguenze della guerra, e contesti, come l’ingresso di Ferdinando ad Anversa nel 1635 (né il Danubio né il Rio de la Plata concepiti per questa occasione assomigliano ai presunti corrispettivi della tela).
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Kessel risalenti alla seconda metà del Seicento (figg. 123-126)383. Il titolo di ciascuna,
Europa, Asia, Africa e America, è inscritto nella cornice in alto384. Il pannello centrale è accompagnato dal nome della città più rappresentativa del continente, secondo una strategia già medievale - rispettivamente Roma, Gerusalemme, il ‘Tempio degli Idoli’ e ‘Paraíba in Brasil’ - ed è cinto da sedici più piccoli riquadri con paesaggi, identificati da piccole iscrizioni come vedute di città o di porti di quella parte del mondo385. Nel riquadro più ampio vediamo, invece, una sorta di cabinet de curiosités: una panoplia pressoché infinita di manufatti, di esemplari floreali e di animali che, appesi sulle pareti, gettati sul pavimento o appoggiati nelle nicchie, attorniano alcune figure umane, come un uomo che sta presentando a una fanciulla un quadro con un repertorio di insetti nella tavola dedicata a Europa (fig. 123). Qualche elemento di questa tavola, nella sua zona centrale, richiama Ripa (la tiara, il cappello cardinalizio e le chiavi del pontefice). In questo caso, come testimonia la scelta della città centrale, in risalto è la cristianità del continente piuttosto che il potere imperiale ivi dominante.
Anche nel caso di Asia (fig. 125) abbiamo una figura maschile e una femminile - vicino a lei è appoggiato un Corano aperto - circondate da putti e da oggetti peculiari, islamici come cinesi (la statua di Buddha sullo sfondo), nonché dai medesimi quadri dipinti anche in Europa386. In Africa (fig. 126) i due personaggi non sono vicini, la figura muliebre principale è, infatti, sulla destra adagiata su un leone. Una scena di idolatria, come d’altronde suggerisce l’iscrizione che dà il titolo all’immagine, si intravede sullo sfondo. La norma della doppia figura non è rispettata in America (fig. 125), dove numerosi personaggi sono semisdraiati sia in primo piano sia presso la porta centrale sullo sfondo387. L’accumulo di naturalia quali insetti, piante, pesci, conchiglie, uccelli, e artificialia quali ceramiche, vetri, tessuti, opere di oreficeria, statue e rilievi, dovrebbe esemplificare e illustrare le specificità e le interne diversità religiose e naturalistiche di ciascuna parte ma !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
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Conservati alla Bayerische Staatsgemäldesammlungen. Le opere sono oggetto dell’approfondita analisi di Dante Martins Texeira nel suo volume dal titolo The Allegory of the Continents by Jan van Kessel (1626-
1679), Rio de Janeiro 2002.
384 Tutti i pannelli centrali tranne quello di Africa recano la firma dell’artista. Europa e America sono anche
datate, rispettivamente, 1664 e 1666.
385 I pannelli più piccoli recano in basso una numerazione in oro che, nel caso di Europa, comincia dal
riquadro in alto destra procedendo in senso orario. Negli altri tre continenti, invece, inizia in alto a sinistra.
386
Texeira (2002, p. 36) rileva come la selezione degli animali nei piccoli pannelli dedicati a Betlemme e alla Mecca risponda a esigenze di ordine simbolico: nel primo caso, infatti, sono dipinti quadrupedi tradizionalmente legati a Cristo, mentre nel secondo caso sono presenti solo bestie mostruose o pericolose.
387 Spicca la riproduzione di alcuni paesaggi del Brasile di Frans Post e di alcuni ritratti di nativi eseguiti da
Albert Eckout. Quest’ultimo è tra i primi a delineare le proprie figure di nativi americani tramite un’osservazione oggettiva, rompendo con le convenzioni rappresentative e lo stereotipo classicizzato del secolo precedente. Altri dipinti attaccati sulle pareti ritraggono pratiche antropofaghe.
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in realtà celebra mondi saturi di oggetti («consumable goods» li definisce Benjamin Schmidt), spesso attraversati dai medesimi elementi, specialmente per quanto riguarda i tre continenti ‘esotici’ i cui particolari sono fluidi e interscambiabili, o da altri giocosamente dislocati, come la porcellana Ming in Africa e l’armatura di un samurai in America.
Queste quattro opere sono stratificate e ibride sin nelle loro componenti materiali: olio su pannelli di rame, con vistose incorniciature che sono parte integrante di ognuna e iscrizioni dall’elaborata calligrafia dorata. Abbiamo, quindi, una commistione di visivo, testuale, grafico e anche plastico. Si tratta di immagini di difficile classificazione, «as an intricate complex of panel paintings, as pictorial and inter-textual geographies, as allegorical cartographical tableaux, or even as a form of decorative art»388. Nonostante questa moltitudine di elementi, la serie ha una propria coerenza e organicità interna grazie alla condivisa strategia compositiva che replica una formula propria della cartografia, dove lo spazio centrale occupato da una mappa si trova spesso a essere circondato da piccole scene periferali ritraenti gli abitanti del luogo in questione o vedute di città (si vedano i diagrammi illustrativi, figg. 127-130)389. Allo stesso tempo, si può anche notare, questa strategia è altresì invertita: rispetto ai tradizionali marginalia cartografici, si vedano per esempio quelli di Plancius e Vrients ma anche la Sala del Mappamondo di Palazzo Farnese, le allegorie dei continenti invece di decorare i margini della rappresentazione sono racchiuse nel mezzo, demandando al contorno il compito di collocare geograficamente quanto è sinteticamente raffigurato al centro.
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388 B. Schmidt, Inventing Exoticism: Geography, Globalism, and Europe’s Early Modern World,
Philadelphia 2015, p. 270. I modelli sono tratti da un’ampia gamma di opere e artisti (i cavalli, per esempio, da Jan Brueghel il Vecchio, altri animali da Ulisse Aldrovandi, da Carolus Clusius e da Konrad Gesner). A riguardo si veda Texeira, 2002, pp. 95-97, e il nutrito apparato iconografico che accompagna il capitolo dedicato alle fonti, ma anche Schmidt, 2001, p. 125 e K. A. E. Enenkel, P. J. Smith, Early Modern Zoology:
the construction of animals in science, literature and the visual arts, Leiden 2007, pp. 147-175.
389 Schmidt, 2015, pp. 259-262. Tale strategia diventa popolare dopo la pubblicazione delle carte dedicate a
ciascun continente di Willem Blaeu nel 1608: anche in quel caso sedici scene dedicate alla raffigurazione degli abitanti del luogo affiancavano la cartografia centrale e, al di sotto dodici, vedute di città e porti.
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