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Il ruolo di Basilea III e della Direttiva EMIR sui derivati OTC

3.2.3 Il terzo pilastro

Infine, il terzo pilastro riguarda la trasparenza informativa. Secondo le disposizioni del Nuovo Accordo, le banche sono obbligate a fornire ad azionisti, investitori e

risparmiatori tutte le informazioni necessarie a conoscere la solidità patrimoniale dell’istituto di credito e l’effettiva esposizione della banca alle diverse tipologie di rischi89.

3.2.4 I limiti di Basilea II

Nonostante Basilea II sia riuscita a risolvere molte problematiche evidenziate dal precedente accordo, la crisi finanziaria del 2007 ha mostrato all’opinione pubblica la necessità di attuare ulteriori interventi normativi sul settore finanziario. In particolare, la crisi finanziaria ha fatto emergere:

- una sottocapitalizzazione del settore bancario rispetto ai rischi assunti;

- un’eccessiva presenza di strumenti ibridi di capitale nel bilancio delle banche;

- un aumento incontrollato della leva finanziaria;

- un’eccessiva interconnessione tra gli istituti di credito a livello internazionale (rischio sistemico);

- scarsa efficacia dei modelli interni di rating adottate dalle banche per la misurazione e gestione dei propri rischi (soprattutto rischi di mercato)90;

- crisi di liquidità del settore bancario;

89 Mario Petrulli, Basilea 2. Guida alle nuove regole per le piccole e medie imprese, 2007, p.34, Halley

Editrice

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3.3Basilea III

Approvato il 12 settembre 2010 dal Comitato di Basilea ed entrato in vigore il 01 gennaio 2013, i provvedimenti previsti da Basilea III stanno seguendo un percorso transitorio graduale che terminerà il 01 gennaio 2019. Basilea 3 non rappresenta, come abbiamo visto per Basilea II, un Nuovo accordo sul capitale bensì un upgrade di quello precedente, ciò giustifica il fatto che diversi autori lo definiscano con il termine

“Basilea 2.1”91.

Basilea III nasce per risolvere le numerose lacune presenti in Basilea II, tra cui una forte discriminazione tra piccole e grandi banche nell’adozione delle metodologie più

avanzate di calcolo dei requisiti patrimoniale, una notevole penalizzazione (dovuta all’utilizzo dei rating interni) da parte delle banche nei confronti delle piccole e medie imprese richiedenti finanziamenti e sulla necessità di focalizzare l’attenzione sul rischio sistemico generato da derivati OTC.

Le principali novità introdotte da Basilea III riguardano:

1) nuovi requisiti patrimoniali (più severi rispetto a quelli previsti dall’accordo del 2004) che gli istituti di credito sono chiamati a rispettare;

2) introduzione di standard minimi di liquidità, diffusi a partire dal 2015; 3) contenimento della leva finanziaria;

4) l’obbligo, rivolto alle banche, di accantonare una maggiore quantità di capitale nelle fasi di sviluppo economico da impiegare eventualmente nei periodi di forte recessione; 5) la necessità di porre dei vincoli all’adozione di rischi eccessivi da parte degli

operatori;

6) adozione di tecniche più oggettive di valutazione dei rischi.

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3.3.1 La leverage ratio secondo Basilea III

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In particolare, Basilea III ha cercato di imporre un limite all’utilizzo della leva

finanziaria nel settore bancario, quest’ultima considerata uno dei motivi principali che ha provocato la crisi finanziaria del 2007. Negli anni della crisi, infatti, nonostante le banche seguissero le direttive di Basilea II, presentando un buon livello di

capitalizzazione, il loro eccessivo livello di leva finanziaria, in bilancio e fuori bilancio, contribuì a generare un effetto dominio, determinando la crisi dell’intero settore93. La leva finanziaria è un indicatore attraverso il quale si misura la solidità di una banca; se è eccessiva significa che anche una minima riduzione dell’attivo potrebbe comportare una significativa erosione del patrimonio, con tutte le conseguenze che ne possono derivare. Basilea III, in questo senso, ha introdotto un nuovo indice di leva finanziaria (leverage

ratio) calcolato come rapporto tra la “Misura del patrimonio” e la “Misura

dell’esposizione”.

La “Misura del patrimonio” corrisponde al Tier 1 Capital, ovvero al patrimonio di base (o di qualità primaria) dell’istituto di credito. Questo parametro esprime la solidità di una banca e viene stimato considerando il capitale versato, le riserve (compreso il sovrapprezzo azioni) e gli utili non distribuiti94. A partire dal 2010 Basilea III ha imposto alle banche un Tier 1 Capital sempre più alto passando dal 4% minimo del 2010 al 6% minimo attuale, con lo scopo di rafforzare la solidità degli istituti di credito. Al denominatore della leverage ratio si colloca la “Misura dell’esposizione”

complessiva di un istituto di credito, data dalla somma tra: le esposizioni in bilancio, le esposizioni per operazioni di finanziamento tramite titoli, le poste fuori bilancio e le esposizioni in derivati (Figura 10). Di recente il metodo utilizzato per il calcolo della “Misura dell’esposizione”, ovvero il Current Exposure Method (CEM) è stato sostituito dall’Exposure At Default (EAD), che è entrato in vigore il 01 gennaio 2017. Uno dei motivi che hanno portato all’adozione di questo nuovo metodo è stato la necessità di incentivare una compensazione centralizzata, tramite le CCP, nei contratti derivati OTC.

92 Basel Committee on Banking Supervision, Basel III leverage ratio framework and disclosure

requirements, January 2014, Bank for International Settlements, sito Bis.org e Basel Committee on

Banking Supervision, The standardised approach for measuring counterparty credit risk exposures, March 2014 (rev. April 2014), Bank for International Settlements, sito Bis.org

93 Basel Committee on Banking Supervision, Basel III leverage ratio framework and disclosure

requirements, January 2014, paragrafo 01, Bank for International Settlements, sito Bis.org

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Figura 9. Fonte: blog.usbasel3.com

La Figura 9 è suddivisa in due parti. Nella prima parte troviamo il Summary Comparison Table (in italiano, “Raffronto sintetico tra le attività contabili e misura dell’esposizione ai fini dell’indice di leva finanziaria”), composto da otto punti. Questa prima parte rappresenta un prospetto di raccordo tra il totale delle attività esposte in bilancio dalla banca e la sua esposizione in termini di leva finanziaria. La somma dei primi sette punti permette di determinare la misura dell’esposizione complessiva del coefficiente di leva finanziaria (punto 8).

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Nella seconda parte troviamo il Common Disclosure Template ovvero lo “Schema comune di segnalazione dell’indice di leva finanziaria”. Tale schema permette di

evidenziare il contributo offerto da ciascuna esposizione ai fini del calcolo dell’indice di leva finanziaria. Nello specifico vengono analizzate:

- le esposizioni in bilancio - le esposizioni in derivati

- le esposizioni connesse a operazioni di finanziamento tramite titoli (SFT)

- altre esposizioni fuori bilancio - patrimonio ed esposizioni totali

Analizzando nel dettaglio le esposizioni in derivati95, il testo di Basilea III considera le banche che concludono contratti derivati esposte a due principali tipologie di rischi96:

1. rischio che il valore del sottostante non segua l’andamento previsto dalla banca 2. rischio che la controparte della banca non adempia alle proprie obbligazioni

(rischio di credito di controparte97).

95 Come detto in precedenza, dal 01 gennaio 2017 le banche sono obbligate a misurare la loro

esposizione ai derivati over the counter utilizzando l’approccio basato sull’EAD: 𝐸𝐴𝐷 = 𝑎𝑙𝑝ℎ𝑎 ∗ (𝑅𝐶 + 𝑃𝐹𝐸)

Alpha è un fattore conservativo a cui viene attribuito un valore pari a 1,4 mentre RC (Replacement Cost

o Costo di Sostituzione) rappresenta il valore intrinseco del contratto ai prezzi correnti di mercato, se questo è positivo, e pari a zero se è nullo o negativo. Invece, il fattore di maggiorazione (Potential Future

Exposure, PFE) è un importo corrispondente all’esposizione potenziale futura durante la vita residua del

contratto. Tale fattore viene applicato all’ammontare nozionale del contratto e può variare in funzione della tipologia di derivato e della sua scadenza. Si pensi, ad esempio, ai contratti swap; il fattore di maggiorazione applicato agli Interest Rate Swap è inferiore rispetto al peso attribuito ai Currency Swap, poiché questi ultimi presentano una maggiore volatilità rispetto agli swap su tassi di interesse. Inoltre, per i contratti derivati a media-lunga scadenza (superiori all’anno) si applicano fattori più elevati rispetto a contratti a breve scadenza (inferiore a dodici mesi).

96 Basel Committee on Banking Supervision, Basel III leverage ratio framework and disclosure

requirements, January 2014, paragrafo 18, Bank for International Settlements, sito Bis.org

97 Il rischio di controparte rientra nella categoria dei rischi di credito in quanto una variazione positiva

del valore del derivato, stimata utilizzando il metodo mark-to-market (che si basa sullo stesso principio del fair value) per l’istituto di credito, può indurre la controparte a non adempiere ai propri obblighi contrattuali comportando una mancata riscossione per la banca. Dal rischio di controparte viene stimato l’Exposure at Default (EAD) cioè il fair value (o il mark-to-market corrente) del derivato al momento dell’eventuale default della controparte. La stima dell’EAD è piuttosto complessa in quando può accadere, anche nel breve periodo, che le controparti assumono con alternanza il ruolo di debitori e creditori in base all’andamento del valore di mercato dell’attività sottostante

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Una volta che la banca ha calcolato il costo di sostituzione connesso a tutte le operazioni in derivati (ossia la somma del valore di mercato di ciascuna posizione se questa è positiva, pari a zero se nulla o negativa) questo dovrà essere inserito nella prima riga dell’esposizione ai derivati al netto dei margini di variazione98 in contanti ricevuti (riga

4).

Nella riga 5 dovranno essere inseriti gli importi delle maggiorazioni per la Potential

Future Exposure (PFE) relative a tutte le esposizioni in derivati.

Nella riga 6 devono essere esposte le garanzie reali fornite dalla banca alla controparte in un contratto derivato laddove siano state dedotte dalle attività in bilancio in base ai criteri contabili adottati. Mentre le eventuali garanzie reali ricevute dalla banca per conto della controparte in un contratto derivato, non devono essere “conteggiate” ai fini di una riduzione dell’ammontare dell’esposizione, l’ammontare delle garanzie reali eventualmente fornite dalla banca alla controparte dovranno essere aggiunte

all’esposizione in derivati.

Nella riga 7 devono essere riportate, con segno negativo, le deduzioni dei crediti per i margini di variazione in contante versati in operazioni su derivati soltanto se i margini di variazione in contante siano stati riconosciuti come attività in base ai criteri contabili adottati dalla banca.

Nella riga 8 devono essere indicate, con segno negativo, le eventuali esenzioni legate a quelle operazioni di compravendita di derivati effettuate dalla banca (che in questo caso assume il ruolo di clearing member) su disposizione dei propri clienti, con il

coinvolgimento della controparte centrale qualificata (QCCP). Ai fini dell’esenzione occorre che il contratto stipulato tra la banca e il proprio cliente non preveda un rimborso per le eventuali perdite dovute a variazioni di valore delle sue transazioni in caso di default della QCCP.

98 Per i margini di variazione, che vengono calcolati e liquidati giornalmente, sono previsti due

trattamenti in base al fatto che questi siano ricevuti dalla banca oppure versati alla controparte del contratto. La quota in contante dei margini di variazione ricevuti può essere utilizzata per ridurre il costo di sostituzione (CS) ma non il fattore di maggiorazione. Nel caso inverso legato al trattamento della quota in contante dei margini di variazione versati dalla banca alla controparte del contratto derivato, tale importo può essere utilizzato dalla banca conferente per ridurre la sua misura dell’esposizione in derivati. Infine, entrambi i margini di variazione, ricevuti e versati, non possono essere utilizzati per ridurre l’esposizione potenziale futura (EPF).

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Nella riga 9 deve essere specificato l’importo nozionale effettivo dei derivati su crediti venduti al netto degli aggiustamenti dovuti a variazioni negative del fair value.

Nella riga 10 devono essere annotati, con valore negativo, le compensazioni sui nozionali effettivi aggiustati dei derivati su crediti venduti e deduzioni delle maggiorazioni relative a derivati su crediti venduti.

Infine, nella riga 11 deve essere indicato l’esposizione totale ai derivati data dalla somma di tutte le righe che compongono la voce “Esposizione ai derivati”. Sommando, poi, il totale delle esposizioni in derivati con tutte le altre voci che compongono lo “Schema di segnalazione comune dell’indice di leva finanziaria”, si ottiene l’indice di leva finanziaria di Basilea III (riga 22) che deve essere uguale a quello esposto nella riga 8 dello schema del “Raffronto sintetico tra attività contabili e misura

dell’esposizione”.

Nel rispetto del terzo pilastro di Basilea II, dal 01 gennaio 2015 le grandi banche sono obbligate, ogni trimestre, a pubblicare il proprio indice di leva finanziaria e

conformemente alle disposizioni di Basilea III tale indice, non aggiustato per il rischio, deve essere maggiore o uguale al 3%. Basilea III ha introdotto inoltre delle norme con lo scopo di incentivare le banche a concludere contratti derivati OTC con i propri clienti, affidandosi a controparti centrali (CCP) in modo tale da ridurre il rischio di controparte (ovvero il rischio che la controparte in un contratto non adempia alle sue obbligazioni alla scadenza dello stesso).

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