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L'utilizzo speculativo dei derivati finanziari. Trattamento contabile secondo i nuovi OIC

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in

STRATEGIA, MANAGEMENT E CONTROLLO

TESI DI LAUREA

“L’utilizzo speculativo dei derivati finanziari. Trattamento contabile

secondo i nuovi OIC”

Relatore Candidato

Prof.ssa Lucia Talarico Lorenzo Maccari

__________________________________________________________________________

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1

INDICE

INTRODUZIONE 5

CAPITOLO I. L’evoluzione del mercato dei derivati: brevi cenni storici e dimensione attuale del fenomeno 7

1.1 Il derivato Alexandria 10

1.2 Il derivato Santorini 11

1.2.1 L’origine dei problemi per MPS 12

1.3 L’esposizione di Deutsche Bank ai derivati 13

1.4 Le scommesse di Alitalia sul Jet fuel 17

CAPITOLO II. Gli strumenti finanziari derivati 18

2.1 Le principali finalità dei derivati finanziari 20

2.2 I contratti swap 22

2.2.1 L’Interest Rate Swap 23

2.2.2 Il Currency Swap 26

2.2.2.1 Il Cross Currency Swap 27

2.2.2.2 Il Domestic Currency Swap 28

2.2.3 L’Asset Swap 29

2.2.4 I Credit Default Swap 30

2.2.4.1 Regolamento UE n. 236/2012 34

2.2.4.2 L’alternativa ai Credit Default Swap nella valutazione del rischio di credito: le Agenzie di rating 36

2.3 Il Forward Rate Agreement 38

2.4 I Futures 40

2.4.1 Il ruolo della clearing house nella negoziazione dei futures 43

2.4.2 I financial futures 44

2.4.2.1 Il Currency Future 45

2.4.2.2 L’Interest Rate Future 46

2.4.2.3 Lo Stock Index Future 47

(3)

2

2.5.1 Opzioni call 51

2.5.2 Opzioni put 53

2.5.3 Moneyness 54

CAPITOLO III. Il ruolo di Basilea III e della Direttiva EMIR sui derivati OTC 56 3.1 Basilea I 56 3.1.1 I limiti di Basilea I 58 3.2 Basilea II 58 3.2.1 Il primo pilastro 58 3.2.2 Il secondo pilastro 59 3.2.3 Il terzo pilastro 60 3.2.4 I limiti di Basilea II 60 3.3 Basilea III 61

3.3.1 La leverage ratio secondo Basilea III 62

3.4 Il Regolamento EMIR 66

Capitolo IV. La diffusione dei derivati tra gli enti locali: gli aspetti contabili 71

4.1 L’utilizzo dei derivati da parte delle Amministrazioni centrali 74

4.2 Il D.lgs. 118/2011 75

Capitolo V. Il trattamento contabile dei derivati secondo la normativa attuale 79

5.1 Trattamento in bilancio dei derivati ante D.lgs. 139/2015 79

5.2Normativa attuale 79

5.2.1 Contabilizzazione di copertura 83

5.2.2 Relazione di copertura 87

5.2.2.1 La relazione di copertura semplice 88

5.3 Derivati speculativi 89

(4)

3

5.5 Profili fiscali 90

Capitolo VI. Il nuovo rendiconto finanziario 92

6.1 Breve introduzione al rendiconto finanziario 92

6.2 Le novità introdotte dal nuovo OIC 10 93

6.2.1 Attività operative 95

6.2.2 Attività di investimento 97

6.2.3 Attività di finanziamento 97

6.3 Rappresentazione di un derivato di copertura nel rendiconto finanziario 101

Capitolo VII. L’impatto sul ROI generato da una variazione del valore di mercato di un derivato non di copertura 103

BIBLIOGRAFIA 114

(5)
(6)

5

Introduzione

La tesi tratta i contratti derivati, questi ultimi negoziati principalmente tra controparti finanziarie ma utilizzati anche da imprese, Amministrazioni pubbliche e, in minima parte, da famiglie. Dopo aver fatto una breve descrizione dei principali strumenti finanziari derivati, sono stati analizzati i rischi associati ad un utilizzo speculativo di questi strumenti, in modo particolare di quelli negoziati in mercati non regolamentati. In seguito sono stati analizzati casi aziendali in cui un utilizzo speculativo dei derivati ha generato considerevoli perdite in bilancio dovute ad un andamento opposto, rispetto a quello preventivato, del valore dell’attività sottostante. Tra questi, è stato analizzato il caso della Deutsche Bank che, tra novembre 2015 e novembre 2016, ha conosciuto un crollo del titolo azionario seguito a ruota da un aumento significativo del valore dei suoi

Credit Default Swap, sintomo di preoccupazione da parte dei mercati finanziari su un

possibile scenario di default della banca tedesca dovuto, tra le altre cose, a un’eccessiva esposizione di quest’ultima ai derivati.

Nel Capitolo III è stata affrontata la questione dei derivati OTC, considerati da molti autori come i veri artefici della crisi finanziaria del 2008. A tal proposito, sono stati analizzati nel dettaglio gli accordi di Basilea e la Direttiva EMIR che nel loro insieme hanno cercato di disciplinare tale fenomeno. In particolare Basilea III ha introdotto nuove regole finalizzate all’incremento della protezione dai rischi sistemici provocati dall’enorme volume di derivati OTC negoziati in tutto il mondo e ha introdotto incentivi patrimoniali per quelle banche che si affidano a controparti centrali per la negoziazione di questi strumenti finanziari, con lo scopo principale di tutelare i partecipanti dal rischio di controparte (come previsto anche dalla stessa Direttiva EMIR per alcune tipologie di derivati OTC).

I derivati non attraggono soltanto le società private ma anche gli enti pubblici. Secondo i dati forniti dalla Banca d’Italia, a giugno 2016 lo Stato centrale e gli enti locali

presentavano un esposizione ai derivati pari a 39 miliardi di euro, in aumento (+22%) rispetto all’anno precedente. Il Capitolo IV tratta unicamente tale fenomeno.

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6

Infine, i Capitoli V, VI e VII sono dedicati esclusivamente alla parte contabile. Nello specifico, è stata affrontata la questione relativa al trattamento contabile dei derivati detenuti per finalità di copertura e non secondi i principi contabili nazionali. In tal senso, la pubblicazione del D.Lgs. 139/2015, che ha dato attuazione alla direttiva europea 2013/34/UE, ha introdotto delle interessanti novità. Oltre a prevedere, tra gli schemi obbligatori, il rendiconto finanziario, con la modifica agli artt. 2424 e 2425 c.c. sono state apportate una serie di novità negli schemi del bilancio di esercizio, in

particolare con riferimento proprio agli strumenti finanziari derivati.

Infine, nel Capitolo VII è stato presentato un caso pratico a dimostrazione di come una variazione del fair value (da negativo a positivo) di un derivato negoziato con finalità speculative possa condizionare la variazione dell’indice ROI.

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7

Capitolo I

L’evoluzione del mercato dei derivati. Brevi cenni storici e

dimensione attuale del fenomeno

Creati inizialmente per proteggere domanda e offerta di un determinato bene dalle fluttuazioni di mercato, nel corso degli anni i derivati sono diventati mezzi di

speculazione (e non più soltanto di copertura) potenzialmente dannosi, soprattutto se negoziati in mercati OTC (over the counter) non soggetti a regolamentazione specifica ma contrattati direttamente tra venditore e compratore.

Un derivato è uno strumento finanziario o un altro contratto che possiede le seguenti tre caratteristiche1:

a) il suo valore varia come conseguenza della variazione di un determinato tasso di interesse, prezzo di strumenti finanziari, prezzo di merci, tasso di cambio, indice di prezzo o di tasso, rating di credito o indice di credito o altra variabile, a condizione che, nel caso di una variabile non finanziaria, tale variabile non sia specifica di una delle controparti contrattuali (a volte chiamato sottostante); b) non richiede un investimento netto iniziale o richiede un investimento netto

iniziale che sia minore di quanto sarebbe richiesto per altri tipi di contratti da cui ci si aspetterebbe una risposta simile a variazioni di fattori di mercato;

c) è regolato a data futura.

I contratti derivati sono, quindi, definiti contratti ad esecuzione differita poiché le prestazioni oggetto del contratto avranno luogo in un momento successivo a quello della stipula del contratto. Il termine “derivato” sta ad indicare il fatto che il valore del

contratto non è definito nel contratto stesso ma deriva dall’andamento di un

“sottostante” che può essere un’attività o un evento. Il risultato finanziario del derivato è detto payoff. Un ampio utilizzo dei contratti derivati viene fatto nel mondo finanziario

(9)

8

(in particolar modo dalle banche e dalle assicurazioni) ma anche le aziende industriali possono stipulare contratti derivati principalmente per operazioni di copertura (o

hedging) ma spesso anche per operazioni speculative, in quest’ultimo caso con

l’eventualità di subire delle perdite.

Stabilire con esattezza dove comparvero i primi contratti derivati è alquanto complesso. Le prime forme rudimentali di contratti futures (sul grano) apparvero già nel Medio Evo; questi contratti venivano stipulati al momento della semina con lo scopo principale di “bloccare” il prezzo a cui sarebbe stato venduto successivamente il grano raccolto. Non essendo un bene industriale ma una materia prima agricola esposta al rischio meteorologico era molto difficile per gli agricoltori stabilire con esattezza la quantità di grano che sarebbero riusciti a raccogliere e di conseguenza il prezzo finale a cui sarebbe stato venduto il grano. In anni di sovrapproduzione l’agricoltore era costretto a vendere il grano a prezzi molto bassi, riuscendo a mala pena a coprire i costi di produzione, mentre in anni di scarsa produzione l’agricoltore riusciva a spuntare prezzi

relativamente alti. E’ chiaro, dunque, che entrambe le parti coinvolte, agricoltore e mercante, erano esposti ad un forte rischio di prezzo. Per eliminare il rischio legato all’incertezza sul futuro prezzo del grano, agricoltore e mercante si incontravano ad aprile per concludere un contratto future sul grano che sarebbe stato, in seguito, raccolto a giugno2.

Bisogna però attendere il 1848 per osservare la nascita del primo mercato regolamentato negli Stati Uniti (il Chicago Board of Trade) dove venivano scambiati futures che avevano ad oggetto materie prime agricole (commodity futures), prevalentemente grano. Ai commodity futures fecero seguito, nel 1972, i primi futures su valuta (Currency

Future) negoziati presso l’International Monetary Market e successivamente, nel 1983, i

futures sugli indici (Stock Index Future) negoziati al Kansas City Board of Trade3 mentre in Europa i financial futures comparvero soltanto nel 1982 con l’apertura del London International Futures Exchange4.

Nel 1973 apparvero, al Chicago Board Options Exchange (CBOE) le prime opzioni su azioni. Negli anni a seguire la diffusione delle opzioni finanziarie nelle Borse mondiali

2 John C. Hull, Emilio Barone (curatore), Introduzione ai mercati dei futures e delle opzioni, terza

edizione, 1999, p.2, Il Sole 24 Ore

3 Degregori & Partners, I contratti a termine: Futures su Indici, Valute e Materie Prime, 2016, p.22,

Edizioni R.E.I

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9

è stata rapida, con volumi sempre crescenti. Secondo John C. Hull, “all’inizio degli anni ’80, le negoziazioni crebbero così rapidamente che il numero delle azioni sottostanti i contratti di opzione trattati in un giorno superò il volume di azioni scambiate

giornalmente alla New York Stock Exchange”5. Negli anni ’80 si svilupparono mercati per la negoziazione di opzioni su valute, indici azionari e futures, come la Philadelphia Stock Exchange (Phlx, opzioni su valute), l’American Stock Exchange (AMEX, opzioni su indici azionari) e la New York Stock Exchange (Nyse, opzioni su indici azionari)6. Nei primi anni ’80, il numero di derivati negoziati in tutto il mondo, dai mercati regolamentati ai mercati non regolamentari (over the counter) aveva raggiunto

dimensioni impressionanti; gli strumenti finanziari diventarono sempre più complessi e, con l’aumento della leva finanziaria, sempre più rischiosi. Nel corso dei secoli siamo passati da contratti derivati semplici, che avevano ad oggetto materie prime agricole e che venivano conclusi esclusivamente per finalità di copertura dal rischio di prezzo, a sofisticati strumenti finanziari, frutto dell’ingegneria finanziaria, negoziati in Borsa e in mercati over the counter spesso per finalità esclusivamente speculative. Se è vero che questi strumenti finanziari, in condizioni di mercato favorevoli, possono consentire significativi profitti alla società che li ha acquistati, è anche vero che in caso contrario possono generare devastanti perdite a causa dell’effetto della leva finanziaria che in molti casi è piuttosto elevata.

Dai primi anni ’90 ad oggi, in seguito ad una diffusione sempre più ampia dei derivati, si sono verificati una serie di scandali finanziari. Nel 1993 la multinazionale tedesca Metallgesellschaft registrò una perdita lorda di circa 1,5 miliardi di dollari dovuta principalmente a flussi di cassa negativi generati da contratti forward sul petrolio che aveva in precedenza sottoscritto. Nel 1994 il colosso statunitense Procter & Gamble Co. registrò una perdita di 100 milioni di dollari a causa di un investimento errato in

contratti IRS (Interest rate swap). Nel 1995 la Barings Bank, la più antica banca d’affari della Gran Bretagna, venne dichiarata fallita; tre anni prima Nick Leeson, responsabile della filiale di Singapore della Barings Bank, iniziò un’attività speculativa sull’indice Nikkei della Borsa di Tokyo. Verso la fine dell’anno Leeson registrò perdite per 3 milioni di dollari, che nascose ai suoi superiori occultandole in un conto segreto. La

5 John C. Hull, Emilio Barone (curatore), Introduzione ai mercati dei futures e delle opzioni, terza

edizione, 1999, p.5, Il Sole 24 Ore

6 Luca Stellato, Fare trading con le opzioni. Operare sui mercati finanziari in modo professionale e

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situazione non migliorò negli anni successivi, quando Leeson continuò a portare avanti la sua politica speculativa sul prezzo dei derivati arrivando ad accumulare grossissime perdite. Nel 1995 le perdite raggiunsero 1,3 miliardi di dollari assorbendo l’intero capitale della Barings Bank e provocandone il fallimento7. La condotta di Leeson sarebbe stato molto meno dannosa per la banca se si fosse limitato ad una normale attività di copertura dei principali rischi, acquistando futures su un mercato ad un certo prezzo e rivendendoli ad un prezzo più alto su un altro mercato, anche se tutto ciò non avrebbe generato grossi guadagni per la banca inglese. Ma Leeson non si limitò a fare

hedging su quelle posizioni ma cercò di portare avanti strategie speculative sui derivati

che in breve periodo generarono perdite insostenibili per la banca inglese.

Passando ad analizzare avvenimenti più recenti che hanno coinvolto il settore bancario in attività speculative sui derivati finanziari, non possiamo non citare il caso Monte dei Paschi di Siena e il caso Deutsche Bank. Inizialmente sarà analizzato nel dettaglio il derivato Alexandria concluso tra MPS e la banca giapponese Nomura, successivamente sarà esaminata l’operazione Santorini che ha coinvolto la banca tedesca e quella senese infine approfondiremo i fatti più recenti che hanno coinvolto la Deutsche Bank in attività speculative sui derivati.

1.1 Il derivato Alexandria

Nel 2005 Monte dei Paschi investì 400 milioni di euro per l’acquisto di un CDO8 (Collateralized Debt Obbligation) da una banca tedesca, la Dresdner Bank. Il CDO in questione, denominato Alexandria, era legato a sua volta al debito di una società-veicolo, la Skylark. Quindi il CDO di partenza di Alexandria era appunto Skylark. Il crack di Lehaman Brothers nel 2008 generò un crollo del mercato dei CDO; Alexandria scese al 30% del suo valore, generando una perdita di 220 milioni di euro e riducendo il

7 Frederic S. Mishkin, Stanley G. Eakins, Giancarlo Forestieri, Istituzioni e mercati finanziari, 2007,

p.468-469, PEARSON

8 Un CDO è un obbligazione garantita da un debito. Un CDO squared è un CDO che investe in un altro

CDO; ciò significa che lo squared ha un livello di esposizione al rischio doppio rispetto a un CDO

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proprio valore a 180 milioni di euro9. La normativa civilistica imporrebbe una svalutazione a Conto Economico del toxic asset per 220 milioni di euro. Per evitare di contabilizzare la perdita in bilancio, MPS cedette ad una banca giapponese, Nomura, i CDO al loro valore nominare e in cambio ricevette un Asset

Swap su Btp con scadenza 2034 del valore di 3 miliardi di euro. In seguito MPS e

Nomura decisero di concludere un contratto pronti contro termine in base al quale la banca senese avrebbe riconsegnato i Btp a Nomura ad un prezzo più elevato. In altre parole, un operazione estremamente complessa che prevedeva la trasformazione, da parte del Monte dei Paschi di Siena, dei titoli di Stato a tasso fisso in titoli a tasso variabile attraverso un contratto derivato. Tale operazione generò ingenti perdite per la banca senese e significativi profitti per la banca giapponese.

Nonostante l’operazione con Nomura fosse stata conclusa nel 2009, la Banca d’Italia non ricevette alcuna documentazione fino a dicembre 2012. Seguì una lunga battaglia legale tra i due istituti di credito che si concluse tre anni dopo con la chiusura anticipata delle operazioni e con un esborso per MPS pari a 359 milioni di euro (rispetto ai 799 milioni previsti nel contratto per la chiusura anticipata)10. Sin da subito la Banca Centrale Europea giudicò l’investimento “un rischio permanente sul patrimonio” della banca senese, che decise in ogni caso di portare avanti.

1.2 Il derivato Santorini

L’operazione Santorini è molto simile a quella descritta precedentemente. Nel 2008 MPS concluse con Deutsche Bank una joint venture denominata Santorini Investments; tale joint venture altro non era se non un contratto derivato che aveva come sottostante le azioni di Banca Sanpaolo. L’investimento avrebbe tratto profitto, per la banca senese, se le azioni di Intesa fossero salite e avrebbe perso valore se fossero scese; poco dopo MPS divenne socio unico di Intesa11. Con la crisi finanziaria i titoli bancari subirono un crollo senza precedenti, in pochi mesi le perdite subite da MPS superarono i 300 milioni di euro. Se la banca senese avesse contabilizzato le perdite generate dall’operazione

9 Vittoria Patanè, MPS e Alexandria: ecco la storia del derivato che mette a rischio il futuro della banca,

17 aprile 2015, sito Forexinfo.it

10 Francesco Russo, Da Antonveneta ad Alexandria, perché MPS è nei guai, 23 dicembre 2016, sito Agi.it 11 Flavia Provenzani, Come la Deutsche Bank ha fatto sparire €367 milioni di buco di MPS, 19 gennaio

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Santorini la reazione da parte della Banca d’Italia sarebbe stata quella di strappare il controllo della banca ai suoi proprietari12.

Per occultare le perdite di 367 milioni di euro, l’operazione Santorini prevedeva che MPS cedesse Btp trentennali a Deutsche Bank in cambio di liquidità, circa 1,5 miliardi di euro, impegnandosi a ricomprarli successivamente (non più dalla banca tedesca ma da una terza banca coinvolta nell’operazione). L’accordo avrebbe permesso a MPS di guadagnare immediatamente 364,1 milioni di euro, neutralizzando la perdita sui derivati di Intesa. In aggiunta, Monte dei Paschi di Siena concluse con la Deutsche Bank un

Totale Return Swap, scommettendo sui tassi di interesse europei e americani. Anche

questa scommessa non si rivelò per niente profittevole, generando perdite per quasi 150 milioni di euro.

1.2.1 L’origine dei problemi per MPS

In conclusione, i primi problemi per la banca senese possono essere fatti risalire al 2007, anno in cui MPS decise di acquistare dalla banca spagnola Santander, per la modica cifra di 9 miliardi di euro, Banca Antonveneta (in precedenza controllata dalla banca olandese Abn Amro). Sin dai primi anni, tale investimento si rilevò una scelta sbagliata per Monte dei Paschi di Siena che, in seguito a tale operazione, subì un importante calo di redditività. Il fallimento di Lehman Brothers contribuì a peggiorare ulteriormente il bilancio di MPS.

Grazie ai derivati Alexandria e Santorini la banca senese riuscì a nascondere le perdite che altrimenti avrebbe dovuto contabilizzare in bilancio. In sostanza, questi due derivati permisero a MPS di chiudere il primo trimestre del 2011 con un utile di quasi un

miliardo di euro13. In aggiunta, va segnalata l’operazione che, nel 2006, portò MPS a concludere con Jp Morgan un credit default swap sull’Italia (denominato Nota Italia) con il coinvolgimento di una società veicolo del colosso americano, l’irlandese Corsair Finance, che aveva il compito di creare un prodotto finanziario particolarmente

12 Flavia Provenzani, Come la Deutsche Bank ha fatto sparire €367 milioni di buco di MPS, 19 gennaio

2017, sito Forexinfo.it

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13

complesso. Cinque anni dopo, questa nuova operazione speculativa generò perdite per la banca senese pari a 4,69 miliardi di euro.

1.3 L’esposizione di Deutsche Bank ai derivati

Come evidenziato nel documento denominato “Risk Report” pubblicato dalla Deutsche Bank, al 31 dicembre 2015 l’ammontare di derivati finanziari nel bilancio della banca tedesca presentava un valore lordo (o nozionale) pari a 42 mila miliardi di euro. Di per sé il livello di esposizione lorda della banca tedesca ai derivati è un dato che ci dice poco o niente. Per stimare l’esposizione netta bisogna andare a scomporre (in gergo “nettare”) quei 42mila miliardi di euro, “azzerando le posizioni uguali e contrarie,14 per ciascuna classe di derivati15, su ciascuna scadenza e poi fare le somme”16; fatto ciò è possibile individuare le posizioni long e le posizioni short della banca nei confronti di questi strumenti finanziari. Come è possibile osservare da un’analisi congiunta delle esposizioni ai derivati della Deutsche Bank nel periodo compreso tra il 2013 e il 2016, il valore di mercato netto dei derivati OTC negoziati dalla banca tedesca è passato da 24,5 miliardi di euro nel 2013, a 19 miliardi di euro nel 2014, per poi scendere a 18 miliardi di euro nel 2015 e infine arrivando a 20 miliardi nel 2016 (Figura 1).

14 Ad esempio, derivati legati ad un andamento opposto dei tassi di interesse

15 Può accadere, ad esempio, che Deutsche Bank abbia concluso con la banca Alfa un contratto derivato

in cui si impegna a pagare 10.000 euro in seguito ad un aumento dei tassi di interesse e con la banca Beta un derivato strutturato in maniera opposta che impegna la banca tedesca a pagare la stessa cifra in seguito ad un calo dei tassi di interesse. Ebbene, in questo caso l’esposizione nominale è pari a 20.000 euro, ma quello che interessa maggiormente gli analisti è l’esposizione effettiva che è pari a 10.000 euro.

16 FunnyKing, Quanto è veramente esposta ai derivati Deutsche Bank, 29 aprile 2014, sito

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Figura 1. Fonte: sito Deutsche Bank

La Figura 1, inoltre, mostra un incremento nel livello di esposizione lorda ai derivati pari a quasi un miliardo di euro rispetto all’anno precedente. Ma tornando

all’esposizione netta, quest’ultimo dato, molto più basso rispetto alla posizione lorda, è ulteriormente rassicurante in quanto in molti casi dietro ai derivati ci sono anche delle garanzie fornite dalle Stanze di compensazione. Va, però, segnalato come questo dato non tenga conto del rischio di controparte ovvero il rischio che la controparte di un operazione (in questo caso con la banca tedesca) non adempia, entro i termini stabiliti, ai propri obblighi contrattuali17.

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15

Cosa succederebbe se anche una soltanto delle controparti nella catena delle garanzie di Deutsche Bank fallisse? In questo caso non avrebbe più senso parlare di esposizione lorda o netta e neppure di garanzie sui derivati poiché tale situazione genererebbe un effetto domino con conseguenze devastanti per la banca tedesca. A rafforzare questa ipotesi è il dato relativo alla leva finanziaria che in Deutsche Bank è piuttosto elevata; questo significa che anche una minima riduzione dell’attivo potrebbe avere delle conseguenza significative sul capitale della banca18.

Infine, come è possibile osservare dalla Figura 2, la pubblicazione dei dati relativi all’esposizione della banca tedesca ai derivati ha generato un crollo del titolo in Borsa ma soprattutto un aumento significativo del valore dei Credit Default Swap della banca (Figura 3), sintomo che i mercati finanziari sospettano un possibile scenario di default della Deutsche Bank.

Figura 2. Fonte: sito Wall Street Italia

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16

Figura 3. Fonte: sito Financial Times

Come possiamo osservare dalla Figura 3, mentre da febbraio a dicembre 2015 il valore dei Credit Default Swap ha seguito un trend pressoché regolare, a gennaio 2016 il valore dei CDS (sia quelli sul debito senior a 5 anni che quelli sul debito junior a 5 anni, questi ultimi a protezione del debito subordinato contro il default della banca) è

aumentato in maniera esponenziale. Come vedremo meglio nel capitolo successivo, i CDS costituiscono uno dei più potenti e diffusi strumenti creditizi derivati al mondo; chi sottoscrive CDS vuole coprirsi da eventuali rischi di default (o downgrade da parte di società di rating) della società che li ha emessi. Un aumento di valore di questi

strumenti è espressivo che il mercato teme che il debitore avrà difficoltà, a scadenza, a far fronte ai propri impegni.

In conclusione, come abbiamo avuto modo di vedere nei casi trattati, il contratto derivato può essere considerato come uno strumento finanziario pericoloso, una vera e propria scommessa tra due controparti sul valore futuro del prodotto sottostante. La crisi del 2008 ha mostrato all’opinione pubblica l’effettiva pericolosità di questi strumenti finanziari amplificata nel corso degli anni dalla creazione di derivati il cui valore dipende dall’andamento di altri derivati ovvero strumenti finanziari estremamente complessi con un effetto leva elevato che aumentano drasticamente la probabilità di perdere la “scommessa”.

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17

1.4 Le scommesse di Alitalia sul Jet fuel

Nonostante la vicenda sia ancora tutta da chiarire, al momento in cui scrivo Alitalia sembrerebbe coinvolta in contratti derivati (swap) sul carburante in cui avrebbe scommesso sul rialzo del prezzo del petrolio, che nella pratica non si è verificato. Questa situazione avrebbe causato, nel triennio 2014-2016, minusvalenze per un valore complessivo di circa 678 milioni di euro. Come ha spiegato Nino Cortorillo, segretario nazionale della Filt Cgil, all’AGI: “Dopo i 198 milioni di minusvalenze per i contratti di hedging registrati nel bilancio 2014 e i 350 per l'anno 2015, sembra che il management non abbia fatto tesoro dell'esperienza se anche per il 2016 la copertura dal rischio carburante verrebbe a costare, in termini di minusvalenze, altri 128 milioni.”19

Nel dettaglio, Alitalia avrebbe sottoscritto questi contratti derivati con varie banche, in particolare con: Monte dei Paschi di Siena, Intesa San Paolo e Unicredit. Da sottolineare come queste tre banche siano anche azioniste dell’ex compagnia aerea di bandiera. Se il prezzo del petrolio fosse salito al di sopra dei 68 dollari al barile, Alitalia avrebbe potuto incassare un premio da questi istituti di credito, che sarebbe servito per coprire i costi aggiuntivi legati all’aumento del prezzo del petrolio20. Sfortunatamente per Alitalia ciò non si è verificato anzi, si è assistito ad un crollo del prezzo del petrolio che ha causato ingenti perdite per Alitalia e grossi guadagni per gli istituti di credito

coinvolti in queste operazioni finanziarie.

19 Alitalia ha bruciato centinaia di milioni con i derivati, 15 maggio 2017, sito Agi.it

20 Fabio Pavesi, Alitalia, buco virtuale da 350 mln sui derivati. Beffa per le banche azioniste, 09 maggio

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18

Capitolo II

Gli strumenti finanziari derivati

La Tabella in basso ci mostra il criterio di classificazione tipico dei derivati. Essendo negoziati in mercati regolamentati, le caratteristiche principali dei futures e delle opzioni (quali l’attività sottostante, la durata, il taglio minimo di negoziazione, le modalità di liquidazione…) vengono definite dall’autorità del mercato su cui vengono negoziati. Al contrario, le caratteristiche degli swaps e dei forward rate agreements vengono negoziate direttamente tra il venditore e l’acquirente.

Rispetto al tipo di vincolo

contrattuale

Rispetto al mercato

-Simmetrici

Entrambi i contraenti (acquirente e venditore) si impegnano, a scadenza, ad effettuare una cerca prestazione Futures,

Swaps, Forward Rate Agreements

-Asimmetrici

Soltanto il venditore è obbligato a soddisfare la volontà del compratore

Opzioni

-Negoziati in mercati regolamentati

Futures, Opzioni

-Negoziati in mercati OTC (over the counter) Swaps, Forward Rate Agreements

In Italia il mercato regolamentato degli strumenti derivati è denominato IDEM (Italian Derivatives Market) gestito da Borsa Italiana S.p.A. . Nato nel 1994, questo mercato viene utilizzato per la negoziazione di futures e opzioni; le negoziazione avvengono per via telematica, attraverso un sistema elettronico che garantisce la rapida esecuzione

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19

degli ordini. Attualmente l’IDEM è suddiviso in tre segmenti (IDEM Equity, IDEX, AGREX) all’interno dei quali vengono negoziati i seguenti contratti21:

IDEM Equity

IDEX

(negoziazioni riservate a investitori istituzionali)

AGREX

-futures sull’indice FTSE MIB22

-mini-futures23 sull’indice

FTSE MIB

-futures sull’indice FTSE MIB Dividend24

-opzioni su titoli italiani -opzioni sull’indice FTSE MIB

-futures su titoli italiani ed europei

-futures sull’energia elettrica -futures sul grano duro

Oltre al mercato IDEM, Borsa Italiana S.p.A. gestisce il mercato SeDeX dedicato alla negoziazione di covered warrants e certificati ovvero derivati cartolarizzati25. Nato nel

21 Antonello di Mascio, Investire con l’analisi fondamentale: dall’asset allocation allo stock picking,

seconda edizione, 2013, p.403, Egea

22 “Il FTSE MIB è il principale indice di riferimento per il mercato azionario italiano. Include i 40 titoli più

liquidi ed a più elevata capitalizzazione presenti sul mercato azionario italiano, con una rappresentatività pari a circa l’80% della sua capitalizzazione complessiva ed un’adeguata diversificazione settoriale”.

IDEM. Il Mercato Italiano dei Derivati: un’opportunità ad alto potenziale, ottobre 2014, p.3, sito

Borsaitaliana.it

23 “La differenza tra i due consiste unicamente nella dimensione del contratto, infatti, nel caso dello

S&P/MIB Future a ogni punto indice è assegnato un valore pari a € 5, mentre nel caso del Mini S&P/MIB Future a ogni punto indice è assegnato un valore pari a € 1.”, Future su Indici Azionari, Glossario, 17 gennaio 2011, sito Borsaitaliana.it

24 “L’indice FTSEMib Dividend rappresenta il valore cumulato dei dividendi ordinari lordi, annunciati e

liquidati dalle singole società componenti l’indice FTSEMib, espresso in punti indice”. Antonello Di Mascio, Investire con l’analisi fondamentale: dall’asset allocation allo stock picking, seconda edizione, 2013, p.403, Egea

25 “Per derivati cartolarizzati si intendono i contratti di opzione trasformati in titoli negoziabili sul

mercato… i titoli in questione vengono emessi da intermediari finanziari vigilati. I derivati cartolarizzati comportano perciò l’esposizione del detentore del titolo al rischio emittente. Inoltre rispetto ai derivati scambiati sull’IDEM, i derivati cartolarizzati hanno una durata più lunga”. A cura di Marco Oriani e Bruno Zanaboni, Trattato di private banking e wealth management: Il private banking, Volume I, 2016, HOEPLI

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20

2004, questo mercato regolamentato telematico è soggetto a vigilanza da parte della CONSOB. A differenza dei mercati regolamentati, i mercati over the counter non sono soggetti ad alcuna regolamentazione ufficiale questo fa sì che le controparti (acquirente e venditore) possano stipulare contratti atipici, anche al di fuori degli orari ufficiali, che non sarebbero possibili all’interno dei mercati regolamentati.

2.1 Le principali finalità dei derivati finanziari

Prima di iniziare a parlare delle singole tipologie di derivati dobbiamo chiarire quali sono le principali finalità associate alla negoziazione di questi strumenti finanziari. Come abbiamo visto nel Capitolo 1, i contratti derivati nascono con l’obbiettivo di proteggere gli investitori e le loro posizioni da un andamento inatteso del valore di una certa attività sottostante, reale o finanziaria. L’hedger è quel soggetto che pone in essere operazioni di copertura con lo scopo principale di tutelarsi da eventuali oscillazioni di prezzo di un titolo o di un portafoglio di titoli azionari (azioni, obbligazioni, valute) ma anche di commodities (petrolio, grano, oro, cacao, caffè…)26. In altre parole, lo scopo principale dell’hedger è quello di “coprirsi” dal rischio di subire perdite da una certa posizione, sottoscrivendo un derivato che “scommette” sull’andamento opposto rispetto a quella posizione. Questa strategia, particolarmente adottata dagli investitori e dai soggetti economici con una bassa propensione al rischio, ha lo svantaggio che non permette grossi guadagni, che invece è in grado di ottenere (con un’esposizione al rischio certamente maggiore) lo speculatore. L’hedging è una strategia molto utilizzata in ambito finanziario con gli swaps e le opzioni che sono indubbiamente gli strumenti derivati più utilizzati per la copertura dei rischi.

In contrapposizione alle operazioni di copertura ci sono le strategie speculative sui derivati che consistono nel fatto di operare sul mercato dei derivati scommettendo sull’andamento futuro delle variabili di mercato. Questo tipo di strategia espone lo speculatore al rischio che l’andamento dell’attività sottostante (tasso di interesse, tasso di cambio, valore azionario…) sia diverso rispetto a quello preventivato con la

26 Vedremo più avanti che, gli investitori che acquistano derivati (futures) su commodities lo fanno quasi

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21

possibilità, spesso più che concreta, di subire delle perdite ingenti27. Secondo Cerone: “il mercato dei derivati funziona e continuerà a funzionare soltanto laddove la figura di colui che tende a coprire i propri investimenti (detto anche hedger) sarà controbilanciata da colui che invece si accollerà un “rischio” cercando di fare un guadagno speculativo. In sostanza, ipotizzare un mercato di strumenti derivati fatto solo ed esclusivamente per la copertura è impensabile perché il mercato stesso necessita di operatori di tipo

speculativo che controbilancino la situazione e acquistino questi rischi con la speranza di ottenerne un guadagno.”28

Infine, gli strumenti finanziari derivati possono essere utilizzati per finalità di arbitraggio ovvero in questo caso l’operatore entra simultaneamente in due o più mercati eseguendo operazioni contrapposte di acquisto/vendita della stessa attività finanziaria con l’obbiettivo di conseguire un profitto privo di rischio. Per esempio, nel caso di un azione trattata sia al New York Stock Exchange che al London Stock Exchange, l’arbitraggista potrebbe acquistare l’azione alla Borsa di New York e simultaneamente rivenderla alla Borsa di Londra; sfruttando il tasso di cambio, l’operatore riuscirebbe a conseguire un profitto senza rischio29. Questo concetto può essere applicato anche ai derivati, ovvero quando il prezzo del future è superiore al fair value l’operatore vende il future e simultaneamente acquista le azioni del sottostante; ciò concorrerà a far salire il valore del sottostante mentre il prezzo del future scenderà30. Stesso discorso, seppur inverso, nel caso in cui l’operatore decidesse di vendere il future quando il suo prezzo è inferiore al fair value. In genere per i piccoli investitori queste operazioni non risultano essere convenienti in quanto il profitto conseguito è azzerato dai costi di transazione. Al contrario per le grandi banche di investimento, che devono fronteggiare costi di transazione molto più bassi, queste operazioni possono risultare vantaggiose.

Come abbiamo visto i derivati rientrano nella categoria degli strumenti finanziari. E’ impossibile stimare con certezza le categorie di derivati attualmente in circolazione,

27 “Mentre gli hedgers vogliono evitare di essere esposti a movimenti sfavorevoli dei prezzi di un’attività,

gli speculatori desiderano assumere una posizione sui mercati. O scommettere che il prezzo salirà o scommettere che scenderà”. John C. Hull., Opzioni, futures e altri derivati, sesta edizione, 2007, p.11-12, PEARSON

28 Domenico Cerone, Il mercato dei derivati: rischiosa opportunità o pericolosa incertezza?, lulu.com,

2012

29 John C. Hull., Opzioni, futures e altri derivati, sesta edizione, 2007, p.15, PEARSON 30 Fonte: sito Borsaitaliana

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22

dato che ogni giorno ne vengono creati nuovi strutturati in maniera molto complessa. Possiamo affermare, comunque, che le principali categorie di prodotti derivati sono:

1. Swap

 Interest rate swap  Currency swap  Credit default swap  Asset swap

2. Contratti a termine

 Forward rate agreement  Futures

- Commodity futures - Financial futures

3. Opzioni

2.2 I contratti swap

Lo swap è un contratto derivato simmetrico con il quale due controparti si impegnano a scambiarsi, a date certe e prefissate, due flussi di cassa il cui ammontare è determinato in relazione ad un sottostante. La caratteristica peculiare che contraddistingue gli swaps, ma in generale tutti i contratti derivati, dalle altre tipologie di contratti è che ameno uno dei due flussi di cassa non è fisso bensì variabile in funzione del sottostante che può essere un tasso di interesse, un tasso di cambio, prezzo di commodities (ad esempio swaps il cui valore dipende dal prezzo del petrolio; oil swaps) o qualsiasi altra attività che le controparti decidono di scambiarsi. Gli swap non sono negoziati nelle borse valori bensì in mercati over the counter (OTC).

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23

2.2.1 L’Interest Rate Swap

L’IRS è il derivato più negoziato al mondo per la copertura dal rischio di tasso di interesse31. Esistono tre diverse tipologie di Interest Rate Swap:

 coupon swap  basis swap

 cross-currency interest rate swap.

Il coupon swap è un contratto con il quale le controparti si scambiano flussi di interessi a tasso fisso e a tasso variabile nella medesima valuta. L’operatore che nel coupon swap paga un tasso fisso è detto “fixed rate player”, mentre la controparte che paga un tasso variabile è detto “floating rate player”32.

Il basis swap è un contratto con il quale le controparti si scambiano flussi di interessi entrambi a tasso variabile nella medesima valuta (ad esempio nel constant treasury

swap le controparti si scambiano un tasso Libor con un tasso di un titolo di Stato33). Infine, nel cross-currency swap le controparti si scambiano flussi di interessi entrambi a tasso fisso.

D’ora in avanti parleremo esclusivamente del contratto coupon swap poiché rappresenta la tipologia di IRS più diffusa. Nel coupon swap due parti si scambiano flussi

contrapposti di pagamento, di cui uno a tasso fisso e l’altro a tasso variabile, calcolati su uno stesso capitale nozionale di riferimento (quest’ultimo utilizzato esclusivamente per il calcolo dei flussi di interessi, non è oggetto di scambio). L’entità del tasso fisso viene concordata dalle parti del contratto. Il flusso di cassa scambiato tra le due parti dipende dall’andamento di un tasso di interesse (Euribor e Libor, i principali); inoltre, come tutte le tipologie di swap, anche l’Interest Rate è negoziato in mercati over the counter. E’ chiaro, dunque, che i soggetti che intendono stipulare un IRS hanno una visione contrapposta di quello sarà il futuro andamento dei tassi di interesse.

31 Michele Rutigliano (curatore), L’analisi del bilancio delle banche. Rischi, misure di performance,

adeguatezza patrimoniale, prima edizione, 2012, p.111, Egea

32 Degregori & Partners, I Derivati: Futures, Opzioni & Swap, 2017, p.306, Edizioni R.E.I 33 Degregori & Partners, I Contratti Swap, 2016, p.41, Edizioni R.E.I

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24

Figura 4. Fonte: Elaborazione personale

Supponiamo che l’azienda Alpha (Figura 4) abbia in corso un finanziamento a tasso

fisso (12%) con vita residua di sei anni. L’azienda Beta, al contrario, è indebitata a tasso variabile (Euribor a 6 mesi) e sulla medesima scadenza del finanziamento di Alpha. Ipotizziamo, infine, che Alpha e Beta abbiano delle aspettative opposte sul futuro andamento dei tassi di interesse; nei prossimi sei anni, Alpha si aspetta un calo dei tassi di interesse mentre Beta un aumento. L’azienda Alpha e l’azienda Beta decidono, quindi, di concludere un Interest Rate Swap. Alla base del contratto derivato viene stabilito che, ogni anno e per tutta la durata dell’IRS, Alpha pagherà a Beta un flusso di interessi calcolato su un capitale nozionale e variabile in funzione dell’andamento del tasso Euribor a sei mesi mentre Beta, per lo stesso periodo, pagherà ad Alpha un flusso di interessi fisso (il 12% del capitale nozionale), concordato il giorno della stipula dell’Interest Rate Swap. I flussi di pagamento che le due parti dovranno scambiarsi saranno calcolati su uno medesimo capitale nozionale e avverranno in date specifiche (payment dates), ad esempio il 31 dicembre di ogni anno (anche se nella realtà le parti aspettano la scadenza naturale del contratto IRS per saldare le posizioni). E’ importante sottolineare come il contratto derivato stipulato tra le due aziende non vada

assolutamente a modificare le condizioni contrattuali in essere tra le aziende e le banche che hanno concesso loro il finanziamento. Alla scadenza del contratto si possono

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25

1) Per gran parte della durata del contratto Interest Rate Swap, l’Euribor a 6 mesi è stato più alto del tasso fisso concordato tra le parti (12%).

2) Per gran parte della durata del contratto Interest Rate Swap, l’Euribor a 6 mesi è stato più basso del tasso fisso concordato tra le parti (12%)

3) Si è verificata una situazione di sostanziale parità tra i flussi di pagamento scambiati tra le due controparti

Nel primo scenario le previsioni dell’azienda Alfa sull’andamento del tasso Euribor si sono verificate, ciò le ha consentito di ottenere un guadagno dal contratto IRS a danno dell’azienda Beta. Nel secondo scenario, al contrario, si sono verificate le previsioni di Beta a danno di Alfa. Chiaramente, il guadagno ottenuto dalla controparte vincente nel contratto swap servirà a quest’ultima per coprire i maggiori oneri finanziari che la stessa dovrà corrispondere all’istituto di credito con la quale, in precedenza, aveva acceso in finanziamento.

Essendo negoziati in mercati non regolati secondo le norme di un borsa valori può accadere che le parti di un contratto swap:

- abbiano una limitata capacità di valutare il rischio di credito della controparte - non riescano a concordare tra loro le date di pagamento dei flussi di interessi o la scadenza del contratto

- non riescano a concordare tra loro l’entità che dovrà avere il capitale nozionale Per risolvere questi problemi, molto spesso, viene coinvolto un intermediario finanziario il cui scopo principale è quello di conciliare le specifiche esigenze delle controparti coinvolte nel contratto swap34.

Gli elementi che contraddistinguono il contratto IRS sono: o la data di stipula del contratto (trade date)

o l’entità del capitale nozionale di riferimento

o la data di esecuzione del contratto IRS, che può differire dalla data di stipula (effective date)

o la data di scadenza del contratto IRS (maturity date)

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26

o le date di pagamento (payment dates), ossia le date in cui le controparti si scambiano i flussi di interessi

o l’entità del tasso fisso che una delle due parti deve corrispondere all’altra o il tasso variabile di riferimento, in genere Euribor o Libor.

2.2.2 Il Currency Swap

Il Currency Swap è un contratto derivato che permette, a chi lo sottoscrive, di fare hedging su una determinata posizione esposta al rischio di fluttuazione del tasso di cambio. In questa tipologia swap, quindi, il sottostante è rappresentato dal tasso di cambio. Il CS è utilizzato soprattutto dalle aziende che acquistano o vendono materie prime o prodotti finiti in Paesi che adottano una valuta diversa dalla propria o ancora, da aziende che ottengono finanziamenti in valuta estera.

In sostanza, il Currency Swap è un contratto attraverso il quale le parti si obbligano a scambiarsi reciprocamente alla data di stipula del contratto due somme di denaro denominate in valute diverse impegnandosi ad effettuare una nuova e opposta operazione di scambio alla scadenza del contratto alle stesse condizioni iniziali. La caratteristiche principale che contraddistingue il funzionamento dell’IRS dal CS sta nel fatto che nel Currency Swap abbiamo uno scambio, sia nella fase iniziale del contratto che alla scadenza dello stesso, dei capitali nozionali inoltre, mentre in un interest rate

swap i flussi di cash flow scambiati tra le parti sono espressi nella stessa valuta, nel currency swap sono denominati in valute differenti. Esistono tre diverse tipologie di CS:

- Floating to floating currency swap

- Fixed to floating currency swap (o “cross currency swap”) - Fixed to fixed currency swap

Nel proseguo del capitolo sarà analizzato nel dettaglio il funzionamento del Cross currency swap, essendo la tipologia di CS più diffusa.

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27

2.2.2.1 Il Cross Currency Swap

Si consideri l’esempio di un’azienda italiana che al tempo T0 ottiene un finanziamento di 100.000$ da una banca statunitense con tasso di interesse pari al tasso USD Libor a sei mesi. Il finanziamento ha una durata pari a due anni, con pagamento semestrale degli interessi e rimborso del capitale a scadenza.

Per coprirsi dal rischio di cambio, l’azienda italiana decide di concludere un contratto

Cross Currency Swap euro contro dollaro, con la stessa scadenza del contratto di

finanziamento. Alla base del contratto derivato viene stabilito che nella fase iniziale del

CCS l’azienda italiana dovrà corrispondere all’azienda statunitense un capitale

nozionale pari all’importo ricevuto dalla banca statunitense. A sua volta, l’azienda statunitense dovrà consegnare un capitale di importo pari ai corrispettivi 100.000$ espressi in euro, al tasso di cambio corrente (ad esempio 1,07). All’azienda statunitense che in cambio dovrà consegnare all’azienda italiana il corrispettivo espresso in euro e al tasso di cambio corrente (ad esempio 1,07).

Inoltre, viene stabilito che l’azienda italiana, ogni sei mesi e per tutta la durata del contratto, dovrà corrispondere alla controparte statunitense flussi di interessi stimati applicando un tasso di cambio fisso su euro (ad esempio 5%). In cambio, l’azienda statunitense dovrà corrispondere alla controparte italiana flussi di interessi applicati su un tasso variabile sul dollaro (USD Libor a 6 mesi)35. Ovviamente, i flussi di interessi scambiati dalle parti dovranno essere applicati al medesimo capitale nozionale.

35 In genere, lo scambio dei flussi di interessi tra le parti è previsto soltanto se il contratto CS ha una

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28

Alla scadenza del Cross Currency Swap, l’azienda italiana otterrà dall’azienda statunitense i dollari necessari a saldare il proprio debito con la banca che due anni prime le aveva concesso il finanziamento. In cambio, l’azienda statunitense si vedrà corrispondere l’equivalente in euro dei 100.000$, allo stesso tasso di cambio adottato all’inizio del contratto CCS.

Questa operazione ha consentito all’azienda italiana di trasformare il proprio finanziamento in dollari a tasso variabile in un finanziamento in euro a tasso fisso, annullando il rischio di cambio legato all’operazione in valuta estera.

2.2.2.2 Il Domestic Currency Swap

Nato in Italia negli anni Ottanta, il DCS è una particolare tipologia di currency swap utilizzata principalmente da aziende che svolgono la loro attività nel medesimo Paese e

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29

che hanno delle posizioni di uguale ammontare, nella stessa valuta ma di segno opposto36.

Si considerino due aziende italiane. Queste due aziende presentano un’esposizione opposta nei confronti del mercato statunitense. L’azienda A acquista gran parte delle proprie materie prime negli USA mentre l’azienda B esporta parte dei propri prodotti finiti nel mercato statunitense. Entrambe sono esposte al rischio di cambio, seppur in maniera opposta. Infatti, per l’azienda A un deprezzamento dell’euro sul dollaro sarebbe visto negativamente perché dovrebbe corrispondere più euro per acquistare i prodotti made in USA, al contrario per l’azienda B, che esporta i propri prodotti nel mercato statunitense, un euro debole le consentirebbe di ottenere maggiori profitti. Al contrario, un apprezzamento dell’euro sul dollaro consentirebbe all’azienda importatrice di acquistare i prodotti made in USA corrispondendo meno euro rispetto a periodi di euro debole, ma provocherebbe una reazione opposta per l’azienda esportatrice che, a causa di un euro forte sul dollaro, assisterebbe ad un calo delle vendite e quindi dei profitti sul mercato statunitense.

Stipulando un DCS, le aziende si accordano per scambiarsi la differenza tra un tasso di cambio (in questo esempio euro/dollaro) stabilito al momento della conclusione del contratto derivato e un tasso di cambio a pronti, rilevato sul mercato alla scadenza del

Domestic Currency Swap. Se il tasso di cambio a pronti a scadenza dovesse risultare

inferiore a quello a termine iniziale, l’importatore dovrà versare la differenza all’esportatore. In genere, il contratto di copertura viene concluso dalle parti con il supporto di un istituto di credito, che assume il ruolo di intermediario37.

2.2.3 L’Asset Swap

Si consideri il caso di un’azienda che in passato ha acquistato un obbligazione societaria a tasso fisso o un titolo di Stato a tasso fisso e che adesso teme un aumento dei tassi di interesse38. Per tutelarsi da questo rischio, l’azienda potrebbe stipulare un Interest Rate

Swap in cui paga alla controparte lo stesso tasso fisso che riceve dall’obbligazione e in

cambio incassa un tasso variabile maggiorato di uno spread (denominato Asset Swap

36 Degregori & Partners, I Contratti Swap, 2016, p.55, Edizioni R.E.I

37 Degregori & Partners, I Derivati: Futures, Opzioni & Swap, 2017, p.320, Edizioni R.E.I 38 Un aumento dei tassi di interesse provoca, infatti, un calo del prezzo delle obbligazioni

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30

spread); in questo caso le cedole ricevuta dal titolo obbligazionario servirebbero per pagare il tasso fisso dell’Interest Rate Swap. Viceversa, nel caso in cui l’obbligazionista avesse acquistato un titolo obbligazionario a tasso variabile e sospettasse un calo dei tassi di interesse39, potrebbe assumere la parte del floating rate player nel contratto

Interest Rate Swap40. Che cosa succederebbe se il soggetto emittente il prestito obbligazionario dovesse fallire prima della scadenza dello stesso? In questo caso, l’Asset Swap continuerebbe a vivere e quindi l’investitore sarebbe costretto a

corrispondere al floating rate player dell’IRS il tasso fisso precedentemente concordato fino alla sua scadenza.

L’Asset Swap, così come abbiamo visto nell’IRS, non prevede uno scambio di capitali nozionali alla scadenza del contratto.

2.2.4 Il Credit Default Swap

I CDS appartengono alla categoria dei derivati creditizi (credit derivatives) che

comprendono anche i Total Return Swaps e i Credit Linked Notes. Nel dettaglio, i CDS permettono a chi detiene obbligazioni di un ente privato o di uno Stato sovrano di proteggersi dal rischio di default (ma anche dal ritardato pagamento di cedole e/o interessi) del soggetto emittente, definito in dottrina reference entity. La tipologia più semplice e diffusa di questo derivato è il Single-name CDS o plain vanilla CDS in cui il

reference entity è unico ma esistono anche forme di Credit Default Swap molto più

complesse e articolate, come ad esempio:

 Multi-name CDS: in questo caso esistono due o più reference entity collegate allo swap. Esempi in tal senso possono essere i basket CDS e i CDS indices.  Exotic CDS: questa tipologia di Credit Default Swap comprende una vasta

gamma di strumenti finanziari con caratteristiche estremamente complesse e variegate. Rispetto ai Multi-name CDS, gli Exotic CDS sono molto più rischiosi per le parti che lo sottoscrivono e possono portare ad un aumento significativo del rischio sistemico.

39 Infatti, un calo dei tassi di interesse genera un aumento del prezzo delle obbligazioni

40 Gianluca Risaliti, Gli strumenti finanziari derivati nell’economia delle aziende: Risk management,

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31

A fianco a queste tre principali categorie di CDS, esistono tutta una serie di contratti finanziari potenzialmente collegabili ad essi, tra questi:

o Forward CDS: contratto a termine che obbliga una parte ad acquistare e l’altra a vendere un Credit Default Swap scritto su una specifica

reference entity ad una data prestabilita. Se prima di quella data la reference entity dovesse fallire, il contratto a termine cessa di esistere41. o CDS Options: sono opzioni che danno il diritto al suo possessore di

acquistare o vendere un Credit Default Swap su una specifica reference

entity ad una data prestabilita o entro tale data. Tale diritto sarà

esercitato, ovviamente, soltanto in presenza di condizioni favorevoli per il possessore dell’opzione42. Nel caso in cui la reference entity dovesse fallire prima della scadenza, le CDS Options cessano di esistere43. o Collateralized debt obligation (CDO): si tratta di prestiti obbligazionari

creati appositamente per contenere al loro interno un portafoglio di attività finanziarie diverse tra loro, tra cui Credit Default Swap.

D’ora in avanti, quando parleremo di “CDS” ci riferiremo esclusivamente ai

Single-name Credit Default Swap.

Con riferimento alle reference entities in un contratto CDS, normalmente a chi ci si riferisce? Il reference entity in genere è un’azienda industriale, una banca o uno Stato sovrano (sovereign CDS)44, mentre i principali venditori di Credit Default Swap sono banche, hedge funds e assicurazioni. In sostanza possiamo pensare al CDS come a un’assicurazione sull’insolvenza di un emittente.

Analizziamo nel dettaglio il funzionamento di questa tipologia di swap. Chi sottoscrive un Credit Default Swap dovrà corrispondere un premio fisso periodico (periodic fee)

41 John C. Hull, Emilio Barone (curatore), Fondamenti dei mercati di futures e opzioni, sesta edizione,

2008, p.494, PEARSON

42 Si pensi ad un investitore che acquista un opzione call con spread di esercizio di 300 bps con scadenza

tra 2 anni, scritta su un CDS la cui reference entity è la società X. Se a scadenza la quotazione del CDS spread sarà superiore a 300 bps, il possessore dell’opzione eserciterà la call altrimenti no, perdendo il premio precedentemente pagato per l’acquisto della call.

43 John C. Hull, Emilio Barone (curatore), Fondamenti dei mercati di futures e opzioni, sesta edizione,

2008, p.494, PEARSON

44 Paolo Tradati, Credit Default Swaps: Caratteristiche contrattuali, procedure gestionali e strategie

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32

alla società emittente lo swap. Se nel corso della durata dello swap si dovesse verificare il “credit event45” stabilito tra le parti, il protection seller (ovvero il soggetto che ha

venduto la protezione contro il rischio di default) dovrà onorare la sua obbligazione nei confronti del protection buyer (ossia di colui che ha acquistato la protezione). In genere i CDS hanno una validità di 5 anni (anche se, essendo negoziati in mercati OTC, le parti possono personalizzarne la durata) e il premio da corrispondere alla società emittente viene concordato tra le parti.

Il valore che il mercato attribuisce al rischio di default del debitore è definito CDS

spread. Tale parametro è calcolato come “rapporto tra l’ammontare del pagamento su

base annua effettuato dal compratore di protezione e il capitale nozionale del CDS”46. Da sottolineare, inoltre, il ruolo fondamentale ricoperto dalle banche nel definire la quotazione del CDS spread, espressa in bps (basis points o punti base). Comportandosi da market makers, esse infatti provvedono a definire due prezzi: denaro (bid) e lettera (offer). Facciamo un esempio. Supponiamo di trovarci di fronte a un contratto sovereign

CDS con scadenza tra 5 anni e che la quotazione del CDS spread sia 350-450 bps.

Premesso che 100 basis points corrispondono a un punto percentuale, secondo questo esempio il market maker è disposto ad acquistare protezione dal rischio di default del debitore pagando annualmente un importo pari al 3,5% del capitale nozionale del derivato e dall’altra parte a vendere protezione ad una controparte (dal rischio di default dello stesso debitore) facendosi corrispondere ogni anno il 4,5% del capitale nozionale del CDS. Ovviamente, affinché tale operazione possa concludersi positivamente, è opportuno che il “prezzo” denaro sia sempre inferiore al “prezzo” lettera. La differenza tra questi due “prezzi” viene stabilita dall’operatore che effettua le quotazioni47.

La Figura 5, aggiornata a febbraio 2016, mostra la quotazione dei sovereign Credit

Default Swap. Come possiamo notare, maggiore è la quotazione del derivato creditizio

più alta è la probabilità di default dello Stato sovrano collegato al CDS. Possiamo notare quindi come i sovereign CDS sul debito del Venezuela, della Grecia e dell’Ucraina sono

45 Tra i principali esempi di “credit events” troviamo: -fallimento –insolvenza –downgrade –

disconoscimento del debito –ristrutturazione del debito

46 Andrea Ferrari, Elisabetta Gualandri, Andrea Landi, Valeria Venturelli, Paola Vezzani, Strumenti e

prodotti finanziari: bisogni di investimento, finanziamento, pagamento e gestione dei rischi, seconda

edizione, 2017, p.255, G. Giappichelli Editore

47 Andrea Ferrari, Elisabetta Gualandri, Andrea Landi, Valeria Venturelli, Paola Vezzani, Strumenti e

prodotti finanziari: bisogni di investimento, finanziamento, pagamento e gestione dei rischi, seconda

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33

tra i più alti al mondo, in particolar modo la probabilità di default del Venezuela che è poco inferiore al 60%, mentre i Paesi con l’economia più forte sono rappresentati dalla Svezia, Stati Uniti e Germania che presentano un rischio di default praticamente inesistente.

Figura 5. Fonte: sito Bank of America

Oltre ad essere negoziati in mercati non soggetti a regolamentazione e controllo da parte dell’autorità di vigilanza, prima del 2012 chiunque poteva sottoscrivere un sovereign

CDS senza detenere il relativo sottostante (ovvero i titoli di Stato). Con l’entrata in

vigore del Regolamento UE n. 236/2012, che analizzeremo nel dettaglio nel paragrafo successivo, è stato imposto il divieto di sottoscrizione dei cosiddetti “naked sovereign

Credit Default Swap”, considerandoli strumenti finanziari eccessivamente pericolosi,

utilizzati principalmente da operatori con chiare finalità speculative con lo scopo di danneggiare, in modo particolare, Paesi con economie deboli, non in grado di fronteggiare attacchi speculativi sul debito pubblico sovrano. Secondo Angelini, in merito ai naked CDS: “in questi contratti, quanto mai lontani dall’originaria funzione assicuratrice, la possibilità di vendere o comprare un’assicurazione contro il rischio di credito quando non si possiede il credito sottostante, crea inevitabilmente incentivi

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34

perversi che possono aumentare l’interesse di una parte dei partecipanti al mercato al dissesto del debitore e dunque rendere l’evento assicurato più probabile.”48

Inoltre, a sottolineare la natura speculativa di questi strumenti finanziari è il fatto che, a differenza delle altre tipologie di swap che abbiamo visto finora, il cui valore dipende da una variabile (tasso di interesse o da un tasso di cambio) sconosciuto dalle parti che sottoscrivono il contratto, le istituzioni finanziari che sottoscrivono un Credit Default

Swap spesso sono in possesso di informazioni che altri soggetti non hanno e ciò può

condizionare l’andamento del valore del CDS a favore di questi soggetti. Gli economisti in questi casi parlano di “informazioni asimmetriche”49.

2.2.4.1 Regolamento UE n. 236/2012

La crisi finanziaria del 2008 ha portato le autorità di vigilanza di diversi Stati membri a regolamentare la vendita allo scoperto (short selling) di molte tipologie di titoli e a ridurre i rischi potenziali derivanti da un utilizzo speculativo generato dai derivati creditizi. Lo scopo principale del Regolamento UE del 14 marzo 2012 (entrato in vigore il 1° novembre 2012) è stato innanzitutto quello di frenare o addirittura proibire le operazioni speculative sui naked CDS degli Stati membri in un momento di estrema fragilità economica e dall’altro di regolamentare le shorts selling che sino a quel momento mancavano di uno specifico quadro normativo a livello comunitario. Proprio con riferimento alle vendite allo scoperto, lo stesso Regolamento UE al punto (5), cerca di porre dei limiti a tale regolamentazione considerando tuttavia tali operazioni

necessarie per il corretto funzionamento dei mercati finanziari, “in particolare con riferimento alla liquidità di mercato e ad una formazione efficiente dei prezzi”. Le vendite allo scoperto di uno strumento di debito emesso da uno Stato sovrano rientrano nella categoria delle posizione corte sullo stesso debito sovrano; ciò significa che acquistando un sovereign CDS senza avere una posizione lunga nel debito sovrano sottostante o in altre posizioni, equivale ad avere una posizione corta sul debito sovrano. Avere una posizione lunga sul debito sovrano significa, invece, detenere un titolo di

48 Eliana Angelini, Il credit default swap nella gestione del rischio di credito: Dinamiche e determinanti dei

CDS spread, p. 52, 2013, G. Giappichelli Editore

49 John C.Hull, Emilio Barone (curatore), Fondamenti dei mercati di futures e opzioni, sesta edizione,

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35

debito emesso dallo Stato sovrano. L’art.3 paragrafo 5 del Regolamento UE n. 236/2012 definisce una posizione corta netta come: “la posizione che rimane dopo aver dedotto ogni posizione lunga che una persona fisica o giuridica detenga con riferimento al debito sovrano emesso (…) da ogni posizione corta detenuta da tale persona fisica o giuridica con riferimento allo stesso debito sovrano”. L’art. 7 obbliga la persona fisica o giuridica che detiene una posizione corta netta sul debito di uno Stato sovrano, a

comunicarlo all’autorità competente, ma soltanto nel caso in cui tale valore sia al di sotto o al di sopra delle soglie di notifica stabilite direttamente dall’ente sovrano. L’autorità competente avrà poi la responsabilità di comunicare tale valore all’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Aesfm) i cui poteri sono stati ampliati con l’entrata in vigore del suddetto Regolamento UE. In aggiunta, le autorità competenti dovranno comunicare all’Aesfm eventuali posizioni scoperte relative a sovereign Credit

Default Swap. Si ha una posizione scoperta in un sovereign CDS quando il CDS non

serve a coprire dal rischio di inadempimento dello Stato emittente oppure il derivato creditizio non serve a coprire dal rischio di deprezzamento del debito sovrano.

In conclusione, il Regolamento UE n. 236/2012 impone tutta una serie di obblighi nei confronti di degli operatori che sottoscrivono sovereign Credit Default Swap. Tale obblighi riguardano:

-la comunicazione delle posizioni corte nette qualora queste presentino un importo consistente;

-restrizioni alle vendite allo scoperto di un debito sovrano in assenza della disponibilità dei titoli (casi particolari in cui non si applicano le restrizioni sono previste dal

paragrafo 2 dell’art.13).

Regole più permissive, con riferimento alle operazioni in titoli di Stato, sono previste soltanto per alcuni market makers, indicati in un apposito elenco pubblicato sul sito Internet dell’Aesfem (art.17 paragrafo 13).

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2.2.4.2 L’alternativa ai Credit Default Swap nella valutazione del rischio

di credito: le Agenzie di rating

Un altro indicatore utilizzato per misurare il rischio di credito è il giudizio espresso dalle Agenzie di rating. Le Agenzie di rating sono autorità indipendenti dalle società emittenti i titoli e da quelle che gestiscono i mercati regolamentati il cui scopo

principale è quello di valutare la capacità di Stati sovrani, banche e società di ripagare i propri debiti a scadenza. Tale giudizio viene espresso attribuendo dei punteggi (o

ratings). Come possiamo leggere sul sito Internet dell’agenzia Standard & Poor’s50, i

ratings assegnati da queste società private non riproducono fedelmente la misura del

rischio di credito di una emittente guidando l’investitore a conseguire profitti sicuri. Tale premessa permette a queste Agenzie di tutelarsi da un punto di vista legale da possibili ritorsioni da parte degli investitori.

Nonostante ciò, in passato, in particolar modo con la crisi finanziaria del 2008, l’operato di queste Agenzie è stato aspramente criticato soprattutto da quegli investitori che si erano fidati ciecamente dei rating assegnati da tali Agenzie nei confronti di strumenti finanziari derivati particolarmente complessi negoziati in mercati over the counter51. Le tre principali Agenzie di rating che si occupano quasi esclusivamente di giudicare gli strumenti finanziari derivati sono:

-Standard & Poor’s -Moody’s

-Fitch

La Figura 6 mostra i punteggi alfanumerici utilizzati nella valutazione del rischio di credito sul debito a lungo termine (Long-term debt). Come possiamo notare, maggiore è il punteggio assegnato al soggetto emittente il titolo di debito, più bassa sarà la

probabilità di insolvenza dello stesso e minore sarà il rendimento del titolo emesso. I

50 “While investors may use credit ratings in making investment decisions, Standard & Poor’s ratings are

not indications of investment merit. In other words, the ratings are not buy, sell, or hold

recommendations, or a measure of asset value. Nor are they intended to signal the suitability of an investment. They speak to one aspect of an investment decision—credit quality—and, in some cases, may also address what investors can expect to recover in the event of default.” Standard & Poor’s Ratings Services, Guide to credit rating essentials. What are credit ratings and how do they work?, luglio 2014, p.2, sito Spratings.com

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giudizi sui titoli di debito compresi tra AAA e BBB- (Baa3 nel caso di Moody’s) vengono definiti investment grade (o categoria “investimento”); si tratta di titoli acquistati dalla maggioranza degli investitori istituzionali, in particolar modo dai fondi obbligazionari. Si tratta per lo più di obbligazioni che prevedono un pagamento sicuro (o garantito nel caso di bond con rating tra AA+ e BBB-) di capitale e interessi da parte del soggetto emittente che a sua volta presenta una buona (elevata nel caso di rating AAA) qualità dell’attivo. Da BB+ (Ba1 nel caso di Moody’s) in poi troviamo i cosiddetti non-investment grade (o speculative grade); si tratta di obbligazioni,

acquistate soprattutto da fondi specializzati nell’high yield, ad alto rendimento emesse da Stati sovrani ed enti privati giudicati a rischio elevato di default. In genere il soggetto che emette questi bond presenta una bassa qualità dell’attivo, una limitata capacità di copertura del debito e un’elevata leva finanziaria. Infine, le obbligazioni con rating C e D vengono definite junk bonds (o titoli spazzatura); queste obbligazioni vengono acquistate principalmente da investitori esperti con chiari obbiettivi speculativi e il soggetto emittente questi titoli viene considerato, dall’Agenzia di rating che esprime il giudizio, prossimo al default.

Figura 6. Fonte: sito Il Sole 24 Ore

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