• Non ci sono risultati.

Tra “Primavera” e Costituzione

Nel documento Diritti Doveri Solidarietà (pagine 24-27)

Il tema della “Primavera araba” è stato una delle piste percorse per stimolare, dall’interno della storia recente dei nostri interlocutori, la riflessione su alcuni punti focali della Costituzione italiana. La formula, com’è ben noto, ha molto di giornalistico ed è stata coniata per designare l’onda inattesa di proteste popolari che ha investito molti paesi dell’area dalla fine del 2010. Si tratta di una stagione così complessa, convulsa, persino enigmatica nei suoi ultimi drammatici sviluppi, da consentire a molti osservatori di negare persino l’esistenza di una “Primavera”, nel senso positivo evocato dalla metafora, preferendo sottolineare piuttosto il passaggio da un inverno all’altro, sotto la spinta d’interessi e disegni che poco o nulla condividevano con i sogni dei giovani scesi in piazza, o che al massimo se ne sono serviti con calcolato cinismo.

Ma anche le letture più disincantate e pessimiste degli eventi non hanno potuto negare del tutto la profonda verità depositata in molte delle cose gridate in quei giorni per le strade:

libertà d’espressione, fine del controllo ossessivo degli apparati di sicurezza sulla vita pubblica, partecipazione effettiva alle scelte politiche, diritto al lavoro, all’educazione, alla salute e alla casa, inclusione sociale delle fasce più sfavorite. Il cartello di richieste scandite, in molte piazze arabe, in maggioranza da musulmani, giovani, tra loro anche molte donne, può facilmente trovare risonanze nelle pagine d’apertura della nostra Costituzione. Senza volere forzare i termini del confronto, è possibile cioè segnalare punti comuni alla “Primavera” dell’Italia post-fascista,

diri tti d ov eri s oli da ri età

così come suggerire la lezione specifica che l’esperienza italiana può offrire alla “Primavera araba”, ciò che in un momento cruciale della storia del nostro Paese ha scongiurato il tragico passaggio da un inverno all’altro, dalla dittatura alla guerra civile: il dialogo tra le differenti anime politiche, religiose e culturali presenti nell’Assemblea Costituente, rappresentative della popolazione in tutti i suoi strati. Senza quel dialogo tra “diversi” anche la Primavera italiana avrebbe potuto facilmente degenerare in un bagno di sangue senza fine.

Paolo Branca ha così svolto il ruolo di apri-pista tra le due sponde: «Le rivolte arabe sono state chiamate primavere perché sono giunte dopo un lungo inverno ove mancavano la libertà, la giustizia, ma soprattutto il rispetto per la dignità umana». La nostra saletta è al completo per ascoltare l’ospite giunto da Milano, uno dei maggiori arabisti italiani e uno dei più attenti osservatori della presenza islamica in Italia, con particolare riguardo per il nodo delle “seconde generazioni”. Parla e scherza con gli studenti nella loro lingua, ma soprattutto li sorprende per una conoscenza delle loro fonti che non avrebbero saputo immaginarsi: il Corano, le raccolte di detti profetici, ma anche la poesia, classica e moderna, la filosofia, la letteratura. Questo modo di

procedere ci lascia una preziosa indicazione metodologica: in un dialogo culturale come quello che avviene tra le mura di una scuola con interlocutori arabi-musulmani non ci si può riferire all’islam semplicemente in termini di religione – dogma e culto – ma più ampiamente come a una civiltà, parola che indica una circonferenza più ampia di fonti, inclusiva ovviamente dei testi religiosi ma anche di altri materiali.

Con un approccio poetico che sa fare vibrare nel profondo l’anima araba, Branca li stimola a riflettere anzitutto sul significato metaforico della “primavera”, partendo dalla forza suggestiva di passaggi coranici sulla bellezza della natura, passando al Vangelo delle Beatitudini e approdando infine al poeta egiziano Ahmad Shawqi, con il quale propone un quesito: se la natura fa in modo che le stagioni si susseguano in modo regolare, perché non è così per la storia degli esseri umani? La risposta, dice Branca, è che «per gli uomini c’è di mezzo la libertà e la volontà umane», e cita un verso del poeta tunisino Abu al-Qàsim al-Shabbi (m. 1934), assurto a

“colonna sonora” delle manifestazioni: «Quando un giorno il popolo vorrà vivere, è inevitabile che il destino risponda». Ecco i materiali per iniziare a riflettere su temi come la sovranità popolare e la responsabilità personale nel corretto funzionamento della cosa pubblica.

Il riferimento a un autore dei primi decenni del ‘900, come al-Shabbi, apre al contempo un’altra pista di ricerca di “radici comuni”, che qui può essere solo accennata: Branca evoca il collegamento tra “Primavera” e nahda, letteralmente risveglio, o ‘risorgimento arabo’, quel movimento prodottosi «tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 e che ha investito tutti gli aspetti dell’esistenza, dando vita a movimenti artistici e letterari che hanno mutato profondamente la cultura e la società, senza differenze tra chi aveva origini e fedi differenti». Una delle correnti più significative della nahda rappresentò, per i popoli arabi, il tentativo di recuperare il meglio di se stessi, aprendosi al contempo al meglio di ciò che l’Occidente poteva proporre in quel momento. Un movimento intellettuale che evoca, a sua volta, una più antica e fondamentale

“Primavera araba”, quella fiorita dodici secoli fa a Bagdad nella “Casa della Sapienza”, dove la traduzione in arabo delle opere dei filosofi, medici, astronomi, matematici greci aveva gettato le fondamenta della civiltà islamica nella sua epoca d’oro. Nella storia dei popoli arabi, dagli

line e di un p er co rs o

diri tti d ov eri s oli da ri età

inizi più remoti ai giorni dei giovani del 2011, è quindi possibile rintracciare importanti segni d’interculturalità, preziosi per un progetto formativo di ampio respiro.

Branca ne trae le conseguenze immediatamente applicative, citando il messaggio rivolto da un altro grande portavoce della nahda, Jubran Khalil Jubran (m. 1931), ai giovani americani di origine siriana: «Credo che così come i vostri padri giunsero in questa terra per produrre ricchezze, voi nasceste qui per produrre quella ricchezza che nasce dalla fatica. E credo possiate essere buoni cittadini. E cosa vuol dire essere buoni cittadini? Significa riconoscere i diritti altrui prima di rivendicare i propri, pur nella ferma consapevolezza di averne. Significa essere liberi nella parola e nell’azione, ma sapendo che la propria libertà è subordinata alla libertà altrui.

Significa creare l’utile e il bello con le proprie mani, onorando ciò che gli altri hanno creato con amore e con fiducia».

Nel documento Diritti Doveri Solidarietà (pagine 24-27)