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Uguaglianza & Solidarietà

Nel documento Diritti Doveri Solidarietà (pagine 41-44)

Il nostro viaggio attraverso gli orizzonti della Costituzione italiana parte dal sogno di un Paese dove i cittadini «hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali»

e dove lo Stato non fa da puro spettatore ma s’impegna a «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana». Enrico Gualandi, avvocato e appassionato studioso di diritto pubblico, svela l’incanto di questo art. 3, leggendolo in controluce alla storia di una penisola abitata, per lunghi secoli, da liberi e schiavi, sino all’onta delle leggi razziali, neppure ottant’anni fa. Ci fa capire come le idee di uguaglianza formale e uguaglianza sostanziale s’integrino e sostengano a vicenda: «In buona sostanza, se il principio d’uguaglianza formale impone che la Repubblica non debba discriminare uomini e donne che si trovano in condizioni

analoghe, il principio di uguaglianza sostanziale impone allo Stato una condotta attiva, ossia impone di provvedere in senso positivo per eliminare gli eventuali svantaggi dei propri cittadini».

Quel che si deve cercare di trasmettere è la sapienza profonda del dettato costituzionale: la legge non può discriminare gruppi di cittadini a favore di altri ma può altresì prestare maggiore cura alla condizione dei più svantaggiati. È in fondo un altro modo di declinare quel principio di solidarietà che l’art. 2 aveva consacrato come “dovere inderogabile” dei singoli, per la costruzione di una società attenta ai bisogni di tutti e dove tutti si sentono reciprocamente responsabili. La lingua araba traduce “solidarietà” con “tadàmun”, parola ricchissima di significati: includersi a vicenda, darsi sicurezza, proteggersi gli uni con gli altri. Detto per inciso: il ricorso alla lingua degli interlocutori apre grandi possibilità di rendere più vicine le idee che si vogliono loro trasmettere. È uno strumento molto efficace e incoraggia una crescita di qualità del ruolo dei mediatori culturali.

Ma un attimo: gran cosa quest’uguaglianza, ma è solo faccenda di “cittadini”? Se le cose stanno così, quasi tutte le persone sedute intorno al nostro tavolo non c’entrano nulla: «Non è così!», risponde Gualandi, e spiega che, anche se la Corte Costituzionale riconosce indubbiamente l’esistenza di una differenza tra “cittadino” e “straniero”, «essa ha sempre ritenuto che il principio d’uguaglianza operi anche nei confronti dello straniero, allorché si tratti della tutela dei diritti inviolabili dell’uomo». Per fare quindi un esempio che qui tocca molto sul vivo, è sicuramente indiscutibile che il diritto ai trattamenti sanitari dev’essere riconosciuto anche agli stranieri, «qualunque sia la loro posizione rispetto alle norme che regolano l’ingresso e il soggiorno nello stato». E poi il lavoro, come modo privilegiato per garantire il pieno sviluppo della persona umana: Gualandi afferma così che, nell’ottica del Costituente, «è lo strumento più idoneo ad assicurare quella parità di condizioni a cui sottende il principio di eguaglianza sostanziale dell’art. 3, secondo comma». Si tratta di uno dei temi più scottanti, nella nostra piccola assemblea, e gli dedicheremo uno spazio particolare.

Non possiamo fare a meno di evocare lo spettro del razzismo, che irrompe come un incubo

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nel bel sogno dell’eguaglianza. Per stimolare il dibattito mostriamo un video con interviste di strada: italiani che parlano di stranieri, chi in un modo chi nell’altro. I presenti ci stupiscono un poco, poiché la maggior parte di loro afferma di non avere mai subito atteggiamenti razzisti nel nostro Paese, mentre li ha conosciuti altrove. Bisogna però anche provare a sollevare il velo sul diffuso razzismo arabo nei confronti di persone di pelle nera: il video tratto dai programmi in lingua araba di France24 ci mette sotto gli occhi una vera e propria piaga sociale e culturale, confermata dalle testimonianze personali di molti presenti in aula. Essa meriterebbe dunque adeguata attenzione, ogni volta che si parla di razzismo in un progetto educativo, poiché chi se ne dice vittima su questa sponda del mare potrebbe essere stato carnefice, a sua volta, sull’altra. In arabo “razzismo” è “unsuriyya”: un tratto etnico talmente radicato da denunciare origini ancestrali. Da questa immersione nella cronaca della vita quotidiana dei popoli sulle due sponde del mare di mezzo, che ci sforziamo sempre di intrecciare alle esposizioni teoriche, si può cogliere meglio la grandezza dell’art. 3 della nostra Carta, che non nasce dal “vuoto storico”, e che come non cessa di vincolare a sé propositi ed atti della generazione presente, così

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si pone a salvaguardia di quelle che verranno.

Uguaglianza e solidarietà: il tema è immenso e dovrebbe arricchirsi anche del confronto con le nuove costituzioni arabe, secondo quanto ci siamo proposti sin dall’inizio. Si potrebbe leggere l’art. 21 di quella tunisina, o l’art. 19 di quella del Marocco, con l’aggiunta significativa della proibizione di ogni incitamento al razzismo all’art. 23, o infine gli artt. 8, 9, 11, 51, 53 di quella egiziana, ma il tempo agli sgoccioli ci consente solo di far emergere, su un diverso versante, più etico che giuridico in senso stretto, qualche frammento preso dai depositi della cultura arabo/islamica: c’è il racconto della creazione di Adamo, dove l’angelo va a raccogliere in tutto il mondo terra d’ogni colore per modellare la prima persona umana; c’è il detto che considera vero credente solo colui che desidera per il proprio fratello ciò che vuole per sé, o quello che considera la casa migliore quella dove viene ospitato un orfano. La stessa differenza di colore e lingua tra i popoli è considerata una provvidenza di Dio, uno stimolo a conoscersi, poiché solo i diversi possono fare questa esperienza. Entriamo così per un attimo in quel clima di “narrazione sapienziale” che risulta ideale in un dialogo con i musulmani. Anche queste perle di sapienza hanno bisogno ovviamente di essere esaminate con cura, per comprendere se l’uguaglianza e la solidarietà che vi spira non siano riservate solo agli adepti della medesima religione ma valgano per chiunque, in linea con quanto la Costituzione “sogna”. Si tenga però presente che, anche laddove le antiche tradizioni religiose e culturali fanno emergere un confine netto tra chi è dentro e chi è fuori, esse non cessano per questo di costituire un fondo di materiale utile per alimentare il dialogo. In un progetto interculturale d’ampio respiro è sempre meglio lasciare venire a galla le differenze, e su queste lavorare, che escogitare concordanze che s’illudano di

“chiudere il cerchio” troppo facilmente e con poca lealtà intellettuale.

Nel documento Diritti Doveri Solidarietà (pagine 41-44)