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tra Vygotskij, la Gestaltpsychologie e Arnheim

Nel documento Rudolf ArnheimArte e percezione visiva (pagine 177-188)

di Luciano Mecacci

1. Il nome di Lev S. Vygotskij non è mai stato accostato diretta-mente a quello di Rudolph Arnheim. Indirettadiretta-mente sì, quando sono state confrontate le teorie del film di Arnheim e Ejzensˇtejn e si è fat-to riferimenfat-to a Vygotskij per l’influenza da questi avuta sul regista russo1. Tenendo presenti le critiche “culturaliste” avanzate da Vygot-skij alla teoria della Gestalt, la contrapposizione tra Arnheim e Ejzen-sˇtejn acquisterebbe quindi la connotazione più generale di una forte differenziazione teorica, quasi filosofica, tra la teoria della Gestalt e la teoria storico-culturale. Tale contrasto è ancora più netto quando si pensa o si scrive genericamente su questi temi appiattendo la conce-zione di Arnheim su una dimensione strutturalista-astratta e quella di Ejzensˇtejn su una prospettiva dialettico-materialistico-concreta: da una parte la struttura del film, un problema di percezione, immagine e in-tuizione; dall’altra il montaggio del film come narrazione, un proble-ma di pensiero (dialettico). La dicotomia tra percezione e pensiero viene quindi riproposta per un studioso come Arnheim che ha invece fatto perno proprio sulla loro complementarietà 2. Vi sono invece al-cuni elementi teorici, a mio avviso di grande attualità, che configura-no Vygotskij e Arnheim come due classici della storia della psicologia che, se opportunamente interrogati, possono essere ancora motivo di interesse per le ricerche teoriche e empiriche attualmente in corso 3.

2. In primo luogo, si deve chiarire la posizione di Vygotskij rispetto alla teoria della Gestalt, perché questa precisazione permette di impo-stare meglio il “dialogo” Vygotskij-Arnheim. Oggi è possibile docu-mentare come lo psicologo russo avesse un’alta opinione di tale teoria. Fino a metà anni ’80 poteva sembrare che Vygotskij avesse liquidato la Gestalt al pari delle altre concezioni psicologiche dell’epoca per ec-cessi di riduzionismo e astrattismo nello studio dei proec-cessi psichici umani. Questa interpretazione era in buona parte giustificata dalla cen-sura praticata sulle opere vygotskijane 4.

A proposito del giudizio di Vygotskij sulla teoria della Gestalt, ba-sta fare solo il seguente esempio per comprendere come siano interve-nuti i censori più volte e in tempi diversi.

Nell’edizione russa del 1982 di Pensiero e linguaggio, nelle cosid-dette Opere complete, si trova scritto: «Questa corrente non solo non è andata avanti nello studio del pensiero e del linguaggio, ma…».

Nella precedente edizione russa del 1956, si trovava invece qualco-sa in più (che si indica in corsivo): «Ma in modo sorprendente questa corrente non solo non è andata avanti nello studio del pensiero e del linguaggio, ma…».

Mentre nella prima edizione russa del 1934 il giudizio era ancora più articolato (in corsivo): «Ma in modo sorprendente questa che è la

più avanzata di tutte le correnti psicologiche contemporanee non solo

non è andata avanti nello studio del pensiero e del linguaggio, ma…». Di interventi del genere ve ne sono continuamente, pagina dopo pagina, con la conseguenza che spesso viene distorto o modificato il testo vygotskijano. Nell’esempio precedente Vygotskij, dopo aver ap-prezzato l’originalità teorica della Gestalt, rileva con sorpresa che que-sta scuola non è que-stata altrettanto innovativa per quanto riguarda il rap-porto tra pensiero e linguaggio (verbale). Un’osservazione che può es-sere tuttora condivisa e che comunque non è drasticamente negativa nei confronti della Gestalt. Però la censura intervenne e cancellò ogni apprezzamento positivo.

L’interesse di Vygotskij per la Gestalt fu continuo e intenso. Pro-mosse la traduzione russa di opere di Koffka e Köhler, per le quali scrisse la prefazione. Fu in diretto contatto in particolare con Lewin e Koffka, che furono a Mosca nel 1931 e nel 1932 rispettivamente. Inoltre Koffka partecipò alla famosa spedizione in Uzebechistan del 1932 per lo studio cross-culturale dei processi cognitivi (la spedizione fu diretta da A. R. Luria). In questa occasione Koffka conobbe personalmente il re-gista Ejzensˇtejn, amico strettissimo di Luria, come vedremo più avanti. Dopo la conferenza che tenne all’Istituto di Psicologia di Mosca il 29 maggio 1932, Koffka seduto accanto al regista russo assistette alla proie-zione del film che questi aveva diretto alcuni anni prima, La linea

ge-nerale, per giudicarlo poi come «estremamente buono» 5.

Vygotskij considerò l’introduzione del concetto stesso di Gestalt come l’avvio di un profondo mutamento teorico nella psicologia del suo tempo. La ristrutturazione degli elementi sensoriali che avviene secondo i gestaltisti nel processo della percezione diveniva per Vy-gotskij il paradigma del concetto di continua riorganizzazione dei pro-cessi psichici. Quando Vygotskij parla di «salto dialettico» nel passag-gio dai processi psichici elementari degli animali ai processi superiori della mente umana, egli utilizza una concettualizzazione e una termi-nologia propria di Engels e Lenin, ma la spiegazione al livello psico-logico rimanda esattamente al modo di argomentare degli psicologi della Gestalt. I principi del materialismo-dialettico, per cui nei feno-meni della natura si verifica costantemente la trasformazione del

quan-titativo in qualcosa di qualitativamente diverso, si coniugano con il concetto di struttura per spiegare la differenza tra elementi inferiori e funzioni superiori: «Il principio della struttura assolve a una doppia funzione metodologica e in ciò sta il suo vero significato dialettico. Da una parte quel principio unisce tutti i livelli dello sviluppo del com-portamento, elimina quell’interruzione di cui scrive Bühler, mostra sia la continuità nello sviluppo dei livelli superiori da quelli inferiori sia la presenza delle caratteristiche strutturali già negli istinti e nelle abitudi-ni. Dall’altra quel principio permette di determinare tutta la profonda, principale, differenza qualitativa tra l’uno e l’altro livello; oltre a indi-care la novità che ogni nuovo stadio porta nello sviluppo del compor-tamento e che lo distingue dal precedente» 6.

La riorganizzazione strutturale che si verifica nel corso dello svilup-po ontogenetico ha un fondamento biologico, dipende dalla matura-zione delle funzioni cerebrali, ma non nel senso della stretta dipenden-za configurata da Piaget per cui lo sviluppo psichico procede in fun-zione dello sviluppo biologico. La posifun-zione piagetiana fu criticata da Vygotskij sotto due aspetti principali. In primo luogo gli stadi evolu-tivi possono essere anticipati grazie all’influenza di fattori storico-cul-turali e a precisi interventi psicopedagogici e educativi (ciò che viene riassunto notoriamente nel concetto di «area di sviluppo prossimo»). Non vi è quindi un forte vincolo biologico allo sviluppo cognitivo. Le proprietà biologiche costituiscono delle premesse, forniscono delle po-tenzialità, ma la loro realizzazione e attuazione dipende dal contesto storico e culturale. In secondo luogo, vi è il problema del linguaggio. Quando insiste sulla distinzione tra pensiero e linguaggio, Vygotskij vuole mettere in evidenza che i contenuti del pensiero non si traduco-no e traduco-non si manifestatraduco-no necessariamente sotto forma di linguaggio. In un’analisi attenta delle ricerche di Köhler sull’intelligenza dei primati (a esempio, nel capitolo IV di Pensiero e linguaggio), Vygotskij ne met-te in evidenza l’importanza met-teorica per aver dimostrato l’esismet-tenza di un pensiero complesso che procede senza ricorrere al linguaggio. Il linguaggio, che ha in mente Vygotskij, è ovviamente quello verbale, non in forma astratta, ma concreta, discorsiva (per cui egli usa il ter-mine recˇ, molto più vicino alla parole di de Saussure che al langage). Ebbene, l’interazione tra il pensiero e il linguaggio verbale (ciò che Vygotskij chiama pensiero verbale) avviene secondo tempi e modalità fortemente contestualizzati sul piano storico e sociale. Inoltre il pensie-ro può interagire con altri linguaggi, quelli simbolici delle scienze fisi-co-matematiche e quelli propri delle varie arti. Il pensiero verbale non è quindi che una possibilità dei processi mentali umani, anche se la più privilegiata nella cultura occidentale. Va aggiunto poi che all’inter-no dello stesso pensiero verbale si manifestaall’inter-no forme espressive diver-se, a seconda che esso sia strumento di comunicazione interpersonale

o intrapersonale, scientifica o artistica. È il problema che Vygotskij af-fronta in particolare nel capitolo VII di Pensiero e linguaggio.

Viene quindi criticata la concezione di Piaget sul rapporto tra pen-siero e linguaggio (formulata nelle prime opere Le langage et la pensée

chez l’enfant del 1923 e Le jugement et le raisonnement chez l’enfant

del 1924, la cui trad. russa nel 1932 fu curata dallo stesso Vygotskij). Come nota Vygotskij, Piaget prende in considerazione un determina-to tipo di contenuti di pensiero e un determinadetermina-to tipo di linguaggio per vederne l’evoluzione fino al raggiungimento dello stadio di un pen-siero astratto-scientifico-verbale, proprio della mentalità scientifica, occidentale e moderna. In questa concezione piagetiana, diciamo mo-nodimensionale per usare un termine alla Arnheim, non vi è un rife-rimento, se non estemporaneo e indiretto, al rapporto che il pensiero ha con gli altri processi mentali, con l’immaginazione e le emozioni, in primo luogo; e poi al rapporto che il pensiero ha con altre forme di comunicazione, dai gesti alla mimica, dalle arti visive e alla musica.

Vygotskij critica, talvolta sembra ridicolizzare, l’idea piagetiana del bambino come potenziale scienziato razionale, che è allo stesso tempo il bambino svizzero, ginevrino (di fatto i figli di Piaget): «Le regole che Piaget ha fissato, i fatti che ha trovato, hanno un significato non universale, ma limitato. Sono validi hinc et nunc, qui e ora in un am-biente sociale dato e determinato. Così si sviluppa non il pensiero del bambino in generale, ma il pensiero di quel bambino che ha studiato Piaget […] il compito della psicologia sta nello scoprire non l’eterno infantile, ma lo storico infantile o, per riprendere le parole di Goethe, il transitorio infantile» 7.

Qui il discorso può essere riallacciato alla posizione di Arnheim sugli stessi temi. In primo luogo, la centralità del pensiero concettua-le fondato sul linguaggio o sul simbolismo matematico, quaconcettua-le la teorizza Piaget, viene diffusamente criticata. Infatti per il pensiero umano il lin-guaggio verbale è un medium fra i tanti, non è l’unico. Anzi per Arn-heim il medium visivo ha potenzialità maggiori per esprimere e pensare la realtà: «La virtù principale del “medium” visuale è quella di rappre-sentare le forme in uno spazio bidimensionale e tridimensionale, in confronto con la sequenza monodimensionale del linguaggio verbale. Questo spazio polidimensionale non soltanto offre al pensiero efficaci modelli di oggetti fisici o di eventi, ma rappresenta pure isomorfica-mente le dimensioni che occorrono al ragionamento teorico» 8.Inoltre vi è l’idea fondamentale per cui non esistono da una parte il pensiero e dall’altra uno o più linguaggi che abbiano la funzione di tradurre i prodotti del pensiero stesso. Allo stesso modo in cui Vygotskij afferma che quando pensiero e linguaggio verbale si incontrano essi danno ori-gine al pensiero verbale, con caratteristiche strutturali e funzionali sue proprie, così per Arnheim i vari linguaggi danno luogo a forme

strut-turalmente e funzionalmente diverse di pensiero. Pizzo Russo chiarisce bene questo punto: «I linguaggi sono media culturali che specificano e specializzano la capacità umana dei diversi sensi. […] I media cultu-rali, come il linguaggio verbale e il disegno, non si limitano a trascrivere i prodotti del pensiero ma sono pensiero essi stessi, in quanto non solo possono costituire un “ausilio nel processo di elaborazione delle solu-zioni di problemi”, ma, poiché qualsiasi medium possiede specifiche e peculiari proprietà, struttura a modo proprio, il pensiero» 9.

Medium culturale: concetto che Vygotskij esprimeva con il termi-ne stimolo-mezzo (stimulus-sredstvo, dove la parola russa sredtsvo tra-duce il latino medium) per indicare un tipo di stimoli artificiali o stru-menti che l’uomo non trova in natura, ma che egli crea per mediare i rapporti interpersonali e sociali oltre che per modificare la natura stes-sa. Questi strumenti vengono trasmessi all’interno di una data cultura, da una generazione all’altra, e sono quindi strumenti o mezzi squisita-mente culturali. Il disegno, la scrittura, la musica sono gli strumenti culturali più noti le cui origini affondano nella lunga storia dell’uma-nità. Nuovi strumenti culturali sono, all’epoca di Vygotskij e Arnheim, la radio e il film; oggi, il computer e Internet.

Va ribadito che, per la teoria vygotskijana e la scuola storico-cultu-rale, non vi sono da una parte la mente umana con i suoi processi ge-nerali e universali e, dall’altra, i suoi prodotti, quali possono essere un esperimento scientifico, un’opera letteraria, un quadro o un film, come se la mente di volta in volta si applicasse ai vari campi, dalla scienza alla letteratura e alle arti visive. La mente è ciò che è nel momento in cui lavora e produce quello che è il suo prodotto. Inoltre è un sistema integrato in cui i suoi processi non sono disgiunti dagli strumenti tec-nologici o artefatti che sono necessari per il suo stesso procedere-pro-durre. Non esiste una mente che non produca quelli che vengono usualmente chiamati prodotti culturali, artistici e scientifici o che lo faccia senza l’impiego di strumenti e di una tecnologia storicamente fondata. La mente umana, considerata distaccata da questi prodotti e dagli strumenti che ne sono la condizione necessaria, è un’astrazione. Una lettura superficiale della teoria storico-culturale sarebbe quindi quella per cui la mente umana si riempirebbe nella storia di contenuti diversi, per cui la mente sarebbe insomma una sorta di contenitore nel quale si accumulano progressivamente prodotti diversi, mentre la sua architettura rimarrebbe la stessa. Al contrario per i vygotskijani l’archi-tettura cambia in relazione alla storia e al tipo di attività mentale: scien-tifica, letteraria, artistica, ecc. Ci sono ovviamente percorsi diversi, nelle varie epoche storiche e all’interno degli stessi contesti culturali. Si ve-dano le osservazioni sul rapporto tra disegno o pensiero visivo e scrit-tura o pensiero verbale in Vygotskij. Non si tratta di percorsi obbligati alla Piaget, ma di percorsi storicamente dipendenti 10.

Una posizione simile è presente in Arnheim ed è così commenta-ta da Pizzo Russo: «Il fatto che il bambino disegni è, nella prospetti-va teorica di Arnheim, una sorta di esperimento naturale del pensiero visivo. E il fatto che un bambino, a una certa età, cessi è un effetto del processo di sviluppo all’interno di una cultura che ha identificato il pensiero con il linguaggio, e ha teorizzato la scienza come unica for-ma for-matura di conoscenza» 11. È un commento che calzerebbe benissi-mo per le considerazioni di Vygotskij sul pensiero visivo e sul disegno e sulla loro sorte nel corso dello sviluppo cognitivo la cui meta, nella cultura occidentale, è il pensiero verbale nella forma astratta e simbo-lica propria della scienza.

Il problema quindi del rapporto tra psicologia generale, che studia la mente nelle sue proprietà strutturali e funzionali universali, e la psi-cologia della scienza o la psipsi-cologia dell’arte, che studiano le applica-zioni della mente in queste aree, riflette per Vygotskij e per Arnheim una errata impostazione sulle reali modalità di funzionamento dei pro-cessi mentali umani. Isolando la mente astratta dal suo concreto ope-rare, essa viene purificata dalla incrostazioni storiche e culturali per essere oggetto ideale di un’indagine psicologica astratta (che Vygotskij definirebbe riduzionistica). È in questa scarnificazione della mente umana che essa, allo stesso tempo, viene frantumata in membra e com-ponenti diverse, separatamente studiabili dalla scienza psicologica: la percezione, il pensiero, il linguaggio, le emozioni e così via. Per Vy-gotskij è di nuovo un’operazione che snatura la mente umana. Questa è invece caratterizzata propriamente dalla interazione tra quelle funzio-ni che nel corso della storia del pensiero occidentale sono state reifi-cate come distinte potentiae animae nella Scolastica o distinte faculties

of mind nella filosofia e nella psicologia dell’età moderna. Superfluo,

in questa sede, segnalare i continui richiami di Arnheim alle interazioni interne ai processi mentali umani. Basti ricordare come Arnheim ab-bia insistito sulla impossibilità di considerare i processi cognitivi sepa-ratamente dai processi emozionali, come non si possa proporre una teoria della mente umana in cui cognizione e emozione vengano con-cepite come due dimensioni disgiungibili, due capitoli distinti della ricerca psicologica 12.

3. La convergenza di Vygotskij e Armheim su alcuni punti essen-ziali ha sicuramente una fonte comune. Si tratta dell’interesse diretto e delle conoscenze che i due studiosi hanno avuto per l’arte. L’arte ha senz’altro costituito sia per Vygotskij che per Arnheim la via regia allo studio della mente umana. Mentre questo aspetto è noto per Arnheim, considerato lo psicologo dell’arte per eccellenza, è meno noto il ruo-lo che l’arte ha avuto nel pensiero di Vygotskij. Saranno fatti soruo-lo al-cuni brevi cenni. I primi studi e i primi scritti di Vygotskij

riguarda-no la letteratura e il teatro. Lo psicologo russo, ventenne, pubblica decine di recensioni di opere letterarie e teatrali e scrive due opere di grande spessore teorico e profonda conoscenza della relativa bibliogra-fia su La tragedia di Amleto e La psicologia dell’arte, la prima scritta quando aveva tra i diciannove e vent’anni (1915-16) e la seconda ter-minata una decina di anni dopo (1925) 13.Vygotskij conosceva perso-nalmente i più importanti scrittori, poeti, drammaturgi, registi e critici letterari russi del tempo (tra cui Ehrenburg, Eichenbaum, Ejzensˇtejn, Pasternak, Sˇklovskij e Stanislavksij; del poeta Mandel’sˇtam era intimo amico, come lo era del pittore d’avanguardia Bychovskij per il cui al-bum Grafika del 1926 scrisse anche una prefazione); inoltre frequen-tava i circoli letterari, organizzava rappresentazioni teatrali seguite da dibattiti pubblici e teneva conferenze su temi di critica letteraria. Vy-gotskij respinse come riduttivo l’approccio dell’estetica sperimentale avviata da Fechner in poi sulle caratteristiche degli stimoli che li fareb-bero apprezzare su un piano estetico. Vygotskij, nella sua critica a tale «estetica dal basso», cita anche l’Estetica di Croce dove questi parla di «astrologia della Estetica» a proposito dell’approccio fisicalista al bel-lo14. Critiche vengono rivolte anche alla psicoanalisi per aver accen-tuato il ruolo dei processi inconsci nella genesi e nella fruizione del-l’opera d’arte, nonostante che il richiamo all’inconscio sia stato, per Vygotski, comunque benefico rispetto al panorama della psicologia in-tellettualistica dell’epoca. Vygotskij non intende studiare né i proces-si pproces-sicologici che sono alla base della geneproces-si di un’opera d’arte né i processi psicologici che intervengono nel lettore o nello spettatore. Vygotskij dichiara infatti che, volendo studiare la particolare struttura della creazione artistica, non intende indagare la psicologia di chi fa arte o di chi ne fruisce: «Quello che noi tentiamo, è di pervenire a una pura e impersonale psicologia dell’arte indipendentemente dall’autore e dal lettore, prendendo in esame soltanto la forma e il materiale del-l’arte» 15. Nel capitolo finale di Pensiero e linguaggio, che è anche l’ul-timo testo scritto da Vygotskij, si hanno gli esempi più raffinati di co-me lo psicologo russo abbia fatto ricorso alle opere della grande lette-ratura del suo paese. Le differenze tra significato e senso, tra linguag-gio esterno e interno, e tra dialogo e monologo o la interrelazione tra pensiero, linguaggio e emozioni sono illustrate attraverso le citazioni dai romanzi di Dostoevskij e Tolstoj o dai versi di Mandel’sˇtam e Tjut-cˇev. Vygotskij studia la struttura di tali modalità di pensare e comuni-care che gli scrittori e i poeti hanno saputo rendere magistralmente nelle loro opere. L’esempio più noto e toccante è il dialogo silente tra il morente Nikolaj Levin e Kitty nell’Anna Karenina: i due innamorati comunicano tra di loro mediante un linguaggio contratto e predicati-vo, quali ciascuno di loro userebbe privatamente come monologo in-teriore. È un paradossale dialogo attraverso due monologhi. Non è

però quello di Tolstoj un espediente letterario, artificiale, che vada al di là della realtà concreta della vita mentale e interpersonale. Infatti Vygotskij nota come quello stesso dialogo silente si fosse verificato quando Tolstoj dichiarò il proprio amore alla moglie. Quindi l’arte attiva e/o esplicita le modalità implicite o potenziali del funzionamento mentale.

Nei primi anni ’30 il film rappresentò per gli esponenti della scuola

Nel documento Rudolf ArnheimArte e percezione visiva (pagine 177-188)