L’influenza dell’evoluzione dell’autonomia privata sul contratto si coglie appieno sul
piano storico
112.
Il graduale passaggio da teorie prettamente volontaristiche ad una oggettivazione
dell’autonomia privata è l’espressione di un percorso di progressiva attualizzazione
113verso un’economia che si stava evolvendo dall’individualismo liberale di stampo
ottocentesco al capitalismo di massa del XX secolo
114.
Del resto, la stessa “crisi del negozio giuridico”, sulla quale si è ampiamente
argomentato supra
115, altro non era che l’insofferenza (in campo giuridico) verso un
modello teorico-dogmatico ormai lontano dalle reali ed effettive logiche di mercato
116.
Lo società borghese ottocentesca – infatti – era concepita come società prettamente
individuale, nella quale erano i singoli, ben più delle organizzazioni, ad essere rilevanti
sia in ambito sociale che economico
117.
110 V.ROPPO, voce Contratti e atti giuridici in generale, in Enciclopedia delle Scienze Sociali, Roma,
1992, II, 396.
111 In tal senso sono senza dubbio efficaci le parole di V.ROPPO, Il contratto, cit., 41, secondo il quale
«l’idea del contratto come pura e piena soggettività dell’individuo, immune da qualsiasi condizionamento obiettivo fattuale o legale, è un’idea astratta che non ha mai trovato riscontro ad oggi nella realtà».
112 Cfr. C. SCOGNAMIGLIO, «Statuti» dell’autonomia privata e regole ermeneutiche nella prospettiva
storica e nella contrapposizione tra parte generale e disciplina di settore, in F. Macario – M.N. Miletti (a
cura di), Tradizione civilistica e complessità del sistema: valutazione storiche e prospettive della parte
generale del contratto, Milano, 2006, 263 ss.
113 V.ROPPO, Diritto privato, cit., 72 ss.; P.TRIMARCHI, Istituzioni di diritto privato, Milano, 2011, 39. 114 Per una esaustiva ricognizione storica di tale evoluzione a livello nazionale cfr. G.CANDELORO, Storia
dell’Italia moderna. Lo sviluppo del capitalismo e del movimento operaio (1871-1896), Milano, 1982.
115 Cfr. paragrafo 1.2.
116 Cfr. F. GALGANO, Teorie ed ideologie del negozio giuridico, in C. Salvi (a cura di), Categorie
giuridiche e rapporti sociali, cit., 59, secondo il quale «gli interessi che l’odierno meccanismo
contrattuale pone alla ribalta – gli interessi contrapposti dell’imprenditore e dei lavoratori, dell’imprenditore e dei consumatori, della grande impresa e della media o piccola impresa – non sono mediabili all’interno di una categoria giuridica unitaria» quale quella del negozio giuridico.
Naturalmente, anche le costruzioni giuridiche esprimevano i valori che informavano
quella società e che un’attenta dottrina
118ha così efficacemente riassunto: «valore
dell’individuo; valore della volontà; valore della libertà da ingerenze pubbliche».
In tale contesto anche lo strumento contrattuale, mediante il quale l’autonomia privata
trovava realizzazione, rifletteva i suddetti valori, poiché si trattava di contratti fatti da
individui per soddisfare gli interessi di altri soggetti sempre considerati nella loro
dimensione individuale
119. Ne discendeva, quindi, un contratto i cui elementi essenziali
divenivano la volontà dei contraenti e l’assenza di interventi da parte di terzi, questi
ultimi intesi sia quali singoli sia (e soprattutto) quali formazioni organizzate (Stato
incluso) portatrici di interessi connessi
120a quelli regolati nel contratto.
Si trattava di una naturale reazione al vetusto modello di ancien règime, in cui si
sostituivano ai predeterminati ed angusti vincoli feudali-corporativi
121gli ampi e
modificabili rapporti contrattuali, in quello che un illustre giurista
122ha definito con la
nota formula «dallo status al contratto».
L’efficacia di tale espressione consente di cogliere perfettamente quanto il contratto sia
influenzato da una diversa concezione (rectius, trasformazione) di autonomia privata: se
sino all’età feudale l’autonomia privata era stata la traduzione di un determinato status,
con il passaggio all’età liberale quella stessa autonomia diveniva l’espressione di una
conquistata libertà individuale che trovava il proprio manifesto nel contratto, il quale
presentava quelle caratteristiche sopra evidenziate (volontà, individualismo ed assenza
di interventi esterni), che erano proprie di quella rinnovata autonomia
123.
117 A.ZOPPINI, Autonomia contrattuale, regolazione del mercato, diritto della concorrenza, in N. Lipari –
P. Rescigno (a cura di), Diritto civile, Milano, 2009, III, 56 ss.
118 V.ROPPO, voce Contratti e atti giuridici in generale, cit., 396.
119 Cfr. F.CAPPUCCIO, La volontà e l’accordo dei contraenti, in P. Fava (a cura di), Il contratto, cit., 571;
V.ROPPO, Il contratto, cit., 36-37.
120 Non necessariamente configgenti.
121 S.MAZZAMUTO, Libertà contrattuale e utilità sociale, in C. Salvi (a cura di), Diritto civile e principi
costituzionali europei e italiani, Torino, 2012, 174.
122 SIR HENRY S. MAINE, Ancient Law, London, 1930, 182, il quale afferma che «If then we employ
Status, agreeably with the usage of the best writers, to signify this personal conditions only, and avoid applying the term to such conditions as are the immediate or remote result of agreement, we may say that the movement of the progressive society as hitherto been a movement from Status to Contract». In questo
noto estratto del V Capitolo dell’Opera, l’A. descrive la progressiva evoluzione della società come un passaggio dagli status, ossia posizioni predeterminate nella società (tipicamente in virtù di legami familiari), a contratto, inteso – invece – come libera determinazione della propria condizione all’interno della società. Per un ottimo saggio in lingua italiana sull’illustre pensatore inglese cfr.L.CAPOGROSSI
COLOGNESI, Sir Henry S. Maine e l’ancient law, in Quaderni Fiorentini, 1981, X, 83 ss.
123 Cfr. F.CAPPUCCIO, La volontà e l’accordo dei contraenti, cit., 571, secondo cui «l’esaltazione della
Sulla scorta di simili principi (non casualmente) i caratteri del contratto liberale
assumevano connotati quasi “mistici”
124; da una parte, poiché esso trascendeva i confini
della sfera giuridica sino ad ergersi quale baluardo a difesa della libertà dagli status
degli antichi regimi, assumendo – così – una valenza tipicamente politica; dall’altra
parte, perché il patto suggellato nel contratto stesso rappresentava un vincolo sì
indissolubile da non permettere alcuna deroga al principio pacta sunt servanda.
Tale concezione del contratto veniva efficacemente riassunta nei sistemi di common law
con la formula sanctity of contract
125.
L’espressione – infatti – enfatizzava precipuamente i due caratteri che si sono sopra
descritti. Il primo si sostanziava nella facoltà dei contraenti di conformare il contenuto
del contratto secondo la propria volontà e convenienza, senza alcun potere di intervento
o sindacato da parte del legislatore, ovvero del giudice, in nome di un public interest o
di una public policy
126. Il secondo si risolveva nella rigida osservanza dell’obbligazione
ex contractu, che non poteva essere sciolta neppure dal giudice in caso di circostanze
sopravvenute che avrebbero reso l’adempimento estremamente gravoso o
antieconomico
127.
borghese) che si afferma nell’ottocento. Si tratta di un modello contrapposto a quello di ancien regime basato su una società rigida, in cui gli individui appartengono per nascita a ceti o ordini e l’appartenenza a uno o ad un altro di questi ceti determinava il destino sociale, economico, giuridico, che non poteva essere influenzato o modificato dalla volontà del singolo. Nella società borghese, indipendentemente dallo status di nascita, se un individuo ha volontà e capacità può liberamente costruire la propria posizione nella società».
124 Cfr. A. NATALE, Autonomia privata e diritto ereditario, Padova, 2009, 19, secondo il quale
«nell’Ottocento il principio di libertà (contrattuale, ndr) si cariava di valenze e significati strettamente legati all’idea di democrazia e di emancipazione».
125 L’espressione è attribuibile al giudice inglese Sir George Jessel nella causa Printing and Numerical
Registering Co. c. Sampson (1879) 19 LR Eq 462, citata in A.H.MANCHESTER, A modern legal history of England and Wales, 1750-1950, London, 1980, 262. Jessel affermò che «if there is one thing more than another which public policy requires, it is that men of full age and competent understanding shall have the utmost liberty of contracting and that their contracts, when entered into freely and voluntarily, shall be held sacred and shall be enforced by courts of justice». Per un’analisi del concetto v. P.S.ATIYAH, The rise and fall of freedom of contract, Oxford, 1979, 9; D.H.PARRY, The Sanctity of Contracts in English Law, London, 1987, passim.
126 G.ALPA –R.DELFINO, Il contratto nel common law inglese, Padova, 2006, 14, che evidenziano come
la libertà di determinare il contenuto del contratto senza possibilità di “intrusioni” da parte della Pubblica Autorità sia espressione tipica del periodo del laissez faire.
127 Come rilevato da M.C. NANNA, Eterointegrazione del contratto e potere correttivo del giudice,
Padova, 2010, 11, attraverso il principio della sanctity of contract «la volontà delle parti è al centro di ogni contrattazione, libera di esplicarsi, senza porsi il problema di squilibri o iniquità tra le parti stesse. Ciascuna delle parti è responsabile di ciò che ha sottoscritto ed è dunque obbligata al rispetto delle obbligazioni assunte, indipendentemente da qualunque elemento esterno. Il contratto diviene così una realtà impenetrabile da qualunque Autorità, e in special modo dal giudice e dalle Corti di equità: si teorizza così il dogma della volontà che diviene qualcosa di “sacro” e inviolabile». L’impossibilità di interventi sul contenuto contrattuale da parte dei giudici viene efficacemente espresso con la formula
Tali considerazioni consentono di scorgere agevolmente la stretta correlazione esistente
tra autonomia privata e contratto, nel senso che ad una peculiare concezione della prima
conseguono precipui effetti sul secondo, il quale viene da questa e su questa “plasmato”.
In un’ottica esemplificativa, basti pensare ai c.d. contratti per adesione
128ed in
particolare ai contratti di lavoro subordinato
129stipulati durante la rivoluzione
industriale
130.
In tale periodo, infatti, benché i lavoratori fossero formalmente liberi di concludere il
contratto di lavoro e di determinarne i contenuti, e – dunque – potessero formalmente
esprimere la propria autonomia contrattuale sul medesimo piano egalitario della
controparte
131, de facto la loro inferiore posizione economica-sociale li privava di un
esercizio reale della libertà contrattuale
132. Ciò conduceva ad accettare condizioni
deteriori non solo nella formazione del contratto, ma anche nell’esecuzione e nella
risoluzione di questo. Così, riprendendo i caratteri propri della sanctity of contract, se,
da una parte, l’assenza di ingerenze esterne
133(legislatore, giudici, sindacati,
organizzazioni di categoria, ecc.) al rapporto contrattuale implicava l’impossibilità di
inglese courts will not write a contract for the parties. Per una ricognizione di casi pratici in cui è stata fatta applicazione di tale formula cfr. S.SALZEDO –P.BRUNNER –M.OTTLEY, Briefcase on contract law,
London, 2004, 33 ss.
128 V. ROPPO, Il contratto, cit., 42.
129 L.MENGONI, Il contratto di lavoro nel diritto italiano, in AA. VV., Il contratto di lavoro nei paesi
membri della C.E.C.A., Milano, 1965, 503.
130 Per una completa analisi dell’evoluzione storica del diritto del lavoro nella fase di transizione al
capitalismo industriale cfr. U.ROMAGNOLI, Il lavoro in Italia, Bologna, 1995, 38 ss.
131 Funzionale a consimile concezione del rapporto di lavoro era la scarna disciplina normativa prevista
dal Codice Civile del 1865 per la c.d. locatio operarum, antesignana del contratto di lavoro subordinato, che vietava la possibilità di costituire rapporti di lavoro a tempo indeterminato. L’art. 1628 prevedeva – infatti – che «nessuno può obbligare la propria opera all’altrui servizio che a tempo e per una determinata impresa». Come rilevato da M.ROCCELLA, Manuale di diritto del lavoro, Torino, 2005, 3 «l’assetto
normativo in parola, con ogni evidenza, risultava ispirato dai principi dell’individualismo liberale, propri della rivoluzione francese. Il divieto di costituire rapporti di lavoro a tempo indeterminato rispondeva all’esigenza di affermare un principio di libertà, in contrapposizione ai vincoli che caratterizzavano la disciplina del lavoro sia nel sistema feudale del servaggio sia in quello pre-industriale delle corporazioni di arti e mestieri […]. L’assenza di disciplina specifica del rapporto di lavoro, d’altra parte, rispondeva alla convinzione che, in una società di liberi ed eguali, l’autoregolamentazione privata degli interessi fra singolo imprenditore e singolo lavoratore rappresentasse una soluzione ottimale».
132 Cfr. B. VENEZIANI, L’evoluzione del contratto di lavoro in Europa dalla rivoluzione industriale al
1945, in D. Garofalo – M. Ricci (a cura di), Percorsi di diritto del lavoro, Bari, 2006, 147 ss., il quale
evidenzia come la libertà contrattuale del lavoratore rimanga una mera illusione o meglio «una speranza delusa».
133 Significativo in tal senso è certamente l’art. 1 della legge Le Chapelier del 14-17 giugno 1791,
secondo cui «L’anéantissement de toutes les espèces de corporations des citoyens du même état et
profession, étant une des bases fondamentales de la constitution française, il est défendu de les rétablir de fait, sous quelque prétexte et quelque forme que ce soit». Per una interessante analisi di tale normativa
cfr. S.SIMITIS, La legge Le Chapelier tra storia e attualità, in Giornale di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, 1990, 756 ss.
una effettiva contrattazione del rapporto economico di scambio e delle relative forme di
tutela, dall’altra parte, l’irrilevanza di circostanze sopravvenute conduceva ad un
indiscriminato ricorso al recesso ad nutum in ipotesi di inadempimento non direttamente
ascrivibili alla condotta del lavoratore
134.
Ciò conduceva ad inevitabili paradossi
135, poiché quell’esasperato liberismo che voleva
confinare gli effetti del contratto all’interno di questo, sia come forma di protezione da
parte di interventi esterni sia come forma di tutela a favore di terzi che da quel contratto
avrebbero potuto essere pregiudicati, sovente si risolveva per danneggiare
indirettamente i terzi estranei al rapporto contrattuale che l’autonomia privata liberale si
prefiggeva di salvaguardare.
Basti pensare, sempre con riferimento al contratto di lavoro subordinato, alle
problematiche relative ad orario di lavoro
136e sicurezza dei lavoratori, nonché dei terzi
che usufruiscano della prestazione cui l’attività lavorativa è funzionale.
La rilevanza della questione si coglie agevolmente con riguardo proprio al contratto di
trasporto
137. L’assenza di limitazioni orarie o la mancata previsione di adeguati turni di
riposo per i lavoratori coinvolti nell’esecuzione del trasporto conduce – infatti – ad un
esponenziale calo del livello di sicurezza, che si traduce nell’incremento delle
probabilità di sinistri che coinvolgerebbero non solo il lavoratore, ma anche i terzi
138.
Le distorsioni di un simile sistema si scorgono anche con riferimento alla tutela della
concorrenza. Invero, l’assenza di limitazioni all’autonomia contrattuale delle parti può
tradursi in un abuso di posizione dominante da parte dell’imprenditore economicamente
134 Se è vero che la possibilità di recedere liberamente dal contratto di lavoro costituiva un diritto di
entrambi i contraenti, nondimeno la sperequata distribuzione delle risorse tra questi faceva sì che tale diritto fosse sostanzialmente configurabile solo in capo al datore di lavoro.
135 Cfr. G. CAZZETTA, Scienza giuridica e trasformazioni sociali. Diritto e lavoro in Italia tra Otto e
Novecento, Milano, 2007, 360 ss.
136 Cfr. U.ROMAGNOLI, Giuristi del lavoro. Percorsi italiani di politica del diritto, Roma, 2009, 32-33, il
quale afferma che «il passaggio from status to contract ha comportato soprattutto la mercificazione del lavoro, perché quest’ultimo», citando V.BAVARO, Il tempo nel contratto di lavoro subordinato. Critica
sulla de-oggettivazione del tempo lavoro, Bari, 2008, 35, «si fa oggetto astratto alla stregua di una merce
la cui misura quantitativa è il tempo».
137 Per una specifica analisi dello stretto nesso intercorrente tra orario di lavoro e sicurezza nel settore dei
trasporti cfr. M.BADAGLIACCA, Orario di lavoro e sicurezza della navigazione, in R. Tranquilli Leali – E.G. Rosafio (a cura di), Sicurezza, navigazione e trasporto, Milano, 2008, 227 ss.; L. PISCHEDDA,
L’elemento umano come fattore determinante della sicurezza della navigazione, in S. Bevilacqua (a cura
di), Atti del seminario internazionale «Il lavoro marittimo e portuale tra sicurezza ed economicità», Palermo, 2005, 95 ss.
138 Gli esempi più pregnanti si colgono proprio nel settore dei trasporti. Così, si pensi ad un grave sinistro
marittimo, causato dallo scarso tempo di riposo del personale di bordo, che cagioni ingenti danni ambientali con susseguente pregiudizio per l’intera collettività.