1. CARCINOMA DEL COLON RETTO (CRC)
1.7 Trattamento Carcinoma del Colon Retto
1.7.2 Trattamento della malattia avanzata
La malattia avanzata viene definita come la presenza di metastasi a distanza o con un impegno locoregionale tale per cui non sia possibile intervenire con intento radicale. In generale, circa il 25%65 dei pazienti con CRC si presenta alla diagnosi già con malattia
avanzata ovvero mCRC (Cancro del Colon Retto metastatico); a questi si aggiunge la quota di soggetti trattati con intento curativo che comunque sviluppa una malattia metastatica (35%). Gli obiettivi che l’oncologo ha il compito di perseguire in questo set di pazienti sono:
• Guarigione (possibile solo in un numero limitato di casi) • Prolungamento della sopravvivenza
• Ritardo nella progressione della malattia • Riduzioni delle dimensioni della neoplasia
47 • Palliazione dei sintomi
• Miglioramento della qualità della vita
Per poter scegliere il trattamento chemioterapico più adeguato al singolo paziente è quindi necessario suddividere i soggetti affetti da malattia metastatica in quattro principali scenari clinici ai quali fanno riferimento diversi possibili approcci:
• Pazienti con malattia limitata e resecabile: questo gruppo di pazienti deve essere trattato con intervento chirurgico radicale e/o terapia medica perioperatoria. • Pazienti con malattia limitata ma non resecabile: devono essere offerte terapie
che possano dare un’alta percentuale di risposta per convertire la malattia a resecabile (concetto di “conversion therapy”).
• Pazienti sintomatici con qualità di vita e prospettive di vita compromesse dalla malattia (situazione palliativa): utilizzo di trattamenti che consentano una rapida riduzione della massa tumorale.
• Pazienti asintomatici (situazione palliativa): strategia che preveda un trattamento sequenziale con i vari farmaci a disposizione con attenzione alle tossicità (concetto di “continuum of care”). In pazienti in tale setting in buone condizioni generali non deve comunque essere escluso il trattamento chemioterapico più attivo disponibile.
La scelta di una adeguata terapia non può prescindere, come nel caso del trattamento adiuvante, da una valutazione generale del paziente. Devono quindi essere valutati il PS, le comorbidità, l’età e l’eventuale terapia adiuvante ricevuta. Questi fattori, assieme ad altri criteri, come la presentazione delle metastasi (sincrona o metacrona), il carico tumorale e lo stato mutazionale di RAS e BRAF concorrono alla stima dell’aggressività della malattia e alla responsività ai trattamenti disponibili.111
1.7.2.1 Fattori molecolari
Nel paziente con mCRC al momento di intraprendere un trattamento dovrebbe essere valutato lo stato mutazionale dei geni KRAS, NRAS e BRAF che rappresentano fattori prognostici negativi nonché fattori di resistenza ai trattamenti.67 Mentre per la presenza
di mutazione di BRAF, in particolare la V600E112, numerosi studi113-124 hanno sono
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soggetti con MSS (stabilità dei microsatelliti)116,119,125; gli studi sul ruolo prognostico delle
mutazioni di KRAS hanno dato dei risultati discordanti. Se alcuni studi hanno confermato un ruolo prognostico possibile,78,120,126,127 altre osservazioni non hanno confermato
questa correlazione.113,115,118,119,128 L’importanza della determinazione dello stato
mutazionale NRAS e KRAS diventa tuttavia fondamentale nella scelta dell’adeguato trattamento in corso di malattia metastatica, poiché, la presenza di mutazioni somatiche nei geni KRAS e NRAS costituisce un meccanismo di resistenza agli anticorpi monoclonali EGFR.129-136
Le proteine effettrici dei geni della famiglia RAS si trovano sulla superficie interna della membrana plasmatica, a valle del recettore EGFR (Epidermal Growth Factor Receptor – recettore del fattore di crescita epidermico), dove svolgono la funzione di trasduzione di stimoli extracellulari ligando mediati prima nel citoplasma e successivamente nel nucleo con lo scopo di controllare crescita, differenziazione e apoptosi cellulare. Una mutazione di RAS o RAF porta alla attivazione costitutiva della via delle MAPK con conseguente crescita cellulare incontrollata e aumentata sopravvivenza cellulare rendendo non efficace la terapia che ne preveda il blocco del recettore.137,138 Una serie di analisi di
sottogruppo di studi randomizzati ha permesso di evidenziare come mutazioni dell’esone 2 di KRAS a livello dei codoni 12 e 13 siano associate a resistenza alle terapie anti-EGFR in pazienti affetti da mCRC.129-133,135,136,139 Alcune metanalisi, inoltre, confermano il valore
predittivo negativo che le mutazioni di KRAS esone 2 hanno rispetto al trattamento dei farmaci anti-EGFR.139,140 In aggiunta, tra i pazienti con l’esone 2 di KRAS wild type e che
non rispondono al trattamento con anti-EGFR sono state altre ritrovate mutazioni, meno frequenti di quelle di K-RAS esone 2, a livello degli esoni 3 e 4 di KRAS e degli esoni 2, 3, 4 di NRAS che sono associate alla resistenza ai trattamenti anti EGFR141 come confermato
successivamente da un’ampia metanalisi142 che ha raccolto dati provenienti da numerosi
studi quali OPUS, COIN, CRYSTAL, PRIME, 20050181, PICCOLO, 20020408, FIRE-3, PEAK. I risultati ottenuti, anche in questo caso, hanno dimostrato come un trattamento con farmaci anti-EGFR sia responsabile di una Progression Free Survival - PFS e OS superiore nei pazienti RAS wild-type rispetto a quelli con le mutazioni scoperte più recentemente, che, per altro, presentano un andamento clinico simile rispetto ai pazienti con mutazioni KRAS esone 2 quando trattati con farmaci anti-EGFR.
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Tenendo in considerazione questi dati, EMA (European Medicines Agency – Agenzia Europea per i Farmaci) ed AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco)hanno quindi ristretto l’impiego di Panitumumab e Cetuximab ai soli pazienti che presentano RAS wild type ovvero coloro che non hanno mutazioni negli esoni 2, 3, 4 di KRAS e NRAS.67
Le mutazioni di BRAF sono presenti in circa il 10% dei pazienti con CRC, sono spesso localizzate nel colon destro nei pazienti con malattia avanzata e associate a metastasi al peritoneo e ai linfonodi a distanza.143
La mutazione più frequente, BRAF V600E, secondo dati emersi da numerosi studi, rappresenta un fattore prognostico sfavorevole nei pazienti affetti da mCRC oltre che un fattore di resistenza alla chemioterapia convenzionale e indice di ridotta sopravvivenza post-recidiva.118,121,122,143,144
Per quel che concerne la valutazione dello stato mutazionale di BRAF V600E come fattore predittivo di resistenza alla terapia anti-EGFR i risultati ottenuti da diverse osservazioni retrospettive e da alcune metanalisi hanno portato a conclusioni contrastanti.145,146
Recentemente l’uso di metodiche multiplex nell’analisi delle mutazioni somatiche nel CRC ha permesso di evidenziare mutazioni non V600E di BRAF che sembrano avere un ruolo prognostico differente. In particolare, uno studio italiano che ha raccolto pazienti tra ottobre del 2006 e ottobre 2014,147 ha riportato come mutazioni di BRAF nei codoni 594 e
596 siano associate ad una migliore prognosi della malattia anche se il numero di casi analizzati era comunque limitato. Dati più recenti, invece, ricavati da un’analisi di 9643 pazienti affetti da CRC metastatico ha evidenziato come alcune mutazioni di BRAF non V600, identificate sono nel 2.2% dei casi, siano associate ad una prognosi migliore anche se l’eventuale impatto di queste mutazioni con le terapie non è ancora conosciuta.148
Alla luce del possibile ruolo delle mutazioni di BRAF nella resistenza ai farmaci anti EGFR, è stato testato anche nel CRC l’impiego di farmaci inibitori di BRAF. Essi, tuttavia, non hanno dato nel mCRC i risultati sperati come invece è stato per il melanoma. La spiegazione di questo viene data da uno studio che evidenzia come nei soggetti con mCRC BRAF mutato ci siano delle piccole popolazioni di alleli che presentano in associazione una mutazione di RAS, dato inaspettato, poiché in generale, essi sono mutualmente esclusivi, per cui, una inibizione di BRAF porterebbe a una ulteriore iperattivazione di EGFR.149
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A partire da questi dati, si sono dunque sviluppate delle strategie che prevedono non solo il blocco di BRAF, ma anche quello di EGFR mediante delle doppiette (BRAFi + EGFRi)150che tuttavia non hanno ancora dato dei risultati soddisfacenti, o delle triplette
(EGFRi, BRAFi e MEKi) con risultati promettenti.
Studi recenti hanno evidenziato come circa il 4% dei soggetti KRAS wild type che presentano resistenza al cetuximab presentano un’iperespressione o una amplificazione del gene HER2 che sembra essere, sia un fattore predittivo di resistenza ai farmaci anti- EGFR sia un target per farmaci molecolari specifici. Questo marcatore, tuttavia, nel caso del CRC è ancora in fase di studio per cui non è ancora entrato a pieno titolo nella pratica clinica.151,152
Altri possibili marcatori da tenere in considerazione a fronte di un loro possibile ruolo nella resistenza intrinseca agli anti EGFR, nonché come target di possibili interventi terapeutici mirati sono rappresentati dalle traslocazioni e riarrangiamenti di ALK, ROS1, NTRK e RET.153
1.7.2.2 Trattamento chemioterapico
Grazie al continuo avanzamento delle conoscenze in campo chemioterapico e antineoplastico in genere, la prognosi dei pazienti con malattia metastatica è nettamente migliorata nell’arco degli ultimi 20 anni per cui si è passati da una sopravvivenza mediana di circa 12 mesi nell’era in cui la chemioterapia era basata sul 5-FU a circa 30 mesi sulla base di dati raccolti da studi pubblicati nel 2014.154
I farmaci che si hanno a disposizione nel trattamento della malattia metastatica sono costituiti da un lato dai classici farmaci chemioterapici quali le fluoropirimidine sia con somministrazione orale, sia venosa, l’oxaliplatino, l’irinotecano dall’altro dai farmaci a bersaglio molecolare in cui rientrano le due grandi categorie dei farmaci anti-EGFR e dei farmaci anti-angiogenici.
L’utilizzo degli agenti chemioterapici avviene generalmente in associazione a formare doppiette o triplette di farmaci ai quali possono essere aggiunti anti-EGFR o anti- angiogenici a seconda della biologia specifica del tumore al fine di migliorare l’outcome della malattia.
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Monochemioterapia
Anche se la tendenza attuale è quella che vede un’intensificazione sempre maggiore della terapia di prima linea del paziente con mCRC, la monochemioterapia sembra ancora trovare spazio in particolari categorie di pazienti. I primi studi che erano stati condotti sulla monochemioterapia hanno analizzato il ruolo terapeutico della somministrazione di fluoropirimidine in monoterapia in maniera sequenziale rispetto alle strategie di combinazione (doppiette) in prima linea.155-157 Quello che si pensava di fare attraverso
questo approccio era una riduzione delle reazioni avverse che avrebbe garantito al paziente una qualità di vita migliore rispetto a quella sotto regime di combinazione senza però andare ad intaccare la sopravvivenza.
I risultati ottenuti da diversi studi (FOCUS155, CAIRO156, FFCD 2000-05157), indicano la non
inferiorità di un approccio di tipo sequenziale nei confronti di uno di tipo combinato. Nonostante questo, PFS e Response Rate - RR si sono dimostrate migliori nelle strategie che prevedevano la combinazione di due farmaci ad indicare come questo tipo di trattamento debba essere la prima scelta qualora fattibile.154
Ad oggi, una strategia di tipo sequenziale rimane quindi confinata, secondo le linee guida, nei pazienti con malattia non resecabile, in assenza di sintomatologia tumore-correlata, in caso di ridotto rischio di rapido deterioramento clinico e nei casi in cui l’obiettivo del trattamento è quello di ritardare il più possibile la progressione della malattia del paziente e di prolungarne la vita.158
Nella pratica clinica quotidiana, tuttavia, l’identificazione a priori di pazienti che presentano queste caratteristiche è di fatto molto difficile per cui una strategia di tipo sequenziale raramente è adottata a causa dell’elevato rischio di non raggiungere un adeguato controllo della malattia. Sulla base di queste osservazioni, si ha quindi che un regime di monoterapia diventa una scelta obbligata da riservare solo a pazienti che non sono idonei per le combinazioni a seguito di comorbidità, età e con controindicazioni specifiche per altri farmaci citotossici.154
Terapia con doppiette
Diverse associazioni tra 5-fluorouracile e altri farmaci citotossici come oxaliplatino e irinotecano sono stati studiati.
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L’efficacia della combinazione FOLFIRI è stata valutata in uno studio159 in cui veniva messa
a confronto sia con 5-FU/leucovorin sia con il solo irinotecano in monoterapia. La PFS del gruppo trattato con FOLFIRI si è dimostrata significativamente maggiore rispetto a quella ottenuta nel gruppo trattato con 5-FU/LV (7.0 vs 4.3 mesi; HR 0.64; p=0.004) così come l’OS mediana (14.8 vs 12.6 mesi; HR 0.78; p=0.04) a scapito di un aumento della tossicità. Il gruppo trattato solo con irinotecano aveva risultati simili al gruppo 5-FU/LV. Uno studio successivo160 ha confermato questi risultati.
L’associazione del 5-FU con l’oxaliplatino secondo lo schema FOLFOX vs 5-FU è stata analizzata in uno studio randomizzato161 che ha valutato dati di 200 pazienti allo scopo di
evidenziare differenze in tasso di risposte (RR – Response Rate). Dai risultati è emerso come una risposta obiettiva fosse presente nel 53% dei pazienti che avevano ricevuto il trattamento con doppietta rispetto al 16% p<0.001 di quelli a cui era stato somministrato solamente 5-FU/LV. Aggiungere oxaliplatino alla terapia, inoltre, aveva permesso di aumentare la PFS mediana da 6.1 mesi a 8.7 mesi p= 0.048 a scapito di un aumento delle tossicità nei pazienti trattati con la doppietta.
Un ulteriore studio, condotto su 420 pazienti non trattati precedentemente con chemioterapia e randomizzati in due bracci che ricevevano rispettivamente 5-FU/LV e FOLFOX, ha evidenziato una PFS di 9.0 vs 6.2 mesi (p=0.0003) e un RR di 50.7% vs 22.3% (p=0.0001) rispettivamente per il braccio trattato con FOLFOX vs 5-FV/LV. L’aggiunta dell’oxaliplatino ha comportato un aumento delle tossicità di grado 3 o 4 della neutropenia (41.7% vs 5.3%), della diarrea (11.9% vs 5.3%) e della neurotossicità periferica di grado 3 (18.2% vs 0%) anche se questi non si ripercuotevano in un peggioramento della qualità della vita.162
Dopo che i due regimi FOLFIRI e FOLFOX sono stati registrati rispettivamente nel 2000 e nel 2003, altri studi163,164 si sono occupati di capire quale dei due regimi fosse quello
migliore. Dai risultati emersi da uno studio di fase III163 che confrontava trattamento con
FOLFIRI e a progressione FOLFOX (FOLFOX6) vs FOLFOX6 e a progressione FOLFIRI e da un altro studio, sempre di fase III,164 eseguito dal Gruppo Oncologico dell’Italia Meridionale
– GOIM, che randomizzava i pazienti a ricevere FOLFIRI o FOLFOX4 è stato visto come, di fatto, non vi sia nessuna differenza tra le due strategie in termini di OS, PFS e RR.
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A seguito del trattamento ormai consolidato con il 5-FU è stata oggetto di studio la capecitabina. Il primo studio ad averla coinvolta ha tenuto in considerazione dati ottenuti da 602 pazienti suddivisi in due bracci di cui il primo riceveva trattamento con 5-FU/LV mentre il secondo capecitabina. Dai risultati è emerso come ci sia una equivalente RR tra i due gruppi, dimostrando, inoltre, come la capecitabina sia più maneggevole e pratica in merito alla sua formulazione orale.165
Una metanalisi successiva166 ha poi valutato il ruolo della capecitabina in associazione a
oxaliplatino rispetto al 5-FU tenendo in considerazione i dati di sei studi randomizzati di fase II e III nei quali si andava a confrontare in setting metastatico il trattamento con XELOX vs FOLFOX. I risultati hanno mostrato che sebbene la RR sia risultata maggiore nei soggetti in trattamento con 5-FU (HR 0.85, IC 95% 0.74-0.97; p=0.02), la PFS (HR 1.04; IC 95% 0.96-1.12; p=0.17) e la OS (HR 1.04; IC 95% 0.95-1.12; p=0.41) non avevano differenze significative nei due trattamenti. Al contrario, i profili di tossicità erano diversi per cui tossicità gravi G3-G4 come trombocitopenia e diarrea e di grado lieve G2-G3 come l’hand-foot syndrome risultavano meno frequenti nel regime con 5-FU mentre la neutropenia era minore con XELODA.
Dai risultati si può dunque dedurre come ci sia la possibilità di scegliere il trattamento con capecitabina in tale setting di malattia in alternativa a quello a base di 5-FU.166
Nella valutazione del ruolo della capecitabina in associazione a irinotecano uno studio che ha analizzato dati provenienti da 430 pazienti, doppiamente randomizzati a ricevere trattamento con FOLFIRI o XELIRI e placebo o celecoxib, non ha permesso di definire con certezza i dati riguardo la non inferiorità del protocollo XELIRI rispetto a quello FOLFIRI a causa dello scarso numero dei pazienti,167 per cui, un ulteriore studio di fase III168 ha
cercato di valutare la differenza tra i regimi XELIRI vs FOLFIRI vs 5-FU/LV in bolo più irinotecano (mIFL). Dall’analisi dei risultati è emerso come FOLFIRI sia di fatto superiore rispetto a miFL in termini di PFS (7.6 mesi vs 5.9 mesi rispettivamente per FOLFIRI e mIFL; HR 1.51, IC 95% 1.16-1.97; p=0.004). Risultati analoghi in termini di PFS ci sono stati nel confronto tra FOLFIRI e XELIRI (7.6 mesi vs 5.8 mesi rispettivamente HR 1.36 IC 95% 1.04- 1.80; p=0.015). La superiorità del regime FOLFIRI rispetto al regime XELIRI è stata confermata anche in termini di OS mediana (23.1 mesi per FOLFIRI, vs 17.6 mesi per mIFL vs 18.9 mesi per XELIRI). Le differenze di OS tra i diversi bracci chemioterapici non sono
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state tuttavia significative tra FOLFIRI e mIFL p=0.09. I profili di tossicità si sono mantenuti paragonabili. Dai risultati di questo studio, si ebbe che l’associazione tra capecitabina e irinotecano deve essere esclusa dalle possibilità di un trattamento di prima linea nel caso del mCRC.
In conclusione, è giusto affermare come i regimi FOLFOX, XELOX e FOLFIRI siano di fatto equivalenti da un punto di vista dell’efficacia, ma che, in relazione al diverso profilo di tossicità, la scelta di uno schema debba essere pesata sulla base della clinica, caratteristiche e preferenze del paziente.
Inoltre, una terapia che veda l’uso di capecitabina e oxaliplatino (XELOX) deve essere preferita laddove si voglia evitare l’impianto di un catetere venoso centrale e ridurre la frequenza dei cicli di trattamento (trisettimanale anziché bisettimanale).
Una prima linea con irinotecano e fluorouracile (FOLFIRI) è preferita in soggetti che in passato hanno già ricevuto un trattamento a base di oxaliplatino o nei casi in cui ci sia un elevato rischio di neuropatia periferica.
XELOX e FOLFOX invece diventano opzioni da preferire nei pazienti con compromissione della funzionalità epatica basale o con sindrome di Gilbert dato l’elevato rischio di neutropenia che si ha con irinotecano, nei soggetti con alto rischio di diarrea dopo una colectomia totale o subtotale o in coloro che abbiano una controindicazione alla somministrazione di irinotecano.154
Terapia con triplette
Studi preclinici e studi clinici in fasi precoci hanno evidenziato come ci sia un effetto sinergico tra 5FU, Oxaliplatino e Irinotecano somministrati in una schedula concomitante con un profilo di sicurezza accettabile, e con un beneficio nell’outcome clinico.169
Sulla base di questi dati sono stati ideati regimi di trattamento che comprendessero tutti e tre i suddetti farmaci, a creare lo schema denominato FOLFOXIRI nel trattamento del CRC metastatico.
Il regime FOLFOXIRI è stato confrontato con lo schema FOLFIRI in due studi di fase III randomizzati dal Gruppo Oncologico del Nord Ovest (GONO) e del gruppo Hellenic Oncology Research Group (HORG).
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Il primo aveva come end point il tasso di risposte che dall’analisi dei risultati sono state del 6% e dell’8% complete e 35% e 58% parziali con RR 41% vs 66%; p=0.0002 rispettivamente per FOLFIRI e FOLFOXIRI. Il numero di resezioni R0 secondarie al trattamento è risultato essere superiore per i soggetti trattati nel braccio con FOLFOXIRI 6% vs 15% con p=0.033 tra tutti i 244 pazienti e 12% vs 36% con p=0.017 tra i pazienti con sole metastasi epatiche. Analogamente, nel braccio di trattamento con FOLFOXIRI la PFS e la OS si sono dimostrate aumentate in maniera significativa con PFS mediana: 6.9 vs 9.8 mesi; HR 0.63, IC 95% 0.47-0.81; p=0.0006; OS mediana: 16.7 vs 22.6 mesi HR 0.70; IC 95% 0.50-0.96; p=0.032, con un aumento delle tossicità, seppur maneggevoli, osservate nei pazienti trattati con tripletta.170
Lo studio condotto da HORG171 invece non ha dimostrato beneficio dall’uso del regime
terapeutico con tripletta. La differenza ottenuta con i due studi si pensa sia legata a diversi aspetti che sono andati ad incidere negativamente sull’outcome finale, in relazione alla tollerabilità del trattamento e sulla sicurezza dello studio HORG. Secondo il protocollo in quest’ultimo studio, infatti, era prevista la somministrazione in bolo di 5-FU associata a dosi inferiori di irinotecano e oxaliplatino rispetto a quelle usate dal gruppo GONO, inoltre erano stati arruolati pazienti più anziani e con Performance Status (PS) secondo l’Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG) non ottimale. Facendo un’analisi combinata dai risultati ottenuti nei due studi è tuttavia emerso che aggiungere oxaliplatino alla prima linea di terapia con FOLFIRI apporti un vantaggio significativo sia in termini di PFS (HR 0.73; IC 95% 0.55-0.95) sia in termini di OS (HR 0.79, IC 95% 0.63-0.98).154,172
Farmaci anti-angiogenici
L’angiogenesi è un processo multistep che prevede la neoformazione di vasi sanguigni mediante lo sviluppo di capillari che vengono a formarsi dalla scissione o gemmazione di vasi pre-esistienti. In alcune situazioni, l’angiogenesi dell’adulto è fisiologica anche se associata prevalentemente al mantenimento del sistema vascolare, al ciclo mestruale della donna, ai processi di cicatrizzazione oltre che allo sviluppo embrionale. Nel caso delle neoplasie, essa costituisce un elemento fondamentale sia per quel che concerne la crescita del tumore primitivo, sia per la sua capacità di formare delle metastasi.173
L’angiogenesi è un processo che si sviluppa secondo un equilibrio tra fattori che la promuovono, detti anche fattori pro-angiogenici, e fattori che la inibiscono ovvero i
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fattori anti-angiogenici. Essa ricopre un ruolo di primaria importanza nella sopravvivenza e nella crescita delle cellule tumorali, in quanto, la proliferazione di una rete di vasi