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1. CARCINOMA DEL COLON RETTO (CRC)

1.7 Trattamento Carcinoma del Colon Retto

1.7.1 Trattamento della malattia localizzata

Il termine malattia localizzata fa riferimento a tutte quelle neoplasie che non presentano un interessamento metastatico a distanza e dunque rimangono confinate al colon-retto. In questa categoria rientrano quindi la malattia allo stadio I, II e III.

1.7.1.1 Cenni di chirurgia

La chirurgia rappresenta la principale operazione terapeutica con intento curativo delle neoplasie colorettali.67

Affinché vi possa essere un trattamento efficace, è necessario che vi sia la completa rimozione del segmento di intestino contenente il tumore assieme al suo drenaggio linfatico, con un’estensione della resezione determinata in relazione al rifornimento vascolare e alla distribuzione dei linfonodi regionali. In generale, si considerano come adeguati margini di almeno 5cm dal tumore in senso prossimale e distale sebbene, spesso, la resezione preveda anche margini più ampi per avere una adeguata legatura del supporto vascolare arterioso al fine di garantire la radicalità oncologica. Il chirurgo, inoltre, deve provvedere anche a confezionare un’anastomosi sicura con una preservazione della funzione sfinteriale ano-rettale per le neoplasie del retto

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extraperitoneale.80 A completamento, è raccomandata una adeguata stadiazione

linfonodale con l’asportazione di almeno 12 linfonodi così da identificare e resecare dei potenziali linfonodi metastatici oltre che l’asportazione in blocco insieme alla lesione primitiva degli organi adiacenti infiltrati; quest’ultimo aspetto consente di avere tassi di mortalità specifica a 5 anni e di recidiva locale più bassi di quando la loro resezione non viene eseguita in blocco.67,81

Ad oggi, secondo le attuali linee guida delle neoplasie coliche sono raccomandabili quattro tipologie di intervento chirurgico classificabili sulla base della localizzazione della neoplasia:

• Emicolectomia destra con legatura dei penduncoli vascolari ileocolico, colico destro e del ramo sinistro della colica media; è una procedura riservata alle neoplasie del cieco, del colon ascendente e della flessura epatica.

• Resezione del colon trasverso con legatura del peduncolo colico medio. È effettuata in quelle neoplasie che si trovano nel colon traverso.

• Emicolectomia sinistra, con legatura dei peduncoli vascolari colico sinistro e sigmoidei con anastomosi colorettale intraperitoneale; riservata alle neoplasie del trasverso distale, della flessura splenica e del colon discendente.

• Resezione colica segmentaria in caso di neoplasia con metastasi a distanza non resecabili, ovvero di adenomi cancerizzati che abbiano un’indicazione chirurgica.67

A queste tecniche si aggiunge poi la colectomia subtotale o totale riservata a quei pazienti che presentano neoplasie sincrone nel colon di destra e di sinistra o affetti da sindrome di Lynch; la sua esecuzione deve essere valutata attentamente in quanto è gravata da numerose complicanze legate alla mancata funzione di assorbimento del colon. Altre possibili indicazioni all’esecuzione di questo intervento sono la presenza di una malattia diverticolare estesa, lesioni del colon di destra che si estendono al sigma, neoplasie del sigma che vanno ad invadere il colon di destra.62

L’accesso chirurgico può avvenire sia per via laparoscopia, sia per via laparotomica. I risultati oncologici a lungo termine sono simili per le due tecniche consentendo tuttavia, nel caso della laparoscopia, un minore dolore e una più facile ripresa del transito intestinale, tuttavia l’approccio laparoscopico richiede per la sua esecuzione la presenza

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di personale esperto, la mancanza di ostruzione o perforazione e la mancanza di aderenze addominali dovute a precedenti interventi, tutti casi nei quali è necessario un approccio laparotomico.62,82

La tecnica chirurgica del carcinoma del retto, invece, prevede diversi approcci. In passato l’intervento cardine nella neoplasia rettale era la resezione addomino-perineale secondo Miles. Essa consiste nell’asportazione della porzione distale del colon discendente, del sigma, del retto e dell’ano nella sua interezza ovvero comprendente il canale anale con la cute circostante, l’apparato sfinteriale, i muscoli elevatori e il tessuto cellulo-adiposo delle fosse ischio-rettali e pelvi-rettali con la costruzione di una colostomia definitiva in fossa iliaca sinistra. Ad oggi, questa tecnica, gravata da una mortalità del 2-5% e una morbilità significativa, è riservata solo quelle lesioni collocate nel retto inferiore in un segmento estremamente distale (2 cm dalla linea pettinata) con coinvolgimento dello sfintere anale esterno e/o dei muscoli del pavimento pelvico. Nel caso di neoplasie localizzate nei 2/3 prossimali del retto, invece, l’intervento di scelta è meno invasivo del precedente ed è costituito dalla tecnica della resezione anteriore del retto - RAR. Questa in particolare, consiste nell’exeresi della metà distale del colon discendente, del sigma e ampia porzione del retto con successivo confezionamento di un’anastomosi colo-rettale bassa. Per i carcinomi rettali T1-T2 situati entro 6 cm dal margine anale e indipendenti dagli altri fattori è possibile inoltre eseguire una escissione locale endoscopica (per via trans-anale o trans-sfinterica o trans coccigea). A queste metodiche più conservative si affianca poi il tentativo di preservare la funzione degli sfinteri tramite le cosiddette tecniche sphincter- sparing che consentono la conservazione dei fasci nervosi simpatici e parasimpatici del plesso sacrale.42,63

Alla radicalità dell’intervento chirurgico, infine, concorre la Total Mesorectal Excision (TME) associata alla conservazione dei fasci nervosi autonomi. Questa consiste nella asportazione competa del mesoretto identificando e separando la pozione viscerale da quella parietale della fascia pelvica.63 Essa si ottiene posteriormente mediante una

dissezione del piano avascolare pre-sacrale per un tratto che si estende dai vasi emorroidari superiori all’elevatore dell’ano, lateralmente circondando l’intera riflessione peritoneale e anteriormente includendo nella dissezione la fascia di Denovilliers. Questa

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tecnica ha consentito una riduzione delle recidive locali di malattia dal 15 al 40% delle tecniche convenzionali al 4-11% della TME.83

Nel carcinoma del retto l’intervento chirurgico può essere preceduto da chemio- radioterapia neoadiuvante, che concorre a determinare una riduzione delle sue dimensioni al fine di facilitare l’intervento chirurgico, oppure seguito da chemioradioterapia negli stadi patologici più avanzati (pT3-4 o pN+) qualora non eseguito prima.

Infine, un approccio chirurgico di tipo palliativo può essere riservato a pazienti con malattia avanzata con lo scopo di prevenire l’occlusione intestinale, la perforazione colica dovuta alla progressione di malattia, episodi emorragici maggiori e al fine di garantire una migliore qualità di vita. Esso deve essere effettuato in primis sul tumore primitivo ed eventualmente, in un tempo o due, anche sulle eventuali metastasi.

1.7.1.2. Terapia medica nella malattia localizzata

A completamento del trattamento chirurgico, è possibile procedere ad un trattamento sistemico in relazione allo stadio patologico di malattia.

Dell’80% dei soggetti che presentano una malattia resecabile radicalmente, il 35% presenta una ripresa di malattia che in circa l’80% dei casi compare nei primi 2-3 anni dalla chirurgia e in generale entro i primi 5aa.84 Dopo 8 anni dalla diagnosi le recidive

avvengono in meno dello 0.5% dei casi. Tenendo in considerazione questi dati oltre al fatto che la prognosi è variabile a seconda dello stadio di malattia dal 90% del I stadio al 40-65% dello stadio III a 5 anni, l’introduzione di una chemioterapia a scopo adiuvante determina un calo della comparsa di recidive e un miglioramento netto della prognosi. L’utilizzo della chemioterapia sistemica adiuvante in stadio I non trova evidenza in letteratura.

Nel caso dello stadio II, invece, l’indicazione terapeutica è ristretta al caso di tumori con fattori di rischio di recidiva:

• Esordio con occlusione intestinale • Esordio con perforazione

43 • Grading G3 ad eccezione dei tumori MSI H • Inadeguato numero di linfonodi analizzati (<12) • Presenza di invasione vascolare, linfatica, perineurale • Stabilità dei microsatelliti

Incerto appare poi il ruolo di valori elevati di CEA (Antigene Carcino-Embrionario) preoperatori per cui la scelta di un eventuale trattamento deve essere discussa con il paziente caso per caso.85

Nella scelta o meno della terapia adiuvante l’instabilità dei microsatelliti gioca un ruolo fondamentale. È stato dimostrato infatti che i pazienti con instabilità dei microsatelliti in stadio II presentano una aumentata sopravvivenza globale indipendentemente dal trattamento adiuvante e un peggioramento dell’outcome quando trattati ad intento adiuvante con sole fluoropirimidine.86

Per quel che riguarda invece lo stadio III, vi è indicazione a trattamento chemioterapico adiuvante. La sua introduzione, infatti, ha determinato un calo del rischio relativo di morte del 33% con un beneficio assoluto in sopravvivenza del 10-15%.87-91

La chemioterapia, inoltre, laddove necessaria, deve essere iniziata, per avere tutta la sua efficacia, entro 6-8 settimane dall’asportazione chirurgica del tumore, anche se dati recenti evidenziano come essa debba essere iniziata nel minor tempo possibile, ovvero non appena le condizioni cliniche del paziente lo permettono.92,93 In casi di elevato

rischio, tuttavia, se per complicanze chirurgiche sono passate più di 6-8 settimane è comunque consigliabile discutere con il paziente in merito ad eventuali rischi e benefici. A partire dagli anni ’80 sono stati studiati diversi farmaci con un potenziale ruolo nella riduzione di recidive di malattia dopo trattamento chirurgico radicale. I primi studi dimostrarono un aumento della sopravvivenza in pazienti trattati con associazione di 5- fluorouracile (5-FU) e l’immunomodulatore levamisolo (usato anche come farmaco antielmintico).94

Successivamente il National Surgical Adjuvant Breast and Bowel Project (NSABP) e il North Central Center Treatment Group (NCCTG) disegnarono una serie di studi di trattamento adiuvante nel CRC:

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• Lo studio NSABP C-01 ha arruolato 1166 pazienti classificati secondo Dukes in stadio B e C randomizzandoli in 3 bracci: solo osservazione vs trattamento con 5- FU, vincristina e semustina vs trattamento con bacillo di Calmette-Guerin (BCG). I risultati portarono per la prima volta ad un aumento della OS con p=0.05 e un aumento della DFS con p= 0.02 per i pazienti che avevano ricevuto chemioterapia adiuvante dopo resezione chirurgica. 95

• Il trial della NCCTG ha randomizzato pazienti affetti da CCR in III stadio a esclusiva ad osservazione vs trattamento con levamisolo vs trattamento con levamisolo e 5- FU. La combinazione tra levamisolo e 5-FU ha ottenuto una riduzione del 40% del rischio di recidiva con una p <0.0001 e del 33% della mortalità con p=0.0007.89

Diversi trial hanno poi valutato sia l’impiego del 5-FU in monoterapia, sia in associazione ad altri farmaci come il Leucovorin (acido folinico – LV-), il metotrexate e l’interferone alfa. Tenendo in considerazione questi risultati si è dunque arrivati a definire come standard la terapia composta dall’associazione di 5-FU e LV secondo una somministrazione infusionale mensile o settimanale per almeno sei mesi.96-99

Di grande importanza nello sviluppo della terapia nel CRC è stato lo studio IMPACT, esso infatti ha dimostrato che una terapia di sei mesi con 5FU associato ad acido folinico secondo lo schema (5-FU 370-400 mg/m2 + AF 200 mg/m2 per 5 giorni consecutivi,

ripetuto ogni 28 giorni per un totale di 6 cicli) determina, rispetto a osservazione, una riduzione delle recidive del 35% (IC 95% 22-46 p<0.0001) e una mortalità del 22% (IC 95% 3-38; p=0.029). A 3 anni l’83% dei pazienti trattati con 5-FU/acido folinico vs il 78% dei controlli e che il 71% e il 62% rispettivamente erano liberi da eventi. Per quel che riguarda invece il II stadio i dati derivati da questo studio sono tali da non supportare l’uso di questo tipo di trattamento in tutti i pazienti.88,100

Uno studio successivo ha poi comparato il trattamento condotto in infusione continua di 5-FU con il trattamento standard somministrato in bolo. I dati finali hanno dimostrato una equiefficacia del trattamento in infusione rispetto al bolo, ma, una minore tossicità ematologica e gastrointestinale. Per contro, si è osservata invece un aumentato tasso di episodi di tromboembolismo a livello del catetere venoso centrale e di eritrodisestesia palmoplantare (sindrome mano-piede - HFS; hand foot syndrome). Il razionale che sta alla base di questo cambio della modalità di somministrazione consiste nel fatto che una

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infusione continua permette di reclutare un maggior numero di cellule in fase S del ciclo cellulare, ovvero quella in cui sono più suscettibili al farmaco. L’infusione, inoltre, ha come vantaggio quello di aumentare l’intensità della dose con un profilo di tossicità accettabile.101

A conferma del ruolo delle fluoropirimidine nel trattamento adiuvante del CRC, una meta- analisi per singoli pazienti (per un totale di 20.800) trattati in 18 studi diversi sulla terapia adiuvante ha dimostrato il beneficio della terapia adiuvante in termini di OS e una riduzione dei tassi di recidiva quanto più trascorreva tempo dall’intervento (dopo 5 anni < 1.5%, dopo 8 anni < 0.5%).84

In aggiunta a questa classe di farmaci, è stato valutato il ruolo nel trattamento adiuvante dell’oxaliplatino. I risultati dello studio MOSAIC hanno infatti evidenziato un vantaggio significativo per il trattamento che prevedeva l’associazione di 5-FU, oxaliplatino e leucovorin (FOLFOX) rispetto alla terapia standard solo con leucovorin e 5-FU in termini di DFS (DFS a 5 anni del 73.3% vs 67.4% HR 0.80, IC 95% 0.68-0.93; p= 0.003) e OS a 5 anni del 72.9% vs 68.7% rispettivamente con HR 0.80, IC 95% 0.65-0.97; p=0.023 al netto di un aumentata frequenza di eventi avversi.102

In analogia, lo studio NSABPC07 (National Surgical Adjuvant Breast and Bowel Project) ha arruolato 2407 pazienti affetti da CRC in stadio II e III dimostrando come un trattamento a base di 5FU/LV+ oxaliplatino vada ad aumentare in modo significativo la DFS rispetto al 5- FU/LV (71.8% vs 76.1% a 3 anni e 67% e 73.2% a 4 anni (HR 0.80, IC 95% 0.69-0.93; p=0.0034) mostrando come i risultati e le tossicità fossero analoghe a quelle dello studio MOSAIC fatta eccezione per un aumento degli eventi avversi gastrointestinali.103

Altra tappa fondamentale per la terapia adiuvante del CRC è stata l’introduzione della capecitabina, il profarmaco del 5-FU a formulazione orale ad efficacia sovrapponibile al 5FU/LV in tutti i setting di trattamento.104

Altri farmaci che sono stati indagati nel trattamento adiuvante del cancro del colon retto localizzato sono rappresentati dall’irinotecano e dai farmaci biologici.

In particolare, è stato visto che l’irinotecano in setting adiuvante non mostra nessun vantaggio in termini di DFS e OS oltre a dare un notevole aumento delle tossicità, perciò ad oggi il suo utilizzo non è raccomandato nella pratica clinica.105-107

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Per quel che concerne il trattamento con i farmaci biologici, essi non sono indicati in setting adiuvante. Infatti, i risultati dello studio AVANT evidenziano come l’utilizzo del bevacizumab, un farmaco anti-angiogenico, oltre a non apportare alcun vantaggio al trattamento, abbia addirittura un effetto sfavorevole significativo da un punto di vista statistico se associato al regime di FOLFOX4.108,109Analogamente a quanto avviene per il

bevacizumab, anche con il cetuximab i dati non sono incoraggianti poiché esso è responsabile di un effetto detrimentale sia nei pazienti KRAS mutati sia in quelli KRAS wild type.110

La durata totale del trattamento adiuvante attualmente deve essere di 6 mesi. Tentativi di riduzione di questo periodo a 3 mesi sono stati indagati da alcuni studi a livello internazionale, i cui dati riguardanti i pazienti in stadio III sono stati analizzati in una

‘pooled analysis’ prepianificata (IDEA) con risultati formalmente negativi dal punto di vista

statistico per cui la durata standard del trattamento è da considerarsi tuttora di sei mesi. Sembra tuttavia essere ragionevole alla luce di questi ultimi dati emersi, prendere in considerazione una durata del trattamento ridotta (3 mesi) nel caso in cui insorgano tossicità, in particolare la neuropatia periferica, durate la terapia, in soggetti radicalmente operati per adenocarcinoma del colon pT3, N1 senza ulteriori fattori di rischio, specie se la fluoropirimidina è somministrata per via orale.

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