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Studio di fattori prognostici clinici e molecolari in pazienti affetti da carcinoma colorettale metastatico con malattia non resecabile limitata al fegato

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Scuola di Medicina

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea Magistrale

Studio di fattori prognostici clinici e molecolari

in pazienti affetti da carcinoma colorettale metastatico

con malattia non resecabile limitata al fegato

Relatore:

Chiar.mo Prof. Alfredo Falcone

Correlatore:

Dott.ssa Chiara Cremolini

Candidata:

Chiara Sanchini

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Indice

Indice ... 1

Riassunto ... 3

1. CARCINOMA DEL COLON RETTO (CRC)... 6

1.1 Epidemiologia ... 6

1.2 Eziopatogenesi e fattori di rischio ... 8

1.2.1 Eziopatogenesi ... 8

1.2.2 Fattori di rischio ... 10

1.2.3 Fattori protettivi ... 17

1.3 Screening e prevenzione ... 19

1.4 Cenni di Anatomia Patologica ... 24

1.5 Clinica e diagnosi ... 28

1.5.1 Clinica e vie di propagazione ... 28

1.5.2 Diagnosi ... 30

1.6 Stadiazione e prognosi ... 34

1.6.1 Classificazione di Dukes modificata ... 34

1.6.2 Stadiazione TNM nel cancro del colon, edizione VIII69 ... 35

1.7 Trattamento Carcinoma del Colon Retto ... 39

1.7.1 Trattamento della malattia localizzata ... 39

1.7.2 Trattamento della malattia avanzata ... 46

1.7.3 Algoritmo terapeutico ... 63

2. GESTIONE DELLA MALATTIA EPATICA ... 68

2.1 Fattori prognostici nella malattia epatica limitata ... 70

2.2 Malattia facilmente resecabile ... 74

2.3 Malattia potenzialmente resecabile ... 75

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2 2.5 Trattamenti locoregionali ... 80 2.6 Metodi ... 82 2.7 Risultati ... 84 2.8 Discussione... 93 Acronimi... 96 Bibliografia ... 100

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Riassunto

Negli ultimi anni, la prognosi dei pazienti affetti da carcinoma colorettale metastatico (mCRC) è notevolmente migliorata grazie alla disponibilità di trattamenti sistemici attivi, allo sviluppo di tecniche chirurgiche e alla disponibilità di approcci locoregionali, che hanno permesso di incrementare sensibilmente la loro aspettativa di vita. Il sottogruppo di pazienti con malattia metastatica limitata al fegato è quello che ha probabilmente maggiormente beneficiato di tali avanzamenti e in particolare della sempre più stretta collaborazione multidisciplinare nella gestione della patologia. Oggi, infatti, grazie all’appropriata integrazione di opzioni sistemiche e approcci locoregionali, chirurgici e non, una quota limitata ma non trascurabile di pazienti affetti da mCRC con localizzazioni secondarie esclusivamente epatiche, può essere guarita sebbene la malattia sia inizialmente giudicata non resecabile.

Ottenere un buon controllo di malattia e possibilmente una rilevante citoriduzione, sono condizioni necessarie per poter successivamente mettere in campo i trattamenti locali, oggi proponibili anche a più riprese e in successive tappe della storia terapeutica dei pazienti affetti. L’adozione dei trattamenti locali è possibile e ragionevole quanto più è probabile che la malattia resti il più a lungo possibile limitata al fegato. È, peraltro, osservazione clinica comune come esistano casi di malattia inizialmente limitata al fegato che resta a lungo, se non per sempre, confinata a tale organo, pur a seguito di successive progressioni di malattia e linee di terapia, e casi che più o meno rapidamente sviluppano malattia extra-epatica. Esistono caratteristiche cliniche e/o molecolari capaci di predire la probabilità di diffusione extraepatica del mCRC inizialmente limitato al fegato?

In questo studio di coorte sono stati raccolti i dati di 225 pazienti affetti da mCRC con malattia limitata al fegato, giudicata inizialmente non resecabile trattati presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana e l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, con l’obiettivo di stimare la probabilità di tale gruppo di pazienti di sviluppare malattia extraepatica. Sono state raccolte informazioni sulle caratteristiche cliniche, patologiche e molecolari basali e longitudinalmente durante tutta la storia di malattia, nel corso dei vari trattamenti locali e sistemici ricevuti. L’associazione tra le caratteristiche basali, i trattamenti ricevuti e la sopravvivenza libera da progressione extraepatica (ePFS) è stata

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valutata attraverso modelli uni- e multivariati, e attraverso il modello di stima dei rischi secondo Kernel. Inoltre, è stata condotta una analisi per rischi competitivi.

La maggior parte dei pazienti inclusi nell’analisi, più del 70%, è stata sottoposta a procedure chirurgiche durante la storia di malattia; di questi, circa il 40%, è stato sottoposto ad ulteriori trattamenti locoregionali. La maggior parte degli eventi di progressione extraepatica (ePD) si sono verificati entro i primi 2 anni dalla diagnosi nella popolazione generale e, in analogia, entro 2 anni dalla prima resezione nel sottogruppo di pazienti che aveva ricevuto almeno un trattamento epatico locoregionale. L’analisi univariata per rischi competitivi ha dimostrato che fra le caratteristiche basali raccolte l’età inferiore a 70 anni, l’assenza di coinvolgimento linfonodale alla diagnosi, la presenza di meno di 4 metastasi epatiche e l’aver ricevuto una resezione epatica secondaria erano significativamente associate ad un minor rischio di progressione extraepatica (ePD). All’analisi multivariata, il numero di metastasi epatiche (p=0.001) e la resezione secondaria (p=0.001) erano ancora associate al rischio di ePD.

Inoltre, l’analisi univariata per l’associazione delle variabili raccolte con la ePFS ha evidenziato come l’età inferiore ai 70 anni, il performance status (PS) 0 secondo l’Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG), l’assenza di coinvolgimento linfonodale alla diagnosi, la presenza di meno di 4 metastasi epatiche, le dimensioni delle lesioni epatiche inferiori a 30mm, il coinvolgimento di meno di 6 segmenti epatici, l’aver ricevuto una resezione epatica secondaria e/o ulteriori trattamenti locoregionali al fegato fossero significativamente associate con una aumentata ePFS. Per contro, l’instabilità microsatellitare era associata ad una ePFS significativamente più breve (p=0.029) se confrontata con quella dei pazienti con mCRC con stabilità microsatellitare. Nel modello multivariato PS secondo ECOG (p=0.022), numero (p=0.011) e diametro delle metastasi epatiche (p=0.005) e resezioni epatiche secondarie (p<0.001) rimanevano associati all’ePFS a conferma di come questi fattori possano contribuire alla scelta dell’intensità dei trattamenti diretti al fegato. Infine, la più accurata stima dell’impatto di tali variabili sulla ePFS secondo Kernel ha dimostrato come le procedure chirurgiche sul fegato, lo stato linfonodale alla diagnosi e il numero di lesioni epatiche fossero associate all’ePFS indipendentemente da tutte le altre variabili valutate.

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Le caratteristiche individuate quindi, cliniche più che molecolari, possono aiutare a modulare l’intensità dei trattamenti locoregionali, in assenza di evidenze di elevato livello sulla loro efficacia in setting specifici.

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1. CARCINOMA DEL COLON RETTO (CRC)

1.1 Epidemiologia

Il carcinoma del colon retto rappresenta una delle patologie neoplastiche più frequenti al mondo, collocandosi al terzo posto per incidenza e al secondo posto per mortalità nei paesi più sviluppati, mentre rappresenta l’ottava neoplasia per incidenza e la sesta causa di morte cancro relata nei paesi in via di sviluppo.1 In Italia, è la neoplasia diagnosticata

più frequentemente. In particolare, escludendo i tumori della cute (non melanomi), occupa il secondo posto per incidenza dopo il tumore della prostata (16% vs 18%) negli uomini, mentre nelle donne è secondo al tumore della mammella (28% vs 13%).2

Il trend di nuovi casi di malattia nelle regioni ad alto rischio di incidenza risulta essere modificato negli ultimi 20 anni; se da un lato l’adesione alle pratiche di screening e la conseguente individuazione e rimozione di forme polipomatose precancerose ha permesso una diminuzione dell’incidenza, specialmente nella popolazione con età superiore ai 50 anni, dall’altra un aumento dei fattori di rischio come una dieta ricca di grassi, l’obesità, la vita sedentaria e il fumo ne ha determinato un globale incremento con particolare riferimento a dati relativi all’Asia e all’Europa orientale.3-5

Inoltre, globalmente si sta assistendo ad un declino dei tassi di mortalità attribuibile in prima istanza allo sviluppo delle tecniche di screening, ma anche al miglioramento qualitativo e quantitativo dei trattamenti disponibili.4,6 In accordo con questi dati,

l’incremento della mortalità risulta essere preponderante in quei paesi che hanno sia un minor accesso alle risorse sia un aumento dell’incidenza come Brasile, Cile, Sud America e Europa orientale (Romania e Russia).3,7,8

Analizzando i dati epidemiologici in relazione al genere, i tassi di incidenza appaiono più alti negli uomini rispetto alle donne, dato confermato anche in Italia dove il CRC rappresenta il 16% delle neoplasie negli uomini e il 13% delle neoplasie nelle donne.2,3

Nonostante questo, il rischio di contrarre la malattia durante il corso della vita è sostanzialmente simile nei due sessi (4.6% vs 4.2%) e ciò è da relazionare all’aspettativa di vita maggiore nelle donne. È importante, inoltre, tenere in considerazione che la disparità per genere tende a modificarsi anche con l’età: l’incidenza non è significativamente differente negli uomini e nelle donne che abbiano una età inferiore ai 40 anni, ma è più

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alta del 50% negli uomini rispetto alle donne considerando la fascia di età che va dai 55 ai 74 anni (131.5 vs 90.7 su 100.000). Le motivazioni per cui l’incidenza sia maggiore negli uomini non sono ancora state completamente chiarite ma si pensa che questa sia in qualche modo legata alla differenza nell’esposizione a fattori di rischio e ormonali.9-11

L’incidenza e la mortalità del cancro del colon retto variano anche in relazione alla razza, con tassi di incidenza maggiori nei neri non ispanici e più bassi negli abitanti delle isole del Pacifico. Tali differenze si pensa siano attribuibili al differente stato socio-economico dovuto alla diversa esposizione ai fattori di rischio e alla disparità di accesso alle cure. 9,12-14

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1.2 Eziopatogenesi e fattori di rischio

1.2.1

Eziopatogenesi

Il cancro del colon retto rappresenta una malattia molto eterogenea per quel che concerne l’eziopatogenesi, in quanto il suo sviluppo è dovuto all’interazione tra fattori genetici e fattori ambientali. Grazie alla prevalenza degli uni o degli altri è quindi possibile identificare le forme sporadiche, che ne costituiscono la maggior parte (70-80%), e di cui l’età rappresenta il fattore di rischio preponderante, e le forme ereditarie, più rare, tra cui rientrano la Poliposi Adenomatosa Familiare FAP (< 1%), la Sindrome di Lynch o CRC non poliposico (2-5%) e la poliposi associata al gene MHY (< 1%). Un’ulteriore percentuale, costituita dal 20-25% dei casi risulta invece essere attribuibile ad una serie di componenti di natura ereditaria non ancora ben definite chiamata CRC familiare.15-17

Affinché si possa sviluppare una patologia tumorale sono necessarie una serie di mutazioni genetiche ed epigenetiche in grado di trasformare il tessuto sano in tumore invasivo. Nella maggior parte dei casi, il tumore deriva dalla trasformazione di un polipo adenomatoso in un periodo di tempo stimato intorno ai 10-15 anni, il quale quindi rappresenta un lasso di tempo nel quale è possibile agire da un punto di vista preventivo nel bloccare lo sviluppo della lesione.15

Le principali vie ritenute responsabili dell’insorgenza del CRC riguardano: • L’instabilità cromosomale

• La mutazione di geni responsabili della riparazione del DNA • Il ruolo dell’epigenetica

Infatti, secondo la prima teoria, la crescita tumorale potrebbe essere dovuta all’accumulo di mutazioni che portano all’attivazione dell’oncogene KRAS e alla soppressione di alcuni oncosoppressori come (DCC, APC, SMAD4, TP53).15,18

In particolare, la via APC/β-catenina associata a WNT che regola la sequenza adenoma-carcinoma è responsabile circa dell’80% dei tumori sporadici del colon-retto e prevede la mutazione del gene APC come tappa iniziale del processo neoplastico. Secondo questa teoria, affinché si possa sviluppare il tumore, è necessario che entrambe le copie del gene siano disattivate attraverso mutazioni o eventi di natura epigenetica. APC rappresenta un

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gene regolatore negativo di fondamentale importanza nel controllo della β-catenina che, a sua volta, rappresenta una componente della via di segnale del WNT. In condizioni fisiologiche grazie al legame tra APC e β-catenina si ha la degradazione di quest’ultima arrestando il processo di proliferazione cellulare. Una mutazione del gene APC che ne comporti la perdita di funzione determina quindi un accumulo della β-catenina che tende così a traslocare verso il nucleo della cellula dove avvia la trascrizione di geni che ne promuovono la proliferazione come MYC e ciclina D1. A questa fase, seguono una cascata di ulteriori mutazioni, compresa quella di KRAS, responsabili della promozione della crescita e del blocco dei processi che guidano l’apoptosi cellulare.

La progressione della neoplasia secondo questa via è legata anche alla mutazione in geni oncosoppressori come SMAD2 e SMAD4 coinvolti nella via di segnalazione del TGFβ che ha come fine l’inibizione del ciclo cellulare. Una loro perdita comporta quindi una crescita anomala delle cellule tumorali.

Inoltre, le alterazioni della funzione di P53, dovute nella maggior parte dei casi a delezioni cromosomiche, a dimostrazione del fatto che l’instabilità cromosomica è una caratteristica fondamentale della via APC/β-catenina, sono presenti in circa il 70-80% dei tumori del colon retto a differenza di quanto avviene negli adenomi, nella cui genesi questa proteina è raramente coinvolta. Questo dato conferma l’ipotesi secondo la quale le mutazioni di questo oncosoppressore si possano verificare anche nelle fasi più avanzate del tumore.

Nella seconda teoria, l’accumulo di errori avvenuti durante la replicazione del DNA, a causa di alterazioni nei geni responsabili della sua riparazione, determina la comparsa di alterazioni in sequenze ripetute di DNA non codificante, denominate microsatelliti, responsabili dello sviluppo di neoplasie colorettali nei soggetti affetti da Sindrome di Lynch (>95%) e nel 15-20% dei soggetti con CRCs sporadici.15,19

Sebbene queste alterazioni siano nella maggior parte dei casi silenti, alcune di queste sequenze di microsatelliti si trovano in regioni codificanti o promotrici di geni che sono coinvolti nella regolazione della crescita cellulare come quelle localizzate nella regione che codifica per il recettore TGFβ di tipo II e per la proteina pro-apoptotica BAX.

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I recettori mutanti del TGFβ di tipo II possono quindi determinare una crescita cellulare incontrollata per la perdita del ruolo basale di inibizione della proliferazione delle cellule del colon da parte del TGFβ. Un mancato funzionamento di BAX è responsabile invece della proliferazione di cloni anomali.

Inoltre, mutazioni a livello dell’oncogene BRAF associati al silenziamento di geni a seguito dell’ipermetilazione di isole di CpG sono comuni in questo tipo di tumori associati ad alterazioni del funzionamento dei sistemi del mismatch repair per cui la combinazione tra instabilità dei microsatelliti e mutazioni di BRAF con metilazione di bersagli specifici come MLH1 rappresentano la firma di questa via di cancerogenesi.

Un ulteriore meccanismo ritenuto responsabile dell’insorgenza del CRC pone le sue basi nell’epigenetica, quando una aberrante ipermetilazione può determinare il silenziamento di alcuni geni. In particolare, è stato visto come la metilazione della regione promotrice di molti geni tra cui rientrano CACNA1G, IGF2, NEUROG1, RUNX3 e SOCS1 a livello delle isole di CpG sia responsabile, se presente in almeno 3 dei geni sopra elencati, della presenza del fenotipo CIMP High correlata nel 15-20% dei casi allo sviluppo di cancro del colon retto.15,20

1.2.2

Fattori di rischio

Come le altre forme tumorali, l’insorgenza di CRC non è legata alla presenza di un singolo fattore di rischio, bensì alla presenza di diversi fattori che spesso coesistono e interagiscono tra loro.

È stato possibile identificare quindi due grandi categorie di fattori di rischio: i fattori di rischio ambientali e i fattori di rischio genetici.

1.2.2.1 Fattori di rischio ambientali

Secondo diversi studi epidemiologici in aggiunta al genere maschile e all’età sono stati identificati una serie di fattori ambientali associati all’incremento dell’incidenza di CRC21

• Elevato consumo di carni rosse e carni conservate

o Tra i fattori di rischi ambientali il consumo di carne rossa (bovina, suina, ovina, caprina etc.) e di carne conservata come salumi o insaccati è legato ad un aumentato rischio di tumore del colon retto.2 Secondo

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l’International Agency for Research on Cancer (IARC) la carne rossa rientra tra gli alimenti probabilmente cancerogeni per l’uomo, mentre la carne conservata è stata classificata come cancerogeno di gruppo 1 per l’uomo. I meccanismi che stanno alla base della cancerogenicità di questi alimenti sono la formazione di agenti mutageni come le amine eterocicliche, gli idrocarburi policiclici aromatici e i composti N-nitrosi.22 In aggiunta la

presenza di ferro-eme stimola la formazione di specie reattive dell’ossigeno– ROS - che sembrano costituire uno dei fattori principali per l’insorgenza del CRC.23

• Fumo

o Il fumo, oltre ad essere responsabile dell’insorgenza delle neoplasie polmonari, è associato anche alla comparsa di neoplasie non polmonari come quelle del cavo orale e del distretto capo-collo orale, del pancreas e dei reni.24 Sebbene la IARC non abbia ancora riconosciuto una relazione

causale tra il fumo e il cancro del colon retto, secondo uno studio condotto nel 200825 è stato visto come sia i soggetti ex-fumatori, sia i

soggetti fumatori abbiano un incrementato rischio di incidenza e mortalità del CRC. Alla base di questi dati, una serie di ipotesi ha portato a sostenere l’aumento della mortalità per cancro del colon retto dovuto al fumo, sia per una favorita crescita cellulare a seguito dell’induzione dell’angiogenesi e alla soppressione dell’immunità cellulo-mediata26, sia per l’indotta

resistenza ai trattamenti.27

• Eccessivo consumo di alcol:

o l’assunzione di alcol e il suo legame con l’insorgenza di CRC sono state recentemente stabilite dalla IARC. Il consumo di alcol rappresenta uno dei fattori di rischio più importanti per l’insorgenza di neoplasie (in particolare del cavo orale, della faringe, della laringe, dell’esofago, della mammella, del fegato oltre che del colon retto) anche se, allo stesso tempo, ne costituisce anche uno dei più evitabili. Secondo una recente meta-analisi è stato visto come un consumo occasionale e moderato (un equivalente di 12.4-49.9g/die) rispetto a un consumo nullo o inferiore ai 12,5g/die di etanolo sia responsabile di un incremento del 21% di rischio di cancro del

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colon retto, mentre un consumo elevato (più di 50g/die) porti ad un aumento di tale rischio del 52%.28

• Obesità

o Secondo recenti studi soggetti con Body Mass Index (BMI) superiore a 30 kg/m2 sembrano avere un rischio di incidenza di CRC maggiore del 40%

rispetto ad individui con BMI inferiore a 25 kg/m2 29 e che questa sia

maggiore nel caso del colon rispetto al retto, e negli uomini rispetto alle donne. In particolare, è importante tenere in considerazione non solo il BMI, ma anche la Waist Circumference (WC) ovvero la circonferenza addominale che concorre all’aumento del rischio di sviluppo della neoplasia.30 L’adiposità addominale, infatti, ha una stretta associazione con

il CRC in entrambi i sessi. Questo aspetto suggerisce come nelle donne la localizzazione delle riserve adipose sia un fattore molto più importante rispetto al solo peso o BMI. Tra le ipotesi che sono state fatte in relazione al legame tra obesità e CRC è importante sottolineare il ruolo dell’insulino-resistenza, dell’iperinsulinemia, dell’aumento della glicemia, dell’aumento dello stress ossidativo, della produzione di adipochine e dell’incremento del IGF-1 (Insulin Growth Factor-1) che nel complesso concorrono alla promozione dell’insorgenza di CRC, alla maggiore crescita tumorale e ad un aumento della migrazione cellulare che favorisce lo sviluppo delle metastasi.31

• Diabete

o La storia personale di diabete mellito è connessa ad un aumentato rischio di incidenza di CRC oltre che ad un aumento della mortalità; una revisione sistematica di 41 studi di coorte ha identificato una associazione tra i due in termini di incidenza indipendentemente da fattori confondenti come localizzazione geografica, sesso, storia familiare di CRC, fumo, attività fisica e BMI.32

Inoltre, nei pazienti trattati con metformina, un farmaco antidiabetico a formulazione orale, è stato registrato un calo della mortalità da CRC; la spiegazione di questo dato è basata su diverse ipotesi. La prima è legata al fatto che tale farmaco inibendo la via di segnale di mTOR33 possa bloccare

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la progressione nel ciclo cellulare, la crescita e l’angiogenesi. Altre includono la diminuzione dell’ IGF-1, il blocco della segnalazione di HER2, l’inibizione dell’angiogenesi, dell’apoptosi e l’induzione dell’arresto del ciclo cellulare.34

• Agenti infettivi come Helicobacter pylori.

o Secondo uno studio pubblicato nel 2016, l’infezione da H. Pylori è associata a neoplasie colorettali (odds ratio – OR 1.49, IC – intervallo di confidenza - 95% 1.04-1.91; p=0.001). A questo dato si aggiunge poi quello relativo alla presenza di atrofia gastrica da esso causata che è stato visto essere correlata con l’insorgenza di neoplasie colorettali avanzate (OR 1.40, IC 95% 1.03-1.91; p=0.030).21,35

• Malattie infiammatorie croniche intestinali

o Le malattie infiammatorie croniche intestinali (Inflammatory Bowel Disease – IBD) sono associate alla comparsa di alcuni tumori sia a livello del tratto gastrointestinale che in altre regioni del corpo. Tra questi rientrano il melanoma, i tumori cutanei non-melanoma e i linfomi.36 In particolare, il

rischio di CRC è proporzionale alla durata della malattia infiammatoria, all’estensione della colite, alla storia familiare di CRC, al grado di infiammazione e ad una coesistente colangite sclerosante primaria.

Da un punto di vista patogenetico, lo sviluppo del CRC associato a IBD è una conseguenza della co-presenza di alterazioni genomiche e altri fattori come la risposta immunitaria, la presenza di mediatori infiammatori della mucosa, lo stress ossidativo e alterazioni del microbiota intestinale. Tra questi, tuttavia, il ruolo preponderante sembra essere riservato all’infiammazione; in particolare, l’induzione della ciclossigenasi COX2, la produzione di citochine e chemochine pro-infiammatorie (come IL1, TNFα, INFγ, etc.) sono i principali fattori ad essere coinvolti. A favore di questa teoria ci sono evidenze che mostrano come l’uso di farmaci antinfiammatori come l’acido 5-aminosalicilico e altri agenti immunomodulanti possano essere considerati agenti chemiopreventivi.37

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14 1.2.2.2 Fattori di rischio genetici

Nello sviluppo del cancro del colon retto un ruolo molto importante è svolto dalla presenza di fattori genetici. Essi infatti hanno peso non solo nelle forme strettamente ereditarie, ma anche in quelle sporadiche dove le alterazioni genetiche possono essere a bassa, media o alta penetranza.38

I soggetti con parenti di primo grado affetti da CRC, infatti, presentano un rischio aumentato rispetto a coloro che hanno in famiglia parenti di secondo o di terzo grado. Inoltre, più in generale, avere una storia familiare positiva con parenti fino al terzo grado determina un aumento significativo del rischio.39

Complessivamente, le forme ereditarie, definite come tali nei casi con due o più parenti di primo grado affetti da cancro del colon retto, sono all’incirca il 20%. Di queste la percentuale di neoplasie determinate da alterazioni genetiche ben note costituisce dal 2% al 6%. È possibile dunque affermare come, ad oggi, nella maggior parte dei casi, i fattori genetici responsabili dell’insorgenza della maggior parte delle forme di CRC familiare non siano ancora ben conosciuti.21

Tra le forme di CRC determinate geneticamente è possibile distinguere due grandi categorie: forme ereditarie poliposiche e non poliposiche

Tra le forme di CRC ereditario non poliposico di fondamentale importanza risulta essere la sindrome di Lynch.

La Sindrome di Lynch, nota anche come HNPCC (Hereditary Non Polyposis Colorectal Cancer) - CRC ereditario non poliposico- è una malattia ereditaria autosomica dominante causata da mutazioni della linea germinale o alterazioni di natura epigenetica a carico dei geni del DNA mismatch repair (MMR) in particolare a livello dei geni MLH1 nel 90% dei casi, MSH2 nel 7% dei casi, MSH6 nel 10% dei casi, PMS2 nel 5% dei casi, e del gene EPCAM.40,41 Le mutazioni possono essere bialleliche e portare a una alterazione

costituzionale del sistema del mismatch repair, oppure, monoalleliche. In questo caso, al fine di sviluppare la sindrome, richiedono una seconda alterazione che può essere data da una mutazione, una delezione o una metilazione delle isole di CpG che porta ad una riduzione della funzione del sistema del MMR.38

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La sindrome di Lynch è associata a un’età di insorgenza di CRC precoce, in un range che varia dai 44 ai 61 anni e quindi molto prima di quello che avviene nella popolazione normale in cui l’età della diagnosi media di CRC sporadico è intorno ai 69 anni. La motivazione di questo sembra essere correlata a un aumento della velocità della sequenza adenoma-carcinoma che, se in un soggetto normale avviene in 7-10 anni, in un soggetto con sindrome di Lynch è pari a circa 35 mesi.41

Generalmente questo tipo di neoplasie è localizzato nella parte destra del colon, circa 60-80% dei casi, a differenza dei casi sporadici in cui si ha solo il 30% a livello destro: ciò impone, in questo tipo di soggetti, una stretta sorveglianza colonscopica fino al cieco. Da un punto di vista microscopico, invece, sono caratterizzate da una serie di caratteristiche tipiche come una istologia a cellule mucinose o ad anello con castone, una scarsa differenziazione e una evidenza di infiltrazione del tumore da parte delle cellule linfocitarie. Nonostante le caratteristiche istologiche sfavorevoli, tuttavia, i pz affetti da sindrome di Lynch presentano una prognosi migliore rispetto a quelli con CRC spontaneo.41

Si distinguono due tipi di sindrome di Lynch

• Sindrome di Lynch di tipo I: si caratterizza per la comparsa in età giovanile e in diversi membri della famiglia di tumori, spesso multipli, a livello del colon e in particolare nella regione destra.

• Sindrome di Lynch di tipo II: al maggior rischio di sviluppare tumori nel colon-retto si aggiungono neoplasie in organi diversi come stomaco, ovaio e mammella42

Per quanto riguarda le forme di cancro ereditario poliposico la più importante è rappresentata dalla FAP ovvero la Poliposi Adenomatosa Familiare che nelle sue varianti (forma classica, forma attenuata, sindrome di Turcot e sindrome di Gardner) è responsabile del 0.2-1% dei casi di CRC ereditario. Nella forma classica, la FAP è una malattia ereditaria autosomica dominante caratterizzata dalla presenza da centinaia a migliaia di polipi adenomatosi a livello del colon retto che, se non trattati, vanno a determinare nei soggetti affetti una penetranza completa di CRC. Oltre alla presenza di polipi intestinali è possibile anche l’associazione con polipi gastrici, polipi duodenali, osteomi, tumori desmoidi, cisti epidermoidi e lesioni retiniche. La mutazione alla base del

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suo sviluppo è a livello del gene APC (Adenomatous Polyposis Coli); nella maggior parte dei casi questa mutazione è ereditaria, ma esiste un 15-20% dei casi in cui essa compare “de novo” per cui la FAP in questi soggetti è considerata sporadica.38,42,43

La forma attenuata di FAP viene invece definita come tale in quanto la presenza di polipi si attesta a numeri generalmente inferiori a 100.

La Sindrome di Gardner è una variante della FAP caratterizzata oltre che da polipi adenomatosi del colon retto dall’aumentato rischio di sviluppare osteomi, tumori desmoidi e cisti epidermoidi.42

La Sindrome di Turcot è una rara variante di FAP associata alla poliposi adenomatosa del colon retto in cui vi è la presenza di tumori maligni del Sistema Nervoso Centrale - SNC come medulloblastomi o glioblastomi.42

Altre forme di CRC ereditario che hanno una incidenza inferiore sono rappresentate dalla Sindrome di Peutz-Jeghers e dalla Poliposi giovanile.38

La sindrome di Peutz-Jeghers è una malattia ereditaria autosomica dominante caratterizzata da mutazioni del gene STK11 che codifica per una serina-treonina chinasi. È caratterizzata dalla presenza di polipi gastrointestinali localizzati maggiormente a livello dell’intestino tenue e del colon, pigmentazioni muco-cutanee e una predisposizione allo sviluppo di carcinoma. I polipi nella maggior parte dei casi sono di tipo amartomatoso a livello colico, ma possono in alcuni casi avere anche aspetti adenomatosi a livello colico o iperplastico a livello gastrico.38

La poliposi giovanile è una delle più comuni sindromi amartomatose, è caratterizzata dalla comparsa di polpi in giovane età localizzati nel tratto gastroenterico. Si tratta di polipi amartomatosi con normale epitelio, uno stroma denso, un abbondante infiltrato infiammatorio, una superficie liscia con ghiandole ripiene di muco a livello della lamina propria. Se per la maggior parte queste lesioni sono di natura benigna, alcuni possono trasformarsi in neoplasie maligne. Per quel che concerne la patogenesi, mutazioni a carico di SMAD4 o BMPR1A sono state trovate in circa il 40% dei soggetti affetti; queste sono entrambe coinvolte nella via di segnale del TGFβ responsabile della modulazione di diversi processi cellulari.38

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Altre mutazioni, inoltre, come quelle dei geni MUTYH e PTEN, delle polimerasi ε e δ, della regione CRAC1 del cromosoma 15 sono responsabili di altre forme genetiche più rare di CRC.

A tutte queste forme si devono poi aggiungere quelle in cui l’eziologia rimane ancora sconosciuta malgrado i recenti sviluppi nelle tecnologie di genotipizzazione e sequenziamento come le poliposi serrate, conosciute anche con il nome di poliposi iperplastiche e le forme di CRC ereditario non poliposico senza difetti del MMR.38

1.2.3

Fattori protettivi

Se da un lato i fattori sopra indicati favoriscono l’insorgenza del cancro del colon retto, dall’altro ne esistono altri che possono essere definiti come “protettivi”. Secondo una recente ricerca è emerso come adottare uno stile di alimentazione salutare caratterizzato dal consumo di frutta, vegetali, grano integrale, noci, pesce e latte sia considerato protettivo rispetto ad una alimentazione caratterizzata dal grande consumo di carni lavorate, grano raffinato, patate e dolci.44 Andando più nel dettaglio è stato visto come ad

esempio un ruolo protettivo sia svolto dal consumo di grassi omega 3 e omega 6 i quali sembrano modulare la sintesi delle prostaglandine derivate dall’acido arachidonico, i meccanismi immunoinfiammatori, l’oncogene RAS e la protein chinasi C attiva concorrendo nel complesso ad un decremento della proliferazione cellulare, dell’angiogenesi, una aumentata apoptosi e una differenziazione cellulare.45

Inoltre, il consumo di fibre sembra essere associato ad un minor rischio di insorgenza di CRC.46 Secondo una meta-analisi condotto nel 2011, è stato visto come il consumo di

fibre proveniente dai cereali e dal grano è inversamente correlato al rischio di insorgenza del cancro del colon, dato non confermato per le fibre provenienti dalla frutta e dalle verdure.47

Un ulteriore fattore protettivo potrebbe essere rappresentato dall’assunzione di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), infatti coloro i quali ne fanno uso presentano un minor rischio di insorgenza di neoplasie del colon e adenomi rispetto ai non utilizzatori e il beneficio è tanto maggiore quanto maggiore è la durata dell’esposizione a tali farmaci.48

Altri importanti fattori protettivi sono rappresentanti dalla vitamina D e dal calcio.48 In

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18

rischio di insorgenza del cancro del colon retto sia della mortalità cancro relata. Infatti, la vitamina D modula l’attività di oncogeni favorendo la differenziazione e l’apoptosi inibendo invece i meccanismi di proliferazione e angiogenesi.49

Anche l’attività fisica riveste un ruolo rilevante come fattore protettivo nei confronti del cancro del colon retto. È stato visto infatti che praticare esercizio fisico sia prima, sia dopo la diagnosi di neoplasia del colon sia legato ad un minor rischio di mortalità e dunque ad una prognosi migliore.50

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19

1.3 Screening e prevenzione

Attraverso il termine “screening” si fa riferimento ad una procedura di prevenzione secondaria che prevede un controllo di una popolazione tramite esami clinici, di laboratorio e radiologici tale da consentire la ricerca in fase pre-sintomatica di una patologia con lo scopo di ridurne la mortalità specifica. Alla prevenzione secondaria, inoltre, si affiancano anche delle pratiche di prevenzione primaria e terziaria. In particolare, la prevenzione primaria, nel caso specifico della patologia tumorale, è volta alla riduzione dell’esposizione ad agenti cancerogeni al fine di ridurre l’incidenza dello sviluppo di tumore nei soggetti sani, mentre la prevenzione terziaria consiste nell’attuazione di misure finalizzate a prevenire le complicanze e le recidive della malattia al fine di migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita del paziente.

Per quanto riguarda la prevenzione secondaria del CRC, l’attuazione di metodiche di screening su popolazione sana è responsabile in larga parte del calo dell’incidenza per aumento delle diagnosi di forme precancerose e della mortalità da CRC che si è verificato nelle ultime due decadi. In questo caso specifico, la validità dello screening si basa sia sul fatto che la malattia offre una lunga fase preclinica nella quale è possibile individuare e dunque rimuovere le forme precancerose costituite dai polipi adenomatosi, sia sulla possibilità di avere a disposizione test specifici, sensibili, economici e semplici che permettono una diagnosi precoce di malattia garantendo possibilità terapeutiche migliori. Le opzioni di screening che ad oggi sono a disposizione sono veramente ampie e la scelta di ciascuna di queste deve essere calibrata tenendo in considerazione una serie di fattori tra i quali rientrano il rischio individuale, le preferenze personali e la disponibilità dei test. Tra le diverse metodiche di screening è possibile dunque suddividere quelle che tengono in considerazione l’individuazione di lesioni già sanguinanti, spesso spia già di patologie tumorali, da quelle che invece vanno a identificare lesioni non sanguinanti. Nella prima categoria rientrano la ricerca del sangue occulto fecale (RSO) mediante il test al guaiaco (gFOBT - guaiac Fecal Occult Blood Test) o Hemmoccult, i test immunochimici fecali (FIT - fecal immunochemical test) e la ricerca del DNA fecale (sDNA); nella seconda la sigmoidoscopia flessibile, la colonscopia, il clisma opaco a doppio contrasto e la colonscopia virtuale.51

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20

Il gFOBT è un test che permette di individuare delle tracce di sangue nelle feci attraverso un meccanismo che sfrutta la capacità perossidasica dell’eme dell’emoglobina di rompere molecole di perossido di idrogeno rilasciando così ossigeno che, reagendo con il guaiaco, forma un colorante blu.52 Il prelievo deve essere di due campioni fecali ad ogni

evacuazione ripetendo la procedura per tre volte di fila così da aumentare la sensibilità del test.53 Tale test, tuttavia, ha il difetto di non essere specifico per l’emoglobina umana

dando perciò una positività anche nel caso di presenza di emoglobina animale o alimentare, per questo, prima della sua esecuzione, si deve raccomandare al paziente una restrizione dietetica al fine di ridurre al minimo i falsi positivi.54 Altro svantaggio del test è

quello di avere una bassa sensibilità con valori del 25-38% nel caso del CRC e del 16-31% nel caso di adenomi avanzati che si aggiunge alla variabilità operatore-dipendente nella lettura dei risultati. Punto a favore della metodica è invece rappresentato dal fatto che questi test sono economici, possono essere facilmente distribuiti e conservano una stabilità alle elevate temperature.55

Il FIT invece si avvale di anticorpi monoclonali o policlonali specifici nell’individuare la globina umana sia intatta sia nei suoi primi prodotti di degradazione. Questo tipo di test può essere suddiviso in sottocategorie tra cui rientrano i saggi immuno-enzimatici (EIA - Enzyme-Linked Immunosorbent Assay), la emoagglutinazione passiva inversa (RPHA - Reverse passive haemagglutination) il saggio di agglutinazione al lattice e quello di inibizione dell’agglutinazione al lattice.52 Questi test possono essere suddivisi in due

categorie: i test FIT qualitativi e i test FIT non qualitativi; i primi danno come risultato una risposta binaria (positiva o negativa) che non può essere letta da dispositivi automatici, i secondi invece sono letti automaticamente e forniscono al sistema una risposta espressa in ng/ml.55 Se si analizzano i dati relativi alla sensibilità, si ha che il FIT, nei confronti del

gFOBT presenta risultati migliori sia nel caso del CRC (61-91% vs 25-38%) sia nel caso delle lesioni adenomatose (27-67% vs 16-31%).56

Il test della ricerca del DNA fecale rappresenta una metodica attraverso la quale è possibile estrarre il DNA umano direttamente dal campione di feci a partire da quelli che sono i residui delle cellule di esfoliazione del colon. Per la sua esecuzione non sono richieste particolari restrizioni dietetiche e permette di identificare 23 alterazioni individuali del DNA tra le quali rientrano quelle dei geni APC, KRAS, p53 e BAT26 che

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21

risulta essere coinvolto nella instabilità dei microsatelliti. Sebbene la sua sensibilità sia superiore a quella del FIT sia nell’identificazione delle lesioni neoplastiche, sia precancerose, il FIT rimane comunque più specifico e meno costoso.57,58

La colonscopia rappresenta l’esame cardine per l’ispezione completa della mucosa del colon nel suo complesso; essa permette, sempre nella stessa sessione, l’esecuzione di biopsie e la rimozione di polipi costituendo quindi un test fondamentale sia per la prevenzione sia per la precoce diagnosi di cancro del colon retto. La colonscopia, in ottica di screening, deve essere presa in considerazione come esame di approfondimento in tutte le condizioni nelle quali i precedenti test sono risultati positivi oltre che come indagine di prima istanza per categorie a rischio. Grazie al fatto che specificità e sensibilità raggiungono quasi il 100%, la colonscopia è ad oggi considerata il gold standard nell’identificazione delle patologie del colon, anche se si deve sempre tenere in considerazione un certo grado di variabilità nei risultati che risulta essere operatore-dipendente. Importante inoltre tenere in considerazione il fatto che si tratta di un esame invasivo, che richiede una adeguata preparazione intestinale, dispendioso e spesso associato a dolore, tutte cose che possono diminuire la compliance dei soggetti nel sottoporvisi.

Per quel che concerne invece la sigmoidoscopia flessibile è da sottolineare che sebbene questa consenta di rimuovere polipi, fare biopsie ed esaminare la porzione distale del colon, ha il difetto di essere esclusivamente limitata a questa regione non essendo dunque affidabile per le restanti porzioni di mucosa colica.

Infine, con il termine colonscopia virtuale si fa riferimento sia alla TC che alla colon-MRI. Si tratta di tecniche che nascono per evitare l’invasività tipica della colonscopia migliorando dunque l’accettabilità delle pratiche di screening di CRC da parte dei pazienti. Se da un lato però sono in grado di identificare lesioni coliche è anche vero che, nel caso di positività, queste metodiche devono comunque essere seguite dall’endoscopia per un eventuale campionamento a scopo diagnostico/terapeutico. Inoltre, queste metodiche sono molto costose, hanno disponibilità limitata, sono operatore-dipendenti, richiedono un lungo tempo di esame e nel caso della colon-MRI sono limitate da un gran numero di artefatti. Esse sono inoltre da considerarsi come esami invasivi in quanto richiedono

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22

protocolli di preparazione intestinale oltre al fatto che durante la loro esecuzione necessitano di insufflazione di gas o liquido nell’intestino.55

In Italia, circa il 75% della popolazione riceve un invito a sottoporsi a programmi di screening, dei quali, secondo le stime nazionali del 2015, un 43% aderisce effettivamente alle procedure.2 L’identificazione delle eventuali lesioni avviene attraverso la ricerca del

sangue occulto fecale eseguita ogni 2 aa dai 50 ai 69-74 anni che, in caso di positività, deve essere seguita dalla colonscopia. Le linee guida nazionali ed internazionali raccomandano diverse procedure e variabili tempi di messa in atto del programma di screening a seconda del gruppo di rischio di appartenenza di un dato soggetto. Vengono perciò tenute in considerazione

• Storia personale di polipo adenomatoso del colon-retto • Storia personale di carcinoma del colon retto

• Rilevante storia familiare di carcinoma colorettale o di polipi adenomatosi in particolare nell’ambito della sindrome di Lynch e della FAP

• Storia personale di malattia infiammatoria cronica (rettocolite ulcerosa - RCU o malattia di Crohn – MC)

In particolare:

• Pazienti che presentano polipi adenomatosi devono essere sottoposti

all’intervento di rimozione e avviati a screening con colonscopia che deve iniziare in periodi variabili da 2-6 mesi a 5-10 anni dopo la rimozione a seconda del numero e delle caratteristiche dei polipi.

• Pazienti con storia personale di CRC devono svolgere una colonscopia prima della chirurgia, se non fattibile a seguito di occlusione deve essere completata 3-6 mesi dopo e ripetuta entro 12 mesi dalla resezione, se negativa deve essere ripetuta dopo tre e poi dopo 5 anni.

• Lo screening colonscopico deve essere avviato a 40, o 10 anni prima dell’età del familiare più giovane con diagnosi di CRC in caso di diagnosi di carcinoma del colon retto o di polipi adenomatosi in un familiare di primo grado di età < 60 anni o in 2 o più parenti di primo grado a qualsiasi età (senza che siano affetti da una sindrome ereditaria). La colonscopia deve poi essere ripetuta ogni 5 anni.

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23

• In caso di diagnosi di carcinoma del colon retto o di polipi adenomatosi in un familiare di primo grado di età > 60 anni o in almeno 2 parenti di secondo grado a qualsiasi età è consigliato screening endoscopico a partire dai 40 anni.

• In pazienti affetti da poliposi adenomatosa familiare FAP si consiglia di iniziare lo screening con colonscopia ogni 1-2aa, il test genetico e la sigmoidoscopia annuale volta ad individuare i segni della FAP.

• In pazienti affetti da Sindrome di Lynch si consiglia di iniziare lo screening a partire dai 20-25 anni o 10anni prima dell’età del familiare più giovane con diagnosi di CRC con colonscopia ogni 1-2 anni e test genetico.

• In pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche (MC e RCU) il rischio diviene significativo dopo circa 8-12 anni dalla comparsa dei sintomi di colite; è importante quindi eseguire una colonscopia ogni 1-2 anni a partire da questa data.59

(25)

24

1.4 Cenni di Anatomia Patologica

La disposizione degli adenocarcinomi lungo il decorso del colon si presenta in maniera abbastanza omogenea; da un punto di vista clinico, sia le lesioni prossimali, sia quelle distali possono essere palpabili come masse di consistenza dura.60

Per quanto riguarda la crescita macroscopica, è necessario sottolineare come le caratteristiche macroscopiche siano influenzate dalla fase della storia naturale dello sviluppo del tumore al momento della diagnosi. La classificazione macroscopica prevede la presenza di tumori

• esofitici con una crescita prevalentemente intraluminale a loro volta suddivisi in lesioni peduncolate e sessili

• endofitici o ulcerativi con una principale crescita intramurale • diffusamente infiltranti con una scarsa crescita endofitica

• anulari con sviluppo circonferenziale a determinare una stenosi del lume

Queste differenti forme non sono distribuite in maniera omogenea, ma alcune di esse tendono a svilupparsi per lo più nel colon prossimale, altre sono caratteristiche invece del colon distale.61

I tumori del colon prossimale, in particolare, sono caratterizzati da un tipo di accrescimento che porta alla formazione di masse esofitiche che tendono ad estendersi lungo la parete di cieco e colon ascendente e di rado sono responsabili della genesi di occlusioni.

I tumori del colon distale, invece, presentano un pattern di crescita di tipo circonferenziale determinando spesso la comparsa di restringimenti, stenosi e

occlusione.60

La caratteristica principale dei tumori maligni del colon retto è quella determinata dalla sua capacità di invasione dalla muscolaris mucosae alla sottomucosa. Da un punto di vista anatomopatologico è importante dunque andare a definire quanto la lesione si estende attraverso la parete, poiché lesioni che rimangono confinate all’epitelio o che comunque raggiungono la lamina propria senza oltrepassare la muscolaris mucosae hanno basso rischio di sviluppare metastasi se prontamente rimosse. Al contrario, una maggiore

(26)

25

invasione parietale correla con un aumento del rischio di sviluppo di metastasi in relazione all’invasione sia delle strutture vascolari della sottomucosa, sia, nel caso in cui lo sviluppo sia transmurale, un rischio maggiore di diffusione per contiguità.

Da un punto di vista microscopico, nella maggior parte dei CRC si tratta di adenocarcinomi. Essi sono composti, in generale, da epitelio ghiandolare con strutture villose e/o tubulari, con una forma ghiandolare variabile sia da un punto di vista delle dimensioni, sia della struttura in relazione al grado di differenziazione. Secondo la classificazione della World Health Organization - WHO, oltre all’adenocarcinoma precedentemente descritto, è possibile distinguere da un punto di vista microscopico:

• adenocarcinoma mucinoso: si tratta della tipologia più frequente nei carcinomi con instabilità dei microsatelliti (MSI-H - high frequency micro-satellite instability), essa è caratterizzata da una composizione della neoplasia che prevede più del 50% di mucina extracellulare.

• adenocarcinoma a cellule ad anello con castone: è costituito per più del 50% da cellule con un grande quantitativo di mucina intracellulare che conferisce loro la forma al microscopio, come dice il nome stesso, di anello con castone. La mucina, in particolare, è racchiusa all’interno di un vacuolo che occupando gran parte dello spazio citoplasmatico va a spostare il nucleo.

• carcinoma midollare: è una variante di CRC caratterizzata da diversi strati di cellule maligne che presentano un nucleo vescicolare, un prominente nucleolo e un abbondante citoplasma eosinofilo. Presenta inoltre un abbondante infiltrato linfocitario intraepiteliale.

• adenocarcinoma serrato: è un carcinoma raro che presenta una architettura simile a quelle di un polipo sessile serrato che può essere accompagnato da aree mucinose, cribriformi e trabecolari con un basso rapporto nucleo/citoplasma. • adenocarcinoma cribriforme comedo-type: è un raro tumore con estese ghiandole

cribriformi che hanno necrosi centrale analogamente a quello che avviene per gli adenocarcinomi della mammella.

• adenocarcinoma micropapillare: è una rara variante costituita da piccoli clusters di cellule tumorali all’interno dei quali si trovano spazi che mimano canali vascolari. Questa forma si ritrova anche nel tumore della mammella e della vescica.

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26

• carcinoma adenosquamoso: si tratta di una neoplasia che presenta caratteristiche sia di adenocarcinoma, sia di carcinoma squamoso.

• carcinoma a cellule fusate: si tratta di un carcinoma bifasico nel quale si trova una componente sarcomatoide a cellule fusate.

• carcinoma squamoso: nella sua forma pura è molto raro nel colon retto.

• carcinoma indifferenziato: è una rara forma tumorale in cui si ha mancanza di evidente differenziazione per cui non è possibile classificarlo né come forma epiteliale né come forma ghiandolare.

Oltre a queste forme, tra le neoplasie che possono svilupparsi nella regione del colon retto rientrano i tumori neuroendocrini (NET – Neuroendocrine Tumor), i carcinomi neuroendocrini (NEC – Neuroendocrine Carcinoma) sia a piccole sia a grandi cellule, il carcinoma misto adeno-neuroendocrino e altri tumori neuroendocrini rari, i tumori mesenchimali come l’angiosarcoma, i tumori stromali gastrointestinali – GIST (Gastrointestinal Stromal Tumor) , il sarcoma di Kaposi e il leiomiosarcoma, i linfomi e le localizzazioni secondarie.

L’adenocarcinoma, inoltre, è classificato sulla base della differenziazione ghiandolare per cui si possono distinguere tumori ben differenziati, moderatamente differenziati e indifferenziati oppure neoplasie di basso grado all’interno della cui categoria rientrano i tumori ben e moderatamente differenziati e neoplasie di alto grado che comprendono i tumori indifferenziati. A seconda della percentuale di tessuto costituito da ghiandole è inoltre possibile suddividere le neoplasie in

• G1, grado 1: se la struttura ghiandolare è presente per il 95% del tumore, corrispondono alle neoplasie ben differenziate

• G2, grado 2: se la struttura ghiandolare è presente nel 50-95% del tumore, corrispondono alle neoplasie moderatamente differenziate

• G3, grado 3: se la struttura ghiandolare è presente nel 0-49% del tumore, corrispondono alle neoplasie scarsamente differenziate

• G4, grado 4: rappresenta la categoria definita come “carcinoma indifferenziato” riservata per i carcinomi che non presentano la formazione di ghiandole, la

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27

produzione di mucina o alcuna differenziazione di tipo neuroendocrino, squamoso o sarcomatoide.61

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28

1.5 Clinica e diagnosi

1.5.1

Clinica e vie di propagazione

Generalmente il CRC si presenta attraverso dei sintomi molto insidiosi. I pazienti asintomatici, infatti, iniziano ad avere un primo sospetto a causa dell’anemia o della positività al sangue occulto fecale negli esami di screening. Nei casi invece in cui questo si manifesti in maniera sintomatica ci possono essere episodi di ematochezia molto evidenti o un’incrementata disfunzione intestinale caratterizzata da diarrea, costipazione o algie addominali. Tra le altre manifestazioni che si possono avere si può evidenziare la perdita di peso, che tuttavia è tipica delle neoplasie più avanzate e un forte senso di astenia che invece risulta essere più comune. In alcuni casi è possibile, inoltre, che ai sintomi comuni si affianchi anche l’ipokaliemia che rappresenta una conseguenza della diarrea.62

La sintomatologia può variare in relazione alla localizzazione della neoplasia.

Nel caso in cui la neoplasia insorga nel colon di destra si deve tenere in considerazione il fatto che questo ha un diametro maggiore, è distendibile, ha come funzione primaria il riassorbimento elettrolitico e il contenuto fecale ha una consistenza liquida. Le neoplasie che vi originano hanno quindi molto tempo per potersi sviluppare prima di poter diventare francamente sintomatiche. Generalmente esse quindi sono di grosse dimensioni, vegetanti e friabili e tendono ad uno stillicidio emorragico continuo. Tra i segni e sintomi con cui si manifestano rientrano il dolore, l’anemia e il rilievo alla palpazione di una massa addominale. Difficilmente danno quadri occlusivi tranne nel caso in cui non abbiano origine nei pressi della valvola ileocecale.

Il colon di sinistra, invece, presenta un diametro minore e contiene feci più solide per cui la sintomatologia di una neoplasia che si sviluppa al suo interno sarà dominata da segni ostruttivi con comparsa di sintomi precoci. Un CRC in questa regione può associarsi a senso di pienezza addominale e una dolenzia riferita ai quadranti inferiori.63

Le neoplasie del retto, invece, hanno una sintomatologia diversa a seconda della sede che può essere sovra ampollare, ampollare o sotto ampollare. Quelle facente parti della prima categoria presentano un quadro analogo ai tumori del colon sinistro, in quelle della regione ampollare hanno come sintomo preponderante il tenesmo a volte associato a dolore gravativo, rettorragia e mucorrea, mentre quelle sotto ampollari presentano oltre

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29

che tenesmo e dolore perineale e perianale anche l’evacuazione di feci nastriformi ricche di sangue e muco.42

È possibile, in alcuni casi, che il CRC esordisca fin da subito con quadri di perforazione, od occlusione intestinale. La perforazione si manifesta con la presenza di aria libera addominale e peritonite ed entra in diagnosi differenziale con la diverticolite perforata, la seconda, invece, rappresenta l’emergenza più comune nei soggetti affetti da CRC con un’incidenza pari al 30% e che può avvenire sia per occlusione del lume da parte del tumore stesso sia a causa dello sviluppo di una intussuscezione. Entrambe queste complicanze possono portare allo sviluppo di peritoniti, processi flogistici circoscritti a livello peritoneale o anche alla formazione di fistole con organi vicini.62,64

Nel 25% dei casi, inoltre, la diagnosi si CRC si accompagna a quella di contemporanee manifestazioni a distanza.65

Raramente possono essere associate al CRC alcune sindromi paraneoplastiche tra cui rientrano la dermatomiosite, acanthosis nigricans, degenerazione cerebellare subacuta, tromboflebiti, endocardite trombotica non batterica, eritema gyratum repens, iperticosi lanuginosa, sindrome di Leser-Trelat.63

Il CRC può diffondere seguendo diverse vie: • Per continuità

• Per contiguità

• Per propagazione endocavitaria • Per via linfatica

• Per via ematica

La diffusione per continuità si verifica con una infiltrazione neoplastica all’interno dello spessore della parete intestinale; la prognosi peggiora all’aumentare della profondità di invasione per l’incrementato del rischio di raggiungimento dei vasi ematici.

La diffusione per contiguità, invece, riguarda l’infiltrazione da parte del tumore di organi adiacenti come duodeno o rene destro nel caso delle neoplasie del colon di destra, lo stomaco e l’omento per le neoplasie del colon trasverso o la milza, coda del pancreas, rene sinistro e diaframma nel caso delle neoplasie della flessura splenica, o cupola

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30

vescicale e utero nel caso di quelle del sigma e del cieco. A questo si affianca la possibilità di fistolizzazione nelle anse del tenue, nella vescica, nella vagina e nello stomaco.

L’interessamento endocavitario, invece, è caratterizzato dall’esfoliazione di cellule tumorali dalla sierosa nella cavità peritoneale. Il coinvolgimento peritoneale si viene quindi a manifestare come lesioni nodulari adese al foglietto peritoneale per tutta sua estensione determinando un quadro di carcinosi, caratterizzata da crisi dolorose subentranti che interessano l’addome intero senza un punto preciso di riferimento e senza risoluzione con l’evacuazione (sindrome di Kerbèlè).

Nel caso della diffusione linfatica la propagazione delle cellule tumorali avviene lungo i vasi linfatici attraverso i quali le cellule tumorali si possono muovere e dare metastasi a distanza. Le stazioni linfonodali vengono coinvolte in maniera graduale e progressiva con un interessamento prima dei linfonodi paracolici e pericolici e successivamente di quelli distanti. Questa via di diffusione è più comune quando il tumore supera la muscolaris propria.

La diffusione ematogena prevede come stazione di metastatizzazione più comune il fegato. Altra sede di diffusione è rappresentata frequentemente dal polmone, con una incidenza maggiore nel caso del carcinoma del retto del terzo medio e inferiore dovuta al fisiologico drenaggio venoso di tipo cavale con le vene emorroidarie medie ed inferiori. Altre sedi di metastasi possono essere i corpi vertebrali, surreni, ovaie e cervello.63,66

1.5.2

Diagnosi

La diagnosi del CRC prevede la ricerca della malattia primitiva, e l’identificazione di eventuali metastasi.

La prima indagine semplice e fondamentale che può essere condotta nell’identificazione del cancro del retto è rappresentata dall’esplorazione rettale; data la sua scarsa invasività deve essere eseguita laddove ci sia anche solo il sospetto della malattia e permette di andare a definire importanti aspetti della neoplasia quali la sede, le dimensioni, la morfologia, la motilità e i rapporti con le strutture contigue.42

Per quanto riguarda la diagnosi di malattia primitiva, il ruolo centrale è svolto dalla colonscopia, essa infatti permette una diretta visualizzazione, una determinazione

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31

accurata della localizzazione della lesione (sensibilità del 96-97%, specificità 98%) e fornisce l’opportunità di eseguire direttamente delle biopsie diagnostiche. È un esame che può essere condotto ambulatorialmente, preferibilmente con sedazione, anche se in alcuni casi può essere considerata anche l’esecuzione in narcosi. I rischi ad essa associati sono quello di perforazione presente nello 0,1% dei casi e quello di emorragia maggiore nello 0,3% dei casi.67

In alternativa alla colonscopia si può impiegare la rettosigmoidoscopia associata alla colonscopia virtuale o al clisma a doppio contrasto. Deve essere tuttavia tenuto in considerazione il fatto che il 30% circa di tali soggetti dovrà poi essere sottoposto a colonscopia per eseguire un accertamento bioptico. La specificità e la sensibilità della rettosigmoidoscopia sono riferibili solo ai primi 60cm e sono simili a quelli della colonscopia associati però a minor rischio di perforazione.

Altra opzione diagnostica nel caso in cui non si riesca ad avere una colonscopia completa, cioè fino alla valvola ileo-ciecale, è rappresentata dal clisma a doppio contrasto anche se con sensibilità e specificità minori rispetto alla colonscopia per cui ne rappresenta la seconda scelta.

A completamento delle indagini endoscopiche, la TC con mezzo di contrasto permette di avere delle informazioni riguardo le dimensioni del processo neoplastico, sui rapporti con le strutture vicine e lo stato linfonodale. Essa, inoltre, nel retto permette di distinguere le forme limitate alla sola parete da quelle diffuse per contiguità ai tessuti circostanti anche se presenta sia una bassa specificità sia una bassa sensibilità nell’identificazione dell’infiltrazione locale del tumore. Sempre nel caso della diagnosi di tumore primitivo, possono avere un ruolo importante la colonscopia virtuale o la colon-MRI.62,63

La colonscopia virtuale non è ancora indicata come metodica di screening anche se può essere utile per lo studio del colon in alternativa al clisma opaco per coloro che non siano riusciti ad effettuare una colonscopia completa.67

Per la diagnosi dei secondarismi invece fondamentali risultano essere l’ecografia, la CT con mezzo di contrasto, la risonanza magnetica e la tomografia ad emissione di positroni con 18-Fluorodesossiglucosio (FDG).62

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32 1.5.2.1 Diagnosi di metastasi epatiche

Nella ricerca delle metastasi epatiche, un ruolo importante è ricoperto dall’ ecografia transaddominale. Essa ad oggi, viene usata con successo nella loro individuazione anche se non può essere usata come unico esame di valutazione preoperatoria in pazienti che devono essere sottoposti ad intervento di resezione primitiva del tumore o metastasectomia epatica. La ragione di questo deve essere ricercata nella sua bassa sensibilità che, in parte, può essere migliorata grazie all’uso del mezzo di contrasto. In particolare, è stato visto come l’ecografia con mezzo di contrasto -CEUS (Contrast Enhanced Ultrasound Sonography) sia in grado di incrementare la diagnosi di metastasi epatiche rispetto all’ecografia standard, sia di raggiungere delle performance diagnostiche simili alla CT con mezzo di contrasto (sensibilità del 83% vs 89%) nei pazienti che sono considerati adatti ad uno studio con ecografia e che hanno avuto ad un’ecografia basale la prova o il sospetto di metastasi. Il limite della CEUS resta tuttavia quello di perdere sensibilità nell’identificare metastasi nelle regioni più profonde del parenchima epatico a seguito dell’attenuazione del segnale determinata dalle regioni superficiali del fegato.62,68

Altro esame cardine nell’identificazione di lesioni epatiche è rappresentato dalla CT con mezzo di contrasto, che, al contrario dell’ecografia, presenta una maggiore sensibilità nell’identificazione delle metastasi epatiche oltre che di quelle polmonari, linfonodali e peritoneali. Il limite di questa metodica nell’identificazione di localizzazioni secondarie risiede tuttavia nel fatto di non essere abbastanza sensibile da identificare metastasi aderenti alle superfici peritoneali e viscerali come la carcinosi peritoneale.

La MRI rappresenta lo strumento diagnostico più specifico e diagnostico per l’identificazione e la caratterizzazione delle metastasi epatiche da CRC. In particolare, la maggior parte delle metastasi epatiche mostrano un’alta intensità nelle sequenze T2-pesate se comparata con quella del resto del fegato, mentre una un basso segnale di intensità nelle T1-pesate. Se condotta con mezzo di contrasto al gadolinio il risultato resta comunque molto simile a quello della CT. Attualmente sono diventati disponibili nella pratica clinica una serie di mezzi di contrasto specifici per il fegato che possono avere come target sia gli epatociti, sia il sistema reticolo endoteliali, ma sfortunatamente

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33

sebbene aumentino la sensibilità nell’identificazione delle metastasi epatiche non sono ancora utilizzati nella pratica clinica a causa del loro elevato.62

Per quanto riguarda la PET-FDG invece occorre sottolineare come essa abbia una bassa sensibilità nell’identificare le metastasi epatiche, a differenza di quello che avviene nel caso dell’identificazione di metastasi extraepatiche.62

(35)

34

1.6 Stadiazione e prognosi

Nel corso degli anni diversi sono stati i sistemi di stadiazione proposti per il CRC. Il primo è stato quello di Dukes del 1932, modificato poi in un primo momento da Astler-Coller nel 1954 e Turnball nel 1967. L’attuale sistema di classificazione, adottato attualmente sia in Europa che negli Stati Uniti, è costituito dal TNM. Gli elementi cardine che vengono presi in considerazione per la sua determinazione sono rappresentati da:

• estensione locale del tumore, parametro T • numero dei linfonodi coinvolti, parametro N

• presenza di eventuali metastasi a distanza, parametro M

La classificazione inoltre può assumere diverso significato a seconda che sia una cTNM, ovvero definita sulla base della clinica, una pTNM che tiene in considerazione l’anatomia patologica e quindi post-chirurgica e yTNM ad indicare una stadiazione dopo trattamento neoadiuvante.

Il sistema TNM per essere di agevole consultazione nella definizione della strategia terapeutica viene ulteriormente semplificato in stadi clinici che rappresentano uno dei principali fattori prognostici.

1.6.1

Classificazione di Dukes modificata

STADIO A Tumore limitato alla mucosa

STADIO B1 Tumore non esteso oltre la muscolare propria, senza coinvolgimento

linfonodale

STADIO B2 Tumore esteso oltre la muscolare propria, senza coinvolgimento

linfonodale

STADIO C1 Stadio B1 con metastasi ai linfonodi regionali

STADIO C2 Stadio B2 con metastasi ai linfonodi regionali

(36)

35

1.6.2

Stadiazione TNM nel cancro del colon, edizione VIII

69 Tumore primitivo T

TX Tumore primitivo non definibile

T0 Tumore primitivo non evidenziabile

Tis Carcinoma in situ: carcinoma intramucoso (coinvolgimento della lamina propria senza estensione attraverso la muscolaris mucosae)

T1 Tumore che invade la sottomucosa (attraverso la muscolaris mucosa ma non attraverso la muscolare propria)

T2 Tumore che invade la muscolaris propria

T3 Tumore che attraversa la muscolaris propria, invade i tessuti pericolorettali

T4 Tumore che invade il peritoneo viscerale o invade e aderisce ad organi o strutture adiacenti

T4 A Tumore che invade il peritoneo viscerale (inclusi i tumori con grossolana

perforazione dell’intestino a carico del tumore con invasione in continuità, da parte del tumore, di aree di infiammazione sulla superficie del peritoneo).

T4 B Tumore che invade direttamente o è aderente ad adiacenti organi e strutture

Linfonodi regionali N

NX Linfonodi regionali non valutabili

N0 Non metastasi nei linfonodi regionali

N1 Da 1 a 3 linfonodi regionali positivi (il tumore nei linfonodi misura ≥ 0.2mm) o qualsiasi numero di depositi tumorali è presente e tutti i linfonodi identificabili sono negativi

N1 A Un linfonodo regionale è positivo

N1 B Due o tre linfonodi regionali sono positivi

N1 C Nessuno dei linfonodi regionali è positivo, ma vi sono dei depositi tumorali nella

sottosierosa, mesentere, tessuti pericolici non ricoperti da peritoneo o tessuti perirettali/mesorettali

N2 Quattro o più linfonodi regionali positivi

N2 A Da 4 a 6 linfonodi regionali positivi N2 B 7 o più linfonodi regionali positivi

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Metastasi a distanza M

MO No metastasi da imaging etc.. non evidenza di tumore in siti distanti o organi

M1 Metastasi da 1 a più siti distanti o organi o peritoneo

M1 A Metastasi in un sito o un organo senza metastasi peritoneali M1 B Metastasi in due o più siti o organi senza metastasi peritoneali

M1 C Metastasi sulla superficie peritoneale da sole o con altri siti o metastasi ad

altri organi

Stadiazione anatomica/ Gruppi prognostici

STADIO T N M 0 Tis N0 M0 I T1-T2 N0 M0 IIA T3 N0 M0 IIB T4a N0 M0 IIC T4b N0 M0 IIIA T1-T2 N1/N1c M0 T1 N2a IIIB T3-T4a N1/N1c M0 T2-T3 N2a T1-T2 N2b

IIIC T4a N2a M0

T3-T4a N2b

T4b N1-N2

IVA Ogni T Ogni N M1a

IVB Ogni T Ogni N M1b

IVC Ogni T Ogni N M1c

Nel definire la prognosi della malattia un ruolo fondamentale, come sottolineato sopra, è svolto dallo stadio. È stato visto infatti come la sopravvivenza risulta essere all’incirca del 90% nel caso dello stadio I, dell’80-70% nello stadio II, dell’89-40% nello stadio III e intorno al 10% per lo stadio IV.70

Oltre allo stadio, tuttavia, esistono una serie di altri fattori che concorrono in modo importante alla determinazione della prognosi. Quelli che di fatto vengono usati nella pratica clinica sono:

• il grading della lesione tumorale • la profondità dell’invasione (T)

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37

• il numero dei linfonodi valutati e di quelli tra questi con interessamento secondario (N)

• lo stato dei margini di resezione • l’invasione linfovascolare • l’invasione perineurale • i depositi tumorali

Lo stato linfonodale è considerato il più importante fattore predittivo di outcome a lungo termine di pazienti con CRC che non hanno malattia metastatica. Infatti, tra i pazienti con interessamento linfonodale locoregionale confermato istologicamente, la positività di oltre 4 linfonodi è associata ad una Overall Survival (OS) a 5 anni peggiore rispetto ad un interessamento di meno di 4 linfonodi (50% vs 70%, rispettivamente).71 Inoltre, una

inadeguata stadiazione chirurgica dei linfonodi è accompagnata ad un outcome peggiore in termini sia di recidiva di malattia, sia di sopravvivenza probabilmente a seguito del fatto che non permette una adeguata scelta della terapia.72 Affinché sia considerata

valida, una corretta valutazione linfonodale deve prevedere l’analisi di almeno 12 linfonodi.73

L’invasione linfovascolare sia di piccoli vasi, sia di grandi vasi da parte del tumore primitivo rappresenta un fattore di prognosi infausta anche per l’aumentato rischio di localizzazioni secondarie linfonodali associato.74

In analogia, anche l’invasione perineurale, sembra essere associata significativamente ad una prognosi peggiore; essa, infatti, è associata ad una minore OS e Disease-Free Survival (DFS – sopravvivenza libera da malattia). Ad esempio, se si tengono in considerazione i pazienti in stadio II, l’invasione perineurale determina una DFS a 5 anni peggiore se comparata con soggetti che non la presentano (29% vs 82% p= 0.005).75-77

Per depositi tumorali extranodali, depositi peritumorali o noduli satelliti si fa riferimento a irregolari depositi di cellule tumorali localizzati nel grasso pericolico o perirettale che rientrano all’interno del drenaggio linfatico del tumore. Si pensa che la loro origine sia legata alla invasione linfovascolare o occasionalmente da quella perineurale. Se presenti sono associati a una riduzione sia della DFS che della OS.69

(39)

38

La prognosi è inoltre influenzata dalla presenza di residui tumorali dopo la resezione chirurgica del tumore primitivo ed è classificata come:

• RX non è possibile identificare residui di malattia • R0 non vi sono residui di malattia

• R1 è presente un residuo di malattia microscopica • R2 è presente un residuo di malattia macroscopica

Tenendo conto di questa classificazione è stato visto come R1 e R2 siano dei fattori prognostici sfavorevoli rispetto a R0 indipendentemente dallo stadio della malattia.62

Il margine di resezione circonferenziale (Circumferential Resection Margin - CRM) rappresenta il margine di tessuto molle più vicino alla parte più profonda della neoplasia; esso, secondo le attuali linee guida internazionali, deve essere valutato in tutti i segmenti del colon che non abbiano superfici ricoperte del peritoneo. Nel carcinoma del retto è stato dimostrato avere un ruolo nel predire il rischio di una recidiva locale, in particolare sebbene AJCC (American Joint Commitee on Cancer) definisca come positivo un CRM che sia vicino al tessuto tumorale 1mm o meno, una diminuzione del rischio di recidive si ha quando questa misura risulta essere ≥ 2mm.62,69

Altro dato da tenere in considerazione nella valutazione prognostica del CRC è l’analisi dell’instabilità dei microsatelliti.

È stato visto che avere delle alterazioni della sequenza dei microsatelliti conferisce al tumore delle caratteristiche diverse a seconda dello stadio di malattia. In particolare, andando a considerare lo stadio II, le neoplasie MSI-H presentano, se non trattate, una prognosi nettamente migliore di quelle sottoposte a trattamento con sole fluoropirimidine. Nello stadio III, invece, il ruolo dell’instabilità microsatellitare sulla risposta al trattamento è minore.78,79

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