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1.2 Le politiche educative prescolastiche in Europa

1.2.2 Le invarianti delle politiche prescolastiche

1.2.2.1 Liberazione dell’occupazione femminile

1.2.2.1.1 Uguaglianza delle opportunità

L’IRER (2004) evidenzia una realtà italiana estremamente differenziata nell’articolazione dei servizi per l’infanzia38 di fascia 0-3, dove sono le fasce di popolazione più deboli ad accusare maggiormente la mancanza di servizi educativi. La generale scarsità dell’offerta pesa enormemente sul carico di lavoro famigliare contribuendo ad alimentare disuguaglianze che si possono correlare a:

i. Classe socio-economica e gruppo di appartenenza: non solo le fasce più deboli posso andare incontro a difficoltà nell'accesso, ma, paradossalmente, anche le classi medio-basse (impiegati esecutivi) possono venire esclusi dai servizi pubblici per reddito leggermente superiore alla soglia prevista, ma sono comunque impossibilitati a rivolgersi a servizi privati per ragioni di oggettiva insostenibilità economica. Parimenti, sono escluse le famiglie monoreddito in cui è solitamente il       

(38) L’offerta di servizi rivolti ai bambini di tre anni differisce notevolmente secondo indicatori spazio-temporali ascrivibili a: tasso di copertura pubblico e privato; presenza o meno a livello di ente pubblico di registri per baby-siter autorizzate; promozione di corsi di formazione professionalizzanti per baby-sitter o tagesmutter; presenza di servizi innovativi (definiti di terza generazione); presenza di micronidi e nidi aziendali, sono tutti fattori che variano notevolmente da una realtà locale all’altra. (Istituto Regionale di Ricerca della Lombardia, (2004). I servizi educativi

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maschio capofamiglia e con istruzione medio- bassa a lavorare, determinando un ulteriore aggravio sulla condizione femminile e sulle possibilità del bambino di accedere ad un'educazione formale. Inoltre le condizioni degli immigrati extracomunitari con vissuti e situazioni irregolari, che rientrano nelle fasce più deboli, scoraggiano l’iscrizione dei figli all’asilo nido o ad altri servizi pubblici, poichè espone a controlli circa il permesso di soggiorno e/o la regolarità del contratto di lavoro. Anche molte donne straniere sono largamente impiegate come collaboratrici domestiche o svolgano compiti di cura ed assistenza agli anziani, andando ad alimentare il lavoro sommerso39.Ciò condiziona in misura significativa le reali opportunità dei bambini di accedere ai servizi, limitando le opportunità di inclusione sociale.

ii. Sistema welfaristico: infine, va segnalato che il sistema welfaristico italiano è tradizionalmente sbilanciato a livello generazionale, cioè tende a privilegiare le generazioni più anziane nell’erogazione della spesa pubblica (es., assistenza agli anziani), generando tuttavia un'esigenza di compensazione di tale discriminazione economico-finanziaria in termini di restituzione di servizi di cura ed affidamento a beneficio dell'infanzia40.

iii. Condizioni di genere: nel momento in cui si pone la questione dell'affidamento o meno ai servizi, qualora disponibili, va ricordato che è quasi sempre la donna a mettere in discussione la propria posizione occupazionale (ad esempio richiedendo un part-time o richiedendo un congedo parentale) per assolvere le mansioni di cura ed assistenza, spingendola spesso ad uscire, più o meno temporaneamente, dal mercato del lavoro.

      

(39) In base alle ricerche condotte dall’Istituto IARD per conto della Commissione Europea e della Regione Lombardia è stato possibile ricostruire le caratteristiche dell’inserimento lavorativo di quattro gruppi etnici di alcune importati città metropolitane, definendo alcuni risultati interessanti in materia di occupabilità dei genitori e inserimento dei figli in strutture prescolastiche e scolastiche (Berlino, Parigi, Barcellona, Milano). (Ambrosiani, M., Abbatecola, E. (a cura di) (2004). Immigrazione e Metropoli. Un confronto europeo, Milano: Franco Angeli).

(40) Boeri evidenzia il forte peso della spesa pubblica per le pensioni, certamente condizionata dal un forte peso generazionale sbilanciato sull’”età pensionistica”, fattore non generalizzabile a livello europeo. Ciò comporta che, essendo le risorse pubbliche limitate e definite, si assiste ad una concentrazione incrementale delle risorse verso una popolazione specifica a scapito di altre fasce d’età, come per esempio la prima infanzia. Si palesa una situazione non priva di conflittualità latenti in cui sembrerebbe che i nonni sottraggano risorse pubbliche ai figli e ai nipoti: tuttavia, da un’analisi più approfondita, ciò non corrisponde a realtà perché i nonni restituiscono le risorse “sottratte” sottoforma di servizi privati sia monetari che di cura ai loro figli quando essi formano una famiglia autonoma. Si pensi infatti al sostegno economico erogato dai genitori nei confronti delle giovani coppie per l’acquisto della casa di residenza e/o per il sostegno nella cura dei nipoti. (Boeri, T., (2002). Il mercato del lavoro: Riforme per le nuove generazioni, in: Calabrò, A., Mercati Libertà e regole per la democrazia economica, Milano: Il Sole 24Ore).

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In Europa i regimi attuali di welfare state mostrano la loro inadeguatezza e incapacità a fronteggiare i nuovi rischi sociali, dimostrando una tendenza di riproduzione delle tradizionali forme assicurative- protezionistiche ed assistenziali. Tuttavia i bisogni sempre più articolati nella popolazione in regione dei processi di diversificazione e individualizzazione (Paci, 2005), ed i nuovi rischi di vulnerabilità sociale (Ranci, 2002) cui è esposta, hanno condotto i diversi paesi europei ad elaborare strategie differenti per rispondervi. Le forme di welfare di tipo familistico (Italia, Germania, Gran Bretagna) considerano la famiglia il responsabile principale delle scelte e dell’erogazione dei benefici rivolti ai propri membri, riducendo la spesa sociale ad essa rivolta. Al contrario, paesi tendenzialmente defamilizzanti (Francia, Paesi Scandinavi)41 tendono a disporre misure di welfare specifiche, sia in termini di erogazioni dirette che di servizi dedicati, facendosi carico direttamente del benessere sociale nel suo complesso (Esping- Andersen, 2001)42.

Tuttavia i mutamenti nella struttura familiare e le trasformazioni socio-economiche e demografiche tendono a problematizzare e/o complessificare la tradizionale funzione famigliare di assicurare la soddisfazione dei bisogni dei propri membri. Tra i cambiamenti più rilevanti notiamo la “caduta “ del mito della piena occupazione generalizzata riferita alla figura maschile del “malebreadwinner”43, l’emergere di una configurazione “composita” dell’esperienza

      

(41)Alcune ricerche indicano che le famiglie monogenitoriali sono presenti in proporzione maggiore nei Paesi Nordici mentre le famiglie con più di due adulti e bambini sono più frequenti nei Paesi Mediterranei; ciò sembra correlato al fatto che in questi paesi la separazione e il divorzio espongono in particolare la donna ed i minori al rischio di impoverimento molto più che nei Paesi Nordici. Queste situazioni vengono definite “familismo coatto” (Ranci, C. (2002). Le nuove disuguaglianze sociali in Italia, Bologna:Il Mulino) determinato dall’assenza di misure di sostegno alle famiglie monoparentali (“madri sole”) che risultano sostanzialmente disconosciute all’interno delle politiche sociali ed inclusive (Bimbi, F., (2002). Le madri sole, Roma: Carrocci). Verrebbe da applicare un’interpretazione forse indebita sul caso italiano, che suscita cioè l’interrogativo se la persistenza del modello familiare tradizionale non sia correlato più direttamente all’assenza di misure di protezione individuale che a scelte sostenute in piena libertà e volontà personale. Se tale ipotesi fosse comprovata, la mancanza di adeguate politiche sociali a sostegno monogenitoriale finirebbero per alimentare la permanenza soprattutto femminile in situazioni familiari non appaganti.

(42) Esping- Andersen definisce i regimi di tipo familistico e defamilizzante a seconda dell’intervento in termini di welfare che i paesi realizzano o meno a beneficio delle famiglie (Esping- Andersen, (2001). I fondamenti sociali delle

economie post-industriali, Bologna: Il Mulino,). L’Italia sembra conservare un’impostazione tradizionale fortemente

nuclearizzata della famiglia, che si traduce nella esplicazione/polarizzazione della identità famigliare come fatto eminentemente privato. Secondo tale sistema di valori ogni tipo di intervento dello Stato viene vissuto come un’indebita ingerenza. Saraceno a questo proposito parla di politiche implicite per la famiglia (Saraceno, C. (2003). Mutamenti

della famiglia e politiche sociali in Italia, Bologna: Il Mulino,). Invece i paesi a welfare defamilizzante erogano sia

misure di tipo monetario (assegni familiari, agevolazioni fiscali) che stimolando lo sviluppo di servizi sia pubblici che privati. Nonostante i benefici che tale regime può indubbiamente comportare, sembra tuttavia configurarsi una situazione ambigua in termini di definizione delle politiche come “pubbliche” e “di mercato” per il mix di attori coinvolti e di prestazioni differenti. Tale situazione rende difficile valutare le disuguaglianze di accesso e costo che ricadono sulla popolazione, e pongono dunque degli interrogativi plausibili sulla reale possibilità di tali politiche welfaristiche di contribuire concretamente al raggiungimento della piena inclusione sociale e dell’esercizio della cittadinanza attiva.

(43) In Agency formativa per il nuovo learnfare (2012) Costa evidenzia i cambiamenti che maggiormente segnano la società contemporanea e segnalano l’urgenza della ri-definizione del sistema di welfare: il mito della piena occupazione “promessa” dal welfare moderno riconosceva il malebreadwinner(identificato come lavoratore maschio, adulto,unico precettore di reddito del nucleo famigliare)come figura famigliare preminente di riferimento costante. “...La crescente

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occupazionale e formativa nell’arco della vita44, l’instabilità dei legami famigliari, e l’allungamento della vita della popolazione associata al basso tasso di incremento demografico45.

Studi di orientamento ecologico (Bronfenbrenner & Morris, 1996) hanno evidenziato come la crescita avvenga in una pluralità di contesti che si influenzano vicendevolmente in un rapporto di interdipendenza reciproca pur non essendo tra loro intersecanti: lo dimostrano numerose ricerche sull’eventuale correlazione fra rendimento scolastico dei bambini e condizione lavorativa della madre, o quelle sulla correlazione tra atteggiamenti e comportamenti dei bambini e status professionale del padre.

Fra i mutamenti delle strutture e nelle relazioni familiari si sottolinea come i genitori scelgano sempre più frequentemente di avere figli (o sovente, il figlio/a) ad un’età sempre più avanzata e con un investimento economico ed affettivo sempre più elevato. Ciò provoca una divaricazione intergenerazionale in termini di conoscenze possedute a livello intergenerazionale tra genitori e figli (es., tecnologiche), e dei ritmi e degli stili di vita, che definiscono identità di genitori e figli estremamente diverse rispetto a quanto avveniva solo qualche decennio fa. Inoltre, gli adulti di oggi tendono a distanziarsi dalle identità genitoriali del passato, ma incontrano difficoltà nel definirne di nuove e più appropriate alla realtà attuale46, generando una

       pluralizzazione delle condizioni occupazionali, il diffondersi di percorsi di carriera discontinui, incerti, che lasciano sempre aperta la porta verso la disoccupazione, la sotto-occupazione e l’insicurezza, (...)la sfida della crescente occupazione delle donne” (Costa, 2012) e quindi la messa in discussione del ruolo maschile tradizionale parrebbero

concorrere all’instabilità delle relazioni famigliari segnando l’ indebolimento dell’istituzione famigliare. Afferma Presenti che la famiglia post-moderna, nella sua situazione di crescente debolezza e precarietà, si trova inoltre a dover sopportare l’ulteriore peso della cura e dell’assistenza verso i membri più deboli, assumendo contorni di drammaticità in relazione ai processi di invecchiamento (Presenti, L. (2008). Politiche sociali e sussidiarietà, Roma: Lavoro).

(44) Sempre Costa segnala come si assista ad una riconfigurazione dell’idea stessa del lavoro, che assume sempre più la forma di un continuum ininterrotto “...tra lavoro e non lavoro, tra formazione e lavoro, tra lavoro stesso e compresenza

con altre attività, remunerate e non, che rendono composita la vita di un numero crescente di persone sia in entrata del mondo del lavoro (dati Cedefop, in: Costa, 2012), che nel corso della vita professionale, che in uscita dal lavoro”.

(45) L’invecchiamento della popolazione pone crescenti problemi in termini di conciliazione tra l’allungamento della vita lavorativa con l’assistenza delle persone anziane non autosufficienti, che Costa riconosce come “...problema reso

ancor più urgente proprio dal lavoro femminile maggiormente utilizzato dal mercato che va così a comprimere la disponibilità in termini di tempi di cura familiari”.

(46) Questa complessa ridefinizione generazionale investe i servizi educativi e scolastici provocando un aumento delle richieste di consulenza e di supporto da parte delle famiglie nei confronti degli insegnanti ed educatori, facendo emergere le reciproche rappresentazioni mentali e percezioni sociali. Una "micro- ricerca" condotta dall’Università Milano- Bicocca ha fatto emergere come le rappresentazioni degli insegnanti riguardo alla famiglia sono assai più omogenee e tradizionali della realtà: la maggioranza di loro ha espresso il desiderio di lavorare con famiglie “unite, non ricomposte, non divorziate” palesando un’immagine familiare non attuale. Al contrario i genitori, soprattutto di bambini frequentanti le scuole dell’infanzia, dimostrano di avere una rappresentazione dei servizi educativi molto più sfaccettata e multiforme di quanto accadeva in passato. Come molte ricerche ricordano, infatti, i genitori percepiscono oramai la scuola come un luogo dove è (o dovrebbe essere possibile) confrontare le proprie esperienze, costruire la propria identità, proporre i propri interrogativi riguardo alla cura dei figli. Ciò costringe inevitabilmente la scuola ad interrogarsi sulla propria identità e ruolo, mettendo in crisi il modello tradizionale che non sempre riesce a dimostrare capacità riflessiva e univocità di condivisione degli intenti. (Mantovani, S., Andreoli, S., Cambi, I. (1999). Bambini e

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forte richiesta di supporto e affiancamento dei servizi nell’identificazione della funzione genitoriale.

La riduzione e difficoltà concernenti la fruizione dei servizi educativi (asili nido) determina la delega della funzione custodialistico- assistenziale ed educativa ai nonni, provocando spesso tensioni dovute sia a modelli intergenerazionali contrastanti che all’incremento della domanda di benessere ed emancipazione dai pesi di cura famigliare (invecchiamento attivo).

Sempre riferito all’identità parentale, assistiamo a cambiamenti connessi ai ruoli maschili e femminili che vedono il ruolo femminile a ricoprire ambiti prima esclusivamente maschili, a cui corrisponde la messa in crisi del ruolo paterno sbilanciato verso un codice materno all’interno della famiglia attuale.

Tali problematiche rendono cogente e quanto mai attuale l’affiancamento e il supporto dell’istituzione scolastica ed educativa nell’elaborazione e formulazione tanto di un piano progettuale di crescita e sviluppo del bambino, quanto nella definizione di norme e regole di vita.

La funzione dell’istituzione formale di farsi promotrice di gruppi informali consentono la condivisione/esplicitazione di problematiche ed esperienze, la messa in comune di interrogativi e competenze, rivelandosi quale strumento significativo di promozione e di attivazione sociale in relazione alla progettazione formativa e alla definizione delle modalità del suo perseguimento.

1.2.2.1.2 La conciliazione tra occupazione ruolo materno

Dalle indagini europee emerge come le famiglie affrontino quasi simultaneamente i dilemmi conciliativi di lavoro e cura che però vengono prevalentemente risolti con il “doppio carico” sulle spalle della popolazione femminile lavoratrice (Daly & Rake, 2003)47 producendo l’inevitabile infragilimento dei legami familiari e delle carriere lavorative.

L’evoluzione storica dell’inserimento lavorativo femminile (OCSE- EAG, 2011) ha configurato una situazione attuale in cui viene meno la garanzia dell’assolvimento delle responsabilità di cura nei confronti dell’infanzia da parte delle madri. Un numero sempre maggiore di donne ha raggiunto livelli di educazione tali da porle in condizione di aspirare a posizioni apicali nella società, un tempo del tutto impensabili (OCSE, 2010). Sebbene tali prospettive rischino frequentemente di venir frustrate dalle responsabilità di cura culturalmente

      

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definite e socialmente riprodotte (e oggi più che mai, in relazione alla congiuntura economica attuale e alla loro debolezza nel mercato del lavoro, si richiede alle donne di rinunciare al'occupazione) le politiche e la società europea stanno sperimentando il ridisegno complessivo dell’identità femminile, di quella maschile e della dimensione domestica e socio-economica nel suo complesso (OCSE- Eurydice, 2009; UNICEF Report card, 2008).

L’Unione Europe e l’OCSE riconoscono da tempo ai servizi educativi per l'infanzia la capacità di rispondere alle nuove esigenze emergenti, promuovendo condizioni di uguaglianza delle opportunità e di genere. Una diffusa percezione collettiva suggerisce tuttavia che le pratiche di esternalizzazione della cura dei bambini possa favorire il riequilibrio dei carichi domestici, consentendo la liberazione dell’occupazione femminile, seppur in riferimento al re- inserimento lavorativo, alla riqualificazione professionale e alla partecipazione sociale. Pertanto le politiche europee tendono a ri-affermare costantemente un modello tecnico- efficentistico in funzione economico-produttiva, dal momento che interpreta la liberazione dell’occupazione femminile nei termini di incremento del PIL, anziché riconoscere l'enorme portata personale e sociale rispetto all'emancipazione di genere dai ruoli tradizionali.

1.2.2.1.3 Sostegno alla crescita economica & riduzione della spesa pubblica

Il cambiamento nella società contemporanea è guidato da pressioni economiche sui governi: un maggior numero di donne nella forza lavoro aumenta il PIL, aumenta le entrate da tassazione e riduce la spesa sociale per l'occupazione (UNICEF Report Card, 2008). Nella maggior parte dei Paesi, tuttavia, il tasso di attività delle donne europee dipende dall’età dei bambini della famiglia (OCSE-Eurydice, 2009)48, che in genere aumenta in misura direttamente proporzionale all’età anagrafica.

      

(48) Le ricerche europee segnalano come per gli uomini la presenza di un bambino e la sua età non hanno alcuna influenza sull’attività professionale, il che riporta ad una considerazione relativa all’uguaglianza delle opportunità di genere. Il tasso di attività delle donne, infatti, rallenta quando hanno almeno un bambino di età inferiore ai tre anni e diventa evidente nel caso di bambini dai 3 ai 6 anni, ma quando il più piccolo raggiunge i 6 anni la maggior parte delle donne europee cerca di rientrare nel mondo del lavoro. Infatti, quando il bambino più piccolo ha meno di tre anni, meno del 60% delle donne nella UE si dichiara occupato o disponibile per il mercato del lavoro, mentre quando il bambino arriva a 12 anni, il 75% delle donne è occupato o disponibile per il mercato del lavoro. Tale situazione può essere spiegata in parte dalla mancanza di disponibilità di servizi ECEC per i bambini piccoli (COMMISSIONE EUROPEA, Rapporto Eurydice (2009). Educazione e cura della prima infanzia in Europa: ridurre le disuguaglianze

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L’UNICEF Report Card (2008) considera tra gli indicatori di valutazione delle politiche prescolastiche lo strumento del congedo parentale49. Dai dati si rileva che, quando i genitori possono scegliere e hanno un sostegno concreto per operare tale scelta, generalmente evitano il ricorso ai servizi. Tale tendenza viene suffragata dalle evidenze in materia di rapporto esistente tra inserimento precoce in strutture prescolastiche e successo scolastico, che mostrano come in Svezia e Finlandia, da anni nelle posizioni più alte per risultati scolastici a 15 anni (dati OCSE- PISA), l’assistenza esterna all’infanzia nei primissimi anni di vita sia una rarità.

La ricerche condotte per il report dell' OCSE- Eurydice del 2009 tendono ad evidenziare come il sistema di assistenza sociale (congedi e sussidi parentali) talvolta possa agire da barriera indiretta ai servizi di cura ed educazione alla prima infanzia, anche laddove esiste l’offerta. Ovvero, l’esistenza di una politica di sussidi e congedi famigliari tenderebbe a indurre le famiglie a privilegiare questa soluzione, sottraendo occupazione femminile dal mercato del lavoro, anziché destinare i bambini ai servizi50. La questione va inquadrata nei termini della formulazione di una scelta politica tra opzioni che da un lato favoriscono un’assistenza prolungata da parte dei genitori, dall'altro promuovono la frequenza in un servizio educativo che dovrebbe rispettare criteri di qualità per risultare effettivamente ammissibile.

      

(49) L’illuminante UNICEF Report Card n.8 del 2008 realizzato dall’Istituto degli Innocenti di Firenze prende in considerazione dieci parametri comparativi (benchmarks) di valutazione e comparazione del le politiche di 24 Paesi OCSE in materia di servizi educativi e di cura per la prima infanzia nel momento in cui è in atto un cambiamento significativo nella cura infantile. L’UNICEF stabilisce degli standard minimi in base ai quali giudicare il rispetto o meno dei diritti dell’infanzia. Il primo parametro considera il “diritto a un periodo minimo di congedo parentale retribuito”, stabilendo uno standard minimo che consiste nel “diritto di almeno uno dei genitori a un periodo minimo di congedo di un anno per la nascita di un figlio (compreso il congedo prenatale) al 50% del salario (soggetto a limiti superiori o inferiori). Almeno due settimane di congedo devono essere riservati ai padri. Tutti i Paesi OCSE (tranne Australia e USA) prevedono una forma di congedo parentale retribuito di circa un anno, ma in USA e Regno Unito la maggior parte dei bambini sotto un anno usufruisce di qualche forma di assistenza all’infanzia, cosa rara in Norvegia, Svezia e Finlandia. Numerose componenti contribuiscono a validare lo strumento dei congedi parentali: le neuroscienze hanno recentemente rilevato l’importanza del mantenimento di un rapporto esclusivo e responsivo adulto-bambino (cfr. paragrafo 1), la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia garantisce il rispetto delle libertà fondamentali di scelta individuale, mentre riflessioni più approfondite sull’esclusione sistematica dalla politica dei congedi di genitori con redditi bassi o con lavoro non regolamentato porta a rilevare l’esigenza di una programmazione più equa ed inclusiva della spesa pubblica.(UNICEF Report Card 8, 2008). Come cambia la cura dell’infanzia. Un quadro

comparativo dei servizi educativi e della cura per la prima infanzia nei paesi economicamente avanzati, Firenze:

Centro di Ricerca Innocenti).

(50) Il rapporto Eurydice sottolinea come i congedi parentali prolungati e i sussidi possano contribuire ad incoraggiare significativamente i genitori a rimanere a casa con i loro bambini fino ad un’età più avanzata,come accade in Estonia, Lituania, Austria e Romania. Ed il fenomeno viene incrementato da legislazioni concernenti una riduzione o soppressione della somma del sussidio se il bambino frequenta un servizio di ECEC, anche se a tempo parziale. In altri paesi l’erogazione del sussidio viene adeguato in relazione alle ore di frequenza del servizio. Tuttavia, le ricerche