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riferiscono alla rosocialità nelle Scuole Secondarie

5. Un approccio prosociale alla polarizzazione

Abbiamo rimarcato che la “radicalizzazione” rappresenta una situazione in cui uno studente sviluppa idee politiche o religiose fortemente in contrasto con le aspettative della scuola e delle tendenze dominanti. Sarebbe bene rendersi conto che la sperimentazione di varie idee e ideologie è un diritto fondamentale nelle democrazie e che gli studenti hanno bisogno di aiuto per esplorare le idee in modo prosociale. Seguire questo approccio che demonizza alcuni gruppi o ideologie è pericoloso e limita la capacità degli studenti di imparare a pensare al di fuori degli schemi convenzionali e dell’opinione comune. Inoltre, un approccio demonizzante tenderà ad isolare gli studenti ed a restringere le loro fonti di informazione a quelle estremiste.

Il modo migliore che hanno gli insegnanti per relazionarsi con questo tipo di espressioni

“radicali” è l'essere curiosi e prendersi cura dello studente. Scambiando reciprocamente delle vedute nell’ambito di un dialogo su sensazioni ed idee, le ideologie astratte e apparentemente invincibili possono essere discusse, in base al livello al quale intendiamo interagire quotidianamente gli uni con gli altri in termini prosociali. In tal modo sarà possibile disarmare ideologie violente e non sociali.

Gli studenti possono esprimere alcune opinioni estreme in modo polemico. Questo fa parte dell'adolescenza e le espressioni polarizzate fanno parte di un processo di sviluppo nell'ambito del quale essi capiscono quali ideologie ed azioni più si addicono a loro. Può essere un compito difficile per gli insegnanti, che non sono immuni all’istinto di attacco o fuga; quando vengono provocati è naturale che essi si sentano minacciati in una certa misura e che il loro primo istinto sia quello di reagire con un insulto (attacco) o di ignorare i commenti (fuga). Gli insegnanti devono imparare a riconoscere questo impulso per reagire e resistere ad esso. Anche gli studenti polarizzati provano paura e rabbia, e per gestire le emozioni legate all’istinto d’attacco o fuga, è necessario superare il primo. Non rispondendo in modo istintivo, l’insegnante esemplifica i meccanismi di coping degli “adulti” nel gestire la paura, la rabbia e la polarizzazione. Mostrando un interesse nei confronti degli studenti, a prescindere da quanto essi possano essere provocatori, gli insegnanti incarnano il modello della prosocialità al lavoro in micro-situazioni.

Una volta affrontate le emozioni più pericolose ed avviato un dialogo, iniziano i processi cognitivi. È importante analizzare assieme agli studenti da dove vengono i sentimenti e le idee, perché si trovano lì e cosa intendono fare. In queste conversazioni, la posizione svantaggiata, reale o immaginaria, degli studenti e della loro comunità diverrà più chiara. Nel

caso degli immigrati e dei musulmani, possono emergere delle privazioni di carattere economico e sociale. La domanda è se questa situazione può essere risolta coltivando la morale coranica o la violenza. Non è una domanda a cui un insegnante può rispondere; è una domanda a cui tutti gli studenti devono imparare a rispondere da soli. È questa la differenza tra l’insegnamento teorico e l’intelligenza emotiva pratica: l'autodisciplina emotiva e le capacità sociali non possono essere “trasferite” come la conoscenza, ma devono essere oggetto di decisione, provate e vissute nell'ambito delle relazioni.

Pensiero critico

Lo sviluppo delle capacità prosociali è la base del dialogo e dello scioglimento della radicalizzazione e della polarizzazione. Nelle democrazie, i valori e le idee devono essere confrontati e costantemente messi in discussione. Ciò richiede un approccio ed un pensiero critico. Le scuole devono fungere da spazio sicuro per la discussione ed il confronto all’interno del quale viene chiesto agli studenti di testare il proprio senso critico e di superare i tabù e le idee comuni. Sebbene non vi siano prove empiriche indicanti che il pensiero critico possa rendere le persone immuni alla radicalizzazione, vari elementi suggeriscono che questa capacità può decisamente aiutare a resistere ai tipici fattori di richiamo.

Il sociologo Bauman parla di “modernità liquida”, riferendosi allo smantellamento delle istituzioni e dei “legami deboli” in ambito sociale e personale. Fino a qualche decennio fa, vivevamo in comunità locali dove ci conoscevamo tutti, ma non avevamo dei legami stretti.

Questi “legami deboli” (come salutare il vicino) definivano il nostro senso di comunità e sicurezza. Nel mondo moderno, queste comunità “sicure” sembrano crollare, per fare posto a dei gruppi virtuali di “legami forti” con preferenze e ideologie condivise. Ma per la strada, a scuola o quando facciamo sport, non incontriamo i membri della nostra comunità dai legami forti e le persone con “altre” idee diventano delle minacce. Questo può creare un senso di insicurezza e persino una sensazione che il proprio mondo stia cadendo a pezzi “per colpa degli altri”. Gli studenti devono comprendere queste nuove dinamiche emergenti. A tal riguardo sono necessarie delle nuove esigenze educative ed una ridefinizione della scuola in quanto istituzione locale. Questa convivenza forzata di persone che hanno dei legami forti altrove spesso porta ad un contrasto multiculturale, piuttosto che ad una interculturalità. In questo contesto, da un lato troviamo le tensioni sociali (la crescente polarizzazione) e dall'altro una sempre più diffusa esigenza di programmi inclusivi-educativi basati sul grande valore della fratellanza universale.

Intelligenza o alfabetismo emotivo

L’intelligenza emotiva è necessaria per sviluppare una comunità didattica di supporto che porti con sé un senso di appartenenza. In tale comunità gli studenti imparano non solo dagli altri, ma anche in termini di propri contributi originali e spontanei. Essi si sentono abbastanza sicuri da accettare la sfida di nuove prospettive culturali e colgono l’opportunità per esplorare il mondo con creatività. Per fare ciò, devono essere in grado di “leggere” le proprie emozioni e quelle degli altri, nonché di rapportarsi ad esse in modo flessibile. La capacità di essere emotivamente flessibili è stata denominata “intelligenza emotiva” (Goleman, 1995). La conoscenza e l'abilità di riconoscere le emozioni nostre e degli altri viene invece denominata

“alfabetismo emotivo”.

L’“alfabetismo emotivo” si incentra più sul modo di “essere” che sul mero “fare”. Nel 1990, Salovey & Mayer hanno definito l’“intelligenza sociale” come una persona in grado di distinguere tra le emozioni e le conseguenti azioni. Il ruolo dell’insegnante nell'alfabetismo emotivo è quello di offrire un ambiente didattico sicuro, ma ricco e stimolante, in cui i bambini si sentano liberi di crescere socialmente ed emotivamente, ricevendo al contempo una formazione teorica.

Mia Kellmer Pringle (1986) ha utilizzato la piramide dei bisogni di Maslow per sviluppare una teoria semplificata dei bisogni dei bambini. Quando un bambino si sente emotivamente sicuro nel proprio ambiente, esso affronta i rischi e le sfide necessari per l’apprendimento. Il nuovo apprendimento mette sempre alla prova la nostra fiducia in noi stessi ed abbiamo bisogno di flessibilità per superare la delusione e riconoscere i nostri errori. Molti bambini non sono pronti per questo e hanno bisogno del nostro supporto per sentirsi al sicuro. Un apprendimento profondo è possibile solo se vengono dati dei riconoscimenti e degli elogi.

L’elogio non deve essere riconosciuto solo per “risposte scolastiche corrette”, ma anche per sforzi e soluzioni trovate attraverso la collaborazione. Questo tipo di ambiente di supporto e sfida, in cui la collaborazione viene favorita da una “struttura” che sostiene ed espande l'apprendimento, segue i principi del costruttivismo sociale, consentendo ai bambini di trasformarsi in studenti indipendenti attraverso lo sviluppo dell'autostima, dell’autocontrollo e delle competenze sociali.

Berne afferma che “i comportamenti individuali dipendono principalmente dalla rappresentazione che abbiamo di noi stessi e delle altre persone e dal modo in cui ci vedono le altre persone”, e Buber (1957) sostiene che: “...i membri della società umana formano le proprie qualità e competenze personali in base a diverse scale di valori; una società è tanto umana quanto i suoi membri confermano le rispettive qualità”. Entrambi evidenziano che le identità personali sono la chiave del modo in cui ci comportiamo. Perciò, il criterio guida per

un approccio prosociale deve essere quello di rendere gli studenti più sicuri delle proprie identità e di fargli accettare sé stessi e gli altri nell'ambito delle loro varie relazioni e interazioni. I processi educativi non devono essere isolati dal processo socio-didattico di tutti i giorni, piuttosto l’apprendimento sociale deve entrare a far parte di tutti i momenti della vita scolastica. La questione principale, partendo da un punto di vista costruttivista, risiede nel proporre un processo interattivo affinché le persone possano apprendere le une dalle altre.

L’importanza delle tecniche di gioco ed interattive

J. Bruner (1996) afferma che: “è tipico della natura umana dare vita ad una comunità in cui l'apprendimento è il frutto del reciproco scambio”. Questa visione richiede un cambiamento del rapporto tra insegnanti e studenti, nonché all’interno del gruppo di studenti stesso. Il metodo didattico dominante diventa basato sull'azione, gli esempi e l’identificazione.

In questo contesto, le tecniche didattiche devono essere attive, dinamiche e conviviali. Nel campo della pace e della democratica vita comune, il gioco rappresenta probabilmente la strategia più importante. Giocando, le esperienze della vita possono essere gradualmente trasformate in conoscenza vera ed utile per creare contatti con altre persone ed interagire nella comunità, per acquisire fiducia in sé stessi e plasmare la propria identità, per imparare a riflettere e pianificare progetti futuri.

Nell’opera di Winnicott “Gioco e realtà”, il gioco è un’esperienza sempre creativa. “Quando giocano, gli adulti e i bambini possono essere liberi di utilizzare tutta la loro personalità e solo attraverso la creatività l’essere umano è in grado di scoprire sé stesso; il gioco è la base dell'esperienza culturale”. M. Montessori, Bruner (1996) e Piaget già hanno sottolineato l’importanza del gioco nello sviluppo psicofisico dei bambini per le esperienze di vita, che diventano man mano delle autentiche competenze. Per creare un contesto di relazioni positive è pertanto essenziale riscoprire noi stessi all’interno di una comunità fatta di persone: gli insegnanti, gli studenti, il personale scolastico, i genitori che accettano di portare avanti un progetto educativo comune, sulla base di valori condivisi e di un accordo pedagogico produttivo (accordo di co-responsabilità) che coinvolga anche il territorio.

L'alfabetismo emotivo degli studenti si sviluppa da solo, ma può essere formato in ottica prosociale utilizzando degli specifici allenamenti ed esercizi. La comprensione emotiva di come si sentirebbe un'altra persona in una determinata situazione è una tendenza naturale, che tuttavia necessità di essere sviluppata per diventare a tutti gli effetti una competenza prosociale.

Il tentativo di creare queste competenze deve far parte di un contesto educativo di sostegno e solidale. È a questo che ci riferiamo quando parliamo di “Comunità Educante”. Possiamo

promuovere la scuola come comunità di allievi che comprende anche il loro contesto sociale e genitoriale. In tal modo gli studenti avranno l’opportunità di affrontare le sfide future all’interno di una società culturalmente variegata e globale.

6. Assi Educativi e Sviluppo di un Codice Prosociale di