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Un giorno qualsiasi in una scuola qualsiasi: dare un valore positivo al comportamento e un significato della dimensione prosociale

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Academic year: 2022

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1. Un giorno qualsiasi in una scuola qualsiasi: dare un valore positivo al

comportamento e un significato della dimensione prosociale 7 2. Prosocialità: le relazioni all’interno della classe-comunità per prevenire la

violenza e la radicalizzazione 14

2.1. Cosa intendiamo per “Prosocialità” e quale è il significato di tale termine

applicato ai processo educativi 14

2.2. La dimensione educativa della Prosocialità per una scuola intesa come Comunità

di allievi, genitori ed educatori 19

3. La Prosocialità è un concetto pedagogico: conseguenze e strategie 21 3.1. Come gli educatori possono promuovere attivamente la Prosocialità 21 4. Promuovere e creare le competenze che si riferiscono alla rosocialità nelle

Scuole Secondarie 24

4.1. Il Passaggio verso le scuole superiori: un ambiente socialmente più complesso 26 4.2. Pubertà e adolescenza: due passaggi essenziali della vita sociale dei ragazzi 28 4.3. Tendenza tradizionale delle scuole superiori a trascurare le emozioni e gli

atteggiamenti 29

4.4. Limitata capacità delle scuole superiori di sviluppare una cultura scolastica

omogenea di supporto 29

5. Un approccio prosociale alla polarizzazione 31

6. Assi Educativi e Sviluppo di un Codice Prosociale di Pace (Codice PS) 36

6.1. Lo sviluppo del Codice PS 36

6.2. Gli Assi educativi 37

7. La Comunità Educante (CE) 41

7.1. Cosa sono le CE e qual è il loro ruolo nella prospettiva della Prosocialità 41 7.2. Il significato della ricostruzione della comunità educante 42

7.3. Come ricostruire la Comunità Educante 43

7.4. Principali strategie per l’implementazione della CES 46 8. Attuazione del Codice di Prosocialità nelle aule scolastiche 48

8.1. Formazione degli insegnanti sulla Prosocialità 48

9. Elenco delle competenze e delle attività didattiche volte a promuovere e a

sviluppare la prosocialità nella scuola secondaria. 51

9.1. Accessibilità dei siti 61

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9.3. Tracce digitali 64 9.3.1. Laboratorio maieutico: Dal trasmettere al comunicare 66 9.3.2. L’approccio maieutico reciproco per la trasformazione dei conflitti 68

9.3.3. Laboratorio maieutico: Dall’egoismo all’empatia 70

9.4. Fatima ha bisogno di un consiglio 72

9.5. Pregiudizi: un’attività di sensibilizzazione 73

9.6. Crescere come membri di una minoranza 75

9.7. Stereotipi di genere 78

9.8. Diritti umani e uguaglianza 80

9.9. Cyberbullismo – Amicizie perdute 86

9.10. Discorsi di odio 88

9.11. Decisioni impossibili 90

10. Indicazione per la valutazione degli interventi di didattica prosociale 92

11. Prossimi passi 97

12. Glossario 98

13. Bibliografia Tematica 100

14. Altri riferimenti 104

Elenco delle Abbreviazioni

CSC: Centro per lo Sviluppo Creativo “Danilo Dolci”

CSD: Centro per lo Studio della Democrazia

UE: Unione Europea

FB: Facebook

FCSVM: Fondazione Hallgarten-Franchetti Centro Studi Villa Montesca GALE: Alleanza Globale per l’Educazione ai temi LGBT

ICP: Indicatore Chiave di Prestazione.

LGBT: Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender MYD: MyDocumenta SL

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1. Un giorno qualsiasi in una scuola qualsiasi: dare un valore positivo al comportamento e un significato della dimensione prosociale

La scuola è una Comunità. L’attuale dibattito stenta a raggiungere un accordo sulla definizione di che cosa sia e come sia composta da un punto di vista sociologico una tale organizzazione.

Sappiamo per certo che essa è fatta di insegnanti, alunni, personale amministrativo e ovviamente genitori, che svolgono tutti un ruolo in ambito educativo.

E’ noto anche che Il concetto di comunità viene considerato centrale nel dibattito sociologico.

E’ ovvio che lo stesso dibattito si è orientato anche su nuove prospettive presentate dai cambiamenti i sociali in essere o dalla natura delle relazioni in essere in un determinato periodo storico. Per questa ragione, nel corso del tempo il concetto di comunità tende ad aderire ad una certa varietà di significati e tende a portare con sé non poche sfumature concettuali. La teoria ha cercato di identificare gli approcci ai quali tali sfumature concettuali si possono riferire. Un apporccio che potremmo definire di carattere psico-sociale, un altro più orientato alla dinamiche dei sistemi di relazioni fra i soggetti intesi in senso che qualche autore, come ad esempio l’americano Bateson, definisce

“ecologico”. Nel primo approccio la comunità è orientata da sentimenti di solidarietà e di appartenenza ; nel secondo caso prevale un comune sentire legato alla logica della territorialità, cioè all’identificarsi con un luogo specifico nel quale si vive. Tenere conto di questi approcci sarà fondamentale nella discussione sopra il concetto di comunità che educa, del quale dovremmo discutere in questo volume. Anticipiamo gli esiti di questo diverso approccio perché sarà piuttosto utile, definirne i confini quando al temine comunità aggiungeremo l’aggettivo “educante”. Allora definire le scelte concettuali su questi ambiti di analisi sarà interessante per definire la prospettiva di lavoro e per elaborare conseguenti strategie educative. L’approccio psicologico valuta dunque la dimensione affettiva, l’approccio che abbiamo definito ecologico invece valorizza gli “spazi” il “luogo” ma anche il

“non luogo”. Come vedremo questa prossimità spaziale non è sempre, infatti, facile da definire e incontra varie difficoltà che se non dirette correttamente ed in maniera appropriata possono essere di serio ostacolo allo sviluppo di strategie che promuovono la “comunità educante”.

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Essere nella Comunità che educa sviluppa sistemi di conoscenza e promuovere processi di apprendimento, ma non può prescindere da quella che vedremo essere una competenza sociale che viene definita “abilità pro-socialità o comportamento prosociale”.

Nel corso di questo manuale saranno esplorate le conseguenze della valutazione del processo educativo rappresentato anche nella prospettiva di fare crescere o “ricostruire” le competenze prosociali. Si cercherà di fornire una risposta o forse una potenzile traccia di indagini per fornire una risposta alla domanda cosa significa essere educatori oggi in tempi di emergenza educativa, e quale apporto può fornire alla relaizone educativa far crescere le competenze pro sociali in un sistema che definiremo “comunità educante” Gli studi sulla psicologia cognitiva infatti mostrano che il comportamento Prosociale contribuisce a sedimentare qualità comportamentali positive nei bambini e nei ragazzi e è fondamentale anche nelle loro prospettiva di vita relazionale e professionale. nella società.

Anche se esistono consistenti studi sulle dinamiche prosociali ed il tema non è certo nuovo nella discussione pedagogica che presenteremo anche se in una sintesi offrendo ai docenti ed agli esperti l’opportunità di approfondimenti se saranno necessari., questo approccio può essere definito originale nella misura in cui non si riferisce ad elementi comportamentali negativi ( omo-fobia, xenofobia, bullismo etc…) proponendo strategie di rimozione, ma indica potenziali strategie di carattere educativo per sviluppare comportamenti positivi, che vanno ricondotti, e lo sono generalmente nella accreditata teoria piscologica, sotto il termine omnicomprensivo di “prosocialità”

Valutare questa direzione e prenderla si auspica possa anche offrire un contributo alla riduzione di conflitti sociali di carattere educativo. Si tratta in genere di aporie nella visione educativa condivisa da agenzie formative formali e non formali, che investono soprattutto la dimensione valoriale. E’ quello che viene di solito definito il “paradosso dell’allenatore”. Si tratta di offrire ai ragazzi due visioni distinte uno, quella dei docenti a scuola, basata sulla logica della collaborazione, l’altra, quella dello sport, che considera anche attese di tipo competitivo. Se portiamo all’estremo questa conseguenza potremmo avere una identificazione confusa dei termini educativi. E’ opportuno allora che le competenze prosociali siano un obiettivo comune di tutti gli educatori. Perché questo sia materialmente possibile occorre che i termini delle finalità educative siano condivisi; che ci sia una pian consapevolezza dell’essere educatori e del significato che l’impatto educativo potrebbe avere sulla biografia dei ragazzi; che sussista un dialogo positivo fra tutte le dimensioni coinvolte;

comprendere quanto sia importante la competenza sociale prosociale anche in altri contesti

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non scolastici. Per fare chiarezza, questo paradosso non investe solo il mondo dello sport, ma anche altri ambiti per esempio della cultura e della religione.

Il contesto comportamentale che identifichiamo con il nome di Prosocialità verrà definito in modo essenziale nei termini della sua i rilevanza pedagogica, soffermandosi anche sul meccanismo che il processo per lo sviluppo di tale complesso di elementi attiva, il quale può non solo fungere da strumento per rafforzare anche le altre competenze sociali degli studenti, ma anche e di conseguenza, può facilitare lo sviluppo di processi sociali all’interno del sistema di relazioni della Scuola in quell’ambito che definiremo come Comunità Educante, ovvero il processo verso la messa in trasparenza o l’organizzazione informale di una rete personale e associativa composta da persone e espressioni sociali direttamente o indirettamente coinvolte nell’istruzione e nell'apprendimento permanente dei giovani, dettagliando le modalità di creazione, identificazione e promozione di tale Comunità in ogni contesto. All’interno di una specifica sezione del Manuale, si farà riferimento all’implementazione del cosiddetto “Codice di Pace” della Comunità o “codice di comunità”.

Si tratta di una lista di valori comuni, che i membri della Comunità negoziano. Avere una identicità di vedute nei termini valoriali è assai rilevante e ci porta a riflettere sul fatto che il processo di costituzione della Comunità educante non è un percorso neutrale. Accogliere ed essere accoglienti non porta ad accettare ogni semplificazione e variazione ideologica ed etica. Allora, si potrebbe osservare, quali sono i valori positivi o qual è il contesto valoriale a cui tale processo può fare riferimento. Pur nella consapevolezza che non esiste un termine rigido di riferimento, possiamo pensare che le relativamente recenti conquiste in tema di diritti universali possano essere un utile termine di riferimento.

La definizione di un insieme di valori ben definito, discusso ed adottato in seguito ad un processo educativo che sarà presentato e illustrato assieme a vari protocolli e materiali sulla formazione degli insegnanti ed i suggerimenti di didattica specifica per un controbto allo sviluppo delle competenze prosociali, permetterà di avere un modello di attività didattiche prosociali rivolte anche a specifici target, in particolare a coloro che per la loro condizione umana, personale o di gruppo possono essere considerati i più vulnerabili a essere coinvolti in processi di abbandono scolastico (si tratta di migranti, studenti LGBTQI, minoranze, alunni di etnia Rom, ecc.). Lo sviluppo di competenze prosociali favorisce anche, sia pur indirettamente, la creazione di una ambiente più inclusivo, humus fondamentale per incontrare le esigenze di tali gruppi e per favorire la riduzione dei loro elementi di vulnerabilità sociale ed educativa.

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La parte finale del volume sarà dedicata alla valutazione dei vari interventi proposti per fornire ai dicenti e agli altri educatori non formali elementi di riflessione che vadano al di là della semplice esercitazione didattica, ma che consentano un inserimento più stabile di tali della prospettiva della prosocialità nei programmi culturali ed educativi dei soggetti coinvolti in quella che abbiamo definito Comunità educante.

Le modalità di intervento previste prevedono questionari ed altri strumenti di riflessione valutativa per insegnanti, studenti ed altri soggetto educativi mirati a valutare l’impatto delle attività didattiche prosociali, soprattutto in termini di promozione delle competenze relazionali, emotive, motivazionali e di autostima a livello personale e sociale.

Al termine del manuale viene fornita una descrizione dettagliata delle competenze che si intendono sviluppare attraverso le attività didattiche sulla Prosocialità, al fine di agevolare la pianificazione da parte degli educatori delle attività presentate.

La filosofia alla base della struttura e del contenuto del presente volume potrebbe essere visto come quella di una “guida” che intende fornire sia elementi conoscitive sul tema della Prosocialità, sia indicazioni pedagogiche concrete rappresentate da un compendio di attività didattiche replicabili che ha l’obiettivo di porsi come riferimento per tutte le persone interessate ad applicare il Codice di Pace e la logica prosociale all’interno delle aule scolastiche ed all’interno della Comunità che educa.

Nei capitoli a seguire sarà dato spazio al tema della prosocialità e alla sua definizione, faremo anche riferimento alla possibilità di “misurare” la prosocalità come elemento di osservazione del livello di relazioni rilevabili all’interno di un gruppo-classe e di un gruppo-fuori dalla classe, al quale abbiamo dato il nome generico di comunità, e quello più specifico di

“Comunità educante”. Per introdurre come tema preliminare il ruolo dell'apprendimento cognitivo ed emotivo nell'ambito della strategia educativa basata sulla prosocialità, forniamo alcuni riferimenti sull’idea di una tassonomia dell’apprendimento in linea con gli ultimi sviluppi del dibattito attuale. Anderson e Krathwohl sono gli autori delle revisioni di quella che è divenuta nota come la Tassonomia di Bloom.

Il tema della tassonomia si deve allo psicologo Benjamin S. Bloom (1913-1999), professore presso l’Università di Chicago.

Bloom dedicò molti studi e riflessioni alla comprensione del processo di apprendimento identificandone come elemento rilevante non solo l’insegnante, ma la sua meglio definita

“l’intenzionalità progettuale” che è finalizzata anche se spesso in modo non consapevole o parzialmente consapevole ad offrire le migliori condizioni di apprendimento ai singoli ed ai gruppi di comunità.

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Il processo di consistenza del sapere deve essere frazionato in materiali e finalità distribuite secondo quello che potremmo definire gerarchie di propedeuticità secondo le quali solo quando ogni stadio evolutivo cognitivo programmato viene valutato come in possesso del discente nei termini di contenuto è possibile (ed utile) orientare lo sforzo verso quello successivo. In tal prospettiva, Anche per Bloom il processo è personalizzabile ma per fare ciò, deve essere garantito il rispetto dei tempi dettata dal ritmo cognitivo di chi apprende e dalla opportunità concesse dalla presenza di sussidi forniti con evidente funzione di feedback.

Il fattore determinante è dunque quello temporale; il rispetto del ritmo dell’apprendere deve essere garantito assieme alla possibilità di avere il giusto tempo per giungere alla

“padronanza” nell’apprendimento (Mastery Learning and its implications for Curriculum Development).

Ad essere coinvolti non sono solo le scelte degli insegnanti e la loro relazione con gli studenti e i saperi disciplinari ma l’intera struttura scolastica che è chiamata ad una nuova considerazione di ogni studente: le differenze individuali nell’apprendimento e il livello di profitto raggiunto sono due sintomi dell’efficienza dei metodi educativi usati nella scuola.

La ricaduta di tale approccio non si esaurisce, tuttavia, nella pratica quotidiana in aula ma coinvolge anche tutte le dimensioni dell’azione e valutazione scolastica: dalla valutazione e comparazione del profitto sino alla valutazione formativa, strumento di controllo e monitoraggio del processo.

A Bloom si deve, anche l’identificazione di una tassonomia degli obiettivi educativi(Taxonomy of educational objectives). Tale categorizzazione si basa sugli obiettivi dell’area cognitiva, di certo la più nota, ma anche sulla strutturarelativa all’area affettiva e psicomotoria.

La classificazione è ordinata in sei livelli ai quali sono associati specifici comportamenti (produrre, esprimere opinioni e giudizi).

Conoscenza: il ricordo e la memorizzazione di informazioni, notizie e dati imparati in precedenza;

Comprensione: capacità di traduzione, interpretazione ed estrapolazione delle conoscenze acquisite; che possano essere collegate a nuove idee in forme diversificate ma riconducibili a quelle originariamente imparate;

Applicazione: capacità di applicazione dei contenuti, delle informazioni, idee e abilità a situazioni concrete che presentino alcune difficoltà;

Analisi: capacità di scomposizione dei problemi negli elementi costitutivi, identificandone componenti e parti ed evidenziandone le connessioni;

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Sintesi: capacità di combinazione degli elementi dati in un nuovo corpus di conoscenze in modo da originare un nuovo concetto, una nuova procedura, una nuova e unica conoscenza;

Valutazione: capacità di esprimere e motivare opinioni e giudizi di valore.

Per anni, questo schema di carattere tassonomico ha rappresentato un concetto di riferimento per tutte le strategie didattiche. In tempi recenti tale schema è stato sottoposto ad una revisione. Gli autori citati hanno esaminato criticamente la tassonomia classica. I tentativi di classificare i diversi domini dell'apprendimento umano (cognitivo, emotivo e psicomotorio) hanno reso possibile la creazione di una serie di tassonomie per le aree in questione.

TASSONOMIA EMOTIVA DI KRATHWOHL & BLOOM

COSA È IL DOMINIO EMOTIVO ? Comprende comportamenti che

indicano attitudini, consapevolezza, attenzione,

premura, interesse e responsabilità. Spesso valutato in base alla capacità di ascoltare

e rispondere nell’ambiente di riferimento ed in base alle attitudini e valori adeguati al

campo di studio.

LO STUDENTE AGISCE IN LINEA CON IL NUOVO VALORE ?

Riguarda

PERCORSI DI ADATTAMENTO Agire, Ascoltare, Distinguere, Influenzare, Interiorizzare, Mettere in Discussione, Modificare, Mostrare, Praticare, Proporre, Qualificare, Rappresentare, Risolvere, Rivedere, Servire, Utilizzare, Verificare

LO STUDENTE SI DIMOSTRA COINVOLTO E IMPEGNATO?

Riguarda

ATTEGGIAMENTI E APPREZZAMENTO Accettare, Cercare, Completare, Condividere, Dedicarsi, Descrivere, Difendere, Distinguersi, Formare, Giustificare, Iniziare, Invitare, Lavorare, Leggere, Perseguire, Proporre, Riportare, Scegliere, Seguire, Spiegare, Studiare, Unirsi.

LO STUDENTE E’ ATTENTO O IN GRADO DI RISPONDERE ALL’AMBIENTE?

Riguarda

SEMPLICE CONSAPEVOLEZZA e ATTENZIONE SELETTIVA

Accettare, Chiedere, Dare, Denominare, Descrivere, Frequentare, Indicare, Individuare, Localizzare, Riconoscere, Rispondere, Scegliere, Seguire, Selezionare, Stare Seduti in Posizione Eretta, Sviluppare, Tenere, Utilizzare.

LO STUDENTE HA UNITO E CONCETTUALIZZATO UN NUOVO VALORE DANDOGLI PRIORITA’?

Riguarda lo sviluppo di una FILOSOFIA DELLA VITA

Alterare, Capire, Combinare, Confrontare, Decodificare, Difendere, Distinguere, Generalizzare, Individuare, Integrare, Modificare, Mostrare, Ordinare, Organizzare, Preparare, Rispettare, Sistemare, Sistematizzare, Soppesare, Spiegare.

LO STUDENTE E’ IN GRADO DI MOSTRARE UN COMPORTAMENTO NUOVO IN SEGUITO AD

UN’ESPERIENZA?

Riguarda

INTERESSE, RICERCA e DIVERTIMENTO Accogliere, Aiutare, Analizzare, Assistere, Completare, Collaborare, Conformarsi, Discutere, Etichettare, Leggere, Obbedire, Praticare, Presentare, Raccontare, Rappresentare, Reagire, Recitare, Riportare, Rispettare, Rispondere, Scegliere, Scrivere.

CARATTERIZZAZIONE PER VALORE

ORGANIZZAZIONE

VALUTAZIONE

RISPOSTA

RICEZIONE

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L’approccio educativo basato sullo sviluppo elle competenze pro sociali, tiene conto anche delle riflessioni di questi autori e tenta di comprenderne le conclusioni. Infatti la valutazione e considerazione della sfera emotiva possono condurre al raggiungimento degli obiettivi considerati per lo sviluppo delle attività didattiche.

Livello Caratteristica Alcuni verbi

Ricezione Sviluppo della consapevolezza di idee e fenomeni

Chiedere Seguire Rispondere

Accettare Preferire

Risposta Impegnarsi nelle idee

rispondendo ad esse

Rispondere Recitare Rappresentare

Riferire Scegliere

Seguire Esplorare Mostrare

Organizzazione e

Concettualizzazione

Iniziare ad armonizzare i valori interiorizzati

Organizzare Combinare Confrontare

Equilibrare Teorizzare

Caratterizzazione per valore

Agire secondo i valori interiorizzati

Distinguere Interrogare Rivedere Cambiare

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2. Prosocialità: le relazioni all’interno della classe- comunità per prevenire la violenza e la

radicalizzazione

2.1. Cosa intendiamo per “Prosocialità” e quale è il significato di tale termine applicato ai processo educativi

L’adolescenza di norma si caratterizza come un “periodo di tempesta e stress, spesso associato ad un più elevato rischio di assumere comportamenti negativi e dannosi per la salute” (Cfr. Ma vale la pena rischiare di aiutarti? Definizione dell’Assunzione dei Rischi Prosociali durante l'adolescenza, Kathy T.Do; João F. Guassi mareira, Eva H. Telzer)

Il tema delle relazioni fra la crescita degli individui e la sua transizione naturale fra infanzia, adolescenza ed età adulta, è al centro di molte riflessioni nell’ambito sia psicologico che pedagogico. A partire da Maria Montessori fino al dibattito attuale, gli sforzi degli studiosi continuano ad essere concentrati su come elaborare strategie per comprendere meglio i fattori che favoriscono il benessere dei ragazzi e alla positività delle loro relazioni soprattutto tenendo conto dello stato transitivo dei comportamenti e della definizione dei caratteri . L’adolescenza è in genere considerato un momento critico, di cambiamenti, di evoluzioni personali rilevanti che portano anche inquietudine e difficoltà a trovare un equilibrio personale e una stabilità nelle relazioni. Questi caratteri sono noti a tutti i genitori e a tutti gli educatori che si trovano quotidianamente a confrontarsi con essi.

Gli studi mettono in evidenza come si possano notare processi di trasformazione in senso orizzontale delle relazioni, con una evidente enfasi offerta alle dinamiche di gruppo (Hendry e Kloep, 2003).

Tuttavia, l'adolescenza è anche un momento di scelte e di opportunità. Nel corso dell’adolescenza come indica la psicologia sociale si richiede agli educatori di concentrasri sulla positività dei comportamenti o non solo sulla loro negatività, mostrando come essi interagiscono e variano nei diversi contesti sociali, per favorire la comprensione delle sfumature dei complessi fattori psicosociali e neurobiologici che influiscono sugli atteggiamenti degli adolescenti. In generale, la capacità di diventare meno egoisti e più utili al prossimo è stata considerata una peculiarità dell'età adulta, mentre è stata prestata meno

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attenzione allo sviluppo di comportamenti prosociali nel passaggio dalla fanciullezza all’adultità .

Occorre chiarire cosa intendiamo quando ci riferiamo al termine “prosocialità”. Con il termine Prosocialità si intende descrivere delle azioni volontarie a beneficio di un'altra persona, finalizzate a portare soccorso e aiuto, conforto e favorire la condivisione e l’empatia.

La maggior parte degli studiosi (Batson, 1998; Eisenberg, Fabes & Spinrad, 2006) intendeno come comportamento prosociale, qualsiasi comportamento volontario diretto a beneficiare altri esseri umani. Tuttavia, non esiste un univoca definizione accettata sia dalle scienze sociali che di quelle del comportamento. In genere, si cerca di offrire una definizione di carattere empirico con la finalità di circoscrivere quello che possiamo indicare come comportamento prosociale. Tale comportamento è rilevato in particolari situazioni relazionali in genere motivate dalla presenza di obiettivi specifici quali come ad esempio aiutare, donare e consolare (Caprara, 2006).

Mussen ed Eisenberg (1985) tentarono di offrire anche tenuto conto delle considerazioni espresse sopra di delineare una interpretazione a quei comportamenti che potevano essere collocati all’interno di questa categoria in base alle loro caratteristiche distintive, indicando che la prosocialità è “si tratta di un comportamento diretto ad aiutare o beneficiare un’altra persona o un gruppo di persone, senza aspettarsi ricompense esterne(Mussen & Eisenberg, 1985, p. 53).

Successivamente, altri autori hanno proposto definizioni alternative con l’intento di mettere in evidenza aspetti più specifici.

L’azione prosociale caratterizza quei comportamenti che, senza la evidenza di benefici o ricompense esterne, hanno l’obiettivo di favorire altri essere umani , o gruppi e che hanno anche il carattere indiretto di generare almeno in potenza una reciprocità positiva nelle relazioni e nei rispettivi comportamenti.

E’ dunque possibile andare anche oltre la definzione di atto prosociale e di valutare anche alcuni che sono stati deifniti “elementi costitutivi” dell’azione prosociale (Roche, 1995):

Emittente: che definisce l’individuo che stimola l’ azione prosociale a migliorare il benessere di un altro individuo o gruppo o a ridurre lo stato di disagio dell’ interlocutore.

Ricevente: colui che ottiene il beneficio dall’ azione

Azione: che presenta caratteristiche tali migliorare il benessere di un altro individuo o gruppo o a ridurre lo stato di disagio dell’ interlocutore.

Ambiente: l’insieme dei caratteri del contesto sociale e fisico, ma anche psicologico che possono avere un’influenza nello sviluppo dell’ azione prosociale.

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Situazione: è invece riferita alla condizione specifica del ricevente

Valori e norme sociali: comportamenti e regole dettai dal contesto che sia il ricevente che l’emittente devono o si sentono in dovere di rispettare

La Maggioranza degli autori che hanno concretato l’attenzione sul comportamento prosociale si sono focalizzati sulla considerazione che nel primo periodo di vita i bambini manifesterebbero una naturale tendenza “ultra-prosociale” (Jensen, 2014) del bambino. In seguito tale caratteristica subisce una profonda evoluzione e le competenze prosociali tendo ad essere compresse all’interno dei vari e differenziati sistemi di relazione. Alcuni autori (Dankmayer, 2019) sostengono che la competenze prosociali venga in qualche modo dimenticata o “disimparata” nel corso della vita. Per questa ragione si parla di ricostruzione della competenza facendo riferimento ad un processo di rigenerazione o di retro-analisi.

Per riassumere, il “comportamento Prosociale” può essere definito come un insieme di azioni volontarie volte ad aiutare o dare giovamento ad un'altra persona o gruppo di persone senza aspettarsi alcun beneficio in cambio. Queste azioni sono a favore del beneficiario, ma possono anche essere gravose per chi le compie. Pertanto può capitare di trovarsi di fronte alla decisione di aiutare gli altri anche sacrificando i propri beni o la propria integralità fisica.

Nel considerare il comportamento prosociale, le azioni esterne ed esplicite vengono enfatizzate, al contrario di quanto accade per le motivazioni interne ed implicite alla base di quelle azioni prosociali.

Si evince da quanto detto che l’origine del tema deve essere ricercata nello specifico ambito delle scienze psicologiche e comportamentali, tuttavia anche l’analisi dei sistemi di cooperazione ci offre serie ed interessanti spunti per la comprensione di tale fenomeno.

Possiamo fare riferimento ad esempio alla cosiddetta “teoria dei giochi”, che può essere considerata come uno dei maggiori contributi di economia sperimentale.

Questa teoria rappresenta lo sviluppo di procedure sperimentali (“giochi”) che valutano le preferenze umane in modo omogeneo. Questi giochi possono essere utilizzati per valutare le differenze tra persone, contesti e culture a livello comportamentale, fornendo spiegazioni ai comportamenti ed alle dinamiche di cooperazione/competizione.

Il nome “teoria dei giochi” deriva dal libro Theory of Games and Economic Behavior, pubblicato nei primi anni Quaranta da John von Neumann e Oskar Morgenstern, che rappresenta un tentativo di definire in termini matematici le modalità espresse dagli individui in termini di comportamento, quando l’obiettivo è quello di ottenere benefici da una determinata situazione. La teoria si applica quindi a una enorme varietà di potenziali scenari più o meno complessi, da una partita di carte al mercato ed alla serie di scambi economici. In questo caso

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è possibile applicare alcune regole della matematica per descrivere e in qualche modo prevedere l’esito di un gioco o di uno scenario economico reale.

La teoria dei Giochi analizza situazioni di carattere competitivo, nei giochi non cooperativi i giocatori non hanno la possibilità di stringere accordi vincolanti, a prescindere da quale sia il loro obiettivo (sono proprio le regole del gioco a impedire gli accordi). Ogni individuo partecipa a questi sistemi relazionali competitivi che definiamo “giochi” con l’obiettivo di fare sempre la cosa che lo porti ad avere il massimo del vantaggio per l’individuo o per il gruppo di appartenenza.

Cercando di semplificare al massimo questa situazione è riassunta da quello stato di relazioni fra i giocatori che viene definito “equilibrio di Nash” dal nome del matematico americano che lo identificò (John Forbes Nash, Jr. (Bluefield, 13 giugno 1928 – Monroe, 23 maggio 2015) è stato un matematico ed economista statunitense, fonte wikipedia)

Secondo Nash, la cui teoria può essere riassunta anche dalla famosa scena proposta dal film

“beautiful mind”, nasce un equilibrio quando si ha è “una combinazione di strategie in cui ciascun giocatore effettua la migliore scelta possibile ( strategia dominante ) sulla base dalle aspettative di scelta dell'altro giocatore. L'equilibrio di Nash è la combinazione di mosse, in cui la mossa di ciascun giocatore è la migliore risposta alla mossa effettuata dall'altro giocatore. Ogni giocatore formula delle aspettative sulla scelta dell'altro e, in base a queste, decide la propria strategia ( "fare il meglio per sé e per gli altri

Un equilibrio di Nash è un equilibrio stabile, poiché nessun giocatore ha interesse a modificare la propria decisione ( strategia ). Ogni giocatore trae l'utilità massima possibile dalle proprie scelte, tenendo conto della migliore scelta dell'altro giocatori” (fonte OKPEDIA) L’equilibrio viene raggiunto, dunque, quando i giocatori sono soddisfatti delle proprie posizioni e tendono conto delle posizioni degli altri giocatori.

Un carattere della cooperazione è anche quello che spiega il processo di valorizzazione del cosiddetto “capitale sociale”. Spostando la visuale sulle relazioni complesse fra individui e gruppi, è possibile che la ricerca si un equilibrio anche competitivo tenga conto non solo della crescita dei fattori economici e finanziari, ma anche relazioni sociali, e del valore di altri beni immateriali.

Se vista in questa prospettiva, più complessa ed articolata, l’azione è prosociale viene compiuta per promuovere un interesse generale e della Comunità. Questa esigenza di perseguimento del bene di Comunità afferisce anche ad un'area in cui le regole ed i valori vengono rispettati (anche se non si tratta di regole scritte o formalizzate come quelle

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espresse dalle leggi), ma sono comunemente accettate e garantiscono il benessere del gruppo sociale o della comunità di cui gli individui sentono di far parte.

Anche considerando questa prospettiva dell’equilibrio all’interno di sistemi di relazioni complesse, le azioni prosociali possono essere definite come:

 Aiuto fisico e psicologico

 Condivisione delle emozioni degli altri (empatia)

 Approccio metaverbale ai problemi degli altri per aumentare il senso di sicurezza

 Considerazione e valorizzazione delle differenze e dei punti di vista altrui

 Difendere gli altri da minacce

Sempre in questa prospettiva le azioni prosociali acquistano maggiore significato se riferite ad una dinamica specifica di Comunità. In questo testo è stata definita, come una Comunità Educante, mettendone in rilievo i caratteri specificamente riferiti al processo comune di educazione degli individui, tuttavia, è importante tener presente che il sistema delle relazioni sociali preso in considerazione dal concetto di comunità è caratterizzato anche dall'assunto che tutti gli attori sociali condividono gli stessi obiettivi educativi. Pertanto, i “conflitti educativi” vengono risolti o gestiti. O perlomeno è possibile affrontarli e prevenirli con alcuni strumenti condivisi e trasparenti.

Il carattere prosociale dei comportamenti è stato da alcuni autori anche messo in relazione con un sistema di relazioni più ampio e riferito a meccanismi complementari come la socializzazione o lo sviluppo cognitivo. Tuttavia, senza cadere nella tentazione di affermare che “tutto è prosocialità”, accogliamo ed analizziamo la tendenza storica ad utilizzare una definizione ampia di comportamento che potrebbe essere definito come prosociale, considerandolo ocme espressione di una competenza di relazione e che origina da fattori di diversità individuali come la gestione delle emozioni, la tendenza a generare/risolvere conflitti o l’autocontrollo.

Secondo la psicologa canadese Kristen Dunfield uno dei modi più naturali ed immediati per rispondere ad un un-put di carattere prosociale per dare giovamento ad un'altra persona è di intervenire quando essa affronta un'esperienza negativa. In quest’ottica, si può affermare che i comportamenti prosociali richiedono tre componenti:

 la capacità di immedesimarsi nella prospettiva di un’altra persona e riconoscere che essa ha un problema;

 la capacità di stabilire la causa del problema;

 la motivazione per aiutarla a superare il problema.

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Nell'esperienza quotidiana, quando ci accorgiamo che qualcuno soffre non siamo naturalmente portati ad indagarne le cause. Qualora e nella misura in cui siamo spinti ad una valutazione delle cause, siamo anche portati e motivati ad intervenire per confortare o cambiare la situazione in meglio. La capacità di attraversare ciascuna di queste fasi è necessaria, ma da sola non è sufficiente per generare un comportamento prosociale efficace;

se manca anche uno solo di questi elementi resta assai difficile pensare alla possibilità di un intervento efficace.

2.2. La dimensione educativa della Prosocialità per una scuola intesa come Comunità di allievi, genitori ed educatori

Quello che noi intendiamo come processo di istruzione, accettandone le sue derivazioni anche formali, presenta evidenti elementi di pressione dovuta alla percezione globale dello

“stare a scuola”, alla sempre più evidente necessità di confrontarci con la didattica per competenze e alle varie accezioni culturali che ne sottendono la trama concettuale. Se però proviamo a pendare la scuola come comunità, come si accennava nel capitolo precedente, anche lo stesso concetto di Comunità, che come sottolinea Bauman nel suo celebre “voglia di Comunità “questa è la nostra sensazione - è sempre una cosa buona.” Assume altri significati se si tratta di mettere in evidenza chi di tale comunità può dirsi o non dirsi membro. Ci dice ancora il sociologo che “Significati e sensazioni di una parola non sono, ovviamente, indipendenti gli uni dalle altre. «Comunità» suona bene per i significati che tale termine evoca, i quali sembrano tutti promettere piaceri, e spesso il tipo di piaceri di cui vorremmo tanto godere e che ci sembrano invece irraggiungibili.” (p.23).

Nell’epoca dei social media è ancora possibile concepire e comprendere il significato dell'essere membri di una Comunità? Oppure la comunità è cambiata e rappresenta qualcosa di nuovo e globale? L’impatto di un tentativo di risposta a queste domande è assai rilevante per il mondo dell’istruzione e la relativa risposta può aiutare gli educatori ad indirizzare il proprio lavoro nella giusta direzione.

Il sociologo Marshal McLuhan, un teorico dei media e della comunicazione, ha coniato il termine “villaggio globale” nel 1964 per descrivere il fenomeno secondo cui la cultura del mondo si restringe e si espande contemporaneamente a causa degli incessanti progressi tecnologici che consentono una condivisione istantanea della cultura.

McLuhan afferma che è possibile ed inevitabile diventare abitanti di un villaggio globale, con la consapevolezza dei rischi di conflitti tra culture che questo stato può rappresentare,

(20)

soprattutto se provocati dalla frammentazione della cultura dominante che rappresentava un elemento confortevolmente conosciuto che ha come conseguente status la potenziale creazione di culture ibride.

Nel suo elaborato più celebre, “Gli strumenti del Comunicare”, del 1964 (Understanding Media: The Extensions of Man), il sociologo afferma e definisce l’impatto dei media sul sistema di relazioni culturali di un Paese, identificando la strategia di analisi che verte non tanto sui contenuti che essi veicolano, ma sulla definizione dei criteri strutturali con cui organizzano la comunicazione. In genere questa posizione è sintetizzata nella celebre frase "il medium è il messaggio".

Per McLuhan il contenuto della informazione ha in realtà un effetto non rilevante sulla società o sulla Comunità, rilevante è invece il tema della tecnica di comunicazione e della sua struttura. In tempo di ipertrofia mediatica occorre anche affermare e constatare, come fa il filosofo tedesco Han che "Lo sciame digitale non crea un "pubblico". Non conduce al dialogo o al discorso, che è il cuore di una democrazia. Una vera comunità democratica non è né massa né sciame, ma un pubblico che discute. Non a caso, il Partito Pirata in Germania si è liquefatto.

Volevano essere un anti-partito, ma poi si sono dovuti organizzare come i vecchi partiti. Il mezzo digitale distrugge le basi della comunità e della cittadinanza". (Repubblica, 22 aprile 2015)

Anche se guardassimo con estrema diffidenza questa posizione radicale certo viene d chiedersi come la scuola è certamente di fronte alla sfida posta dal problema dell’identità culturale e quando McLuhan presentò la propria idea di “villaggio globale”, questo concetto sollevò già quaranta anni fa un certo dibattito

Infatti, possiamo vedere esempi di globalizzazione culturale nella vita di tutti i giorni e internet ha evidenziato l’impatto positivo e negativo della nuova comunicazione tramite social media sulle altre culture del mondo.

Possiamo preoccuparci del fatto che i Paesi con più potere economico abbiano la possibilità di controllare gli standard culturali ai quali si adeguerà il resto del mondo. Per il mondo dell’istruzione un’importante conseguenza di questa diffusione degli standard culturali è che gli educatori devono essere preparati ad affrontare le sfide poste dalla conservazione della diversità culturale come risvolto positivo dell’incontro tra civiltà. In ogni caso, gli sforzi devono incentrarsi sulle nuove abilità e competenze richieste da questa situazione. Dobbiamo essere in grado di capire e accettare l’impatto delle altre culture, senza perdere la nostra dimensione identitaria e culturale.

(21)

3. La Prosocialità è un concetto pedagogico:

conseguenze e strategie

Molti educatori mostrano serie preoccupazioni in merito al tema del bullismo e delle aggressioni. È altresì importante promuovere delle alternative positive - sentimenti e comportamenti prosociali da parte dei bambini verso il prossimo - alle diffusissime immagini di violenza e ostilità proposte dai media.

La risposta a questo atteggiamento generalizzato può essere rappresentata dalla promozione dei comportamenti Prosociali, che possono comprendere la cooperazione, l’integrazione degli altri nel gioco, fare un complimento o consolare un bambino triste.

Questi comportamenti devono caratterizzarsi per la loro volontarietà. Se i bambini vengono obbligati a “essere gentili e condividere” o gli viene imposto di “chiedere scusa”, il loro comportamento non è volontario e non può considerarsi prosociale. L'approccio prosociale implica ed enfatizza che lo sviluppo prosociale di un bambino può essere favorito attivamente senza alcuna forzatura.

3.1. Come gli educatori possono promuovere attivamente la Prosocialità

Gli educatori possono promuovere lo sviluppo prosociale creando delle relazioni sicure, costruendo delle comunità all’interno della classe, modellando il comportamento prosociale, stabilendo delle aspettative prosociali e aiutando le famiglie.

Le principali aree pedagogiche sono:

a)

L’aula scolastica, un luogo dove è facile essere felici

Quando gli insegnanti creano volontariamente delle relazioni sicure, facendo sentire i bambini al riparo all’interno delle proprie classi, essi possono contribuire positivamente al loro benessere. I bambini che crescono in una famiglia prosociale tendono ad avere maggiori attenzioni verso i loro pari. È comprovato che i bambini piccoli con relazioni affettive ed un attaccamento ai propri genitori e insegnanti hanno più probabilità di essere empatici e prosociali (Kestenbaum, Farber & Sroufe, 1989; Zhou et al. 2002; Campbell & von Stauffenberg 2008), plausibilmente perché i bambini tendono di più a notare e copiare il comportamento degli adulti con cui sentono di avere un legame stretto.

(22)

Per quanto riguarda l'esperienza ed il ruolo degli insegnanti, a prescindere dall'attaccamento del bambino ai genitori, quando gli insegnanti instaurano delle relazioni sicure ed affettive con i bambini, questi ultimi mostrano maggiore empatia e hanno comportamenti positivi nei confronti degli altri all’interno dell’aula. (Pianta & Stuhlman 2004; Spinrad & Eisenberg 2009).

Gli insegnanti possono sviluppare delle relazioni positive e prosociali avvalendosi di

“piccole” strategie pedagogiche (per lo più intuitive): rispondere in modo sensibile alle esigenze quotidiane dei bambini, interagire supportandoli a livello emotivo, ascoltare e conversare con sincera attenzione.

b)

Le radici della Comunità sono nell'aula scolastica (dalla classe al Villaggio educante) Il primo passo per ricostruire il “villaggio” - inteso come un sistema di relazioni solidali - è la creazione di una comunità solidale di allievi. Così come dei rapporti educativi affettuosi generano le abilità prosociali dello studente, anche essere un membro di una comunità didattica affiatata può favorire lo sviluppo prosociale.

Gli esseri umani sono creature sociali, e anche dei minimi cambiamenti negli ambienti sociali dei bambini possono renderli maggiormente consapevoli del loro legame con il gruppo.

“È stato provato che i bambini che passano del tempo con compagni di classe prosociali hanno più probabilità di diventare anch’essi prosociali; nel tempo, essi adottano le norme più collaborative e solidali dei propri pari” (Eisenberg, Fabes & Spinrad 2006).

Tuttavia, di solito i bambini meno prosociali tendono a passare il tempo insieme, avendo dunque minori opportunità di imparare dai compagni di classe maggiormente prosociali.

Si può suggerire agli insegnanti di contrastare attivamente la separazione tra bambini meno e più prosociali, accoppiando e mischiando gli allievi nell'ambito di varie attività (Bordova &

Leong 2007), facendo sì che i bambini abbiano maggiori possibilità di entrare in contatto con i comportamenti prosociali ed empatici degli altri.

c)

Apprendere il comportamento prosociale dagli adulti: esempi

Se un adulto (un insegnante o un educatore) è prosociale e reattivo, gli studenti tenderanno a notare ed imitare alcuni aspetti del suo comportamento. Dunque, gli insegnanti in possesso di queste qualità hanno buone possibilità di generare negli studenti dei comportamenti empatici, collaborativi, solidali e generosi, mettendoli in pratica in prima persona. Le opportunità si presentano ogni giorno: essere amorevolmente premurosi quando un genitore si ammala; offrire dei materiali che aiutino lo studente a terminare un progetto. Per sottolineare questo processo, gli insegnanti possono commentare ciò che stanno facendo e perché lo stanno facendo (“Hai qualche difficoltà con quello. Che ne dici se ti aiuto? Sono contento di aiutare gli studenti quando ne hanno bisogno.“). Gli insegnanti possono altresì

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promuovere queste competenze perfezionando la propria gentilezza e considerazione nelle interazioni con i colleghi e le famiglie.

d)

Essere chiari con i bambini (nella nostra comunità la Prosocialità deve essere il mezzo tramite cui interagiamo con gli altri)

Gli adolescenti tendono a sviluppare abilità empatiche e prosociali se gli adulti indicano che se le aspettano (senza alcun obbligo) da loro. Chiedere gentilmente agli adolescenti di essere collaborativi e generosi risulta essere uno stimolo efficace e spesso necessario per un comportamento prosociale (Eisenberg, Fabes & Spinrad 2006).

A volte gli adulti potrebbero pensare di dover articolare maggiormente le loro richieste, ma i bambini - in particolare quelli più piccoli - potrebbero aver bisogno di suggerimenti e segnali chiari.

In molte culture, comprese molte di quelle non occidentali, spesso ci si aspetta che i bambini aiutino la famiglia, si prendano cura di fratelli e sorelle, condividano con loro i propri giocattoli, ed in generale che siano membri molto collaborativi della comunità. Gli insegnanti possono notare delle differenze tra i comportamenti dei bambini dovuti alle aspettative prosociali influenzate culturalmente dalle famiglie e possono vedere questi comportamenti riflessi nei giochi di fantasia e nelle interazioni con i pari. Quando una classe è composta da bambini che crescono all’interno di queste culture, gli altri bambini potrebbero essere in grado di imparare modi più collaborativi e solidali di relazionarsi con i propri pari.

(24)

4. Promuovere e creare le competenze che si

riferiscono alla rosocialità nelle Scuole Secondarie

Anche se la letteratura indica come lo sviluppo del comportamento prosociale ha origine sin dai primi anni di vita, ma continua e prende forme magari diverse anche nelle altre stagioni della vita, compresa quella che si riferisce all’età adulta. Per alcuni autori è la matrice biologica ad essere prevalente (Burleson, 1994), per testimoniare la relazione fra la prosocialità dei comportamenti e lo sviluppo del sistema nervoso. Si evidenza, dunque, una forma di propensione alla prosocialità, che è tuttavia, come riconoscono anche coloro che enfatizzano la matrice bio-neurologica variabile, dovendosi tali variazioni a fattori ambientali, sociali e di relazione che intervengono nello sviluppo personale e relazionale dei bambini e degli adolescenti apportando forme diverse alla serie di atteggiamenti e reazione verso gli altri individui.

Come mostrano la maggior parte degli studi (Brownwll & Carriger, 1990; Hay, Castle, Davies, Demetriou & Stimson, 1999; Rheingold H. L., Hay & West, 1976; Zahn-Waxler, Radke-Yarrow, Wagner & Chapman, 1992) focializzati sul tema del sviluppo del comportamento prosociale una matrice primitiva di prosocialità si manifesta quasi da subito e comunque già in età prescolare prendendo la forma di approcci sociali generati dalla offerta di conforto, o rapporto fisico tattile o dalla offerta di cibo. Dopo un anno si registrano tentativo sempre più consapevoli e meno istintivi. Con il procedere dello sviluppo cognitivo, aumenta lo stimolo che supporta la percezione e la consapevolezza dell’altro come microcosmo sociale aggiungendosi con la consapevolezza anche una percezione sempre più profonda dei sentimenti e dei valori diversi dai propri.

Secondo Bryan e London (1970) all’inizio della vita, lo sviluppo l’età è un fattore positivo in termini di prosocialità, poiché tale percezione e comportamento, che viene definito genericamente “solidale” cresce nei primi anni di vita fino all’adolescezna. Tanro che alcuni autori parlano anche di un aumento nella predisposizione all’ azione prosociale (Fabes, Carlo, Kupanoff & Laible, 1999; Fabes & Eisenberg, 1996).

Accanto a questa osservazione generale che conduce ad un elemento di variabile crescente positiva dei comportamenti prosociali, altri elementi comunque testimoniano già in questa fase della vita fino ai sei anni almeno, un parimenti crescente elemento di variabilità individuale, dovuto come sostengono alcuni a fattori terzi, quali l’ambiente e le condizioni di vita, oltre che dalle espwerienze Oltre a questi fattori che causano variabilità è importante

(25)

sottolineare il fatto che il comportamento prosociale in sé è un concetto ampio e multisfaccettato, all’interno del quale possono essere contemplati comportamenti diversi, che nonostante siano correlati gli uni con gli altri (Dlugokinski & Firestone, 1973; 1974; Rusthon, 1980), è opportuno specificare che i loro nessi possono modificarsi al variare dell’età dei bambini (Hay, 1994; Jackson & Tisak, 2001) ed essere ulteriormente influenzati da variabili cognitive o situazionali.

Soprattutto nel periodo di transizione dall’infanzia all’adolescenza, la relazione con l’età dipende dalla specifica forma di comportamento che viene indagata e dal modo in cui essa viene operazionalizzata, in quanto questo periodo è caratterizzato da una maggiore sofisticazione cognitiva e dall’arricchimento del repertorio comportamentale dell’individuo.

Non è quindi possibile tracciare un’unica traiettoria di sviluppo e ritenerla come universalmente valida e generalizzabile a tutti i soggetti appartenenti alla popolazione (Vecchione & Picconi, 2006).

Nella fase successiva, quella dell’adolescenza come ci ricorda Erikson si verifica una trama di processo identitario che si genera tra l’infanzia e l’eta adulta, tra il mondo infantile e la societa aperta ai conflitti e alla necessità di conseguenti mediazioni. Gli adolescenti hanno bisogno di essere riconosciuti dalla comunità come apportatori di nuova linfa vitale e “solo dopo essere stati approvati a loro volta riconoscono la societa come un processo vivente, che ispira lealta via via che la riceve, conserva la fedelta via via che l’attira, onora la fiducia via via che la richiede” (Erikson, 1974, 286).

Questo passaggio ci dice l’esperienza comune è spesso repentino ed la reciprocità del riconoscimento degli adolescenti e della società/comunità presuppone un “l’ego attivo e selettivo” , nel corso di questo processo di definizione identitaria spesso i ragazzi adolescenti maturano reazione estreme e abbandonano l’istintiva dimensione prosociale anche in modo piuttosto radicale, aderendo a processi mentali di disconoscimento dell’altro o di variazioni conflittuali con il “diverso”. E’ questa una fase nel corso della quale i ragazzi possono diventare più isolati, meno propensi a forme di “messa in comune” o aderire nei casi peggiori a forme estreme anche ideologiche che sembrano soddisfare questo bisogno identitario.

L’impressione che si ha spesso è quella di una competenza sociale che venga “disimparata” e che si verifichi la necessità di una riproposizione anche radicale e di una forma di rieducazione sociale rispetto alla quale la scuola gioca un ruolo fondamentale.

La diffusione di episodi di bullismo fra adolescenti è generalmente l’elemento sociale più evidente della necessità di intervenire con specifici strumenti di carattere psico-social.

Tuttavia, tali epifenomeni sono si potrebbe dire una punta estrema di un sottobosco emotivo

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che coinvolge molti adolescenti e che rappresenta un elemento negativo per la percezione del benessere a scuola. Anche se la letteratura ha cercato di verificare in modo più attento ipotesi sociali di episodi di violenza, la sensazione di isolamento che i ragazzi percepiscono e che provoca loto una sensazione di disagio non sono dovute e specifici casi ma spesso a condizione diffuse di isolamento o di malessere che ha un’origine relazionale. Per fare un esempio, Swearer et al. (2006)1 hanno sviluppato un “modello socio-ecologico di bullismo”

basato sulla teoria socio-ecologica di Bronfenbrenner (1979). Secondo questo modello vi è una complessa relazione tra emozioni e comportamento individuale (dei bulli, delle vittime, dei bulli-vittime e delle varie tipologie di presenti), il gruppo dell'aula scolastica, la scuola in quanto cultura organizzativa, la comunità diretta e la più ampia società/cultura.

Esiste dunque un legame fra vari fenomeni di isolamento sociale, alla quale famiglia il bullismo sembra appartenere e la gestione di una complessa fase di passaggio che è tipica dell’adolescenza. In questa fase come descritto dal modello socio-ecologico, Swearer et al. Ci sono evidenti caratteri che distinguono in modo netto l’ambiente sociale delle scuole secondarie da quello delle scuole primarie. Il contesto variato descritto da tali autori è decisivo per tutta una serie di reazioni sociale e ha come conseguenza processi di formazione di nuovi gruppi, sperimentazione della sessualità, sperimentazione dell’autonomia e consapevolezza della propria differenza sia di stato sociale che sessuale. Questo avviene in un ambiente, le scuole superiori, dovesi registra spesso una tendenza a trascurare le emozioni e le variazioni negli atteggiamenti se non espressi in termini di richiamo alla categoria della disciplina. Proprio in questa delicata fase di passaggio accade che le competenze prosociali vengano “disimparate” come accennato nel corso di questo capitolo e la scuola non attiva strategie conseguenti di supporto pedagogico, proprio nel momenti in cui sarebbe più forte l’esigenza.

4.1. Il Passaggio verso le scuole superiori: un ambiente socialmente più complesso

Come sappiamo le scuole superiori sono più grandi e con più studenti rispetto alle elementari, gli studenti in genere non si trovano sempre all’interno dello stesso gruppo con un solo insegnante e non sono sempre seguiti in momenti di relax o in momenti di pausa. In questi

1 Swearer, Susan; Peugh, James; Espalaga, Dorothy; Siebecker, Amanda; Kingsbury, Whitney; Bevins, Katherine (2006). Un Modello Socio-Ecologico per Interventi di Lotta al Bullismo nella Prima Adolescenza: Un’Analisi Esplorativa. In: Jimmwerson, Shane &

Furlong, Michael (ed.) Il Manuale della Violenza e della Sicurezza Scolastica: Dalla Ricerca alla Pratica. New Jersey: Lawrence Erlbaum Associates.

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momenti (la mensa, lo sport, la ricreazione) è più alta l’incidenza di fenomeni di bullismo o di aggressione. I ragazzi sono chiamati a gestire le loro relazioni con maggiore autonomia e questo può generare un senso di insicurezza tra gli studenti ed un maggiore stress nell'affrontare la nuova situazione.

Un elemento determinante è rappresentato dai Processi di formazione di nuovi gruppi

L'ambiente più diretto e circoscritto delle scuole elementari, caratterizzato da gruppi che stanno assieme per almeno un anno, ma spesso per tempi più lunghi, assieme agli stessi insegnanti, consente di creare un gruppo stabile e sicuro in cui i ruoli sono chiari e vi è un basso livello di concorrenza relativo allo status all’interno del gruppo. Il clima classe è determinante sin dalle elementare e la dinamica di gruppo è assai rilevante (Renati, Zanetti, Psicologia e scuola, 2009), anche il ruolo di facilitazione del docente non è certo ininfluente.

La qualita del contesto sociale classe è definibile sulla base di alcune caratteristiche condizionanti che vanno al di là delle specifiche relazioni individuali di studenti e insegnanti e delle loro personali percezioni. Alcuni autori hanno tentato di definire meglio alcuni di questi elementi (Creemers e Reezigt (1999) elencandone quattro che hanno definito diretti 1) le aspettative riguardo ai risultati degli studenti (sia quelle degli insegnanti che quelle degli studenti); 2) l’ambiente ordinato in classe; 3) le buone relazioni in classe a livello orizzontale (gruppo dei pari) e verticale (alunno-docente); 4) l’ambiente fisico della classe.

Queste considerazioni valgono in generale per tutti gli ambienti scolastici ma appare evidente che definirne i contorni nella scuola primaria è più agevole sian per l’organizzazione scolastica, che per i docenti. Il clima classe che è funzione della «[...] rete di relazioni affettive, dalle molteplici motivazioni a stare insieme, dalla collaborazione in vista di obiettivi comuni, dall’apprezzamento reciproco, dalle norme e modalità di funzionamento del gruppo (Polito, 2000, p. 50) e quindi determinato anche ed in modo consistente, dal tipo di

“interazione che viene a crearsi tra gli studenti e l’in- segnante, oltre che da altre variabili piu oggettive come l’ambiente fisico e sociale” (Renati, Zanetti).

Nelle scuole superiori, gli studenti devono subito confrontarsi con la presenza di vari e nuovi gruppi, all’interno dei quali sono più frequenti i conflitti generati dalle sfide per lo status e la posizione all’interno del gruppo e nei confronti dell’insegnante. Anche dai processi di formazione del gruppo mal riusciti portano a quelle che gli insegnanti chiamano “classi difficili”

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4.2. Pubertà e adolescenza: due passaggi essenziali della vita sociale dei ragazzi

La scuola superiore coincide dunque con il periodo della loro pubertà e adolescenza. La pubertà ha degli effetti a livello ormonale e fisico che rendono i giovani meno sicuri e li spingono ad imitare dei modelli che sembrano offrire autostima e popolarità. Questi modelli sono spesso esempi stereotipati di celebrità e di comportamenti etichettati come maschili e femminili. Nel loro tentativo di essere “accettabili”, i giovani possono spingersi al limite nel tentativo di imitazione del comportamento stereotipato: ad esempio i ragazzi possono agire in modo eccessivamente “maschile” utilizzando varie forme di intimidazione e violenza fisica per provare il loro “valore”, mentre le ragazze possono agire in modo molto “femminile”

avvalendosi del trucco, di manovre di seduzione, amicizie strategiche e pettegolezzi per incrementare la propria popolarità. I ragazzi e le ragazze tendono a maltrattare gli altri studenti che non si conformano a questi stereotipi (“controllo del genere”); i ragazzi che si insultano dandosi del “gay”, o le ragazze che si danno della “puttana” ne rappresentano un esempio. Le strategie di autosviluppo di entrambi i generi possono portare al bullismo, soprattutto quando gli studenti sono dotati di poca autostima e di capacità reazione sottosviluppate.

1. Sperimentare in autonomia

L'adolescenza è altresì caratterizzata da un crescente senso di autonomia. Mentre i bambini delle scuole elementari tendono più o meno a copiare lo stile di vita e le opinioni dei propri genitori, nelle scuole superiori gli adolescenti si sforzano di individuare come e perché si differenziano gli uni dagli altri, ed in particolare quale è la loro posizione nei confronti delle figure autoritarie. A 11-12 anni, il cervello dei ragazzi gli consente per la prima volta di riflettere sulle opinioni degli altri e di controbattere ad esse con le proprie. Questo sviluppo gli consente anche per la prima volta di comprendere davvero l’empatia, nel senso che sono in grado di immaginare come si sentirebbero se si trovassero nella posizione di qualcun altro.

Questa nuova capacità, ma anche l’impulso che li spinge a sperimentare la propria autonomia ed a mettere in discussione lo status quo, li porta a confrontarsi con un disorientante insieme di nuove e vecchie situazioni e posizioni. Questo scenario sperimentale adolescenziale rappresenta un terreno fertile per la nascita di conflitti e in certi casi del bullismo, ma anche per lo sviluppo di amicizie e relazioni più solide (a livello pratico ed erotico).

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4.3. Tendenza tradizionale delle scuole superiori a trascurare le emozioni e gli atteggiamenti

Molte scuole superiori non sono al passo con questi processi. Sostanzialmente, le scuole superiori si concentrano principalmente sul “trasferimento” della conoscenza e delle competenze, come se esse fossero qualcosa che si può apprendere in modo neutrale. Vi è invece molta meno attenzione, o a volte persino un'avversione all'analisi pedagogica e disciplinare delle emozioni e degli atteggiamenti. La relazione NESET II sulle strategie di contrasto al bullismo in Europa (2017) suggerisce che gli accademici ed i professionisti del settore educativo collaborano maggiormente con gli accademici ed i professionisti del settore sanitario, poiché quest’ultimo è all'avanguardia nello sviluppo di metodi che supportano comportamenti e culture organizzative in modo efficace. Nell’ottica tradizionale, il

“trasferimento” della conoscenza accademica richiede che gli studenti stiano seduti in silenzio, ascoltino e siano educati nei confronti dell’insegnante, senza contraddirlo. Per monitorare e controllare questo tipo di comportamento, vengono sviluppate delle politiche scolastiche. Le priorità a livello europeo e nazionale per la promozione delle “competenze del XXI secolo” (creatività, autonomia, avere delle proprie opinioni, essere in grado di gestire situazioni di conflitto, essere tolleranti e flessibili) godono di un impegno a livello politico, ma è difficile integrarle in modo effettivo all’interno di scuole che mantengono un orientamento tradizionale.

4.4. Limitata capacità delle scuole superiori di sviluppare una cultura scolastica omogenea di supporto

I ricercatori hanno evidenziato che spesso gli studenti non credono che la cultura scolastica (in particolare quella delle superiori) sia molto d’aiuto. Molti insegnanti concordano con gli studenti su questo punto, anche se tendono a perdere di vista molti eventi pericolosi che si verificano nelle scuole. La mancanza di sicurezza all’interno di una scuola è strettamente collegata alla comunità diretta che la circonda. Gli studenti sono maggiormente influenzati rispetto alle scuole elementari da questi valori e comportamenti comunitari, poiché, in quanto adulti emergenti, passano sempre meno tempo a casa e più all’interno della comunità. I quartieri più poveri riducono la sicurezza all’interno di una scuola e portano a minori comportamenti prosociali (fs parte della classe media). Il comportamento prosociale di strada è legato alla lotta per mantenere il proprio status ed è maggiormente intriso di stereotipi di

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genere rispetto ai valori prosociali della classe media. Nelle scuole dei quartieri poveri, i pericoli effettivi, come il possesso di armi da fuoco, i furti e la violenza verbale, e la sicurezza percepita sono inferiori. Ad esempio, gli insegnanti di scuole con una cultura relativamente pericolosa potrebbero pensare che il bullismo sia un aspetto “normale” ed inevitabile della scuola e non immaginano che sia possibile creare una cultura scolastica priva di bullismo. Per di più, il ristretto orizzonte di molte scuole, che si incentra sulle prestazioni accademiche e la prevenzione dell'abbandono scolastico, non consente ad esse di adottare un approccio più pedagogico alla prosocialità e alla cittadinanza. Infine, in molti Paesi, la dirigenza delle scuole è affidata ad insegnanti che vengono promossi al ruolo di preside. Sebbene degli insegnanti esperti possano disporre di ottime qualità in termini di leadership pedagogica, essi tendono a non avere molta esperienza in termini di innovazione a livello organizzativo. Lo sviluppo sistematico di una scuola con centinaia di dipendenti verso una strategia maggiormente prosociale e olistica potrebbe andare oltre le loro competenze.

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5. Un approccio prosociale alla polarizzazione

Abbiamo rimarcato che la “radicalizzazione” rappresenta una situazione in cui uno studente sviluppa idee politiche o religiose fortemente in contrasto con le aspettative della scuola e delle tendenze dominanti. Sarebbe bene rendersi conto che la sperimentazione di varie idee e ideologie è un diritto fondamentale nelle democrazie e che gli studenti hanno bisogno di aiuto per esplorare le idee in modo prosociale. Seguire questo approccio che demonizza alcuni gruppi o ideologie è pericoloso e limita la capacità degli studenti di imparare a pensare al di fuori degli schemi convenzionali e dell’opinione comune. Inoltre, un approccio demonizzante tenderà ad isolare gli studenti ed a restringere le loro fonti di informazione a quelle estremiste.

Il modo migliore che hanno gli insegnanti per relazionarsi con questo tipo di espressioni

“radicali” è l'essere curiosi e prendersi cura dello studente. Scambiando reciprocamente delle vedute nell’ambito di un dialogo su sensazioni ed idee, le ideologie astratte e apparentemente invincibili possono essere discusse, in base al livello al quale intendiamo interagire quotidianamente gli uni con gli altri in termini prosociali. In tal modo sarà possibile disarmare ideologie violente e non sociali.

Gli studenti possono esprimere alcune opinioni estreme in modo polemico. Questo fa parte dell'adolescenza e le espressioni polarizzate fanno parte di un processo di sviluppo nell'ambito del quale essi capiscono quali ideologie ed azioni più si addicono a loro. Può essere un compito difficile per gli insegnanti, che non sono immuni all’istinto di attacco o fuga; quando vengono provocati è naturale che essi si sentano minacciati in una certa misura e che il loro primo istinto sia quello di reagire con un insulto (attacco) o di ignorare i commenti (fuga). Gli insegnanti devono imparare a riconoscere questo impulso per reagire e resistere ad esso. Anche gli studenti polarizzati provano paura e rabbia, e per gestire le emozioni legate all’istinto d’attacco o fuga, è necessario superare il primo. Non rispondendo in modo istintivo, l’insegnante esemplifica i meccanismi di coping degli “adulti” nel gestire la paura, la rabbia e la polarizzazione. Mostrando un interesse nei confronti degli studenti, a prescindere da quanto essi possano essere provocatori, gli insegnanti incarnano il modello della prosocialità al lavoro in micro-situazioni.

Una volta affrontate le emozioni più pericolose ed avviato un dialogo, iniziano i processi cognitivi. È importante analizzare assieme agli studenti da dove vengono i sentimenti e le idee, perché si trovano lì e cosa intendono fare. In queste conversazioni, la posizione svantaggiata, reale o immaginaria, degli studenti e della loro comunità diverrà più chiara. Nel

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