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Un laboratorio espressivo

Nel documento CEnto stelle 1O (pagine 28-34)

Marina Sogni

Mi era stato chiesto un intervento, quale esperta, mediante il quale rinforzare Italiano con un’attività che fosse parallela e altra rispetto a quelle curricolari condotte dall’insegnante di riferimento. Si richiedeva quindi una progettazione particolare di potenziamento, le cui tecniche e modalità si discostassero da quelle abitualmente utilizzate in un regolare percorso didat-tico decisamente più restrittivo per tutto ciò che esso comporta.

Dato che mi era concessa carta bianca, avrei potuto attingere da tutte le attività, i laboratori, i progetti, gli aggiornamenti che nel corso dei miei anni di in-segnamento avevo proposto alle classi e che mi si presentavano alla mente in modo ampio-spaziale. Una volta rifl ettuto, ho però considerato che la mia posizione all’interno della classe era delicata: sarei stata insegnante di Italiano, ma non di classe, e avrei dovuto avere come collaboratrice l’insegnante nomi-nata che, seppur di scarsa esperienza didattica nella scuola Media, era preparata e aveva pensato ad una sua programmazione scegliendo i contenuti che consi-derava importanti. Per questo, ho ritenuto opportuno avvicinarmi alla classe con un lavoro che si svolgesse con metodi alternativi, che affrontasse in modo uni-tario le articolazioni varie in cui si snoda la disciplina di Italiano e in cui quanto proposto dai testi potesse rivestire sicuramente valenza didattica, ma fosse prin-cipalmente strumento di lavoro, mezzo con cui giun-gere ai risultati posti e non esso stesso il fi ne ultimo dell’insegnamento.

Era mia prima intenzione progettare un laboratorio espressivo di scrittura creativa che avesse come perno la poesia nel signifi cato primo del termine: “fare, cre-are, produrre”. La classe si mostrava però irrequieta e non incline ad accogliere tutti indistintamente e in

ugual modo. Si avvertiva l’esigenza di dare spazio alle emozioni e di defi nire un ambiente in cui ognuno trovasse il proprio luogo, anche gli alunni più fragili. Consapevole del fatto che lo star bene a scuola pro-muove sani comportamenti, che la classe deve divenire un gruppo-classe, luogo di incontro e di confronto, di rispetto e di accettazione e che, se la classe non assume un suo proprio assetto di stabilità, non si apre quell’ambito in cui le discipline possano trovare spazio di svolgimento, mi sono orientata verso un laborato-rio in cui si privilegiasse la costruzione di un equili-brato gruppo-classe, luogo di ascolto, accettazione, confronto, un laboratorio incentrato sull’animazione in cui gli alunni potessero esprimersi e trovare le parole per farlo e in cui fossero posti in risalto le emozioni e i sentimenti e ciò che è ad essi correlato.

Mi sono quindi occupata di educazione e di intelli-genza emotiva (“la capacità di riconoscere i nostri sentimenti e quelli degli altri, di motivare noi stessi, e di gestire positivamente le nostre emozioni tanto interiormente quanto nelle relazioni sociali”), le quali hanno implicato mirate strategie e modalità sul piano didattico con le quali porre in atto non solo gli oggetti del sapere, ma anche saperi organizzativi e relazionali,

L’articolo presenta i tratti fondamentali e un esempio di un’e-sperienza didattica di natura laboratoriale che si è avvalsa di metodologie proprie dell’animazione. Ideata per una classe prima tempo prolungato di una scuola Secondaria di I grado, si è svolta nell’arco di un anno per due ore settimanali concentrate in un pomeriggio. La descrizione completa dell’esperienza e tutta la do-cumentazione è stata pubblicata nel volume M. Sogni, Il nostro

laboratorio espressivo. Emozioni sentimenti parole. Un laboratorio

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che hanno portato a quella che si può defi nire contami-nazione degli stessi. Il presente lavoro lo dimostra chia-ramente. Le serie di lezioni, infatti, rientrano in ambiti differenti: linguistico, espressivo, affettivo-relazionale e, all’interno di esse, i confi ni tra le varie proposte didattiche non sono nitidi, dato che variamente con-vergono grammatica e potenziamento lessicale, etimo-logia e linguistica, costruzioni di schemi e di mappe concettuali, poesie e produzioni personali, elementi di narrazione e di descrizione, strategie di lettura e di scrittura, rifl essioni e considerazioni sull’esperienza e sulle azioni, valutazioni e proposte, prese di coscienza e di decisione.

Il laboratorio ha comunque un proprio chiaro assetto logico, avendo un organico fi lo conduttore, ovvero l’espressione di sé dei singoli alunni e del gruppo-classe che essi vanno a comporre. Modulare e trasver-sale nella struttura, si compone di un susseguirsi di “mondi” nei quali gli alunni sono stati gli attori, gui-dati dall’insegnante-regista che impartiva le direttive. Ecco quindi che da un mondo di oggetti, con i quali gli alunni si sono presentati, si passa ad un mondo di

sen-sazioni e stati d’animo, che gli oggetti rappresentano,

per giungere a un mondo di emozioni, nel quale sono state messe in luce: la dolcezza, la rabbia, la gioia e la felicità. Un mondo di relazioni è lo scenario in cui si è affrontato il problema di gestire le relazioni interper-sonali. Le lezioni di tipo più specifi camente linguistico sono state racchiuse in un mondo di parole, parole che sono state gli strumenti primi utilizzati dagli alunni per esprimersi ed esprimere se stessi, così come sono i tasselli del linguaggio dei poeti, alcuni dei quali con

le loro composizioni sono stati guida per il percorso linguistico-espressivo.

Il laboratorio, così strutturato e sviluppato, si allontana dalle usuali pratiche didattiche essendo stato ricercato un equilibrio tra gioco e apprendimento, motivazione e serietà, impegno ed entusiasmo. E questo è dovuto al fatto che in esso ho impegnato l’esperienza accumulata in tanti anni di insegnamento, anni durante i quali, temprata da esperienze vissute e da problemi affron-tati, avevo acquisito sempre maggiori consapevolezze riguardo alla gestione di una classe; anni durante i quali mi era parso sempre più chiaro che il punto in questione per un insegnante non è tanto il “che cosa fare”, sicuramente basilare, ma il “come fare”.

Nel corso del tempo avevo infatti rilevato nelle classi importanti cambiamenti di cui non potevo certamente non tener conto e che per forza di cose avrei dovuto fronteggiare. Gli alunni avevano mutato atteggiamenti: si mostravano infatti non più ricettivi come un tempo, ma piuttosto recalcitranti a doveri, al rispetto di regole; inclini a porsi come soggetti paritari nei confronti de-gli adulti e quindi dede-gli insegnanti, ma nel contempo infragiliti da situazioni personali e familiari che li spin-gevano a comportamenti sregolati. Nessuno di loro, come ho sempre detto ai miei alunni, era “cattivo”, ma esternava il proprio disagio con i soli mezzi che pensava di avere a disposizione, chiedendo di essere visto, reclamando il fatto di esserci. E tutto questo con un’impronta familiare che ha fatto sì che i ragazzi fos-sero defi niti da esperti “semilavorati educativi”, piccoli “narcisi” racchiusi in se stessi e autoreferenziali. Questa situazione che si era fatta nel tempo sempre più problematica, mi aveva condotta a riconsiderare il mio stile di insegnante e il mio insegnamento, abban-donando la rigida disciplina autoritaria e il rapporto insegnante-classe fatto di trasmissione di cultura, di spiegazione-verifi ca, per approdare ad essere guida in un processo di crescita del singolo e della classe, la quale doveva divenire soggetto attivo e responsabile di se stessa e di ogni singolo componente. Nel contempo comprendevo che l’insegnante non può essere un sog-getto esterno al gruppo classe che esige disciplina e si trincera dietro il suo ruolo, ma un insegnante che si mette in gioco, che dà fi ducia, che è persona adulta di riferimento, di equilibrio all’interno della classe, che dà il meglio di sé e che pretende il meglio.

“Io per te farò tutto quello che è in mio potere per aiutarti a di-ventare il meglio di te stesso, ma tu dovrai operare per te stesso, prenderti per mano sfruttando tutte le potenzialità che hai a tua disposizione. Sicuramente così riuscirai al meglio possibile, con-sapevole di limiti e capacità, allenandoti all’impegno. Se non ti sperimenti e se non ti metto alla prova, non sapremo mai, né tu né io, gli obiettivi che in effetti puoi raggiungere”.

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Avevo quindi posto la classe al centro dell’attenzione, prima con grande fatica e un senso di inadeguatezza, poi con sempre maggiore sicurezza in me stessa, giun-gendo infi ne ad occuparmi a tutto tondo della classe composta di ragazzi da coltivare, preoccupandomi ben più della maturazione degli alunni che non degli stretti lacci didattici che i programmi impongono.

È ben chiaro che non si devono trascurare la gram-matica e la lettura, l’analisi e la sintesi e tutto ciò che è proprio di Italiano, ma puoi operare scelte, dare un certo taglio alle lezioni, accompagnando la classe nel suo iter di apprendimento che è nel contempo un iter educativo. Ed è la metodologia la chiave di volta, quella che, pur nel rigore didattico, rende le le-zioni produttive e vive: è la didattica di animazione che sollecita all’attenzione, alla partecipazione, alla condivisione, alla rifl essione, all’assunzione di re-sponsabilità; un metodo che non ha la necessità di un particolare laboratorio, così come quello inserito nella mia pubblicazione, essendo esso utilizzabile in qualsiasi ambito disciplinare.

È comunque un metodo che non bisogna frainten-dere; non propone svago, gioco o divertimento e neppure vincola a contenuti esigui o conduce a bassi obiettivi. Al contrario, nel perseguire gli obiettivi più elevati ai quali si può sollecitare la classe, esige una piena disponibilità di alunni e insegnante i quali, insieme, operano per un fi ne comune. È un po’ come una rappresentazione teatrale: l’insegnante è il regi-sta che tutto predispone e guida; gli alunni sono gli attori nel senso più stretto del termine: coloro che agiscono.

La rabbia è:

• nell’accezione più smorzata, è un vivo disappunto, una collera improvvisa o una stizza rabbiosa e passeggera dovuta a impa-zienza e fastidio;

• in quella più pregnante è un’esplosione di ira, di irritazione vio-lenta e, spesso, scomposta: è la manifestazione di ostilità contro chi è percepito come un nemico.

In questo modo la scuola viene veramente percepita come palestra di vita, come luogo in cui imparare ad imparare, ad essere consapevoli di se stessi e delle proprie azioni.

E l’insegnante è il capogruppo che defi nisce le coordi-nate entro le quali operare, defi nisce le parole-guida di tutto il percorso didattico-educativo. Le mie sono state: consapevolezza e rispetto.

Un’emozione negativa: la rabbia

Tra gli stati d’animo correlati agli oggetti presentati emerge la rabbia, che viene detta con tono molto pa-cato, ma ricco di sottintesi.

È una parola che richiede una precisazione di signifi

-cato, dato che viene utilizzata in contesti di differenti

sfumature.

Un poeta dà voce alla rabbia

Si leggono alcune poesie di Bruno Tognolini, nelle quali il poeta propone invettive per le rabbie dei ragazzi; offre “parole per dirlo”.

La rabbia trova così un mezzo per emergere e, forse, si placa.

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La lettura espressiva dei testi condotta dall’inse-gnante suscita fermento tra gli alunni, che non si aspettavano invettive così fiammeggianti, e risposte pronte alla richiesta di esprimere impressioni, opi-nioni, riflessioni.

Le loro espressioni:

Rima senza perdono Tu lo sapevi che avresti fatto male Tu lo sapevi che per questo io avrei pianto Era la cosa più terribile che mi potevi fare Lo sapevi che io ci tenevo tanto

Però l‘hai fatto, fatto tutto, fatto a lungo, fatto apposta E adesso scoprirai cosa ti costa

Io non ti voglio più vedere sotto il sole Io non ti voglio più vedere in mezzo al giorno Per me tu sei invisibile, sei fumo di parole Sei un po’ di vento che mi soffi a intorno Sei solo una ridicola noiosa malattia Vattene via, vattene via, vattene via

E non mi importa cosa dici, non mi frega cosa fai Fino a domani non ti perdonerò mai

Rima della felpa Mettiti la felpa, vento della sera

Mettiti la felpa, magico orso bianco Copriti la testa, mitica pantera

Lupo della steppa non sudare che sei stanco Saltellano i delfi ni, strisciano i serpenti Corrono i topini irraggiungibili e contenti Vola l’uccellino, scavano le talpe Io son solo umano

Ho gambe da nano

Io non posso correre come quel vento nudo Perché se corro sudo

Perché se corro cado

Perché se corro chissà dove vado Sono un bambino umano Ma non è mia la colpa

Perché mi devo mettere la felpa?

Malaugurio delle risate Io vorrei che tu, con le mutande scese Facessi a saltelloni tutto il giro del paese E tutti ti guardassero da tutte le fi nestre A scuola si affacciassero i bambini e le maestre E tutti ti indicassero, segnandoti col dito Tutto il quartiere a ridere, a ridere impazzito Tu nudo come un passero in mezzo a fi schi e gridi Tu che ogni giorno mi indichi e ridi

Mi indichi e ridi Mi indichi e ridi

Rima del tonto tapiro E tu mi prendi in giro

E poi ti guardi intorno Come un tonto tapiro Per vedere l’effetto Della burla del giorno Della balla che hai detto Come una grossa vacca Come una grossa cacca E poi si gira lento E la guarda contenta

Rima lontana lontana Non mi toccare

Non ci provare

Stammi lontano, non ti avvicinare Intorno al cuore ho sedici cani Intorno al cuore ho un incendio rosso Se tu mi tocchi ti bruci le mani Se tu mi tocchi ti saltano addosso Intorno al cuore ho fi lo spinato Le tue parole me l’hanno legato E ora tu vieni e mi cerchi la mano Ma non la trovi perché

Come una stella da un aeroplano Sono lontano

Così lontano Sono lontano da te

• le parole sono forti, le uso anch’io; • ci sono dei prepotenti e degli stupidi; • alcuni sono cattivi, bisogna star lontani; • a volte si perdona, ma a volte no; • ci si sente traditi;

• “uffa” le prediche della mamma; • è vero che si lancia un malaugurio.

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Diamo voce alla nostra rabbia

Costruzione del testo espressivo

Viene quindi assegnato un compito dal titolo: Sono

ar-rabbiato, in cui gli alunni esprimano in tutta libertà le

loro rabbie.

1. Per guidare l’esercizio si precisano le domande:

• Quando mi arrabbio? • Con chi mi arrabbio? • Perché mi arrabbio?

a) quando?

• Vengo preso in giro. • Non riesco in qualcosa. • In famiglia non mi considerano. • Mi fanno continue raccomandazioni. • Scoppiano litigi in famiglia.

b) con chi?

• Con i miei compagni. • Con i miei familiari. • Con i miei genitori. • Con me stesso. c) perché? • Perdo serenità. • Mi sento offeso. • Mi sento inferiore. • Mi sento impotente. • Avverto i miei limiti. • Mi sento incapace.

• Mi sento poco considerato, escluso, inesistente: un’ombra. • Mi fanno sentire piccolo.

• Mi fanno sentire in imbarazzo di fronte agli altri. • Ho sensi di colpa.

• Accumulo rabbia/dolore.

2. Successivamente si tabulano le risposte dei ragazzi, i quali intervengono, ascoltano, osservano e si con-frontano.

I ragazzi, guidati, danno una forma signifi cativa ai loro stati d’animo.

Di seguito sono riportate alcune produzioni:

Un’ombra

Mi sento poco considerato, escluso,

inesistente: sono un’ombra. Dentro di me rabbia e dolore.

Non sono capace Avverto i miei limiti mi sento incapace. Perdo serenità.

Sei piccolo!

Mi fanno sentire piccolo. Mi fanno sentire in imbarazzo di fronte agli altri.

Sono arrabbiato.

La derisione Mi sento offeso Mi sento inferiore Mi sento impotente. Accumulo rabbia e dolore.

• una nasce dal rapporto con i conoscenti o con gli amici, e fa

sentire impotenti o non considerati;

• l’altra è più profonda, perché nasce nel contesto familiare e

coinvolge anche sensi di responsabilità, sensi di colpa, destabi-lizzazioni e paure.

La rabbia-paura

Gli alunni hanno trovato parole per le loro rabbie, che assumono toni più cupi riguardo a certi aspetti della loro quotidianità. Dagli interventi emerge infatti che, quando le situazioni toccano le corde più intime del cuore dove sono radicati i sentimenti più profondi, le emozioni li possono travolgere, scatenando malessere, bisogno di allontanarsi e di rifugiarsi da qualche parte, magari nel sonno della notte.

Si sono quindi resi evidenti due tipi di rabbia:

Al termine di questo percorso guidato, nel quale gli alunni hanno dato voce alle emozioni più nascoste e non sempre consapevoli, è stato loro chiarito un

succe-dersi di stati d’animo che può condurre alla rabbia.

Ed è stato anche chiarito come ad essi si unisca la sensazione di essere del tutto vulnerabili e bisognosi di aiuto e protezione, ma anche il sapere che non sono soli.

Per rendere più chiaro il percorso di rifl essione, si uti-lizza uno schema di sintesi e di relazione.

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Si aggiunge poi che non è sempre facile esprimere a pa-role le emozioni più profonde, particolarmente quelle che possono sconvolgere la nostra interiorità. A volte è più semplice cercare dentro di sé un’immagine dei

nostri mostri interiori per riconoscerli, per reagire ad

essi e, magari, per sconfi ggerli. In tal senso gli alunni sono stati invitati a rappresentare i loro.

I nostri mostri di rabbia

Ogni alunno presenta il proprio mostro interiore, ne dà precisazioni e lo commenta in un clima di rispettoso interesse e viva partecipazione. Gli interventi sono infatti numerosi e spontanei.

Un alunno non mostra alcun disegno e dice: “Alla fi ne

ero tanto arrabbiato e pieno di paura che l’ho bruciato”.

Un altro: “Ho bucato il foglio dalla rabbia!”.

Alcuni, vedendo rappresentati i loro mostri, hanno trovato parole per urlare la loro rabbia.

Le nostre ri⇓ essioni

Dopo essersi confrontati in un clima trasparente e di piena fi ducia reciproca, gli alunni esprimono le loro rifl essioni circa la rabbia che hanno visto essere un’e-mozione negativa che fa star male:

reazione (per sconfi ggere la paura) rabbia

• Vulnerabilità • Bisogno • Aiuto • Non siamo soli • Ricerca di protezione

paura

• (Ri)conoscere la paura bisogno di difendersi

Piccolo mostro Piccolo mostro, piccola pulce,

tu mi spaventi e quindi vai via; se osi muoverti io reagirò, se tu t’ingrandisci io ti caccerò; sei ancora piccola, ma mi fai paura; comunque non illuderti io vincerò.

Sono infelice Lasciatemi

essere felice. Vorrei essere felice.

Vattene! Non mi devi comandare

ti dico che te ne puoi andare mi hai fatto disperare, arrabbiare. È la cosa più brutta che mi potevi fare. Vattene, vattene da me

io non ti voglio più vedere non ti voglio più ascoltare con me non ci devi provare!!

• Ognuno ha espresso le proprie emozioni e i propri sentimenti. • Tutti abbiamo delle paure, quindi non siamo soli nel patirle. • Alcuni sono in grado di difendersi dalla paura; altri, per sconfi g-gerla, chiedono aiuto, specialmente ai genitori e agli amici fi dati. • Tutti abbiamo due aspetti della nostra personalità. Una inte-riore, nascosta, fragile: nasconde rabbia, paura, dolore, bisogno degli altri. Una esteriore, spavalda: l’immagine che si dà di sé, che è come una protezione della propria vulnerabilità.

• Tutti abbiamo dato un volto diverso alla rabbia, che però nasce sempre dalla paura, come reazione alla paura.

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