4. giocatori: è ‘elemento fondamentale senza il quale il gioco non può svolgersi; 5 contesto o scenario di gioco: è costituito dalla storia o trama,
1.3 L’aspetto video dei videogioch
1.3.3 Una forma mentis?
In un tale contesto interattivo, ipermediato e immersivo, videogioco e giocatore parlano attraverso un linguaggio proprio dei nuovi media. Linguaggio inteso, come afferma Tagliagambe (2006), come scambio che rende possibile sia la conoscenza che l’azione. Come in ogni scambio linguistico, nell’interagire con un contenuto, viene anche comunicata una sintassi comunicativa, una forma particolare di organizzazione della conoscenza e di pensare l’azione. Gee (2007) indica che i videogiochi sono domini semiotici. Un dominio semiotico è un insieme di pratiche sociali e di contenuti che, attraverso una o più modalità (linguaggio orale o scritto, immagini, simboli, suoni, tra l’altro) comunicano tipi di significati particolari (Gee, 2007). Tali domini comunicano utilizzando una sorta di grammatica, che permette di riconoscere e giudicare ciò che è tipico o accettabile dentro un determinato dominio o contesto. Nel partecipare attivamente alle attività richieste dal gioco, gli individui imparerebbero gradualmente a comprendere e agire all’interno di nuovi domini, più moderni e interattivi.
Manovich (2001) afferma che, poiché i nuovi media nascono, vengono distribuiti e sono archiviati sui computer, il livello informatico finisce inevitabilmente per condizionare il
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livello culturale. Analogamente alla frase il medium è il messaggio di McLuhan, Manovich (2001) sostiene che il codice fornisce una sua visione del mondo, un suo sistema logico o ideologia. Nel tradurre un linguaggio numerico in un formato comprensibile dagli esseri umani, l’interfaccia utilizza un miscuglio di convenzioni culturali già conosciute, presenti in altri media come il cinema e la stampa, e introduce altri elementi, propri dell’organizzazione computazionale. L’interfaccia ri-media, come direbbero Bolter e Grusin, e in questo rimediare si trasmettono metafore che riconcettualizzano la cultura individuale e collettiva.
"The interface shapes how the computer user conceives the computer itself. It also determines how users think of any media object accessed via a computer. Stripping different media of their original distinctions, the interface imposes its own logic on them. Finally, by organizing computer data in particular ways, the interface provides distinct models of the world.(…) In short, far from being a transparent window into the data inside a computer, the interface bring with it strong messages of its own.” (Manovich, 2001, p. 65).
La presenza simultanea di più modi o convenzioni comunicative crea un linguaggio nuovo e diverso da quello utilizzato da ciascun medium rimediato. Questo linguaggio nuovo rappresenta una rivoluzione nel modo in cui viene organizzato il sapere, così come lo hanno fatto i linguaggi degli ormai vecchi media. Ricordiamo che durante la fase di comunicazione puramente orale, quella che McLuhan definisce come era tribale, il suono e di conseguenza l’udito, hanno avuto un ruolo fondamentale nel modo in cui gli uomini hanno organizzato il mondo sociale. I processi di astrazione ancora non sono preminenti per l’assenza di un sistema di scrittura fonetica e dunque i processi mentali e sociali dipendevano dalla memorizzazione e la partecipazione nella collettività. Con l’introduzione della scrittura e, soprattutto con l’invenzione della stampa, comincia l’era meccanica, affermandosi quella che Raffaele Simone (2000) definisce visione alfabetica, una particolare modalità del conoscere che “permette di acquisire informazioni e conoscenze a partire da una serie lineare di simboli visivi, ordinati l’uno dopo l’altro alla stessa maniera dei segni alfabetici su di una riga di testo” (pp. 16-17). Il senso della vista riscuote grande importanza creando una separazione tra il suono e la rappresentazione grafica. La struttura cognitiva degli uomini si modifica per adottare un pensiero di tipo sequenziale e razionale, e la società si organizza in dinamiche meno partecipative e più isolanti. Grazie allo sviluppo delle tecnologie elettroniche, gli uomini passano all’era elettrica, che secondo McLuhan è un’estensione di tutto il sistema nervoso. Viene riscoperta una corporeità come modo di conoscenza, in cui diversi organi sensoriali sono nuovamente invocati nella comunicazione.
Il linguaggio parlato dai nuovi media in generale e dai videogiochi in particolare, costringe i giocatori a modificare e a imparare nuovi codici di interpretazione di ciò che ha davanti. Come è stato sottolineato da Johnson (2005), “It’s not what you’re thinking about when you’re playing a game, it’s the way you’re thinking that matters.” (p. 40). A
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mano a mano che diventa pervasivo nelle attività dei giovani e degli adulti, il modo in cui il videogioco organizza i suoi elementi diventa un codice semiotico imprescindibile per comprendere e muoversi nella società dell’informazione. Da una parte, nei giochi digitali vengono utilizzati elementi grafici presi dalla pittura, architettura e l’arte grafico in generale, per comunicare un certo contenuto, e da un’altra parte, gli stessi elementi grafici sono un set di sistemi di controllo e d’interazione. L’interfaccia come luogo di interazione si costituisce come punto di mediazione tra il vecchio e il nuovo, in una relazione complessa che modella sia una rappresentazione che una possibilità per l’azione. Così, una rappresentazione grafica non è solo un’immagine, ma contiene in sé anche un meccanismo per l’interazione; un testo non contiene un contenuto astratto, ma è un’informazione che lo guida nella comprensione dell’azione da realizzare; uno spazio non è mai limitato alla grandezza dello schermo, ma un universo ampio da percorrere ed esplorare.
È importante però, non cadere nel determinismo tecnologico radicale e credere che lo sviluppo tecnologico sia ragione sufficiente per il cambiamento cognitivo, sociale e culturale di una generazione. Tecnologie e saperi si rimediano reciprocamente, come afferma Maragliano (2005),
“(…) particolari tecnologie, affermandosi, fanno da specchio a particolari saperi e che un dato sapere, arrivando a rispecchiarsi in una data tecnologia, ed escludendone un’altra, trova conferma del suo processo di generazione: il gioco dello scambio, del conflitto e della trasformazione interno al sistema dei saperi è anche il gioco dello scambio, del conflitto e della trasformazione che caratterizza la vita del sistema delle tecnologie.” (p. 23).
L’interattività dei nuovi media consente di entrare in un fenomeno ciclico in cui il medium crea una certa forma mentis ma alla stesso tempo rispecchia la forma mentis di quelli che ci partecipano.
Come indica Jenkins (2006a), “(…) the current movement of media change is reaffirming the right of everyday people to actively contribute to their culture.” (p. 136). Per questo autore, interattività e partecipazione sono le due facce della stessa moneta, in cui l’interattività è gestita dal medium mentre la partecipazione è sotto il controllo dei fruitori.
McLuhan aveva affermato che la tecnologia dell’era elettrica compiva una funzione ri- tribalizzante del’uomo che era stato de-tribalizzato dalla scrittura. Con i videogiochi tale funzione acquisisce un’ottima espressione, consentendo agli individui di trovare nuovi spazi per lo sviluppo di una nuova partecipazione culturale, questa volta in un contesto allargato grazie all’estensione dello spazio e del tempo che portano i media digitali. Il modo di rappresentare la conoscenza cambia nella comunicazione partecipativa che si stabilisce con il videogioco grazie alla sua natura interattiva, multimediale e ipermediale.
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Questa nuova immagine della conoscenza, come sostiene Tagliagambe (2006) a proposito delle nuove tecnologie, si basa su tre presupposti:
1. la conoscenza non è statica né libresca ma piuttosto dinamica, incompleta e in continua evoluzione. Come sottolinea Jenkins (2006b) “Far from demanding conformity, the new knowledge culture is enlivened by multiple ways of knowing.” (p. 140). Il sapere è costituito da un corpus di informazione in costante espansione dunque, diventa estremamente importante saper orientarsi all’interno di una conoscenza mutevole;
2. la conoscenza è solo rilevante affinché sia di utilità per l’azione. La conoscenza non solo ha una dimensione teorica ma è soprattutto operativa, capace di essere messa in movimento per analizzare e risolvere problemi o enigmi. Il sapere teorico diventa condizione necessaria ma non sufficiente;
3. la conoscenza non è trasmessa ma è il risultato della partecipazione diretta a un’attività socialmente rilevante. Il sapere dei videogiochi, afferma Maragliano (1996), è un sapere disponibile, anche ai piccoli, accessibile grazie all’esperienza coinvolta del soggetto in un’attività, e non mediato da una scuola. Non esiste più una netta distinzione tra attività di produzione e l’attività di recezione, tra l’attività di creazione e l’attività di fruizione.
Se per l’adulto un videogioco può anche spaventare in quanto richiede un adattamento alle nuove situazioni che incontra, per la generazione che è cresciuta insieme al computer il gioco digitale rappresenta un modo di pensare di una natura del tutto naturale. Come evidenziato da Maragliano (1996),
“Chi videogioca si abitua ad un determinato tipo di esperienza e di comunicazione: immersione, multimedialità, interattività, per un verso; gioco, messa in gioco, ironia, leggerezza, per un altro. E, di conseguenza, chiede che anche i luoghi entro i quali l'esperienza e la comunicazione stesse vengono codificate ed attivate (la TV, la stampa, sopra e dentro a queste la pubblicità) presentino, nei limiti del possibile, la stessa configurazione e la stessa chiave discorsiva.” (p. 22).
Questa nuova generazione cresciuta insieme ai computer, ormai nota come nativi digitali (Prensky, 2005) e descritta come una cultura di barbari (Baricco, 2006), estranea in confronto alla cultura della vecchia generazione, parlano la nuova lingua con fluidità, e non come la parlano quelli della generazione che, crescendo con altri media non interattivi, hanno dovuto abituarsi a un nuovo stile di comunicazione. Nelle parole di Prensky (2005),
“The Games Generation- others use the term N-[for Net]-gen or D-[for digital]- gen- are native speakers of computer, videogames and the Internet. Those of us who are net born into this world (…) will always be, compared to them, “digital immigrants”. And like all immigrants, as we learn- some better than others- to
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adapt to our new environment, we always retain, to some degree, our “accent”, that is, our foot in the past.” (p. 46).
Secondo Prensky (2005) l'immersione in ambienti digitali come i videogiochi hanno prodotto un cambiamento nella struttura e il funzionamento del cervello di questa nuova generazione, anche se, purtroppo, scarsamente studiati. I primi studi sulla relazione tra videogiochi ed elaborazione cerebrale sono stati fatti a partire dal 1984 da Patricia Greenfield, nei quali ha evidenziato come il giocare con i giochi digitali si vada ben oltre i cliché della coordinazione mano-occhio. Tra i risultati più rilevanti si trovano l’aumento delle capacità visuo-spaziali che incidono fortemente nelle abilità per costruire mappe mentali, e incremento nelle abilità di gestire compiti che richiedono un’attenzione discontinua, evidenziando lo sviluppo di abilità spaziali complesse. Ricerche successive hanno mostrato che le mappe mentali non riguardano soltanto aspetti cognitivi ma si estendono anche all’ambito affettivo. Grazie all’attivazione dei neuroni specchio, il giocatore sarebbe in grado di fare una mappa visuo-affettiva, cioè di trasformare l’informazione affettiva percepita in chiave visiva in disposizioni emozionali corporee, e sperimentare un atteggiamento di empatia con le rappresentazioni virtuali del gioco (avatar o altri personaggi) (Morrison & Ziemke, 2005).
Una delle scoperte più interessanti nell’ambito delle neuroscienze è stata realizzata da Koepp e i suoi collaboratori (1998, in Green e Bevalier, 2004) in cui hanno rilevato un aumento notevole nel rilascio della dopamina, un neurotrasmettitore coinvolto nell’apprendimento, la memoria e l’integrazione senso-motoria. Ancor più, l’attività dopaminergica è stata osservata in particolare nelle zone che controllano l’apprendimento e la gratificazione. La ricerca di Koepp et al fa pensare che l’esperienza videoludica, nel ricompensare il giocatore per la sua capacità di risolvere problemi e di trovare strategie vincenti fa produrre al sistema nervoso le sostanze che favoriscono l’apprendimento, intensificando l’attività delle reti neuronali e rafforzando le connessioni sinaitiche (Green & Bavelier, 2006).
Sulla base di alcune di queste evidenze scientifiche, Prensky (2005) descrive dieci caratteristiche che hanno i nativi digitale in confronto a quelle degli immigranti:
1. Velocità contratta vs. velocità tradizionale: La games generation ha più esperienza nel processare velocemente le informazioni e dunque ha una maggior comodità con un i processi veloci.
2. Elaborazione parallela vs. elaborazione lineare: i nativi digitali si trovano al loro agio lavorando in più di una cosa alla volta. La mente in effetti non lavora sequenzialmente bensì di modo associativo, saltando da un elemento all’altro e lasciando in sospeso alcuni processi per completare altri. “Although some argue that parallel processing limits attention to any one task, this is not necessarily the case- the mind typically has quite a bit of “idle time” from its primary task that can be used to handle other things.” (p. 53).
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3. Accesso casual vs. passo passo: il modo non sequenziale di presentare l’informazione nei videogiochi e nei media digitali in generale ha aumentato, secondo Prensky, la capacità di fare connessioni e di pensare in modo meno lineare. Come conseguenza, la game generation gode di una maggior competenza per percepire, e pensare dentro, strutture e pattern.
4. Prima l’immagine vs. prima il testo: se per la generazione precedente l’immagine era un contorno per il testo, per i nativi digitali il testo è diventato il contorno di qualcosa che è stata graficamente percepita prima. Oltre una maggior acutezza visuale, l’accesso alla conoscenza tramite l’immagine sviluppa ciò che è stato descritto da altri autori (Gardner, 1983) come “intelligenza visiva” o non verbale. 5. Connettività vs. isolamento: con le e-mail, chat, blog, giochi online e sms, la
generazione dei giochi è abituata a essere in connessione con altri soggetti in uno stile che è sia sincrono come asincrono. I nativi digitali hanno una comunicazione bidirezionale attiva tra pari; sono in grado di produrre (produrre testi, produrre siti e pagine web) e collaborare tra loro per approfondire e migliorare le proprie conoscenze. Come conseguenza di tale tipo di connettività, lavorano meglio in rete e hanno una maggior predisposizione a lavorare e interagire con persone che non hanno mai conosciuto in presenza, anche se vivono in un paese diverso e parlano un’altra lingua.
6. Attivi vs passivi: la games generation preferisce accedere alla conoscenza in modo operativo- esplorando e maneggiando nella situazione invece di leggere per esempio un manuale. Per scoprire qualcosa devono manipolarli anche se in modo virtuale.
7. Gioco vs. lavoro: per i nativi digitali non esiste una netta distinzione tra gioco e serietà, tra svago e lavoro. Per essi il gioco è una cosa seria che inoltre comporta molto lavoro.
8. Retribuzione vs. Pazienza: con i videogiochi i nativi digitali hanno imparato che il risultato e la ricompensa dipendono dello sforzo e dedicazione che ci metti in un’attività. “What you do determines what you get, and what you get is worth the effort you put in.” (Prensky, 2005, p. 61). Hanno bisogno di essere ricompensati spesso.
9. Fantasia vs. Realtà: la games generation accetta senza problema alcuni elementi di gioco e di fantasia in ambienti “seri”, come per esempio, l’informalità negli spazi di lavoro.
10. Tecnologia, la mia amica vs. Tecnologia, il mio rivale: se per alcuni immigranti digitali la tecnologia è uno sconosciuto, un qualcosa che gli spaventa e del quale meglio stare lontani, per i nativi digitali la tecnologia è un’amica e una necessità. Non ne possono fare a meno nel fare le principali attività della loro vita: studiare,
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lavorare, imparare, giocare, comunicare, fare amicizia e trovare informazioni, per menzionare solo alcune. Considerare la tecnologia come un’amica li coinvolge in un rapporto emotivo con essa.