IL RISCHIO DI DECISIONI IN CONFLITTO IN AMBITO NAZIONALE
2. La valutazione delle intese ad opera del giudice ordinario.
La valutazione del giudice ordinario in ordine alla li- ceità o meno degli accordi anti-concorrenziali che si espri- mono sotto forma di intese vietate ai sensi dell’articolo 2,
della legge n. 287/90, coinvolge il bilanciamento della con- correnza sul mercato nazionale, o in una sua parte rilevan- te.
Ai fini della dichiarazione di inefficacia di un’intesa il giudice, dovrà valutare, in primo luogo, se l’intesa rientri nell’ambito di operatività del divieto e, in tal caso, dovrà negare l’impegnatività dell’accordo sul piano negoziale a causa della carenza dei presupposti cui è normativamente subordinata la produzione di effetti.
Pertanto, il giudice, dovrà essere in grado di distin- guere le intese non rientranti nell’ambito di operatività del divieto da quelle che possono beneficiare della deroga e, quindi, in grado di produrre effetti giuridici in seguito alla autorizzazione delle stesse da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. A tal fine, allora, è neces- sario comprendere il tipo di valutazione che il giudice do- vrà condurre.
Come già si è avuto modo di precisare, la disposizione di cui all’articolo 2 della legge antitrust, vieta le intese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevan- te, comminando la sanzione della “nullità ad ogni effetto” di tutte quelle intese in cui ricorrano determinati requisiti.
Ai fini dell’operatività del divieto la legge richiede, in primo luogo, l’incidenza negativa sul gioco della concor- renza. Invero, l’intesa deve comportare un effetto negativo, che può consistere nell’impedire, restringere o falsare la concorrenza; tale incidenza negativa può a sua volta essere “oggetto” o “effetto” dell’intesa; in ogni caso essa deve es- sere “consistente” e deve riguardare l’intero mercato nazio- nale o una sua parte rilevante.
Riuscire ad individuare e valutare tali requisiti richie- de un’analisi particolarmente complessa, che tra l’altro in- terferisce con materie economiche. Tale è, infatti, l’obiezione sollevata da tutti coloro che escludono che il giudice possa condurre un tale tipo di valutazione in ragio- ne delle sua intrinseche difficoltà ed in ragione del fatto che la legge abbia appositamente creato un organo istituzionale preposto a tal fine e dotato delle necessarie competenza tecniche e scientifiche.
Dunque, il giudice è chiamato ad applicare il divieto di cui all’articolo 2, cioè, è chiamato ad applicare una norma che detta precisi parametri che ne condizionano l’operatività.
Il divieto di intese restrittive della concorrenza e, con- seguentemente, la previsione testuale della nullità, compor- ta, per il giudice ordinario il compimento delle medesime valutazione condotte dall’Autorità Garante della Concor- renza e del Mercato in ambito pubblicistico.
Pertanto, seguendo la logica, il primo presupposto che dovrà essere valutato, ai fini dell’operatività del divieto, è rappresentato dalla incidenza negativa delle intese su gioco della concorrenza. Ebbene, in questa analisi, si pongono, dal punto di vista giuridico, problemi di non poco rilievo per- ché sembra difficile individuare il contenuto del parametro “alterazione della concorrenza”137
.
Alcuni autori ritengono tale concetto privo di conno- tazione normativa, nel senso che tramite questo si opere- rebbe un rinvio alla teoria economica138; secondo altri, inve-
ce la definizione di concorrenza come fenomeno giuridico si affrancherebbe dalle influenze delle teorie economiche e, l’attenzione dei giuristi andrebbe incentrata sul valore che la nozione assume nella gradazione di interessi desumibile dalla Costituzione e dai principi dell’ordinamento dell’Unione Europea139
.
È noto, tra l’altro, che nell’ambito della teoria econo- mica il parametro dell’alterazione della concorrenza non ri- sponda ad un concetto statico, ma ha subìto nel tempo una forte evoluzione: si è assistito, infatti, al passaggio dall’idea che la libertà di concorrenza coincidesse con la tutela della libertà individuale, e quindi con la libertà negoziale, all’affermazione di una sua rilevanza in termini di “situa- zione di mercato”140.
137 L.REISER, Antinomie nel diritto sulle limitazioni della concorrenza, in Il compito del diritto privato, Milano, 1990, pag. 241
138 R.PARDOLESI, Diritto antitrust italiano, cit.
139 E. PICOZZA, Dizionario di diritto pubblico dell’economia, Bologna, 1998, pag. 192
140 D.COSSUTTA-M.GRILLO,Concorrenza, monoppolio, regolamenta-
Aderire ad una o all’altra corrente di pensiero com- porta una diversa valutazione della pericolosità dei diversi accordi anti-concorrenziali.
In realtà, la funzione del giudice, come si è ampiamen- te detto, è diversa da quella di “guardiano del funzionamento
del mercato” dell’AGCM, perché interessa un conflitto inter-
privato.
Tuttavia, questa affermazione, vuol dire soltanto che il giudice è tenuto a guardare al sistema concorrenziale non come punto di equilibrio del mercato, ma come criterio di soluzione dei conflitti intersoggettivi141
. Da qui la conclu- sione per cui il giudice dovrà risolvere i problemi di coor- dinamento tra libertà negoziale dei privati ed esigenze del mercato, dando prevalenza a queste ultime tutte le volte in cui ritenga che gli accordi conclusi dai soggetti privati e sot- toposti al suo esame, possano minacciarle.
In tale prospettiva, il giudice ordinario, lungi dal guardare all’alterazione complessiva del sistema concor- renziale del mercato, dovrà valutare ogni singolo accordo come comportamento negoziale che può tradursi in una minaccia per la libera concorrenza. Valutazione che dovrà essere condotta anche alla luce degli altri parametri norma- tivi142.
3. Il ruolo del giudice nel diritto antitrust: conclu-