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Velocit` a del suono

Nel documento APPUNTI DI FISICA 2 (pagine 101-109)

Queste distinzioni sono familiare all’esperienza quotidiana; qui per`o si vuole chiarire a quali caratteristi-che dell’onda sonora corrispondano cio`e che cosa hanno di diverso due onde che corrispondono a suoni con altezza, intensit`a e timbro diversi.

x y

x y

Figura 2.16: Due suoni diversi per l’intensit`a.

Due suoni che differiscono per l’altezza sono trasportati da onde sonore che differiscono per la frequenza o, che `e lo stesso, per la lunghezza d’onda, figura 2.15.

Due suoni che differiscono per l’intensit`a sono trasportati da onde sonore che differiscono per l’ampiezza figura 2.16.

Due suoni che differiscono per il timbro sono trasportati da onde sonore che differiscono per la forma dell’onda figura 2.17.

x y

x y

Figura 2.17: Due suoni diversi per il timbro.

2.12 Velocit`a del suono.

Si vuole ora determinare la la legge che d`a la velocit`a del suono che si propaga in un fluido. Si consideri un tubo di sezione costante A in cui sia presente un fluido di densit`a ρ e pressione p e si supponga che in esso si propaghi un’onda di compressione con velocit`a v. Similmente a come fatto nella sezione 2.2 dove si `e determinata la velocit`a dell’onda su una corda, si scelga il sistema di riferimento dell’onda in movimento: in questo modo l’onda `e ferma ed il fluido `e in moto uniforme con velocit`a v nella direzione opposta. Sia p + ∆p la pressione nella zona di compressione. Si consideri il moto di uno strato di fluido di larghezza ∆x in moto, con velocit`a, v verso la zona di compressione. Quando lo strato di fluido entra nella zona di compressione il suo lato frontale incontra una zona di pressione maggiore e la sua velocit`a diminuisce diventando v + ∆v con ∆v negativo. Questo rallentamento `e completo quando anche il lato posteriore raggiunge la zona di compressione, cosa che avviene dopo un tempo ∆t = ∆x/v. Durante il tempo ∆t, la forza esercitata sul lato posteriore `e pA, ad essa si oppone sul lato anteriore la forza (p + ∆p)A, la forza totale agente sullo strato `e quindi

∆x

v

v+ ∆v p + ∆p

Figura 2.18: L’onda di compressione in un fluido.

ove il segno meno dice che la forza `e diretta in verso opposto a quello della velocit`a. La massa dello strato di fluido `e

∆m = ρA∆x = ρAv∆t (2.44)

e l’accelerazione `e

a = ∆v

∆t (2.45)

quindi, mettendo insieme questi risultati, si trova

−∆p A = ρAv∆t∆v

∆t (2.46)

relazione che, con semplici passaggi che si lasciano alla cura del lettore studioso, pu`o essere riscritta nella forma

ρv2= ∆p

∆v/v . (2.47)

Ora, osservando che il volume occupato dallo strato di fluido pu`o essere scritto V = A∆x = Av∆t e che la sua variazione durante la compressione pu`o essere scritta nella forma ∆V = A∆v∆t, `e chiaro che vale

∆V V = A∆v∆t Av∆t = ∆v v , (2.48)

quindi si pu`o riscrivere la (2.47) nella forma

ρv2= ∆p

∆V /V . (2.49)

La quantit`a al secondo membro viene detta modulo di compressione del fluido in questione e normal-mente `e indicato dal simbolo B:

B =− ∆p

∆V /V . (2.50)

Per la velocit`a di propagazione dell’onda nel fluido vale allora l’equazione

v =

B

ρ . (2.51)

Si noti la somiglianza formale di questa equazione con la (2.10).

Si supponga ora che il fluido sia un gas e si cerchi di determinare per esso il modulo di compressione. Un’onda che attraversi un gas, per esempio l’aria, `e sufficientemente veloce da impedire lo stabilirsi dell’equilibrio termico, in altre parole non avviene un significativo scambio di calore; si pu`o pertanto

2.12. VELOCIT `A DEL SUONO. 95

ritenere che la compressione sia adiabatica; si tratta cos´ı di calcolare il modulo di compressione adiabatico. Per un’adiabatica vale la legge pVγ = cost. Quindi la variazioni di volume e di pressione devono essere tali da lasciare invariata questa quantit`a, cos´ı

∆(pVγ) = 0 (2.52)

Vale dunque

∆(pVγ) = (p + ∆p)(V + ∆V )γ− pVγ = 0 (2.53) Conviene riscrivere la seconda parentesi raccogliendo a fattore Vγ per poter utilizzare l’approssimazione descritta nella nota 6 della sezione 1.1 della parte I:

(V + ∆V )γ = Vγ ( 1 + ∆V V )γ ≃ Vγ ( 1 + γ∆V V ) (2.54)

quindi, nella detta approssimazione vale

∆(pVγ) = (p + ∆p)Vγ ( 1 + γ∆V V ) − pVγ = = pVγ+ Vγ∆p + γp Vγ−1∆V + γVγ−1∆p∆V − pVγ = 0 ; (2.55)

da cui segue, trascurando il termine proporzionale a ∆p∆V , sicuramente molto piccolo rispetto agli altri, rimane:

Vγ∆p =−γp Vγ−1∆V (2.56)

a questo punto, dividendo per p e per Vγ, si trova ∆p

p =−γ∆V

V , (2.57)

e quindi

B = γp ; (2.58)

si pu`o quindi scrivere l’equazione per la velocit`a di un’onda in un gas nella forma

v =

γp

ρ . (2.59)

Da questa relazione si pu`o facilmente ricavare la velocit`a in aria.

L’aria infatti `e costituita principalmente da azoto (N2) e ossigeno (O2), che sono entrambe molecole bi-atomiche; quindi `e ragionevole assumere, con ottima approssimazione, γ = 7/5 = 1.4. La densit`a dell’aria alla pressione atmosferica e alla temperatura di 20C `e ρ = 1.21 kg m−3 e la pressione di atmosferica `e

p = 1.01· 105Pa. Con tali valori si trova circa v = 342 m s−1, che `e un’ottima approssimazione del valore

sperimentale.

La relazione (2.59) pu`o essere riscritta utilmente in una forma diversa mediante il seguente ragionamento. La densit`a del gas `e il rapporto fra massa e volume, e la massa `e pari alla massa molare M per il numero di moli n, quindi, usando l’equazione di stato dei gas perfetti, si pu`o scrivere:

ρ =m V = nM V = p RT M . (2.60)

A questo punto `e semplice riuscire a scrivere

v =

γRT

M . (2.61)

Si noti la somiglianza formale questa equazione con quella che d`a la velocit`a quadratica media delle molecole di un gas ad una certa temperatura.

Parte III

Ottica

L’ottica `e la branca della fisica che studia il comportamento della luce. Si tratta di costruire un modello entro cui rientri tutta la fenomenologia della luce. In realt`a tale fenomenologia `e alquanto complessa e gli scienziati che si sono interessati a descrivere i fenomeni luminosi hanno costruito due diversi modelli sulla natura della luce.

Il primo viene detto modello corpuscolare e tradizionalmente si fa risalire a Descartes e a Newton1 (ma fonda le sue origini nell’antichit`a, e pi´u precisamente nell’Ottica di Euclide2 ove viene costruito un modello della visione oculare in termini di raggi ottici). Tale modello postula che la luce sia costituita da corpuscoli emessi dalla sorgente luminosa e propagantesi con velocit`a finita lungo traiettorie rettilinee dette raggi luminosi.

Il secondo viene detto modello ondulatorio e si fa risalire, tra gli altri, a Huygens, Young e Fresnel3. Tale modello postula che la luce consista in una propagazione di onde attraverso un mezzo elastico, trasparente che tutto avvolge e permea, detto etere.

Nonostante la ricerca di quale dei due fosse il modello corretto abbia coinvolto per alcuni secoli molti dei principali scienziati europei, che si sono divisi, spesso piuttosto polemicamente, in sostenitori dell’uno o dell’altro, non `e possibile qui esimersi dall’osservare che un tale contrasto non ha senso. Non esiste un modello giusto cos´ı come la fisica non fornisce teorie vere; tutto quello che ci si pu`o aspettare da un modello `e che sia pi´u o meno adatto a descrivere una certa fenomenologia cio`e che le sue previsioni siano in buon accordo con i dati sperimentali disponibili in un certo ambito fenomenologico. Di fatto nel seguito si descriveranno nel dettaglio entrambi i modelli e si useranno l’uno e l’altro a seconda della convenienza dettata dal fenomeno fisico che si vorranno descrivere.

1Ren´e Descartes (1596-1650), filosofo francese;

2Euclide (III sec. a.C.), grande matematico e scienziato di Alessandria (?).

Capitolo 1

Ottica geometrica.

Si cominci col considerare semplici esperienze fatte per mezzo della luce, cercando di indagare quale ne sia la natura. Una delle prime esperienze che si hanno della luce `e che essa pu`o attraversare certi corpi, che si dicono trasparenti, quali il vetro, l’acqua o certi cristalli, mentre non pu`o attraversare certi altri corpi che vengono per questo detti opachi. `E anche esperienza comune che i corpi opachi quando vengono investiti dalla luce generano un’ombra che pu`o essere vista su uno schermo (o semplicemente sul terreno). A seconda che la sorgente S sia puntiforme (cio`e sia sufficientemente lontana da essere considerata tale;

∗ S ∗ ∗ ∗ ∗ ∗ S

Figura 1.1: Ombre e penombre con sorgente puntiforme ed estesa.

per esempio il Sole) od estesa, l’ombra `e perfettamente nitida e ben delimitata oppure sfuma in una zona di penombra verso la zona illuminata, come illustrato nella figura 1.1. Questo suggerisce che la luce, almeno in questo esperimento, si propaga in modo rettilineo, secondo linee rette dette raggi luminosi. Tutte le volte che questa descrizione della luce come raggi luminosi funziona, si adotta quello che sopra `

e stato chiamato il modello corpuscolare della propagazione luminosa. La branca della fisica che usa tale modello `e nota con il nome di ottica geometrica, perch´e, come si vedr`a, i raggi luminosi vengono trattati alla stregua di segmenti di retta ed ad essi vengono applicate le regole della geometria piana.

Un altro esperimento che, accanto a quello dell’ombra e della penombra qui descritto, porta conforto alla scelta di adottare il modello corpuscolare `e quello della camera oscura. Si prenda una camera perfettamente buia e dotata di un foro da cui pu`o filtrare la luce di una sorgente S puntiforme posta all’esterno della camera. Sulla parete opposta si forma un disco luminoso D perfettamente delineato. Questo fenomeno si spiega adeguatamente adottando il modello corpuscolare.

Osservazioni

1. Un esempio molto importante della formazione di ombre grazie alla sovrapposizione di ostacoli fra

la sorgente luminosa ed il corpo illuminato `e dato dalle eclissi di Sole e di Luna. Nel primo caso la

Luna si viene a trovare fra la sorgente luminosa (il Sole) e la Terra proiettando su questa un cono d’ombra; nel secondo caso la Terra viene a trovarsi fra il Sole e la Luna proiettando sul suo satellite un cono d’ombra.

2. Non accade sempre che le zone d’ombra siano nettamente separate dalle zone illuminate; se gli

ostacoli che la luce incontra sul suo cammino sono troppo piccoli cominciano, in effetti, ad apparire delle sfrangiature. Questo accade ad esempio, riducendo le dimensioni del corpo che proietta l’ombra sullo schermo nel primo esperimento o le dimensioni del foro nel secondo. Questi fenomeni sfuggono completamente alla descrizione in termini del modello corpuscolare e necessitano, come si vedr`a, di un modello diverso.

1.1 La propagazione della luce.

Ora che `e stato introdotto il modello corpuscolare, `e necessario fornire un meccanismo per la propagazione luminosa; noto che la luce si propaga in linea retta `e necessario di qualcosa che dica come la luce sceglie le linee rette da percorrere. Il problema a prima vista pu`o sembrare di ovvia soluzione: `e chiaro! La luce si propaga in linea retta a partire dalla sorgente in tutte le direzioni. Vero. Ci`o `e ragionevole e ovvio fino a che la luce si propaga nell’aria libera. Ma che accade se passa dall’aria ad un corpo trasparente, per esempio il vetro: `e certo che continuer`a indisturbata, o piuttosto i corpuscoli di cui `e costituita interagiscono con la superficie del vetro producendo una deviazione del raggio luminoso? E che accade quando la luce incide su uno specchio? Certo non continua in linea retta!

Per rispondere a questi dubbi, si diceva, `e necessario un meccanismo che dica come la luce si propaga. Questo meccanismo ci `e fornito dal seguente principio di Fermat1.

Nel propagarsi da un punto A ad un punto B la luce percorre sempre la traiettoria per la quale impiega il tempo minimo.

Questo principio dice chiaramente che, fino a che la velocit`a di propagazione della luce `e costante, la traiettoria `e rettilinea; in tal caso, infatti, la retta `e la traiettoria di minor tempo, o, in una sola parola, la brachistocrona. Ma la cosa non `e pi´u cos´ı ovvia se la luce passa da un mezzo ad un altro in cui la velocit`a della propagazione luminosa sia diversa. Per esempio dall’aria all’acqua. In effetti la luce si muove pi´u lentamente nell’acqua che nell’aria, quindi percorre un tratto un po’ pi´u lungo nell’aria, dove `

e pi´u veloce, per minimizzare il tempo. Per capire ci`o, si immagini di dover salvare una persona che sta annegando in mezzo al mare. Ci si trovi in A sulla spiaggia mentre la persona in difficolt`a si trova in B tra i flutti. Visto che la velocit`a a nuoto `e sensibilmente minore della velocit`a di corsa, e volendo arrivare

A

B D C

Figura 1.2: Illustrazione del principio di Fermat.

1.2. RIFLESSIONE: CASO DELLO SPECCHIO PIANO. 101

al pi´u presto in B, la traiettoria da scegliere non `e quella rettilinea che passa per C, ma la spezzata che passa per D. La luce si comporta esattamente nello stesso modo.

Potrebbe sembrare legittima la domanda: come fa la luce a sapere prima di percorrere le traiettorie disponibili qual `e la brachistocrona? Naturalmente non lo sa. Semplicemente il principio di Fermat fornisce una guida operativa che `e comodo usare senza dovere per forza dotare la luce di capacit`a logiche. Per completare l’esame delle propriet`a della propagazione luminosa, rimane ancora da trattare il problema della velocit`a della luce. La storia delle misurazioni della velocit`a della luce `e troppo lunga per essere svolta qui e viene rimandata ad un capitolo successivo. Qui ci si limita a dare i risultati.

La velocit`a della luce nel vuoto si indica tradizionalmente con la lettera c (dal latino celeritas e il suo valore `e dato da

c = 299792458 m s−1 , (1.1)

valore che normalmente viene approssimato a 300000000 m s−1= 3· 108m s−1.

Naturalmente la luce non si propaga solo nel vuoto, e i valori della velocit`a sono diversi a seconda del mezzo trasparente attraversato. Come regola generale si tenga presente che pi´u un mezzo trasparente `e denso, meno veloce la luce si propaga in esso. Cos´ı, ad esempio, la luce `e pi´u veloce nell’aria che nell’acqua e pi´u veloce nell’acqua che nel vetro e cos´ı via. Si torner`a oltre su questo punto.

Nel documento APPUNTI DI FISICA 2 (pagine 101-109)