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Vicende del Tee

Capitolo 5 – Procedimento di certificazione: rilascio, rettifica

5.3 Vicende del Tee

L’art. 6.1, lett. a), prevede quale requisito necessario e sufficiente per la certificazione non tanto la definitività, quanto l’esecutività della decisione nel paese di provenienza. Ciò naturalmente espande il campo di applicazione del reg., anche se impone di tenere conto di eventuali vicende che possono riguardare il titolo giudiziale anche dopo il rilascio del passaporto europeo. Non si dimentichi a tal proposito che il certificato e il titolo esecutivo costituiscono due realtà giuridiche nettamente separate, seppure in rapporto di accessorietà. Per questo motivo è sempre opportuno distinguere con estrema chiarezza le impugnazioni contro il titolo dai controlli e dalle contestazioni sui presupposti del certificato, da non confondersi a loro volta con le opposizioni all’esecuzione eventualmente disponibili nello Stato richiesto262.

È allora possibile che per circostanze processuali sopravvenute, come ad esempio l’impugnazione della sentenza contumaciale, l’originaria esecutività del titolo venga meno, sia limitata o ancora sospesa. Dal momento che però il certificato europeo non può essere contestato in uno

261 Un discorso diverso vale per le autorità incaricate di certificare come Tee gli atti

pubblici a norma dell’art. 25, di cui ciascuno Stato deve fornire gli elenchi ex art. 30.1 lett. c). In questo caso si chiede infatti agli Stati membri di compiere una scelta discrezionale tra numerose alternative egualmente possibili, introducendo in ciascun ordinamento un nuovo tipo di procedimento. Di conseguenza, nonostante l’intervento legislativo sia comunque auspicabile per ragioni di certezza del diritto, riteniamo che questa diversa informazione abbia efficacia per così dire costitutiva, e non possa perciò venire superata in via interpretativa. Nel caso dell’Italia, è bene anticipare, la scelta è caduta sul tribunale. Lo stesso vale, mutatis mutandis, per quanto riguarda le lingue ammesse a norma dell’art. 30.1, lett. b) e dell’art. 20.2, lett. c).

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Stato membro diverso da quello d’origine, l’unica forma di tutela approntata a beneficio del debitore è dinnanzi al giudice della certificazione. Su richiesta di parte, questi potrà infatti rilasciare un certificato, analogo ma di segno contrario, con il quale si attesti la non esecutività, o se del caso la limitazione dell’esecutività, utilizzando un formulario ad hoc allegato al reg. (art. 6.2). A questo rimedio di carattere per lo più preventivo se ne affianca un altro innanzi ai giudici dello Stato ad quem, che in presenza di circostanze qualificate possono non solo limitare l’esecuzione ai provvedimenti conservativi (art. 23, lett. a) ovvero subordinarla alla prestazione di una cauzione (art. 23, lett. b), ma in casi eccezionali sospenderne del tutto il corso facendo diretta applicazione di una norma europea uniforme (art. 23, lett. c). Ciò può accadere ogni qual volta il debitore abbia impugnato la decisione giudiziaria già certificata come Tee, anche per via del riesame corrispondente all’art. 19 del reg., oppure chiesto la rettifica o la revoca del certificato a norma dell’art. 10263. Vista la genericità della formulazione, specie se confrontata con l’art. 46 del reg. 44/2001, crediamo che ai fini dell’art. 23 si debba prendere in considerazione qualsiasi mezzo di gravame proposto contro la decisione certificata, sia esso ordinario o straordinario. In altre parole, non è qui possibile estendere l’interpretazione restrittiva altrimenti suggerita dalla Corte di giustizia, che ha ritenuto di poter qualificare come mezzi ordinari quei soli gravami che appartengono all’iter normale del processo e costituiscono di per sé uno sviluppo fisiologico che ciascuna parte può ragionevolmente prevedere, ad esclusione quindi dei rimedi cui la legge del foro non ricollega un preciso termine o che dipendono da avvenimenti

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A differenza dell’art. 46 del reg. Bruxelles I, nel reg. 805/2004 la sospensione non può invece essere disposta durante la semplice pendenza del termine per proporre impugnazione contro la decisione certificata. Sulla nozione di impugnazione avverso la decisione (da non confondersi dunque con la richiesta di revoca o rettifica del certificato) vale ricordare la nutrita giurisprudenza della Corte di giustizia sull’articolo appena citato. V. diffusamente GAUDEMET-TALLON (2002: 374 ss.).

imprevedibili alla data della decisione originaria264. Sul piano soggettivo è opportuno invece escludere le impugnazioni provenienti da soggetti diversi dal debitore, stante l’inequivoco tenore letterale dell’art. 23 (“se il debitore ha impugnato […]”), e pertanto non ricondurre alcun effetto sospensivo diretto ad eventuali opposizioni di terzo265. Eventualità ancor differente è quella in cui il Tee divenga oggetto di un’opposizione in executivis nel paese d’origine (o persino in un altro Stato): ci si può chiedere se la procedura ex art. 23 sia in tal caso attivabile, se il debitore possa cioè domandare la sospensione dell’esecuzione del Tee in ragione del fatto che un incidente di cognizione in merito al rapporto di cui si chiede l’attuazione in via coattiva sia pendente altrove. Crediamo che la risposta debba essere negativa, soprattutto alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia sopra ricordata che, ai fini della convenzione di Bruxelles, ha inteso quale impugnazione solamente quel rimedio il cui esito può determinare l’annullamento o comunque la modificazione del provvedimento giudiziario straniero. Nemmeno varrà ai fini dell’art. 23 l’istanza di rifiuto dell’esecuzione eventualmente proposta dal debitore in forza dell’art. 21, poiché detto giudizio non ha per oggetto né la decisione né la certificazione come tale, ma solo la possibilità di eseguire il Tee in quello specifico ordinamento in virtù del contrasto con una precedente pronuncia ivi resa o ivi riconoscibile: sarà dunque lo stesso giudice chiamato a decidere in merito all’esistenza del motivo ostativo a disporre, se del caso, la sospensione dell’esecuzione in corso, sempre che questo potere gli sia riconosciuto dalla lex fori (che crediamo debba comunque essere presa a riferimento stante l’art. 20.1 del reg.)266.

A dispetto delle apparenze non v’è peraltro piena sovrapposizione tra l’art. 6 e l’art. 23, dal momento che solo quest’ultimo potrà essere invocato

264 V. Corte di giustizia 22 novembre 1977, 43/77, Industrial Diamond Supplies c. Riva.

265 Concordano sul punto VAN DROOGHENBROECK – BRIJS (2006: 219).

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nell’eventualità in cui la decisione certificata sia impugnata nel paese d’origine e la sua esecutività non venga tuttavia meno nelle more del gravame secondo quanto previsto dalla lex fori267; inoltre, l’art. 23 concede al giudice ad quem un margine di apprezzamento discrezionale di cui non gode il giudice a quo.

Per quanto concerne l’interpretazione dell’art. 23, lett. a), la nozione di provvedimenti “conservativi” è piuttosto sfuggente. Nell’ambito del reg. Bruxelles I vi si è infatti incluso non solo il pignoramento (rectius, gli effetti sostanziali che da esso discendono), ma anche il sequestro conservativo ai sensi dell’art. 671 cod. proc. civ.268. Per il Tee il quesito si pone però in termini differenti, giacché la lettera della norma prevede di limitare il procedimento di esecuzione alle misure conservative, sembrando presupporre un processo esecutivo in corso: s’è così ritenuto che nel nostro ordinamento “potrebbe ipotizzarsi una coincidenza fra questi provvedimenti conservativi ed il pignoramento inteso quale atto iniziale dell’espropriazione forzata con cui si individuano e conservano gli elementi attivi del patrimonio del debitore”269. Finisce allora per scolorire, almeno nel caso dell’ordinamento italiano, la distinzione tra un provvedimento solamente limitativo dell’esecuzione e uno invece sospensivo, dal momento che consentire il pignoramento e impedire di procedere agli atti successivi, e segnatamente alla vendita coatta e alla distribuzione del ricavato, non ha effetti sostanzialmente diversi da un provvedimento di sospensione vera e propria. Ai sensi della lett. a), si potrà perciò sospendere la vendita dei beni pignorati e, sub lett. b), subordinare invece l’esecuzione alla prestazione di una cauzione; ai sensi della lett. c), senza alcuna concreta differenza o eccezionalità, si potrà egualmente sospendere la vendita forzata o

267 Tanto che, paradossalmente, è proprio l’art. 23 del reg. a costituire una potenziale fonte

di discriminazione contro il Tee: v. VAN DROOGHENBROECK – BRIJS (2006: 216).

268 Si tratta di una questione piuttosto dibattuta: v. in proposito LUPOI (2006: 2661); DE

CRISTOFARO (1998a: 715) e MERLIN (2001: 457, n. 59).

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l’assegnazione270. In via di coordinamento crediamo comunque che le due fattispecie si possano distinguere sul piano cronologico: una volta che l’esecuzione abbia avuto inizio si tratterà di sospendere il procedimento ai sensi della lett. c); prima dell’avvio dell’esecuzione, per contro, si tratterà di sospendere l’efficacia esecutiva del Tee e tuttavia autorizzare il creditore a proteggere le proprie ragioni mediante misure conservative ai sensi della lett. a)271. Tanto più che proprio l’adozione di cautele a contenuto conservativo deve rappresentare il livello minimo e imprescindibile di tutela concesso a un creditore che sia in possesso di un titolo giudiziario in corso di riconoscimento ed esecuzione nello spazio giudiziario europeo, come ben chiarito dall’art. 47 del reg. 44/2001. A questo riguardo vale comunque ribadire il contenuto della sentenza Cappelloni, in cui la Corte di giustizia (a proposito dell’art. 39 della convenzione di Bruxelles, ora art. 47) ha affermato che il contenuto delle misure conservative e il loro specifico contenuto processuale sono dettati dalla lex fori, purché questa non finisca per pregiudicare quanto disposto dal legislatore comunitario272. Varrebbe allora la pena chiedersi se, in via di analogia, così come la sentenza dichiarata esecutiva durante la prima fase monitoria del procedimento ordinario di exequatur, anche il Tee costituisca di per sé titolo per l’ottenimento automatico di misure cautelari, prescindendo dalla prova di qualsivoglia fumus o periculum.

Molto s’è discusso sulla ratio dell’art. 23. Da una parte, se ne è valorizzata la portata uniformatrice, dal momento che armonizza il regime

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V. CAMPEIS – DE PAULI (2005a: 438). Non dissimile è la notazione di VAN DROOGHENBROECK – BRIJS (2006: 221) per quanto riguarda il Belgio.

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Una sola incongruenza di questa tesi deriva dalla difficoltà di giustificare, stando così le cose, l’apparente ed enfatica specialità (“in casi eccezionali”) che l’art. 27, lett. c), sembra ricollegare alla sola sospensione. Il medesimo punto è colto da VAN DROOGHENBROECK – BRIJS (2006: 224).

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di circolazione del Tee273: questa previsione può infatti essere invocata nello Stato richiesto quale che sia la disciplina domestica sul punto, e dunque anche nel caso in cui la legislazione processuale di quell’ordinamento non ammetta alcun rimedio di tal fatta. Il reg. 805/2004 spiega qui gli effetti propri ai sensi dell’art. 249 del trattato Ce: l’art. 23 non è soltanto una norma minima alla quale gli Stati hanno facoltà di conformarsi, bensì una previsione di diretta e generalizzata applicazione in tutta l’Unione. Ciascun ordinamento deve perciò consentire al debitore di attivare dinanzi all’autorità giudiziaria questa forma di inibitoria, uniformando così il diritto dell’esecuzione sotto un profilo circoscritto ma assai rilevante. D’altro canto, s’è osservato che la rigidità del sistema uniforme rischia di andare proprio a scapito del Tee: generalizzando la portata dell’inibitoria si può infatti associare un effetto sospensivo anche alla proposizione di gravami che, nell’ordinamento a quo, non avrebbero inciso sulla provvisoria esecutorietà della decisione impugnata. Da ciò deriva, in termini pratici, la possibilità che il Tee venga paralizzato all’estero quando sarebbe stato invece eseguibile in patria, paradossalmente proprio in virtù di una norma comune europea (art. 23). Com’è stato detto, “le Règlement commet ici, lui- même, une discrimination négative du titre exécutoire européen qu’il tend pourtant, dans le principe, à éviter”274. L’inclusione delle sentenze non definitive nell’ambito del reg. 805/2004 potrebbe in effetti venire non solo controbilanciata da questo meccanismo cautelativo, ma addirittura privata di significato. Ed è evidente che, a fronte di un impiego lassista dell’art. 23, i creditori non avranno altra soluzione che ricorrere, ancora una volta, al regime ordinario del reg. 44/2001.

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Così CAMPEIS – DE PAULI (2005a: 437): “il titolo esecutivo europeo tende a porsi, nell’ambito dei diversi ordinamenti, in modo affatto originale, essendo assistito da regole processuali uniformi in punto sospensione e limitazione dell’espropriazione, in eventuale deroga alle norme processuali del Paese d’esecuzione”. Proseguono con enfasi gli AA.: “ciò significa che il titolo giudiziale europeo è dotato di un’indiscutibilità sconosciuta ai titoli nazionali, sì da presentarsi sostanzialmente blindato, con possibilità di sospensione e limitazioni del tutto marginali”.

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Al di là di queste valutazioni metagiuridiche, è comunque bene sottolineare il paradosso secondo cui il giudice della revoca non ha alcuna autorità per sospendere in via interinale l’esecuzione in corso (o comunque l’esecutorietà del Tee), nonostante egli sia il solo a poter valutare la probabile fondatezza dell’opposizione proposta dal debitore contro il rilascio del certificato, mentre un simile potere spetta al giudice nell’ordinamento richiesto a norma dell’art. 23275. In altre parole, i giudici del paese d’origine sono i soli a poter concedere e rimuovere la certificazione europea, ma sono al contempo privi di strumenti per incidere in via provvisoria sulla stessa. Il che comporta anche il rischio che vengano prese decisioni interinali difformi nel caso in cui il creditore abbia avviato l’esecuzione in più paesi in forza del medesimo Tee. D’altro canto, una norma nazionale che conferisse al giudice della revoca il potere di sospendere o limitare l’efficacia del titolo risulterebbe in aperto contrasto con l’art. 23.

Ritornando al potere di sospensione di cui gode il giudice dell’esecuzione, si pone il problema dei presupposti in base ai quali concedere una misura inibitoria ex art. 23 e soprattutto scegliere l’intensità dell’intervento sull’esecuzione in corso. Tale potere sembra in effetti muoversi in uno scenario privo di indicazioni normative e dunque, in ultima analisi, di controlli276. In dottrina ha raccolto consensi la tesi secondo cui, stante il divieto categorico di riesaminare nel merito la decisione o il certificato (art. 21.2), la discrezione del giudice a quo dovrebbe essere guidata solamente da profili attinenti al periculum, e quindi dall’apprezzamento del pregiudizio derivante al creditore dal ritardo

275 Solo per chiarezza, vale precisare che il giudice dello Stato d’origine chiamato a

conoscere dell’impugnazione contro la decisione certificata potrà invece disporre del potere inibitorio ad esso riconosciuto dalla lex fori e perciò sospendere in tutto o in parte l’efficacia esecutiva della pronuncia soggetta a gravame. Sul piano europeo, ciò si tradurrà naturalmente nel rilascio di una certificazione negativa o quanto meno limitativa ai sensi dell’art. 6.2.

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nell’esecuzione nonché, dall’altro lato, del rischio corso dal debitore nel non poter esperire ex post contro il creditore che abbia proceduto senza titolo una fruttuosa azione restitutoria o di risarcimento del danno sofferto. Non sarebbe invece ammesso un sindacato circa il fumus, vale a dire sulla probabile fondatezza dell’impugnazione proposta contro la decisione certificata, oppure sull’istanza diretta contro il certificato ai sensi dell’art. 9277. Questa posizione restrittiva sarebbe confermata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia formatasi nell’ambito del reg. Bruxelles I278. Come noto, l’art. 46 del reg. 44/2001 consente al giudice chiamato a conoscere dell’exequatur in sede di opposizione di “sospendere il procedimento se la decisione straniera è stata impugnata nello Stato membro d’origine”; il successivo art. 47 prevede invece una norma a garanzia del debitore, dal momento che in pendenza del termine per proporre ricorso contro la dichiarazione di esecutività (e fino a quando non sia stata adottata alcuna decisione in materia) si può procedere solamente a provvedimenti conservativi: sino a che i motivi ostativi al riconoscimento siano stati trattati e decisi nella fase a contraddittorio pieno, in altre parole, non è ammesso il compimento di alcun atto esecutivo teso alla liquidazione del patrimonio del debitore o comunque non reversibile. Si tratta di un sistema chiaramente articolato, sul quale i giudici di Lussemburgo hanno dovuto precisare la necessità di un’interpretazione restrittiva, giacché l’eccessiva generosità nel paralizzare il processo esecutivo nello Stato richiesto finirebbe per svuotare di significato il principio in virtù del quale il titolo giudiziale è idoneo ad essere riconosciuto ed eseguito ancor prima di avere acquisito la stabilità

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Esclude qualsiasi indagine sul fumus da parte del giudice dell’esecuzione FARINA (2005: 52); contra VAN DROOGHENBROECK – BRIJS (2006: 224): “il nous paraît indiqué que le juge en tienne largement compte aux fins, soit de déjouer les manoeuvres dilatorie reflétées par un recopurs fantaisiste, soit au contraire de freiner les élans d’un créancier abusif, porteur d’un titre qui, de totute évidence, s’expose à la critique. On songe, par exemple, au certificat délivré au mépris du champ d’application du Réglement (CE) n° 805/2004 ou au certificat entaché d’erreur(s)”.

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propria del giudicato. Nella pronuncia van Dalfsen279 la Corte ha perciò

indicato che i soli motivi deducibili davanti al giudice dell’exequatur per ottenere una sospensione del procedimento nelle more dell’esaurimento dell’impugnazione pendente nel paese d’origine sono quelli che il ricorrente non ha presentato, né avrebbe potuto presentare dinanzi ai giudici a quo (poiché se la loro mancata trattazione sia dipesa da negligenza o comunque inerzia del soccombente, questi non potrà avere una seconda occasione per allegare le medesime circostanze dinanzi al giudice ad quem280); in caso contrario – riconosce la sentenza – sarebbe davvero forte il rischio di introdurre surrettiziamente un sindacato nel merito della decisione eseguenda. In altre parole, secondo la Corte, i soli motivi deducibili ai sensi dell’art. 38 della convenzione sono quelli sopravvenuti e quelli preesistenti che la parte non abbia potuto far valere per causa ad essa non imputabile.

Anche se la posizione restrittiva appena presentata può apparire a prima lettura persuasiva, specie considerata la portata cruciale del divieto di riesaminare il fondamento del Tee, crediamo che vi sia spazio per riconsiderarne l’opportunità con riferimento al reg. 805/2004281. L’opinione formatasi sul reg. 44/2001 riguarda infatti una fattispecie specifica, ovvero il caso in cui venga assoggettata a gravame la stessa decisione impugnata: questa è certo un’ipotesi in cui l’apprezzamento del fumus rischia di

279 Corte di giustizia 4 ottobre 1991, C-183/90, van Dalfsen c. van Loon, su cui DE

CRISTOFARO (1998b).

280 Quest’ultimo passaggio argomentativo viene giustificato dalla Corte sulla scorta della

precedente pronuncia 4 febbraio 1988, C-145/86, Hoffmann c. Krieg.

281 Considerato oltretutto che la sentenza van Dalfsen non s’è sottratta alle critiche. Così tra

l’altro GAUDEMET-TALLON (2002: 377): “à notre avis, le juge ainsi saisi d’une demande de sursis à statuer devrait pouvoir, pour prendre sa décision en connaissance de cause, évaluer en utilisant tous les éléments pertinents la probabilité d’une remise en cause à l’étranger d’une première décision. De plus, la Cour ajoute ainsi une condition qui ne figure pas au texte”. V. sul punto anche MERLIN (2002: 22) e la dottrina ivi richiamata. L’A. osserva, peraltro, che l’interpretazione restrittiva della Corte non può comunque trovare applicazione con riferimento all’imposizione della cauzione, “posto che il motivo per concedere quest’ultima, non riguardando la fondatezza delle censure di merito del debitore, non si pone in collisione con il ‘divieto di riesame nel merito’ che la Corte di giustizia ha posto a fondamento del criterio restrittivo dei motivi sopravvenuti”.

sovrapporsi a un controllo sul fondamento della sentenza straniera, condotto per di più da un giudice (quello dell’esecuzione nello Stato richiesto) che difficilmente è in possesso degli adeguati strumenti per valutare la bontà degli argomenti spesi nell’impugnazione all’estero. Qualora (e fino a che) invece sia in discussione la correttezza o meno dell’exequatur concesso in via monitoria, l’art. 46 dispone in maniera assoluta e senza margine di apprezzamento il divieto di compiere atti esecutivi, dovendosi limitare l’attuazione del titolo e la tutela del creditore al compimento di atti cautelari di tipo conservativo282. Diversamente, il reg. 805/2004 accomuna quale presupposto per un provvedimento cautelativo ai sensi dell’art. 23 sia l’impugnazione della decisione, sia quella del certificato in senso stretto. E proprio perché l’istanza ex art. 9 da proporsi nel paese d’origine non si accompagna ad alcun potere sospensivo in capo al giudice della revoca, occorre offrire al debitore un maggior margine di manovra e tutela davanti al giudice dell’esecuzione. Non si vede, infatti, perché la parte cui il Tee è stato concesso in palese mancanza dei requisiti di legge debba poter procedere senza intoppi all’attuazione del titolo all’estero nelle more del giudizio di revoca, ogni qual volta la parte sia sufficientemente solvente da