Il cinema contemporaneo si è dovuto confrontare con la consapevolezza della ‘crisi’ del Novecento, segnato da due conflitti mondiali e da una Shoah che si è prolungata entro gli olocausti e i genocidi perpetrati anche nell’Occidente democratico. Accanto a un filone catastrofico, che allude con la messa in scena di apocalissi naturali o indotte dal comportamento umano e che sottende una visione pessimistica e terminale della storia, emergono ancora segnali di un’utopia concreta e di una lettura, talora storicistica, del divenire storico: quest’ultimo è tuttavia spesso analizzato alla luce della consapevolezza della crisi insita anche nei modelli ancorati a un’idea di progresso continuo e di finalità insite nella storia, la quale sempre meno mostra la evidenza della propria direzione e della sua controllabilità da parte dell’umanità.
Realismo e utopia nel cinema di Ken Loach
Loach vive la propria arte come una forma di rivoluzione sociale decisamente orientata in termini di denuncia politica. Questa sua convinzione nasce da una visione storicista della storia ancorata al pensiero di K Marx ma nel contempo aperta alla riflessione di E. Bloch. Cineasta da barricata, poeta della
working class, il suo è un ‘cinema karaoke’ che ha il pregio di
dare voce a chi non ne ha convinto che la storia conduca necessariamente alla fine delle sperequazioni sociali, poiché “Il
socialismo non è fallito, ma deve ancora realizzarsi, nella fiducia politica nel potenziale umano”. La sua riflessione può essere
proposta attraverso trilogie: la prima è quella che lo vede più coinvolto nella fenomenologia del proletariato con evidenti convergenze rispetto a La condizione della classe operaia in Inghilterra di F. Engels e al Il Manifesto di Marx-Engels, autori questi che egli cita spesso ma che per lo più utilizza sul piano fenomenologico, descrittivo che non su quello della
progettualità, dove appare più debitore a E. Bloch: si tratta di Riff Raff, Raining stones e di Ladybird Ladybird. Il degrado della classe operaia è spiegato attraverso le ‘colpe’ storiche del capitalismo, che rende impossibile la famiglia, l’amore, i valori morali in quanto sottopone l’umanità del lavoratore a perdita, esproprio e
spossesso, concetti stessi che riportano alle
considerazioni marxiane circa l’alienazione come perdita
di realtà del lavoratore, perdita dell’oggetto
(oggettivazione e schiavitù sotto l’oggetto stesso) ed appunto espropriazione “intesa come vita che diviene a
lui stesso ostile ed estranea”. Il vertice della riflessione
sul proletariato che si snatura e si disperde nella condizione sottoproletaria è in Ladybird Ladybird, testo che porta alle estreme conseguenze le dinamiche della ‘perdita’: in questo caso una donna proletaria non riesce a tenersi la prole, viene spossessata di ciò che la rende, appunto, proletaria, svuotata progressivamente della sua appartenenza. Lo sguardo di Loach si mantiene etico e laico anche quando affronta la seconda trilogia, che lo vede più direttamente impegnato sul piano della storia e della politica, coerente con l’affermazione di Engels secondo la quale “La storia è per noi l’uno e il tutto, e la consideriamo più in alto di qualunque precedente corrente IL REGISTA: Nato nel 1936 in Gran Bretagna, Ken Loach muove i primi passi nella BBC dove ridefinisce, in termini di contenuto politico e di potenziale drammatico, i parametri del reportage televisivo britannico. Nel 1967 Loach esordisce alla regia con Poor Cow, ma è con Family
Life che il regista si impone all'attenzione della critica
internazionale, che ne esalta la trilogia del proletariato con Riff Raff (1991), dura requisitoria contro il thatcherismo, Piovono Pietre (1993) e Ladybird, Ladybird (1994) un film accusa sulla burocrazia del welfare
inglese. In Terra e Libertà, (1994), film sulla guerra civile
spagnola che rende omaggio, con spirito critico, ai combattenti della repubblica Spagna, seguito da La
Canzone di Carla, storia di un autista di Glasgow che
segue una ragazza nicaraguense in patria per partecipare alla rivoluzione. L’anno successivo filma un altro. L’ultima produzione lo vede orientato alla Scozia e ai problemi sociale colti attraverso la speranza dell’utopia.
SINOSSI: In Terra e libertà si possono ravvisare tre plot narrativi: la storia del tradimento rivoluzionari da parte dei sovietici,
l’entusiasmo annegato nel mare del realismo politico il fallimento politico, lo stordimento ideologico del protagonista che dall’Irlanda alla Spagna e ancora all’ Irlanda mantiene intatto un ideale che tuttavia non si realizza il fallimento umano, quello della giovinezza tradita, della solitudine della vecchiaia, del fallimento
matrimoniale del protagonista, la cui morte anonima e miserabile viene restituita alla dignità dalla nipote che ‘riscopre’ attraverso lettere e fotografie la grandezza del nonno.
filosofica”. Land and freedom (1994) rappresenta il titolo portante della trilogia, completata da Bread and roses e
da Carla’s song.
Terra e libertà è un film molto discusso per la sua attendibilità storica ma possiede una solennità rara oltre a
un evidente rigore formale: lo sfondo è quello della guerra civile spagnola che viene riletta come Poet’s war e come rivoluzione tradita, alludendo alla liquidazione e al tradimento avvenuto da parte della linea staliniana nei confronti dei combattenti miliziani anarchico-trotzkisti. Compagni di lotta ma su fronti contrapposti per opportunismo politico, per la latitanza delle democrazie occidentali, i miliziani del POUM si videro annientati non solo dai franchismi ma anche dalle brigate staliniane che li abbandonarono per attendismo e scelta di compromesso. Storia di una scelta, dunque, che rispecchia quella, alternativa e coraggiosa, di David, il protagonista che lascia la sua Irlanda – paese di joyciana immobilità e di disoccupazione senza speranza – per unirsi alla primavera del popolo spagnolo, confrontandosi con la politica, crescendo grazie all’educazione alla vita che gli offre Bianca, giovane pasionaria catalana che incarna l’ideologia dal volto umano, lo slancio, la responsabilità individuale, il sacrificio. Loach procede per flashback, nella convinzione che il passato sia colorato
dal presente, e gli stacchi in nero costruiscono ponti significativi nella storia. La micro e la macrostoria si
confrontano ancora una volta: nel marxismo, infatti, esse non sono separate, poiché i tempi delle strutture, del movimento di classe, dei problemi della famiglia, dell’individuo, del soggetto e della classe stanno insieme ma in una società che tende a decretare la scissione fra l’uomo e lo Stato.
Tale dialettica complessa fra il quotidiano e l’epocale si traduce in Loach nella sintassi dello spaesamento: l’utilizzo dalla camera a mano (handicap) in campo/controcampo, sia nei dialoghi a due sia nelle scene collettive, rende perfettamente un clima di confronto - sottolineato dalla alternanza pieno/vuoto, già presente in Ladybird - ma anche di confusione e di misunderstanding: esemplare in tal senso, è la sequenza nel corso della quale si discute circa la collettivizzazione delle terre con parole semplici, che dicono dell’internazionalità di alcuni valori ma anche la confusione degli ideali, le resistenze personali rispetto alla ‘perdita’ di quanto – anche se poco – conquistato a fatica. Accanto alla speranza di un lento ma inarrestabile trasformazione spirituale delle masse la cui partecipazione al processo di rinnovamento, lento e sperimentale, non privo di passi falsi, è determinante, come del resto affermava lo stesso Engels, Loach elabora l’analisi di E. Bloch, che constatava nel periodo staliniano la predominanza della Realpolitik, della ‘corrente fredda’ su quella ‘calda di emancipazione del genere umano. La sua scienza della speranza recuperava i residui incoercibili dell’aspirazione a una vita migliore, riorientandoli a una progettualità di lotta intesa come sperimentazione continua, experimentum mundi, coinvolgimento di tutti nella costruzione del comunismo. L’utopia di Bloch è la stessa del regista, quando vede la disfatta degli anarchici per il tradimento di Stalin, o quando ha il coraggio di leggere le ambizioni e i desideri ‘delle cose’ nel proletariato. Di Bloch, Loach condivide la lettura della storia come multiversum, ovvero come luogo di dislivelli che la rendono complessa, elastica e deformabile ma anche ricettacolo di speranza che si fa più che sogno, divenendo come la “candida colomba kantiana” che consente alla ragione di avanzare rinnovata dalla freschezza dell’immaginazione: la storia stessa è ‘essente in possiblilità’, pro-getto, movimento in avanti con il quale l’uomo collabora attraverso l’utopia concreta del comunismo.
La fine della storia?: 11’09’’+1
Se un tempo l’analisi filmica di un evento storico si scioglieva in una narrazione epica, atta a rivelare la storia
come scacchiera - ovvero come trama razionale e progettuale -
oppure come labirinto - avvicinando la dimensione psicologica della persona o della piccola umanità, la cui microstoria si annulla nella macrostoria - dopo l’11 settembre 2001 il cinema sembra abbia perso la capacità di raccontare, di disporre in forma lineare e narrativa la riflessione sul tempo dell’uomo, divenendo così ‘altro’, cioè frammento, esile domanda senza univocità di sguardo. Il caso più eclatante sembra essere allora il film 11’09’’+1 (2002), esperienza collettiva che ha visto nove registi impegnati nella
medesima riflessione - il terrorismo islamico e non solo, l’abbattimento delle Twin Towers – con l’ unica consegna di restare nel tempo assegnato di undici minuti, nove secondi e un fotogramma per ciascun cortometraggio che compone un grande affresco sulla storia recente. L’assunto di alcune episodi consiste nella proposta di un futuro, dove l’umanità posa dialogare ripartendo dal dolore, dalla consapevolezza delle storie dei popoli e delle etnie; I REGISTI: Ciascuno dei nove registi – l’iraniana S. Makhmalbaf, il francese C. Lelouch, il bosniaco D. Tanovic, l’africano I. Ouedraogo, il sudamericano A. G. Inarritu, l’inglese K. Loach, l’israeliano A. Gitai, l’indiana M. Nair, l’egiziano J. Chahine, l’americano S. Penn e il giapponese S. Imamura - ha lavorato autonomamente senza conoscere il progetto degli altri: il risultato, tuttavia, come avremo modo di notare, è di una armonia imprevista.
altri – come nel caso dell’episodio di Imamura - pongono invece la drammatica domanda sul divenire storico, quasi che questo sia arrivato al suo capolinea, come afferma F. Fukuyama: quest’ultimo, infatti, dopo il crollo delle possibili alternative alla globalizzazione neoliberista, ha enunciato la fine della storia poiché nessuna evoluzione sembrava più possibile rispetto al presente. Anche film come Le invasioni barbariche di D. Archand e, dello stesso autore, La caduta dell’impero americano, portano seco una concezione della caduta dell’ideale del progresso dell’umanità, ormai cristallizzata entro un sistema che non può essere scalfito. Imamura sposta la sua analisi del presente anticipandolo entro un tempo ‘altro’ – quello del secondo dopoguerra – con un episodio che mostra la rimozione del suo essere umano da parte di un reduce che non ha saputo reggere l’orrore o che lo ha talmente assunto su di sé, subendolo, da disconoscere anche a se stesso il diritto alla razionalità. Retrocesso a essere strisciante e sibilante, uomo-serpente che si ciba di topi e che azzanna anche i suoi cari, egli diviene l’emblema di una ferita insanabile nella presunta controllabilità dell’uomo rispetto alla storia che lui stesso ha determinato: un mondo che ha perso il proprio nitore, la propria bellezza, il proprio senso, lasciando l’umanità in balia di una terra – quella cinica e superficiale di chi parla del dolore facendone una forma di spettacolo o oggetto di tuttologi e opinionisti – senza più mundus.
La valenza universale delle immagini di Imamura recuperano metodologicamente il valore della soggettività in
relazione al divenire storico: analizzando, cioè, l’interazione fra psiche e Storia e guardando all’immaginario
collettivo come luogo di interazione fra la vita interiore dell’individuo e la vita sociale e storica, che si forma proprio a partire dalla vita interiore degli individui, il regista legge nell’incapacità di capire il mondo e di capirsi un momento forte nel processo di ridefinizione dei rapporti tra pubblico e privato entro la perdita del senso storico. In tale modo, Imamura mette in discussione anche una coscienza storica che è in primo luogo capacità di capirsi e collocarsi come parte della Storia.
Attività proposte
Visionare la sequenza del dibattito sulla riforma agraria in Land and Freedom di Loach e individuare, come
sopraindicato, il rapporto fra storia individuale e collettiva come indicato attraverso i movimento della macchina da presa.
Individuare la poetica dell’utopia nelle altre pellicole segnalate di Loach.
Dall’analisi del corto di Imamura, si elabori una riflessione personale sulla storia come destino e/o