• Non ci sono risultati.

INV TITOLO MATERIA AUTORI TIMBRO CONFEZIONE STAMPA

III. 4 – Vittorio Del Corona

Il racconto della storia delle 193 matrici, appartenenti al museo di Casa Martelli, implica degli approfondimenti su alcune figure che, nel corso della ricerca, si sono rivelate significative. È opportuno ricordare che le incisioni vennero realizzate, in diversi laboratori tipografici europei, per poi essere destinate alla stampa, a partire dal 1875, sul periodico parigino e, dal 1876, su quello fiorentino, rispettivamente intitolati La Terre Sainte e La

Terra Santa. Come accennato in precedenza, ho avuto modo di appurare che tra le

tipografie avveniva una sorta di scambio e prestito delle lastre da inserire nelle pagine delle riviste. Nessuna notizia mi ha permesso di capire con sicurezza chi fosse coinvolto in maniera diretta negli scambi, ma ritengo necessario far luce, per diversi motivi, sulla figura di Vittorio Del Corona.

Il nome di questo canonico toscano è direttamente legato a quello della famiglia Martelli, sia perché ha condiviso con Carlo un viaggio nei luoghi cristiani d’Oriente nel 1879, sia per il suo ruolo di responsabile della Tipografia Cooperativa che stampava La

Terra Santa, diretta da Niccolò.

Poche sono le notizie rinvenute sul Del Corona, nonostante sia noto che egli trascorse una lunga vita prolifica, spesa tra impegni nel campo dell’editoria e del cristianesimo. Il numero cinque dell’anno X (7 febbraio 1892) del Messaggero del Mugello, quotidiano toscano dedicato agli interessi della vallata e paesi limitrofi, pubblica un articolo in sua memoria, presentato in occasione dell’annuncio della sua morte, sopravvenuta il 31 gennaio del 1892. Da questo necrologio sono tratte le notizie qui di seguito riportate.

Del Corona nacque nel 1829 ad Anghiari, borgo della Valle Tiberina in provincia di Arezzo, città dove si recò per compiere i suoi studi presso il Seminario, sotto la guida di monsignor Giuseppe Maria Mazzoni. Appena ordinato diacono, il vescovo aretino Attilio Fiascaini, lo nominò suo segretario, incarico che ricoprirà fino alla morte del suo superiore. Nel 1850, ricevette il sacerdozio e si spostò a Firenze, dove fu nominato Canonico di Santa Maria del Fiore223. Il periodo fiorentino fu importante per la sua attività letteraria che, con il passar degli anni, si arricchiva sempre più di nuove esperienze. Con non pochi sforzi, il Del Corona dette avvio all’attività della Tipografia di Sant’ Antonino224, di cui assunse la

223 Gli archivi di questo Capitolo non hanno fornito dettagli su questa fase della vita del canonico Del Corona. 224 Conosciuta anche con il nome di Tipografia all’Insegna di S. Antonino.

direzione, ruolo che mantenne anche all’interno della Tipografia Cooperativa. Fu anche direttore e collaboratore di alcuni giornali e periodici, come La Valle Tiberina225,

L’Armonia226, L’Archivio dell’Ecclesiastico227, e altri a cui inviava con piacere i suoi articoli, come nel caso della Terra Santa.

Arriviamo così agli anni che direttamente interessano questo studio, quelli relativi al viaggio in Terra Santa, dal 26 agosto al 16 ottobre del 1879, e alla pubblicazione del suo diario, in cui annotava, con dovizia di particolari, ogni momento del soggiorno. Questo volume, stampato dalla Tipografia di Ernesto Bellotti e figli ad Arezzo nel 1881, due anni dopo il rientro a Firenze della carovana, unitamente al racconto redatto da Carlo Martelli228, recentemente analizzato e trascritto da Francesca Fiorelli Malesci229, offre una panoramica del pellegrinaggio nei luoghi sacri d’Oriente di cui, lasciandoci trasportare dalle parole dell’autore possiamo immaginare i posti visitati, le persone incontrate e le emozioni vissute.

L’opera intitolata Una visita ai luoghi santi: lettere e appunti e firmata dal canonico Del Corona, finora poco conosciuta, è utile supporto a questo lavoro ed è per questo che ne verranno citati degli estratti, utili a capire tanti aspetti del soggiorno in Oriente.

Il volume riceve fin da subito un notevole successo di pubblico e di critica, e viene annunciato su diverse testate giornalistiche, tra cui la Civiltà Cattolica (anno XXXII, serie XI, vol. IV, q. 741) che lo descrive come:

“un libro ghiotto, che si leggerebbe d’un fiato da capo a fondo, chi avesse libero il suo tempo. Già si capisce: una raccolta di lettere scritte da un valentuomo, durante un viaggio, intorno a luoghi, a cose e persone che visita o in cui s’imbatte per via.”

225 Da lui fondato, questo foglio settimanale della Valle Tiberina, toscana e Tifernate, viene pubblicato dal 1866 fino al 1869 circa.

226 Consultando il sito del Sistema Bibliotecario Nazionale, ed effettuando la ricerca col nome di questo periodico, ne compaiono diversi. Stringendo il campo a quelli più vicini, da un punto di vista temporale, agli anni dell’attività editoriale del canonico Del Corona, e attinenti all’ambito religioso, se ne individua uno, uno edito a Torino dal 1848. Non sappiamo con certezza se sia questo, in quanto manca un riscontro in merito. 227 Mensile pubblicato a Firenze dal 1864.

228 Conservato presso l’Archivio di Stato di Firenze, all’interno dell’Inventario Generale dell’Archivio di

Casa Martelli, (XII-XX sec.). Si consulti il tomo 2, alla pagina 347 per individuare la filza relativa.

229 Lo studio analitico del diario di Carlo Martelli è avvenuto in occasione della mostra Viaggio in Oriente.

Fotografie dall’Africa a Casa Martelli, allestita a Firenze presso il museo di Casa Martelli, dal 6 giugno

2013 al 5 ottobre 2014. Sul catalogo, è stata proposta, tramite degli estratti, la stampa di alcuni passaggi significativi.

Anche sul quotidiano L’Osservatore Romano (anno XXI, n. 142), allora diretto dal marchese Augusto di Baviera, in un articolo a firma di padre Mauro Ricci, Scolopio e scrittore pregiato, compaiono parole di apprezzamento sia per l’autore del libro che per la sua avventura ai luoghi sacri d’Oriente:

“il Del Corona non si imposta a predicatore, non si mette in positura di professore di Studi Superiori con la presa di tabacco nella destra e il fazzoletto nella sinistra chiedendo l’attenzione della cortese udienza; anzi, quell’aria di voler raccontare alla sola persona, a cui è diretta la lettera, ora un amico prete o secolare, ora un’ignota monachina, ridestando in noi l’ingenita voglia di ficcare il naso nelle cose altrui, cui ci spinge di leggere dalla a alla zeta senza avvedercene. (…) è una gita consigliata e compiuta dalla pietà, dalla fede, che dominano e spiccano vivissime in ogni pagina (…)”

Anche Guido Libri, che con lui aveva partecipato al viaggio, scrive sull’Unità Cattolica (anno 1881, n. 70):

“non posso astenermi dal far conoscere quanto questo libro sia degno di considerazione, non tanto per il resoconto esattissimo dei luoghi visitati, quanto per la forma erudita ed elegante colla quale Mons. Del Corona ha saputo adornare i suoi appunti e le sue note giornaliere. Un viaggio simile può effettuarsi in tre maniere: da touriste, da pellegrino o da scienziato, cioè per divertimento, per divozione o per istudio (…) A Monsig. Del Corona non manca certamente lo spirito del touriste e molto meno lo slancio religioso del pellegrino”

Egli dichiara, come si legge dalla dedica230, che il libro è stato pubblicato dietro le insistenze dei suoi compagni di viaggio, con il nobile scopo di

“animare chi ha buona volontà di imitare il suo e il nostro esempio, effettuando un viaggio, i cui ricordi rimangono incancellabili”.

230 “Eccovi accontentati. Veramente se avessi ben considerato che cosa voglia dire stampare un libro, e metter nel frontespizio il proprio riverito nome a lettere maiuscole, avrei dovuto esser con voi meno condiscendente. Ma ormai mi sono arreso alle vostre sollecitazioni; e qualunque esse sieno queste note del nostro viaggio prese in punta di lapis, e queste lettere scritte nelle brevi soste e raggranellatte poi al mio ritorno, ve le offro così come sono nella loro modesta semplicità. Ciascuno di voi certamente avrebbe saputo far meglio di me; ma ossia che voi siate più furbi o meno corrivi, la conclusione è questa che io mi son fatto capro emissario. Una relazione della nostra Carovana ci voleva, così almeno mi dicevate: pretendendo per giunta che questo compito toccasse precisamente a me. Ebbene, se questi appunti e queste lettere possono tener luogo d’una relazione, eccovela qui senza pretensione alcuna. Vi prego bensì a far sapere a quelle persone che compreranno questo libro, che non si figurino di trovar qui un lavoro, come si direbbe, su Terra Santa. Non son che note fugaci e spesso minuziose d’un interesse più subiettivo che obiettivo, o per dirlo in lingua povera, riguardano più i viaggiatori che i luoghi percorsi. Si tratta insomma di cosa leggiera leggiera. Auguro finalmente a voi tutti, e specialmente a chi ha gioventù, salute e quattrini, di poter far di nuovo una visita ai Luoghi Santi, dei quali è restato a noi tanto vivo desiderio nel cuore. Io mi contenterò di rifarla col pensiero e senza il disagio del cavalcare; come l’ho rifatta adesso riordinando e rendendo leggibili questi fogli: perché se la salute, la Dio mercè, ancora mi regge, i bezzi però sono scemati e la gioventù se n’è andata. E addio di cuore. Firenze, il 14 maggio 1880. Il vostro ex-presidente, C. Vittorio Del Corona.”

Altre recensioni del libro compaiono su diverse riviste, religiose e non, dell’epoca: la

Voce della Verità (anno XI, n. 73), il Giorno (anno II, n. 52), la Stella Cattolica (anno XI,

n. 12), la Provincia di Arezzo (anno XVI, n. 11).

Il periodico La Terra Santa del 1 settembre 1879 annunciava la partenza della Carovana, presieduta da Del Corona, da Livorno, dove si era recato, per un ultimo saluto, anche il presidente della Pia Società, Niccolò Martelli. Il segretario della Pia Società, il canonico Cappugi, riceve una prima lettera il 27 agosto, giorno successivo alla partenza, in cui è riferito che il gruppo è sul battello Egitto, in direzione dell’omonima terra, prima tappa del viaggio, e in preda all’euforia e all’allegria che di solito accompagnano le partenze verso nuovi orizzonti. Nei giorni seguenti, sempre in relazione alle comunicazioni inviate a Firenze, si apprende della sosta a Napoli per raccogliere altri tre pellegrini, di cui si ignora il nome, della traversata trascorsa senza particolari problemi fino all’approdo ad Alessandria il 2 settembre, dopo ben otto giorni di navigazione. Il canonico, che aveva mantenuto il compito di celebrare la messa durante il pellegrinaggio, aveva portato con sé una “provvista di erudizione, un fascio d’appunti della storia d’Alessandria e dell’Egitto” che poi gli sarebbero serviti come materiale di studio e ripasso prima di visitare i luoghi interessati. Quello che a più riprese racconta è la meraviglia e l’incanto dei luoghi visitati in occasione del passaggio da Alessandria al Cairo:

“Chi per la prima volta viene in Oriente e sbarca in questo porto dove necessariamente resta meravigliato di questa città che riunisce in sé mescolate tutte le foggie più strane di vestiario, tutte le lingue nate sotto la torre di Babele, e tutti i colori de’ quali può esser tinta la pelle umana. Oggi ho veduto facce d’ebano tirate a lustro, visi di bronzo, di rame da cazzeruole, e anche qualcuno color ottone…”

Una sosta viene programmata anche alle piramidi, di cui racconta a Severino Giordani, in una lettera del 3 settembre:

“Quelle che ho vedute si chiamano di Ghisa, e fra grandi e meno grandi, sono nove. Prendono quel nome dal prossimo villaggio di Ghiseh. In quelle piramidi vediamo ammassi di pezzi enormi di pietra che ci fanno stupire senza dilettarci. Quali forze moventi avevano a loro disposizione gli architetti che le costruirono? La piramide più alta è quella di Ceope (…) mi sono sentito sgomento davanti a far quell’ascensione all’altezza di due volte la torre di Giotto, ero avvilito dal caldo (…) disceso giù sono andato a veder la Sfinge(…)”

Il 6 settembre Del Corona scrive all’amico Augusto di Baviera aggiornandolo sul viaggio e raccontandogli delle moschee che ha visitato, della preghiera mussulmana che, ai

suoi occhi, è un atto di adorazione. Gli chiede anche di informarsi presso l’archeologo Visconti se Alessandria d’Egitto sia stata costruita da Alessandro il Macedone verso il 331 a.C., con la speranza che quando sarà a Roma, tale quesito sia stato risolto.

Della strada percorsa da Giaffa a Gerusalemme, dove giungono il 10 settembre, il canonico invia un resoconto al Cappugi, segretario della Pia Società, sottolineando la difficoltà dell’andare a cavallo per circa 48 miglia. Fu questa tappa per lui forse quella più emozionate e ricca di ricordi, come la messa celebrata presso il Getsemani e la visita ai luoghi sacri per eccellenza, tra cui anche Betlemme, Nazaret e Tiberiade, dove la carovana arrivò nei primi giorni del mese di ottobre, sotto la sorveglianza del dragomanno Aouad. Seguì la visita a Damasco, dove Del Corona dichiarava finito il suo viaggio (lettera del 10 ottobre 1879 indirizzata a Angiolina, convittrice fra le Crocerossine di Firenze), mentre i suoi compagni organizzarono altre gite non previste nel programma originale. Una considerazione curiosa del presidente della carovana, presente in una missiva del 11 ottobre a Severino Giordani, riguarda i bazar, che descrive come

“immense gallerie o corridoi lunghi qualche miglio, coperti da tavole, tende e stoie che impediscono i raggi del sole (…) questi corridoi sono fiancheggiati da migliaia di botteghe (…) che hanno tutte un banco o una tavola, sopra cui sta a sedere il mercante (…). Ogni specie di mercanzia occupa un bazar distinto e tu vedi in quelle bottegucce tappeti di Persia o d’Anatolia, porcellane della China, lane dell’Armenia, pellicce di Russia, profumi e droghe dell’Arabia, manifatture d’Europa (…), cuffie e tessuti libanesi, pianelle intarsiate di madreperla, tabacchi, pipe, narghilè, schilbuk (…) A render poi più pittoresca la scena, una popolazione numerosa e multiforme composta di elementi i più eterogenei, da produrre uno spettacolo fantastico e impossibile ad esser descritto.”

Dal 13 al 16 ottobre, il gruppo che viaggia verso Alessandria è sul piroscafo Odessa, ultima tappa in Oriente prima del rientro a Firenze dove Del Corona conta circa trecento passeggeri, la maggior parte mussulmani in pellegrinaggio verso la Mecca.

Il racconto del viaggio si conclude con una sorta di poesia, che Del Corona dedica alla carovana tutta e a Niccolò Martelli, in particolare:

Evviva, amici amabili, L’illustre Presidente! Viva Carlo, gridiamo, viva Guido,

il segretario intelligente e fido, e l’egregio canonico Agostini e Soneira pittore e Pesciolini,

viva Sauvan, Gaudenzi e l’Arciprete e Auad dragomanno, se volete.

Evviva Niccolò col Comitato che s’occupò di voi, che v’ha spianato

con operosa cura e diligente le faticose vie dell’Oriente.

Viva la Terra Santa e chi ci va, ma soprattutto chi ritorna qua.

Qualche anno dopo la fine di questa esperienza, rimasta vacante la Pieve di Borgo San Lorenzo, in seguito alla scomparsa del vicario Raffaele Cioni, il canonico viene lì trasferito, con una nomina diretta di Monsignor Eugenio Cecconi ed è costretto a lasciare la città di Firenze e la direzione della Tipografia Cooperativa. Si apre così una nuova fase della sua vita religiosa che vede l’istituzione della comunità delle Sorelle di Carità e della Pia Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli. Nel 1888, viene colpito da una paralisi che gli impedisce di muoversi agilmente ma riesce comunque a dedicarsi alle attività della sua parrocchia, da cui continua a ricevere segni di affetto e di stima. Si spegne il primo di febbraio del 1892, e il suo funerale viene celebrato due giorni dopo nella gremitissima pieve che aveva gestito con tanto amore e devozione. L’elogio funebre era stato preparato dal priore Fortunato Cipriani, e considerato l’ampio risalto che riuscì a dare alla figura del defunto, fu poco dopo pubblicato dalla Tipografia Mazzocchi di Borgo San Lorenzo.

Particolarmente rilevante ai fine di questo studio sulla collezione delle matrici, l’amicizia che intercorre tra Del Corona e il marchese Augusto di Baviera, direttore dell’Osservatore Romano. I due erano uniti da un profondo sentimento di stima reciproca ma anche dall’attività editoriale, che svolgevano in città diverse. La costante ricerca di innovazioni, li spinse a condividere esperimenti, svolti a Tivoli, sul miglioramento legato all’utilizzo della carta ignifuga. Nel 1868 Del Corona suggerì al suo amico di sfruttarla industrialmente, e insieme avanzarono, l’anno successivo, la domanda per richiederne il brevetto, che fu loro concesso nel mese di luglio del 1869 e permise di fabbricare tale tipologia di materiale cartaceo presso la Cartiera Rigamonti. L’Osservatore Romano annunciò questa novità, sul numero del 6 ottobre dello stesso anno, rivendicandone la paternità allo Stato Pontificio e in particolare ai due che la idearono, Del Corona e Baviera.

La figura del marchese potrebbe essere quella che ha funzionato come un vero e proprio ponte comunicativo tra l’Italia e la Francia, e con questo mi riferisco alla probabilità di uno scambio di matrici intercorso tra Parigi e Firenze. Egli infatti, come già

spiegato nel paragrafo III.2, era membro del Comité Supérieur des Oeuvres Catholiques de

Palestine insieme all’abate Augustin Albouy, direttore della rivista La Terre Sainte.

Alcune matrici parigine, dopo l’utilizzo, arrivavano a Firenze nella tipografia del canonico Del Corona e altre da qui ripartirono alla volta della stamperia in cui si editava la rivista dell’Albouy. Augusto Baviera potrebbe aver contribuito a creare un legame, dai risvolti professionali ma anche artistici, in quanto grazie a lui potrebbe essere stata possibile lo scambio e aggiornamento tra due dei maggiori centri di riferimento per lo sviluppo dell’arte grafica nel XIX secolo.

III. 5 – Carlo (1850-1945) e Niccolò Martelli (1849-1934)

Se è vero che nel XIX secolo la fotografia rese possibile una diffusione capillare, a livello mondiale, delle immagini dei luoghi sacri d’Oriente e la documentazione di questi posti, i cui usi e costumi erano molto diversi da quelli occidentali, divenne una buona pratica culturale, a cui ben presto aderirono molte famiglie della nobiltà e alta borghesia fiorentine è altrettanto importante testimoniare, grazie a questo lavoro di ricerca, l’interesse nutrito dalle ultime generazioni dei Martelli, con Alessandro e i figli Carlo e Niccolò, nei confronti della Terra Santa, sia di documentazione fotografica, sia di partecipazione attiva alla conoscenza e alla diffusione della stessa.

Dalle ricerche svolte nell’archivio Martelli, emerge un’attitudine alla raccolta tematica e al collezionismo fotografico delle immagini realizzate da noti fotografi europei, impegnati direttamente in loco con importanti campagne di studio; per quanto riguarda invece le matrici da stampa rinvenute al museo, non è stata riscontrata nessuna notizia certa: non sono state, per il momento, ritrovate ricevute di acquisto, note di prestito o informazioni varie nei documenti attentamente analizzati. Come già detto in più occasioni, tale raccolta di materiale grafico può essere considerata a tutti gli effetti un elemento in grado di testimoniare l’impegno profuso dai Martelli nel preservare nella memoria collettiva la Terra Santa.

Il fondo fotografico conservato a Casa Martelli, continuamente arricchito dagli acquisti dei due fratelli, si compone di centoquattordici stampe all’albumina, al bromuro d’argento e al carbone, realizzate da autori diversi, coprendo un arco temporale che va dalla metà del XIX secolo a quello successivo. Solo le immagini che riproducono volti e pose degli abitanti di alcune zone della Terra Santa, spesso ripresi nella semplicità delle loro attività quotidiane, sono all’incirca una sessantina e sono state realizzate da Luigi Fiorillo231 (notizie dal 1870 al 1890) ed Emile Béchard232, e si propongono come una riflessione visiva dal taglio storico-antropologico. Non sappiamo però, quando, da chi e in quale posto queste fotografie furono comprate; la consultazione dei quaderni relativi alle note di spese sia di Carlo che di Niccolò, riportano la voce “acquisto fotografie” senza

231 Le sue stampe presenti nel fondo Martelli, inv. 1812-1849, riprendono i soggetti in posa all’interno del suo studio.

232 Le albumine che egli realizza, inv. 1850-1873, raccontano i mestieri svolti dagli abitanti del Cairo, tra cui, ad esempio, il cesellatore, l’acquaiolo e la suonatrice di tamburello. Ci sono anche immagini di piccoli gruppetti di persone, come del donne arabe davanti ad un bagno oppure gli uomini che giocano a mangala. Questa piccola serie è stata esposta in occasione della mostra Viaggio in Oriente. Fotografie dall’Africa a

specificare, nella gran parte dei casi, il soggetto, per cui diventa difficile risalire al diretto acquirente e all’anno preciso dell’acquisto. L’unica annotazione, in cui meglio si comprende la natura delle immagini, è stata individuata nella filza 2142233, relativa alle entrate e alle uscite di Carlo negli anni dal 1880 al 1898, dove è riportato “30 settembre,