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Mark D Weiser (July 23, 952 – April 27, 999) è stato il capo scientifico di quello che fu il Palo Alto Research Center della Xerox PARC, negli Stati Uniti Weiser è considerato il padre del ubiquitous computing, termine da

per l’active ageing e l’home care Alessandra Rinald

1 Mark D Weiser (July 23, 952 – April 27, 999) è stato il capo scientifico di quello che fu il Palo Alto Research Center della Xerox PARC, negli Stati Uniti Weiser è considerato il padre del ubiquitous computing, termine da

lui coniato nel 1988.

Weiser (1991) fa un parallelo tra la tecnologia dell’informazione elettronica e la scrittura, che può essere considerata la prima tecnologia dell’informazione.

La scrittura, ovvero la capacità di catturare una rappresentazione simbolica del linguaggio parlato per la memorizzazione delle informazioni a lungo termine, che consente di liberarsi dai limiti della memoria individuale, è divenuta ubiqua nei paesi industrializzati. La costan- te presenza sullo sfondo di prodotti di sintesi di literacy technology non richiede, infatti, un’at- tenzione attiva, ma le informazioni da trasmettere sono pronte per l’uso a colpo d’occhio. Il computing ubiquo non significa quindi per Weiser avere computer trasportabili ovunque, ma piuttosto le tecnologie che spariscono nel background.

“I computer ubiqui devono sapere dove si trovano, a differenza dei computer di oggi che non hanno alcuna idea del contesto in cui si trovano. Se un computer semplicemente sapesse in quale stanza si trova, potrebbe adattare il suo comportamento in modo significativo senza ri- chiedere nemmeno un pizzico di intelligenza artificiale.

I Computer ubiqui arriveranno anche in diverse dimensioni, ciascuna adatta a una determi- nata attività… abbiamo costruito ciò che chiamiamo schede, taccuini (pads) e tavole: mac- chine che somigliano a Post-It, altre che si comportano come un foglio di carta (o un libro o una rivista), e display che sono l’equivalente di una lavagna o bacheca […] Quanti taccuini, schede, tavole, display ci sono in una stanza? Guardatevi intorno: titoli sui dorsi dei libri, eti- chette sui sistemi di controllo, termostati e orologi, così come piccoli pezzi di carta. A secon- da della stanza si possono vedere più di un centinaio di tabs, dieci o venti taccuini, una o due schede. Questo porta ai nostri obiettivi di distribuire, inizialmente, l’hardware della embod-

ied virtuality: centinaia di computer per ogni camera. Centinaia di computer in una stanza

potrebbero sembrare intimidatori in un primo momento, così come un tempo sembrarono le centinaia di volt che scorrono attraverso i fili nelle pareti. Come i fili nelle pareti, le centi- naia di computer arriveranno a essere invisibili alla coscienza comune. Le persone semplice- mente li utilizzeranno inconsciamente per svolgere le attività quotidiane […].

Portando i computer in secondo piano, la embodied virtuality renderà gli individui più consa- pevoli riguardo le persone all’altra estremità del collegamento informatico. Questo sviluppo ha il potenziale per invertire la forza centripeta malsana che i tradizionali personal computer hanno introdotto nella vita e sul posto di lavoro. Ancora oggi, le persone sono rintanate negli uffici davanti a raggianti schermi di computer e non possono vedere i loro amici per la mag- gior parte del giorno. Nella realtà virtuale, il mondo esterno e tutti i suoi abitanti cessano ef- fettivamente di esistere. I computer ubiqui, al contrario, risiedono nel mondo umano e non costituiscono una barriera per le interazioni personali. Se non altro, le connessioni trasparen- ti che offrono tra i diversi luoghi e orari possono tendere a portare le comunità più vicine […].

Dal punto di vista sociologico, ubiquitous computing può significare il declino della di- pendenza dal computer” (Weiser et al., 1991 – traduzione dell’autore).

Weiser (1991) ha previsto esattamente quello che è poi accaduto più di un decennio dopo e che ha portato allo sviluppo dell’ubiquitous computing, divenuto possibile anche grazie a tre fattori fondamentali: la possibilità di avere computer a basso costo; una rete che li lega insieme; lo sviluppo di sistemi software di attuazione onnipresenti.

Oggi l’intelligenza ambientale diffusa pervade le cose come le città; sistemi di percezione raccolgono informazioni (sensing) e dati da noi o meglio dai nostri smartphone, cercando di cogliere i nostri bisogni e darvi delle risposte (actuating).

In particolare le città stanno diventando smart e possono essere considerate dei veri e pro- pri laboratori viventi di sperimentazione delle nuove tecnologie su scala urbana.

“Se nel XX secolo Le Corbusier aveva concepito la casa come una ‘macchina per abitare’, le città oggi potrebbero essere immaginate come microchip abitabili o computer all’aria aperta” (Ratti e Claudel, 2014).

Il prossimo futuro della mobilità e dei servizi urbani sarà radicalmente trasformato dall’u- so pervasivo di sensori e di tecnologie di comunicazione e dalla grossa mole di dati che ne scaturirà. Questi progressi rivoluzioneranno i flussi urbani e sarà possibile realizzare servi- zi innovativi di mobilità personalizzata on-demand con benefici immensi sia per gli uten- ti che per la città.

“Questa capacità di percezione fluida e di risposta duttile si sviluppa parallelamente alla disseminazione dei sistemi di elaborazione dei dati: dai grandi calcolatori mainframe alle postazioni fisse desktop, dai computer portatili palmari onnipresenti, fino alla loro disper- sione nell’ambiente e fra gli stessi umani con lo sviluppo dei computer indossabili […]. Il meccanismo che sta alla base dell’intelligenza ambientale è la sensibilità, ovvero la ca- pacità di percepire esattamente ciò che accade intorno a noi e di reagire, di conseguenza, in modo dinamico. Nuovi sistemi di percezione stanno pervadendo ogni aspetto dello spa- zio urbano, rivelando dimensioni visibili e invisibili della città – e dei suoi cittadini: stiamo conoscendo più a fondo le nostre città ed esse, parallelamente, stanno imparando a cono- scere noi. Mentre le persone parlano al telefono, inviano messaggi e navigano su internet, i dati raccolti dalle reti di telecomunicazioni catturano i flussi urbani in tempo reale (real time) e li cristallizzano alla stregua di mappe di Google sulla congestione del traffico […]. Oggi le persone stesse, dotate di smartphone e computer indossabili, possono diventare strumenti di rilevazione. Recentemente sono emerse innumerevoli applicazioni che con- sentono agli individui di essere localizzati, di trasmettere informazioni e comunicare le lo- ro esigenze, facilitando nuove interazioni.

Le informazioni vengono trasmesse in tempo reale dai cellulari alla città, per poi tornare ai cel- lulari. In taluni casi il processo di rilevazione diventa di per sé un atto civico deliberato attraver- so il quale i cittadini svolgono un ruolo sempre più attivo nella condivisione partecipativa dei dati” (Ratti e Claudel, 2014).

Gli oggetti stanno iniziando a parlarci. L’intelligenza ambientale urbana, e non solo, i siste- mi di controllo Real Time consentono di accumulare una mole di dati enorme – Big Data – che possono essere utilizzati per molte applicazioni e scopi diversi, che noi immaginiamo ov- viamente sempre positivi.

Nel citato articolo, Ratti2 (2014) fa riferimento a una statistica elaborata da Eric Schmidt, il

patron di Google, secondo la quale ogni 48 ore viene messa online una quantità di dati pari al totale di quelli prodotti dall’intera umanità fino al 2003 (una stima già vecchia e che dunque andrebbe certamente rivista al rialzo).

L’attività di sensing, se ben indirizzata, consente di sapere cosa succede in una città, in un edificio, in una casa, quali sono i consumi, gli stili di vita delle persone, portando a una con- sapevolezza che può cambiare il sistema. Questi dati, se resi pubblici e condivisi con i cittadi- ni, permettono di cambiare i comportamenti e le politiche.

I cittadini di oggi stanno diventando smart, attivi e collaborativi; il processo di rilevazione di- venta talvolta per se stesso un atto civico deliberato, attraverso il quale le persone svolgono un ruolo attivo nella condivisione partecipativa dei dati. Ci sono delle APP come Waze, che consentono al cittadino di caricare informazioni sul traffico e sulle strade, in modo che an- che altri possano trarne vantaggio; oppure 311, che consente di segnalare problemi come bu- che nelle strade, rami rotti, lampioni spenti e quant’altro, così da facilitare il pronto interven- to; o APP come Open Street Map, che consentono alle persone di collaborare per tracciare mappe di luoghi che non sono stati oggetto di sistematiche rilevazioni topografiche, soprat- tutto nei paesi in via di sviluppo non interessati da Google.

Possiamo dire quindi che se le città oggi stanno diventando computer all’aria aperta, i cittadi- ni sono i sensori, attraverso i propri smartphone e i location based system, utilizzati da moltis- sime APP, come Instagram, Twitter, Flickr e tante altre.

L’implementazione crescente di questi sensori e dell’elettronica portatile in generale sta por- tando a un nuovo approccio allo studio dei comportamenti dell’uomo e del suo ambiente. Tutte le attività che l’individuo svolge durante la giornata possono essere rilevate, elaborate e studiate; è possibile così raccogliere dati e informazioni sulla persona e sulla collettività e ri- spondere a questi dati con delle strategie di intervento – per rendere le persone smart e attive,

2 Architetto e Ingegnere, Carlo Ratti è direttore del MIT SENSEable City Lab di Boston, che interpreta i trend della

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