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TIVA con Fentanyl o Remifentanil in chirurgia breve

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

Direttore Prof. Giulio Guido

CORSO DI LAUREA IN MEDICINA

E CHIRURGIA

TIVA

:

F

ENTANYL O

R

EMIFENTANIL

IN CHIRURGIA BREVE

Relatore

Chiarissimo Prof. Francesco Giunta

Candidato

Sig.na Elisa Cecchi

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3 A tutti coloro che hanno voluto rendere la mia vita meravigliosa con i loro Doni:

a mio marito Christian, per l’infinito Amore, per la Lealtà, per il suo smisurato Coraggio

a mia madre, per la Fiducia a mio padre, per la Tenerezza alla mia famiglia, per la Fede

alle mie sorelle Martina, Francesca, Iosè, per la Speranza e la Spensieratezza

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INDICE

INTRODUZIONE

6

Obiettivi 6 Dolore 8 Oppioidi 17 Morfina 22 Fentanyl 24 Remifentanil 26 Ketorolac e FANS 30 Paracetamolo 32 Propositi di studio 34

MATERIALI E METODI

37

Popolazione oggetto di Studio 37

Protocollo di utilizzo 40

Valutazione del dolore 45

Valutazione del dolore: la scala VAS 47

Valutazione del dolore: il questionario IPO 48

RISULTATI

53

Valutazione intraoperatoria

53

Valutazione post operatoria in recovery room 56

Valutazione post operatoria in reparto 60

DISCUSSIONE

68

CONCLUSIONI

79

BIBLIOGRAFIA

81

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6

INTRODUZIONE

1.Obiettivi

L'anestesia endovenosa totale, o TIVA, rappresenta una tecnica anestesiologica nella quale vengono utilizzati farmaci esclusivamente di somministrazione tramite via endovenosa ai fini di raggiungere gli obiettivi prefissati per l'anestesia chirurgica, ovvero perdita di coscienza, analgesia, amnesia, controllo della risposta adrenergica e rilassamento muscolare.

Tutte queste singole voci costituiscono pilastri fondamentali ai fini del perseguimento dell'obiettivo fondamentale dell'anestesia generale, ovvero rendere possibile l'esecuzione dell'atto chirurgico senza che vi sia in alcun modo compromissione della sfera fisica o psicologica del paziente.

Tra i principali gruppi di farmaci utilizzati a questo proposito si ritrovano ipnotici per la perdita di coscienza, ed oppioidi per l'analgesia. Fentanyl e Remifentanil sono due tra gli oppioidi più utilizzati in ambito anestesiologico ai fini del sollevamento dal dolore, obiettivo che costituisce una priorità assoluta per qualunque medico, ed in particolare per l'anestesista che voglia lavorare in terapia intensiva od affiancare il chirurgo nella gestione del paziente in sala operatoria, dal momento che qualunque intervento chirurgico, sebbene di breve durata ed entità, comporta inevitabilmente l'insorgenza di dolore post operatorio a seguito della lesione di tessuti e nervi.

Sebbene il dolore postoperatorio sia condizionato da una grande variabilità individuale e sia influenzato in senso migliorativo o peggiorativo da un buon numero di fattori fisiologici, affettivi, cognitivi,

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7 socio-culturali e comportamentali [1], quali ad esempio il sesso, l'età, la personalità del paziente, la paura o l'esperienza di pregressi interventi chirurgici, è innegabile che il suo trattamento, di qualunque entità risulti percepito, sia un imperativo sia dal punto di vista etico che prognostico. Numerosi studi, infatti, hanno infatti suggerito come, utilizzando un'adeguata terapia del dolore, non soltanto migliorasse la valutazione complessiva del paziente riguardo all'intervento, ma anche morbilità e mortalità post operatorie venissero influenzate positivamente.[2]

E' in questa ottica che è nato l'obiettivo del presente studio: sussistendo, ad oggi, la possibilità di utilizzare ai fini della gestione del dolore intra e post operatorio farmaci dotati di diversa potenza e provvisti di caratteristiche farmacologiche differenti tra loro, si è voluto cercare di capire quale, in particolar modo fra gli oppioidi di più frequente utilizzo in tecniche anestesiologiche totalmente intravenose, potesse garantire il migliore effetto analgesico al prezzo del minore effetto collaterale.

Nello specifico, gli oppioidi di più frequente utilizzo sono Fentanyl e Remifentanil. Si è voluto quindi dimostrare se, alle differenti caratteristiche farmacologiche e farmacodinamiche dei due oppioidi, corrispondesse anche una diversa efficacia analgesica, e vi fosse dunque indicazione a prediligerne uno piuttosto che un altro nell'esecuzione dell'analgesia intraoperatoria. Tutto ciò ai fini di migliorare anche la gestione del dolore post operatorio inevitabilmente percepito dal paziente a seguito di interventi di chirurgia breve quali, come nel presente caso, la tiroidectomia totale.

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2.Dolore

Il dolore, che la IASP (International Association for the Study of Pain) definisce come «un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole, associata a danno tissutale in atto o potenziale» [3] pur essendo valutato in maniera soggettiva dal paziente costituisce un vero e proprio fenomeno fisico, e deve essere compreso nei suoi meccanismi fisiologici per essere efficacemente abolito.

Nel 2004 l’American college of physicians, in linea con queste riflessioni, ha proposto una classificazione dei vari tipi di dolore, articolata in due categorie principali: il dolore come risposta di tipo adattativo e come forma di tipo non adattativo.

In primo luogo, il dolore come risposta adattativa contribuisce alla sopravvivenza, salvaguardando l’organismo da fattori lesivi e promuovendo la guarigione quando una lesione è comunque sopravvenuta, ed è ulteriormente classificabile in nocicettivo ed infiammatorio.

Il dolore nocicettivo costituisce un vero e proprio sistema d’allarme volto ad avvisare l'organismo di una eventuale presenza di stimoli o eventi in atto potenzialmente dannosi. Riguarda stimoli provenienti sia dall’ambiente esterno, come ad esempio stimoli meccanici intensi, termici o chimici, sia dall’interno dell’organismo, come nel caso di traumi ossei o spasmi viscerali.

Solitamente, questo tipo di dolore è acuto, di breve durata e facilmente identificabile.

Dovendo invece descrivere il dolore infiammatorio, lo si qualifica come quella risposta a stimoli od eventi nocivi che producono un danno tissutale persistente per un periodo variabile di tempo, come ad esempio

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9 nel caso di una ferita, un’ustione, una frattura ossea. La lesione genera un processo di tipo infiammatorio, che costituisce il primo passo verso processi riparativi e immunoprotettivi, e che persiste fino alla riparazione del danno.

Questo tipo di dolore è più sordo e prolungato rispetto a quello nocicettivo, il cui andamento procede di pari passo con l’evoluzione dell’infiammazione stessa e scompare con la restitutio ad integrum dei tessuti lesi.

Esistono, inoltre, forme dolorose di tipo non adattativo, ovvero risposte dolorifiche che non si associano ad uno stimolo nocivo od ad un processo infiammatorio o rigenerativo, e rappresentano dunque non tanto un sintomo od un sistema di allarme quanto l'espressione di una degenerazione nervosa periferica o centrale in grado di generare dolore. Sono, quindi, espressione di un processo patologico: in queste forme dolorifiche è frequente la cronicizzazione fino a situazioni difficilmente tollerabili dal paziente anche in ragione della scarsa responsività al trattamento. All'interno di questa classe di stimoli dolorifici si può operare una ulteriore suddivisione in dolore neuropatico o funzionale. Il dolore neuropatico deriva da lesioni che affliggono direttamente il sistema nervoso, periferico o centrale, includendo i nervi o i centri nervosi deputati al trasporto del dolore. In campo clinico ne sono esempi la neuropatia diabetica, posterpetica e la sciatalgia, per quanto riguarda il sistema nervoso periferico, e le neuropatie successive all’ictus cerebrale, da lesione del midollo spinale o da malattie neurologiche (come la sclerosi multipla), relativamente a esiti di lesione del sistema nervoso centrale. Ne deriva un quadro di dolore grave, che tende a cronicizzare indipendentemente dal danno nervoso iniziale, con aspetti clinici particolari e specifici, caratterizzati da un dolore-bruciore, dalla presenza

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10 di formicolii, di dolore ‘a scossa’ o ‘a pugnalata’, da iperalgesia (percezione di uno stimolo in sé doloroso con intensità molto accentuata) e da allodinia (percezione dolorosa di stimoli in sé non dolorosi).

Per dolore funzionale si intende, invece, l’indipendenza dell’episodio doloroso da qualsiasi tipo di lesione organica. La genesi spontanea dell’evento, in genere a livello cerebrale, avviene per meccanismi fisiopatologici o biochimici, spesso geneticamente determinati o condizionati, come avviene frequentemente in particolar modo nell'emicrania.

E' importante sottolineare, dal punto di vista fisiologico, che la percezione e la coscienza del dolore costituiscono il risultato del funzionamento di un sistema anatomico, funzionale e biochimico specificamente deputato a rilevare gli stimoli dolorosi, trasportarli al sistema nervoso centrale e successivamente elaborarli fino ad acquisire la consapevolezza dello stimolo. Questo avviene grazie a neuroni, recettori, fibre nervose, sinapsi, neuromediatori chimici e circuiti neuronali che trasmettono informazioni riguardanti provenienza, intensità e qualità del dolore.

La trasmissione dolorifica può dunque essere equiparata ad una “rete” [4] che ha inizio a partire da filamenti nervosi che si arborizzano a livello della cute, delle mucose e, in generale, di tutti gli organi e tessuti. Tali filamenti sono deputati a percepire stimoli dolorosi e nocivi e a trasformarli in un segnale elettrico che dai filamenti stessi s’incanala in specifiche fibre nervose (fibre mieliniche Aδ e fibre amieliniche C), collocate nel contesto di molti nervi (sistema nervoso periferico), fino ad entrare per via posteriore nel midollo spinale. La parte più distale e periferica dei filamenti contiene i recettori del dolore, comunemente definiti nocicettori, della cui struttura e organizzazione si parlerà

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11 diffusamente in seguito. Lungo il decorso della fibra nervosa, all’altezza dei gangli delle radici posteriori del midollo spinale, si collocano il corpo cellulare e il nucleo del neurone periferico deputato al trasporto del dolore, ovvero il primo neurone afferente che conduce il segnale nervoso in direzione centripeta.

Il primo neurone afferente entra nelle corna posteriori del midollo spinale, e lì si connette con il secondo neurone afferente mediante una sinapsi. La trasmissione del segnale avviene attraverso neurotrasmettitori che vengono rilasciati a livello presinaptico, attraversano l’intervallo sinaptico e giungono su specifici recettori collocati sulla membrana cellulare postsinaptica.

Per quanto riguarda il sistema di conduzione dello stimolo dolorifico, la prima sinapsi svolge sia la funzione di trasmissione che di modulazione del dolore. A seguito del transito dalla prima sinapsi gli stimoli giungono poi al sistema nervoso centrale dove vengono elaborati ed integrati, passando attraverso diversi fasci definiti che possono essere oggetto di trattamento ai fini di sopprimere lo stimolo dolorifico.

Il più importante di questi è il tratto spino-talamico (TST), ma è fondamentale ricordare che, a livello del bulbo, le prime connessioni si realizzano con la formazione reticolare, insieme di nuclei nervosi dai quali gli stimoli in arrivo vengono proiettati verso i centri superiori (talamo) oppure ritornano al midollo spinale, per connettersi con i motoneuroni delle corna anteriori. Questa connessione è alla base dei comportamenti che permettono di allontanare un’area del corpo dallo stimolo doloroso che su essa agisce.

Una seconda connessione bulbare viene realizzata con una struttura chiamata midollo ventrolaterale (MVL), che comprende il nucleo del tratto solitario e il locus coeruleus. Questi collegamenti sono

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12 fondamentali per le integrazioni con il sistema nervoso autonomo, che determinano l’aumento della frequenza cardiaca e respiratoria e della pressione arteriosa, comunemente osservabili subito dopo aver provato un dolore intenso. Un’altra importante connessione avviene con il nucleo del rafe magno (NRM). Questa stazione è il punto di partenza di un’importante via nervosa discendente, che ritorna a livello della prima sinapsi, nelle corna posteriori del midollo spinale, e che ha l’obiettivo di ridurre e modulare gli stimoli dolorosi provenienti dalla periferia rappresentando un feedback negativo che autolimita l’entità del dolore. A livello del ponte una prima importante connessione è invece ottenuta con il nucleo parabrachiale (NPB), dove arrivano principalmente afferenze dolorose provenienti dai visceri (a seguito di spasmi, coliche ecc.). L’NPB si connette a sua volta con altre strutture, ossia l’ipotalamo e l’amigdala. Al primo competono risposte neuroendocrine, mediate dall’ipofisi, consistenti nella liberazione di sostanze ad azione analgesica (oppioidi endogeni); l’amigdala, invece, rientra tra le strutture nervose deputate alle risposte emotive legate all’esperienza dolorosa, come rabbia, ansia, depressione.

Altri fasci nervosi si connettono con il grigio periacqueduttale (GPA), così chiamato perché è un nucleo di sostanza grigia che circonda l’acquedotto silviano, ovvero il canale in cui scorre il liquido cefalorachidiano. Il GPA si connette con l’NRM e partecipa al sistema di modulazione e controllo del dolore in entrata. Le cellule del GPA liberano β-endorfina, una sostanza che agisce in modo del tutto analogo alla morfina e agli altri farmaci oppioidi, ottenendo, quindi, effetti analgesici.

Ritornando alla via ascendente principale che attraverso il TST connette il midollo con il talamo, gli stimoli vi giungono in sei distinti nuclei, dei

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13 quali i più importanti sono il nucleo ventromediale posteriore e il nucleo ventrale-caudale. Altre fibre in uscita dal talamo si irradiano verso il sistema limbico, deputato a elaborare i contenuti emozionali della percezione dolorosa, e verso l’ipotalamo che, connesso all’ipofisi, è addetto alle risposte neuroendocrine.

Dal talamo, gli stimoli dolorosi vengono infine proiettati verso alcune aree della corteccia cerebrale, che rappresentano il punto di arrivo delle afferenze sensoriali dolorose.

Per quello che riguarda il dolore, i nuclei talamici proiettano verso alcune specifiche aree sensitive corticali, tra le quali principalmente la corteccia insulare posteriore (cognizione del dolore) e il cingolo anteriore.

Al di là della imprescindibile conoscenza dei meccanismi fisiologici di trasmissione del dolore, che rappresentano un imperativo per chiunque voglia poi trattare il dolore stesso, ciò che è importante dal punto di vista del paziente è la percezione del dolore, che origina, sempre in termini fisiologici, dalla eccitazione dei nocicettori da parte di specifici stimoli nocivi [5].

Il processo nocicettivo, che coinvolge l’intero primo neurone afferente, consta di tre fasi successive: la trasduzione, la conduzione del segnale e la trasmissione sinaptica.

La trasduzione consiste nella conversione di stimoli nocivi – meccanici, termici o chimici – in impulsi elettrici, che costituiscono la modalità di propagazione di un segnale lungo le vie del sistema nervoso. [6]

L’attivazione dei recettori per gli stimoli dolorosi comporta l’immediata apertura di canali del sodio, collocati a breve distanza sulla stessa membrana cellulare . Tali canali sono strutture proteiche di forma più o meno cilindrica, che a seguito dell’attivazione dei suddetti recettori

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14 fanno defluire lo ione sodio da una parte all’altra della membrana in base al gradiente di concentrazione.

Nel caso del sodio, che è uno ione in prevalenza extracellulare, l’apertura del canale comporta una sua massiccia entrata all’interno della cellula. Da questo evento deriva la depolarizzazione del primo neurone afferente, ovvero l’avvio di un impulso elettrico. La conduzione è il passo successivo, in cui l’impulso si propaga lungo l’intero decorso delle fibre Aδ e C.

Nel caso degli stimoli dolorosi le molecole attive nella trasmissione sinaptica sono soprattutto la sostanza P (SP) e il glutammato (Glu). SP e Glu, attraversato l’intervallo sinaptico, si legano a specifici recettori postsinaptici, alcuni dei quali, come i recettori AMPA e kainato, a cui si lega il Glu, agiscono immediatamente favorendo la depolarizzazione del secondo neurone e, di conseguenza, il proseguimento dello stimolo da quel punto in avanti, in direzione dei centri superiori precedentemente descritti. Gli altri recettori postsinaptici (recettore NK 1, NeuroKinina 1, specifico per la SP, e recettori NMDA, N-Methyl-D-Aspartate, e mGlu, ai quali si lega il Glu) entrano in azione più tardivamente, in caso di dolore persistente, per mantenere o potenziare a lungo la trasmissione dello stimolo, fino a produrre in determinati casi, come a seguito di alcune neuropatie dolorose periferiche, uno stato eccitatorio permanente del secondo neurone che prende il nome di sensibilizzazione centrale [7] Alcune delle molecole liberate, come l’adenosintrifosfato e gli idrogenioni, agiscono sui nocicettori, attivandoli direttamente e determinando un’immediata depolarizzazione, con partenza di uno stimolo doloroso. Altre sostanze, invece, agiscono su altri recettori che non sono in grado di far partire lo stimolo doloroso ma che sono capaci di sensibilizzare i nocicettori, ovvero di abbassarne la soglia di

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15 attivazione. Mentre la prima categoria di mediatori, le sostanze depolarizzanti, causa dolore, la seconda categoria, quella delle sostanze sensibilizzanti, causa iperalgesia.

A fianco di questi meccanismi è importante ricordare anche come ne esistano altri, predisposti a livello del sistema nervoso centrale, che modulano il dolore in arrivo dalla periferia e che consentono di gestire con maggiore efficacia il dolore in situazioni di pericolo.

Queste situazioni estreme derivano dal fatto che l’SNC, in determinate occasioni, attiva circuiti neuronali in grado di ridurre o cancellare il dolore in entrata. Tali circuiti sono collegati ad alcuni centri cerebrali, come il sistema limbico, dove vengono elaborati gli aspetti emozionali; determinati stati d’animo molto intensi, come la paura, o uno stato di eccitazione mentale, od una grande tensione emotiva, sono capaci di inserirsi su un sistema che controlla il flusso degli stimoli dolorosi provocandone una inibizione. In altre situazioni, invece, è sufficiente la lunga persistenza di un dolore intenso e poco sopportabile per attivare simili meccanismi di feedback. [8]

Il punto di partenza del circuito è il GPA, a cui afferiscono input regolatori provenienti dalla corteccia cerebrale, e in particolare dal cingolo anteriore, dove gli stimoli dolorosi trovano la loro ultima stazione di arrivo sia dall’amigdala, che è un’area deputata, tra l’altro, all’elaborazione degli aspetti emozionali. Lo stesso GPA è stimolato da fibre collaterali della via ascendente che, proprio in funzione del trasporto prolungato di stimoli dolorosi, s’inserisce sul punto di avvio del circuito discendente con la chiara funzione di creare un feedback negativo sul dolore in arrivo. Dal GPA partono fibre discendenti che raggiungono, come prima tappa, il midollo allungato a livello dei nuclei rostrali centromediani e, in particolare, l’NRM. Tramite l’NRM, il

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16 sistema discendente ritorna alle corna posteriori del midollo spinale, dove stabilisce sinapsi di tipo inibitorio con i neuroni delle vie ascendenti. Si parla di sinapsi inibitorie in quanto il neuromediatore liberato è una sostanza oppioide endogena, chiamata encefalina, che esattamente come i farmaci oppioidi di nostro interesse agisce bloccando la funzione dei neuroni raggiunti e impedendo, in questo caso, il transito dello stimolo doloroso proveniente dalla periferia.

L’aspetto più interessante del circuito discendente riguarda, innanzi tutto, la capacità di garantire un’attenuazione del dolore provato durante situazioni prolungate di sofferenza, come accade nel caso di certi stati d’infiammazione cronica: questa capacità si autogenera e si mantiene in modo automatico senza l’intervento di uno stimolo trigger e di fattori esterni. Inoltre, le basi biochimiche del circuito si fondano su molecole di tipo oppioide che, agendo su appositi recettori, sortiscono l’effetto inibitorio atteso.

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3.Oppioidi

Queste scoperte hanno permesso, nel tempo, di chiarire quindi dove e come agiscono i farmaci oppioidi che vengono comunemente utilizzati in molti quadri dolorosi, scoprendo che, di fatto, essi non fanno altro che ‘mimare’ l’azione di sostanze che l’organismo normalmente produce e libera in risposta a stati dolorosi.

Esaminare l'aspetto fisiologico della trasmissione del dolore consente di comprendere per quali specifici motivi i farmaci oppioidi siano considerati una soluzione d'eccellenza per risolvere il problema del dolore in termini generali.

Distinguiamo in primo luogo tra oppioidi endogeni (encefaline, endorfine e dinorfine), oppioidi di origine naturale (componenti dell'oppio) ed oppioidi sintetici, quali ad esempio il Fentanyl.

Il principale effetto desiderato degli oppioidi è la marcata analgesia, altri effetti costituiscono lo spettro di depressione respiratoria, sedazione, miglioramento del tono dell'umore, riduzione della motilità gastrointestinale, nausea e vomito, così come alterazioni delle funzioni autonomiche ed endocrine.

Le principali ed attuali indicazioni all'impiego perioperatorio degli oppioidi sono il supplemento degli anestetici inalatori, la componente analgesica dell'anestesia endovenosa totale o TIVA, come anestetico principale nei pazienti a rischio, come terapia del dolore nel post operatorio o, in utilizzo non routinario, come premedicazione.

A livello farmacologico, gli oppioidi agiscono mediante l'interazione attraverso quattro recettori specifici: μ, κ , δ e il recettore dell'orfanina FQ, altrimenti detti nell'ordine recettori MOP (MOR), recettori KOP (KOR), recettori DOP (DOR) e recettori NOP (NOR) proteine

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18 transmembrana , della famiglia della rodopsina, accoppiate a proteina G inibitorie (GPCR). [9]

Il recettore di tipo μ è il principale bersaglio di morfina ed altri oppioidi, mentre il recettore k è il responsabile di effetti differenziati e bersaglio dei composti ad azione mista agonista/antagonista.

La principale via nocicettiva che viene inibita dagli oppioidi è quella riferibile alla sostanza grigia periacqueduttale (PAG); questi neuroni sono intrinsecamente attivi, mantenendo un tono basale, e secernono GABA sui neuroni del bulbo che sono quindi inibiti e non secernono NA e 5-HT, neurotrasmettitori inibitori, sulle loro cellule bersaglio del corno posteriore del midollo spinale che mantiene così un tono basale. L'inibizione dei neuroni della PAG quindi blocca la secrezione di GABA e comporta alla fine la diminuzione dell'attività del secondo neurone sensitivo.

Il sistema κ è invece più attivo sull'analgesia spinale, e la somministrazione intratecale provoca analgesia segmentale con minori effetti secondari.

Dal momento che l'effetto degli oppioidi avviene attraverso l'interazione con tali recettori, l'intensità della loro azione dipende dalla concentrazione a livello del recettore.

Con gli oppioidi lipofilici si stabilisce rapidamente un equilibrio tra concentrazione plasmatica e siti di legame nel SNC e nei tessuti periferici. La concentrazione plasmatica e la concentrazione al recettore sono proporzionali tra loro, e si modificano nel corso del tempo in modo parallelo. Dopo l'instaurarsi dell'equilibrio, la concentrazione plasmatica può essere considerata come un indicatore della concentrazione recettoriale. Esiste comunque una certa variabilità inter ed intra individuale della concentrazione plasmatica necessaria da raggiungere ai

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19 fini di ottimizzare l'anestesia chirurgica, e dunque dose necessaria e concentrazione plasmatica vengono definite paziente per paziente, tenendo conto anche della variabilità dello stimolo algico che cambia a seconda del tipo di intervento chirurgico in oggetto.

E' importante ricordare come gli oppioidi influenzino, tramite tali meccanismi d'azione, non soltanto la percezione del dolore ma anche la tolleranza del paziente verso il dolore stesso, modificando anche la componente soggettiva della percezione dolorifica.

L'effetto analgesico dell'oppioide è più efficace sul dolore continuo piuttosto che sul dolore acuto, e aumenta con effetto dose-dipendente, al prezzo di un aumento dell'effetto collaterale di depressione respiratoria od apnea.

La depressione respiratoria costituisce il più grave e comune effetto collaterale, dovuto all’innalzamento della soglia di CO2 necessaria ai centri del tronco encefalico per stimolare la respirazione, compromettendo sia ritmicità che profondità dell'atto respiratorio.

Clinicamente la depressione respiratoria, che è dose-dipendente e viene amplificata dalla mancanza di stimolazione, dal sonno o dalla contemporanea somministrazione di anestetici per via endovenosa e di sedativi, si manifesta come una diminuzione della frequenza respiratoria e del volume minuto, come un aumento del volume corrente fino a manifestarsi con bradipnea od apnea.

Altri effetti collaterali degni di nota sono costituiti dall'attenuazione del riflesso della tosse, che può aumentare il rischio di ostruzione bronchiale, atelettasia ed ipossiemia, e dalla rigidità muscolare, che colpisce in particolar modo la muscolatura di torace, addome e laringe. E' importante ricordare inoltre anche l'effetto collaterale a carico del sistema gastrointestinale: la morfina inibisce infatti la funzione globale

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20 del tratto gastrointestinale, ed in particolare aumenta il tempo di transito e il tempo dello svuotamento gastrico, il riflesso peristaltico e la sua regolazione, ed a livello microscopico anche il rilascio di neurotrasmettitori come l’acetilcolina dai terminali nervosi, sia intraparietali che di derivazione vagale.

Sempre a carico del tratto gastro intestinale è possibile, e frequente, l'insorgenza di PONV, acronimo che indica il verificarsi di nausea e vomito post operatori, dovuti a diretta stimolazione farmacologica dell'area postrema del midollo allungato. Gli oppioidi svolgono dunque un ruolo di “trigger” a questo livello, determinando l'insorgenza di tale effetto collaterale, frequente in fase post operatoria a prescindere da quale sia stata la via di somministrazione dell'oppioide.

L'assunzione di oppioidi inoltre provoca miosi, a volte marcata, e questo è un segno clinico importante nell'identificare un paziente che ha assunto delle sostanze attive di questa classe od i casi di overdose (tenendo in conto della possibile midriasi in caso di blocco respiratorio). Il meccanismo di azione non è chiaro, ma si ritiene sia coinvolto il nucleo di Edinger-Westphal unitamente ad una stimolazione diretta del nervo ciliare, eventi che simulano una attivazione del parasimpatico.

Si possono sviluppare effetti endocrini ipofisari come l'interruzione del ciclo mestruale durante la terapia analgesica cronica, dovuto sia all'effetto diretto ipofisario di soppressione di LH e FSH che all'innalzamento della Prolattina e alla soppressione dei segnali ipotalamici. La tolleranza a queste azioni si sviluppa rapidamente, con ripristino delle funzioni senza che sia necessaria l'interruzione della terapia.

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21 A seguito della somministrazione di morfina ed altri oppioidi si ha, inoltre, un aumento del tono vescicale ed una diminuzione di quello degli sfinteri a valle. [10]

E' anche importante ricordare l'instaurarsi, a seguito di utilizzo prolungato, di tolleranza e dipendenza, fenomeni che probabilmente derivano dalla mediazione del recettore μ2.

Anche i fenomeni di addiction agli oppioidi sono mediati dai recettori e ligandi μ: secondo alcuni studi preliminari, la stimolazione del sottotipo 2 di questi induce i meccanismi di ricompensa, mentre quella del sottotipo 1 induce avversione come con gli agonisti κ, secondo alcuni autori mediante il rilascio secondario di κ-agonisti specifici.

La somministrazione continua di oppioidi per un determinato periodo di tempo porta necessariamente alla tolleranza, ovvero all'assuefazione nei confronti degli effetti sul SNC: la durata d'azione diventa più breve e gli effetti si attenuano. Velocità ed entità della tolleranza sembrano essere dose-dipendenti.

Accanto alla tolleranza, la somministrazione cronica di oppioidi determina obbligatoriamente, in tutti i pazienti, dipendenza e frequentemente anche tossicomania.

All'interno di questo panorama farmacologico, è fondamentale sottolineare come non tutti gli oppioidi presentino lo stesso profilo farmacologico.

Analizzare le diverse caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche consente di cercare di stabilire quale sia l'oppioide che consente il miglior controllo del dolore al prezzo del minor effetto collaterale.

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4.Morfina

Capostipite dei farmaci oppioidi è sicuramente la morfina, agonista puro e selettivo per i recettori μ, attraverso l'attivazione dei quali svolge una attività analgesica a lunga durata, che lo rende un eccellente farmaco ai fini dell'utilizzo come copertura antalgica nel post operatorio. Dal punto di vista farmacodinamico, esiste una scarsa correlazione tra la concentrazione ematica e l'effetto farmacologico della morfina, mentre la concentrazione ematica necessaria per ottenere effetto analgesico deve essere superiore a 16 ng/ml.

La morfina presenta un alto grado di ionizzazione del legame proteico ed una scarsa liposolubilità. Rapidamente viene metabolizzata a morfina glucuronato, ed in ragione di queste caratteristiche solo una piccola parte di essa supera la barriera ematoencefalica e raggiunge il sistema nervoso centrale. L'eliminazione del farmaco avviene per coniugazione a livello epatico, ed i metaboliti più importanti sono la morfina-3-glucuronato, che non ha attività farmacologica, e la morfina-6-glucuronato.

L'escrezione dei metaboliti avviene per via renale, solo il 10% viene riassorbito nel circolo enteroepatico. Questo dato spiega come nei pazienti affetti da insufficienza renale di vario grado l'effetto della morfina possa prolungarsi.

L'emivita farmacologica varia da 1,5 a 4,5 ore, mentre la clearance è stimabile in un range compreso tra 6,4 e 23ml/kg/min.

In ragione di tali caratteristiche, la morfina viene utilizzata sia come oppioide di riferimento nella terapia del dolore acuto che nel trattamento del dolore cronico, oltre a costituire un farmaco fondamentale nella gestione del dolore postoperatorio. A questo scopo, la morfina viene somministrata per via endovenosa ai fini di raggiungere una elevata

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23 concentrazione ematica ed un rapido effetto analgesico, in dose unica per via endovenosa in concentrazioni variabili tra 0,1 e 0,2 mg/kg. L'inizio dell'effetto analgesico avviene dopo circa quindici minuti, con un picco dopo mezz'ora ed una durata variabile di quattro, cinque ore. Effettuare, quindi, un bolo di morfina nelle fasi terminali di un intervento di chirurgia breve quale la tiroidectomia, consente di poter massimizzare la gestione del dolore post operatorio grazie alla prolungata durata dell'effetto farmacologico, ma anche di avere sotto controllo il paziente, sottoposto a monitoraggio nella Recovery Room, esattamente nel momento in cui si prevede si verifichi l'effetto massimo farmacologico, in modo da poter intervenire prontamente per correggere e gestire l'eventuale insorgenza di effetti collaterali quali, appunto, la depressione respiratoria.

La morfina, inoltre, è ad oggi il principale oppioide di riferimento per quanto riguarda l'analgesia endovenosa controllata dal paziente, nella quale è il malato stesso a gestire la somministrazione di oppioidi che viene erogata da una pompa ad infusione manovrata a seconda della necessità, ed insieme alla codeina è stata usata con successo anche in soggetti affetti da tosse patologica, od in pazienti nei quali fosse necessario mantenere la ventilazione attraverso intubazione endotracheale, in ragione del suo spiccato effetto bechico, ovvero di soppressione del riflesso della tosse.

Oltre alla morfina, altri oppioidi di preponderante utilizzo nell'anestesia intraoperatoria sono Fentanyl e Remifentanil, entrambi appartenenti al gruppo delle fenilpiperidine ma con significative differenze in termini di potenza e biodisponibilità.

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24 5.Fentanyl

Il Fentanyl, o fenileti-propionil-anilinopiperidina, è uno degli oppioidi sintetici appartenente alla famiglia degli agonisti μ , che presenta una potenza analgesica 50- 100 volte superiore a quella della morfina. Una dose di 100 microgrammi (2 ml) esercita un’azione analgesica paragonabile a quella di 10 mg di morfina. E' un farmaco molto lipofilo che attraversa rapidamente, contrariamente alla morfina, la barriera ematoencefalica, cosicchè entro tre o cinque minuti viene raggiunto il massimo effetto. [11]

Entro poco tempo dall'iniezione il Fentanyl si distribuisce nei tessuti del corpo e la concentrazione plasmatica cala prontamente. L'elevato gradiente di concentrazione favorisce anche l'efflusso del farmaco, determinandone una breve durata d'azione.

L'eliminazione del Fentanyl inizia quando la fase di distribuzione è quasi completamente terminata, mentre le concentrazioni plasmatiche, a questo punto, diminuiscono più lentamente. L’effetto analgesico massimo e l’azione depressiva sulla respirazione insorgono dopo alcuni minuti. La durata media dell’effetto analgesico è di 30 minuti circa dopo un’iniezione per bolo endovenoso di 100 microgrammi. Il livello di analgesia è dose-dipendente e può essere correlato al livello di dolore dell’intervento chirurgico. Il Fentanyl esercita effetti cardiocircolatori relativamente ridotti, ma esercita una forte azione depressiva sulla respirazione, mentre non influisce in maniera significativa nell'indurre ipotensione o bradicardia. Può, invece, verificarsi un aumento della pressione sanguigna dovuto a stimoli dolorosi intraoperatori nonostante elevate dosi di Fentanyl.

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25 Dopo un’iniezione intravenosa, le concentrazioni di Fentanyl nel plasma diminuiscono rapidamente. La cinetica plasmatica del Fentanyl può essere infatti definita trifasica, con un’emivita di circa un minuto, quindici minuti e sei ore. Il Fentanyl ha un volume di distribuzione del comparto centrale di 15 litri circa e un volume totale di distribuzione di 400 litri circa. L’emivita può risultare prolungata , in particolare in pazienti anziani o dopo ripetute somministrazioni. Si possono indurre livelli secondari di picco nel plasma.

Il legame del Fentanyl con le proteine plasmatiche è di circa 80–85 %, ed il farmaco viene metabolizzato rapidamente, in particolare nel fegato, principalmente per N- dealchilazione ossidativa. La clearance è di circa 0,5 l/ora/kg. Il 75 % circa della dose somministrata viene eliminato entro 24 ore. Dopo l'iniezione di un bolo a basso dosaggio di 1-3 microgrammi pro chilo la durata d'azione del Fentanyl viene determinata dall'emivita di distribuzione, ed il farmaco è a breve durata. Questo implica che l'effetto di 0,1 fino a 0,2 milligrammi di Fentanyl dura meno di un'ora, indicativamente quarantacinque minuti. Con un bolo di dosaggio maggiore (superiore a 20 microgrammi pro chilo,) le concentrazioni plasmatiche durante la fase di distribuzione non scendono al di sotto del livello terapeutico, ed il termine dell'effetto dipende soprattutto dal più lento processo di eliminazione: il Fentanyl diventa un farmaco a lunga durata d'azione. Anche l'iniezione di boli ripetuti, a causa della lunga emivita di eliminazione terminale del Fentanyl, determina accumulo ed allungamento della durata d'azione.

Attualmente, il Fentanyl viene impiegato per lo più come supplemento di anestetici inalatori e come componente analgesica della TIVA. [12] Il suo prezzo sul mercato è di 3,10 euro per una confezione da cinque fiale da due millilitri contenenti 0,1 mg/ml.

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26 6.Remifentanil

Il Remifentanil, invece, è, come Fentanyl, Alfentanyl e Sufentanil, un oppioide endovenoso con un puro effetto agonista del recettore mu, ma scarso legame agli altri recettori. L'effetto si instaura rapidamente e dura solo poco tempo. Strutturalmente, appartiene alla famiglia delle fenilpiperidine come il Fentanyl, e viene metabolizzato rapidamente da esterasi aspecifiche plasmatiche e tissutali: è proprio questo tipo di metabolismo a determinare la clearance elevatissima del Remifentanil di circa tre litri al minuto.

Il Remifentanil non costituisce substrato per le pseudocolinesterasi, per cui è indipendente dal destino di questo enzima ed il suo metabolismo non viene influenzato dalla concomitante somministrazione di farmaci che possono interagire con il predetto enzima, come succinilcolina, mivacurio, esmololo.

La rapida cessazione dell'attività del Remifentanil è da imputarsi quindi al suo veloce metabolismo, con elevata clearance, e non a fenomeni cinetici di ridistribuzione [13]. Ciò premesso, è importante sottolineare che Remifentanil nei giovani adulti ha un Vdss di 312 ml/kg ed un t1/2 di appena 1,3-1,4 minuti.

Tutto quanto sinora considerato costituisce il razionale scientifico alla base del CSHT, Context Sensitive Half- Time, ovvero il tempo necessario per la diminuzione del 50% della concentrazione plasmatica di un farmaco dopo infusione costante per una durata variabile, che per il Remifentanil è di 3-5 minuti anche per infusioni di decine di ore. Proprio tale caratteristica consente il rapido risveglio e la ripresa di coscienza del paziente in tempi brevi, una volta terminata l'infusione continua. E' da

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27 considerare la differenza, a tale riguardo, con gli altri oppioidi, in particolar modo con il Fentanyl: per gli altri farmaci, infatti, decrementi anche di poco superiori al 50% del CSHT richiedono notevoli incrementi temporali. Questo consente di garantire, anche ove mai vi fosse sovradosaggio assoluto o relativo, una eliminazione pressochè totale del Remifentanil in circa dieci minuti.

In giovani adulti sani la clearance media di Remifentanil è di 40 ml/min/kg, il volume centrale di distribuzione è di 100 ml/kg ed il volume di distribuzione allo stato stazionario è di 350 ml/kg. Le concentrazioni ematiche di Remifentanil sono proporzionali alla dose somministrata nell'ambito dell'intervallo di dose raccomandato.

Ogni aumento di 0,1 µg/kg/min nella velocità di infusione determina un innalzamento della concentrazione ematica di Remifentanil di 2,5 ng/ml. Remifentanil è legato per circa il 70% alle proteine plasmatiche ed è un oppioide che è suscettibile di metabolizzazione da parte delle esterasi ematiche non specifiche e tissutali. Il metabolismo di Remifentanil dà luogo alla formazione di un metabolita acido carbossilico essenzialmente inattivo (in un rapporto di potenza rispetto a Remifentanil di 1:4600). Gli studi condotti nell'uomo indicano che l'attività farmacologica si associa al composto originario. Pertanto l'attività di questo metabolita è priva di qualsiasi significato clinico.

L’emivita del metabolita nell'adulto sano è di 2 ore. In pazienti con funzione renale nella norma il 95% circa del Remifentanil viene rinvenuto nelle urine in forma di metabolita acido carbossilico.

La clearance del Remifentanil risulta lievemente ridotta (del 25% circa) nei pazienti anziani (sopra i 65 anni di età) rispetto ai pazienti giovani. L'attività farmacodinamica del Remifentanil aumenta con l'aumentare dell'età. I pazienti anziani presentano una EC50 del Remifentanil per la

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28 formazione delle onde delta sull'elettroencefalogramma inferiore del 50% rispetto ai pazienti giovani; nei pazienti anziani la dose iniziale di Remifentanil deve pertanto essere ridotta del 50% e successivamente titolata per soddisfare le necessità individuali del paziente. [14]

A voler effettuare uno specifico confronto fra Remifentanil e Fentanyl, entrambi appartengono alla famiglia delle fenilpiperidine, ma dal punto di vista farmacodinamico il Remifentanil, pur comportandosi come tutti i potenti agonisti, si differenzia dunque per la particolare caratteristica che gli effetti indotti si manifestano rapidamente e con altrettanta velocità scompaiono al termine della somministrazione. A causa di onset ed offset rapidi, gli effetti collaterali che si verificano a seguito della somministrazione del Remifentanil sono di durata più breve rispetto agli altri oppioidi, ma con rapidità dopo Remifentanil scompare anche l'attività analgesica.

Si rende dunque mandatorio provvedere per tempo ad una idonea strategia di analgesia post-operatoria da instaurare a tutela del paziente. A differenza del Fentanil e degli altri oppioidi, l'ipotensione arteriosa indotta da Remifentanil è un po' più pronunciata e tale risposta circolatoria può essere, conoscendo bene il farmaco, idoneamente utilizzata per quei casi in cui si necessita di un controllo circolatorio, soprattutto in alcune fasi di specialità chirurgica vascolare e considerando la facilità di raggiungimento dei valori pressori desiderati e la rapida reversibilità. [15]

Dal punto di vista pratico, poiché nello spazio morto della linea infusiva può essere presente una quantità di Remifentanil sufficiente a causare depressione respiratoria e/o rigidità muscolare, conviene infondere il farmaco in soluzione continua controllando continuamente la pervietà del vaso venoso.

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29 Come introdotto precedentemente, la velocità infusiva di 0,1g/kg/min determina in un individuo sano e di peso medio una concentrazione plasmatica di 2,5 ng/mL. L'infusione dovrebbe essere sempre preferita al bolo onde evitare l'insorgenza di ipotensione e rigidità muscolare toracica.

Il costo del prodotto attualmente in uso in sala negli interventi di chirurgia breve è di 122 euro per una confezione da cinque fiale, nettamente superiore rispetto al costo di una confezione di Fentanil. In buona sostanza, ad oggi, utilizzare il Remifentanil in TIVA negli interventi di chirurgia breve consente di ottenere un buon controllo pressorio ed un rapido risveglio del paziente, permettendo di ottimizzare i tempi della chirurgia breve.

E' intuitivo, però, che a causa proprio del breve effetto analgesico del Remifentanil, una volta staccate le pompe di infusione e svegliato il paziente, possa essere necessario lenire il dolore utilizzando anche farmaci non oppioidi.

Nel protocollo di attuale utilizzo nei pazienti sottoposti ad interventi di tiroidectomia presso l'U.O.Endocrinochirurgia di Pisa la STU prevede la somministrazione di Toradol ogni otto ore e di Perfalgan al bisogno come Rescue Dose, al massimo ogni sei ore.

Tali farmaci, classificabili tra gli analgesici non oppioidi, non agiscono a livello del sistema nervoso centrale bensì sui nocicettori dei tessuti traumatizzati.

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7. Ketorolac e FANS

Il Ketorolac, è un farmaco antiinfiammatorio non steroideo (FANS) appartenente alla famiglia degli Eteroaril-alcanoici, che è di frequente utilizzo in terapia antalgica postoperatoria e somma all'effetto analgesico anche quello antipiretico ed antiflogistico.

In linea generale, i FANS vengono distinti in diverse classi chimiche caratterizzate da farmacocinetica diversa ma svariate caratteristiche comuni quali l'essere chimicamente acidi organici deboli. La maggior parte dei fans è ampiamente metabolizzata da reazioni di fase uno seguite da reazioni di fase II, ed il metabolismo di questa classe farmacologica procede per la maggior parte attraverso la via dei citocromi CYP3A e CYP2C, appartenenti al sistema enzimatico epatico dei citocromi P450. La più importante via di eliminazione di questi farmaci è rappresentata dalla eliminazione renale, ma quasi tutti i FANS sono anche sottoposti per una certa percentuale ad escrezione biliare o riassorbimento attraverso la circolazione entero-epatica. Proprio in virtù della diversa percentuale di circolazione entero epatica si ha la variabilità riguardo al grado di irritazione del tratto gastrointestinale che può verificarsi a seguito dell'assunzione cronica di tali farmaci.

L'attività antiinfiammatoria ed analgesica dei fans è principalmente dovuta all'inibizione della sintesi di prostaglandine. Nel caso particolare in esame, anche il Ketorolac esercita la sua azione analgesica periferica attraverso l'inibizione delle Cicloossigenasi (COX1 e COX2) ed impedendo in tal modo la sintesi di prostaglandine e trombossani. Il danno tissutale inevitabilmente conseguente allo stimolo chirurgico, infatti, ha l'effetto di indurre la liberazione di prostaglandine E che

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31 aumentano la sensibilità dei nocicettori nei confronti di bradichinina, istamina e serotonina. [16]

L'eccitazione del sistema nocicettivo avviene solo in presenza di prostaglandine E, che vengono sintetizzate soltanto a seguito di un danno alla membrana cellulare.

Mentre le cicloossigenasi di tipo uno sono costitutivamente presenti nella maggior parte delle cellule endoteliali, nei reni, nello stomaco, nelle piastrine e nei tubuli renali , le ciclossigenasi di tipo due sono inducibili, ed in condizioni fisiologiche non sono dimostrabili nella maggioranza dei tessuti, aumentando la loro concentrazione a seguito di uno stimolo flogistico. Risultano costitutivamente espresse solamente a carico di encefalo e tubuli renali e rappresentano le principali responsabili dello stimolo algico, flogistico e della risposta febbrile. L'azione di farmaci come il Ketorolac, dunque, è basata in maniera preponderante sulla inibizione delle cicloosigenasi e sulla conseguente sintesi di prostaglandine, oltre che sull'inibizione della liberazione dei mediatori chimici della flogosi da neutrofili e macrofagi. L'azione sulla COX-2 fornisce quindi l'effetto antinfiammatorio e analgesico, mentre, non essendo un inibitore selettivo delle cicloossigenasi di tipo due, l'azione sulla COX-1 induce l'insorgenza degli effetti collaterali più frequenti quali la gastrolesività e la nefrotossicità.

Il principale impiego del Ketorolac è proprio nella terapia antalgica post operatoria, ai fini di evitare proprio l'instaurarsi di lesioni gastriche, con conseguente rischio di sanguinamento gastro intestinale, oltre che di eventi trombotici arteriosi che sono più frequentemente riscontrabili a seguito di trattamento prolungato per oltre cinque giorni.

Come vantaggio rispetto agli oppioidi, d'altro canto, i FANS non provocano nausea né vomito e non alterano la motilità gastrointestinale.

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32 Inoltre, non presentano neanche il rischio di eccessiva sedazione e depressione respiratoria, a fronte di una attività analgesica paragonabile a quella degli oppiacei: 30 mg di Ketorolac intravenoso/intramuscolare hanno una potenza analgesica pari a circa 12 mg di Morfina intravenosa/intramuscolare, ed a Meperidina cloridrato (Petidina) 75 mg intravenosa-intramuscolare) [17]

Attualmente, il protocollo prevede anche l'utilizzo di paracetamolo in Recovery room in quantità di un grammo somministrato per via endovenosa come antidolorifico di supporto su richiesta del paziente.

8. Paracetamolo

Gli analgesici non oppioidi, infatti, vengono impiegati nei dolori d'intensità leggera fino a moderata. Nei dolori forti, quali quelli che possono verificarsi come esito di intervento chirurgico, vengono appunto utilizzati per adiuvare l'efficacia degli oppioidi e ridurne l'utilizzo. Proprio a questo scopo, nella Recovery room si prevede che i pazienti, ormai estubati ed al termine della procedura chirurgica, possano durante il periodo di osservazione assumere un grammo di Paracetamolo qualora provassero dolore. Allo stesso fine, viene lasciata ai pazienti la possibilità di richiedere il paracetamolo anche una volta ricoverati in reparto, in aggiunta alla dose di Ketorolac somministrata ogni otto ore. La scelta tra gli antidolorifici ricade sul paracetamolo a causa del suo favorevole profilo tra beneficio ed effetti collaterali. In caso di somministrazione per via endovenosa, l'effetto analgesico è paragonabile a quello del metamizolo. [18]

Il paracetamolo, infatti, rappresenta il metabolita attivo della fenacetina, che è responsabile dei suoi effetti antidolorifici. E' un debole inibitore

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33 della COX-1 e della COX-2 nei tessuti periferici, e non ha effetti antiinfiammatori significativi.

La sostanza viene somministrata per via endovenosa come infusione in un periodo breve (un grammo diluito a 100 ml di soluzione di NaCl in un periodo di 15-30 minuti). E' tuttavia necessario considerare che, nonostante le eccellenti proprietà antidolorifiche che svolgono effetto sinergico in concomitanza con gli oppioidi, i FANS non sono scevri da effetti collaterali ben noti. Questi farmaci, al contrario degli oppioidi che operano nel sistema nervoso centrale, agiscono principalmente sui nocicettori dei tessuti traumatizzati. Essi vengono descritti come analgesici periferici, sebbene sia stato dimostrato sperimentalmente anche il loro meccanismo di analgesia centrale a carico del grigio periacqueduttale. Il paracetamolo afferisce ai derivati dell'anilina, e diversamente dai derivati degli acidi carbonici e dai derivati pirazolonici, non presenta effetto antiinfiammatorio ma agisce soltanto quale analgesico ed antipiretico. Il paracetamolo non inibisce la sintesi delle prostaglandine periferiche, mentre inibisce quelle centrali e quindi ha un effetto antipiretico. Il meccanismo d'azione sul dolore non è stato fino ad ora ben chiarito: si presume sia dovuto all'inibizione di Cox-3 centrali. [19]

La potenza analgesica del paracetamolo nel dolore post operatorio corrisponde a quella dell'acido acetilsalicilico, ma a differenza di questo con il paracetamolo la coagulazione non viene influenzata, le reazioni allergiche e gli effetti collaterali sono più rari, nonostante non siano assenti. In particolare, a seguito della sua assunzione si è comunque registrato l'aumento del rischio di sanguinamento delle varici esofagee, l'alterazione della funzione renale e la resistenza ai diuretici [20].

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34 A dosaggi terapeutici, può manifestarsi talvolta un leggero aumento degli enzimi epatici che è comunque reversibile con la sospensione del trattamento. Il principale rischio clinico consiste nella epatopatia fulminante che può essere fatale a seguito di assunzione di quindici grammi di paracetamolo, determinando grave epatotossicità con necrosi centrolobulare, che si manifesta con nausea, vomito, diarrea e dolori addominali con sintomatologia ingravescente. Sono dunque controindicati i dosaggi superiori a 4-6grammi al giorno, ed una storia clinica di alcolismo ne preclude l'utilizzo anche a queste dosi. mentre la concomitante assunzione di paracetamolo in combinazione con codeina o morfina può causare sonnolenza ed eccessivo stordimento.

9.Propositi di studio

Ognuna delle classi farmacologiche fin qui analizzate presenta, quindi, caratteristiche peculiari ed effetti collaterali che rendono la scelta del singolo farmaco fra le varie classi un momento fondamentale al fine di arrivare a proporre al paziente la migliore tra le possibili anestesie generali.

Così come l'anestetico ideale dovrebbe indurre rapida e dolce perdita di coscienza, assicurando contemporaneamente una rapida ripresa delle funzioni cognitive al termine della somministrazione, l'analgesico ideale dovrebbe garantire un eccellente controllo del dolore possedendo, contemporaneamente, un ampio margine di sicurezza al prezzo dei minori effetti collaterali possibili. Nessun singolo farmaco da solo è in grado di rispondere a questi requisiti, ma la possibilità di disporre di oppioidi con caratteristiche estremamente diverse tra loro, nonché

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35 diversamente conciliabili con la somministrazione di analgesici non steroidei ha spinto verso l'analisi oggetto di questo studio, che come introdotto in principio volge a dimostrare quale, tra Fentanyl e Remifentanil, possa rappresentare l'analgesico di scelta nel gruppo degli oppioidi analizzando il paziente nella sua complessità.

Se si suppone, infatti, in ragione delle sue caratteristiche farmacologiche, che il Remifentanil consenta un risveglio più rapido del paziente al termine dell'intervento chirurgico, ed una eventuale più rapida eliminazione in caso di eventuale sovradosaggio, rappresentando un farmaco di buona maneggevolezza, a causa della sua breve emivita si rende necessario affiancare nell'immediato post operatorio un analgesico non oppioide.

Il Fentanyl, al contrario, potrebbe rappresentare una scelta non inferiore e, forse, superiore: presentando una maggiore emivita, potrebbe non rendersi necessario l'utilizzo del paracetamolo nell'immediato post operatorio.

Inoltre, in termini di intensità analgesica, assenza di risposta allo stimolo chirurgico e gestione dello stress intraoperatorio il Remifentanil mostra effetti paragonabili a quelli del Fentanil, analizzato in gruppi diversi di pazienti chirurgici.

Il Fentanil, al contrario, è stato frequentemente usato per l'induzione dell'anestesia in pazienti affetti da patologia cardiaca, in ragione della sua migliore maneggevolezza dal punto di vista della stabilità emodinamica (comportando minori effetti ipotensivanti e bradicardizzanti) Al contrario, in particolar modo se utilizzato in concomitanza con il Propofol ,il Remifentanil può indurre più frequentemente bradicardia ed ipotensione.

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36 Oltre all'aspetto di migliore, eventuale, gestione del dolore avvertito dal paziente, è da tenere conto che i due farmaci presentano anche un profilo economico nettamente diverso (una confezione di Remifentanil ha un costo di 122 euro a fronte dei 3,10 euro del Fentanyl attualmente in uso), e sostituire i due oppioidi potrebbe comportare anche un notevole risparmio in termini economici, in particolar modo in chirurgie ad alto volume di lavoro quali la U.O.Endocrinochirurgia di Pisa.

Ci si è posti, infine, il problema di indagare quale delle due molecole potesse causare con maggiore frequenza l'insorgenza di effetti collaterali, e da queste riflessioni è nato dunque il proposito del nostro studio, che volge quindi a dimostrare la non inferiorità del Fentanyl rispetto al Remifentanil riguardo alla gestione del dolore post operatorio e dell'insorgenza di effetti collaterali in pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia breve.

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MATERIALI E METODI

1. Popolazione oggetto di studio

Ai fini di verificare i nostri propositi è stato condotto uno studio controllato randomizzato prospettico su un campione di quaranta pazienti sottoposti a tiroidectomia totale.

Gli studi clinici controllati randomizzati (randomized controlled trial, RCT) sono studi sperimentali che permettono di valutare l'efficacia di uno specifico trattamento in una determinata popolazione.

Lo studio ha previsto il reclutamento di quaranta pazienti, sottoposti ad intervento chirurgico di tiroidectomia totale, di età superiore ai diciotto anni. Sono stati dunque esclusi, ai fini di ottenere un valido consenso informato al trattamento dei dati, pazienti di minore età.

Nel dettaglio, la popolazione di studio è stata scelta fra uomini e donne di età compresa fra diciotto e sessantacinque anni, con un BMI inferiore a 30kg/m2. Criteri di esclusione dallo studio sono stati rappresentati dalla presenza di scompenso cardiaco o patologia ischemica cardiaca, dalla presenza di patologia asmatica polmonare o BPCO o ancora di insufficienza renale acuta e cronica. I criteri di esclusione sono stati applicati poichè la concomitanza di tali condizioni cliniche può considerevolmente variare la risposta farmacologica individuale e determinare una non corretta interpretazione dei dati raccolti.

Sono stati esclusi dallo studio anche pazienti che assumessero in terapia cronica, ai fini del trattamento di patologia psichiatrica, farmaci quali SSRI o tricliclici, o pazienti ritenuti non in grado di intendere e di volere, ritenendo che tale campione di popolazione potesse non essere

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38 attendibile nella compilazione del questionario riguardante la percezione del dolore.

Altro parametro indispensabile valutato nel corso della scelta dei pazienti è il punteggio da essi ottenuto all'interno della scala ASA (American Society of Anesthesiologist physical status): tutti i pazienti sono stati scelti purchè appartenessero alle classi uno o due.

La classificazione ASA, infatti, divide i pazienti in cinque classi di rischio.

Alla prima afferiscono pazienti normali, sani. Alla seconda, pazienti con lieve malattia sistemica senza che vi sia compromissione delle prestazioni fisiche, come ad esempio nel caso di pazienti affetti da asma lieve od ipertensione ben controllata. Per i gruppi di pazienti afferenti alle classi uno e due, si ritiene che non vi sia alcun aumento atteso del rischio anestesiologico e chirurgico.

Nei pazienti di classe tre è invece presente una grave malattia sistemica che induce compromissione delle prestazioni fisiche, come una insufficienza renale che necessiti di dialisi, una insufficienza cardiaca di grado due od altre patologie, che in sostanza comportano un aumento probabile del rischio anestesiologico e chirurgico.

I pazienti di ASA quattro sono in grave o costante pericolo di vita a causa di una patologia che necessita di trattamento intensivo, mentre i pazienti ASA cinque presentano un'aspettativa di vita inferiore alle ventiquattro ore, con o senza esecuzione di intervento chirurgico.

La mortalità perioperatoria, valutata fino al settimo giorno post operatorio, per la classe uno arriva allo 0,06%, mentre in classe due sfiora al massimo lo 0,47%, secondo i parametri di Marx e coll. Del 1973 [21]

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39 Sono inoltre stati esclusi dallo studio tutti quei pazienti nei quali si sono verificate difficoltà impreviste nel corso dell'esecuzione della manovra di intubazione, difficoltà che abbiano richiesto l'utilizzo di laringoscopia o l'esecuzione di reiterati tentativi di intubazione. Questo dal momento che la reiterazione delle manovre di intubazione avrebbe inevitabilmente comportato una condizione algica di partenza più elevata nel post operatorio, inficiando inevitabilmente i risultati del questionario.

L'intervento a cui sono stati sottoposti tutti i pazienti ha una durata indicativa di 45-60 minuti, ed è stato in tutti i casi effettuato da chirurghi appartenenti alla U.O.Endocrinochirurgia dell'AOUP di Pisa.

Per lo stesso motivo di esclusione delle impreviste “intubazioni difficili”, sono stati esclusi dallo studio anche interventi della durata maggiore di sessanta minuti, ai fini di poter paragonare il dolore post operatorio in pazienti sottoposti ad uno stimolo chirurgico della stessa durata, ed affinchè un prolungarsi del tempo chirurgico non determinasse uno stato dolorifico maggiore indipendente dal trattamento anestesiologico.

Proprio ai fini, dunque, di non alterare i punteggi nella scala dolorifica, si sono scelti soltanto interventi di tiroidectomia totale che non comportassero svuotamento linfonodale del comparto centrale o laterocervicale.

I due farmaci, Fentanyl e Remifentanil, sono dunque stati somministrati alternativamente durante l'esecuzione di interventi di tiroidectomia totale effettuati in elezione, senza svuotamento linfonodale laterocervicale, della durata del tempo chirurgico di circa 45-60 minuti, eseguiti dall'equipe chirurgica dell’Endocrinochirurgia dell’AOUP e seguiti dai medici anestesisti e rianimatori dell’Anestesia e Rianimazione IV della suddetta azienda ospedaliera.

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40 Una volta reclutato il campione di pazienti, l'assegnazione del trattamento è avvenuta con un metodo casuale randomizzato.

La randomizzazione aumenta la probabilità che altre variabili non considerate dello studio si distribuiscano in maniera uniforme nel gruppo sperimentale ed in quello di controllo.

In questo modo, le differenze eventualmente osservate tra i due gruppo possono essere attribuite al trattamento.

A seguito della scelta randomizzata sono stati pertanto individuati due gruppo: il gruppo trattato con Remifentanil, comprendente 23 pazienti, ed il gruppo trattato con Fentanyl, comprendente 17 pazienti.

Essendo lo studio clinico controllato randomizzato uno studio prospettico, la sperimentazione è stata condotta parallelamente nei due gruppi ed i risultati ottenuti sono stati confrontati al termine dello studio. I dati raccolti sono stati espressi come media ± deviazione standard dei parametri esaminati nei due gruppi di pazienti.

Le differenze significative sono state valutate mediante t-test (Student) per dati non appaiati. Valori di p inferiori od uguali a 0.05 sono stati considerati statisticamente significativi.

Nel corso dello studio, dunque, a differire tra i due campioni di pazienti è stato solamente l'oppioide utilizzato.

2. Protocollo

Una volta inseriti nel protocollo, prima dell'ingresso in sala operatoria, ognuno dei pazienti ha ricevuto una premedicazione effettuata con Diazepam (15-20 gocce in somministrazione orale sub linguale) prima dell'intervento chirurgico.

All'interno della sala operatoria, una volta effettuato il monitoraggio elettrocardiografico e rilevata la pressione arteriosa e la saturazione, è

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41 stata utilizzata la TIVA (Total Intra Venous Anesthesia) come tecnica anestesiologica.

Si definisce TIVA una tecnica anestesiologica nel corso della quale vengono utilizzati, diversamente rispetto a quanto avviene nell'anestesia bilanciata, esclusivamente farmaci endovenosi, sia ai fini dell'amnesia e della perdita di coscienza, che dell'analgesia, del blocco muscolare e del controllo della risposta adrenergica.

Affinchè una anestesia totalmente intravenosa possa essere definita di buon livello, è necessario combinare più farmaci volti a raggiungere i diversi obiettivi anestesiologici: si utilizzano, dunque, in associazione, ipnotici, anestetici e miorilassanti, in aggiunta a farmaci volti a prevenire l'insorgenza di effetti collaterali quali nausea e vomito. Tutti i farmaci vengono somministrati per via endovenosa mediante l'utilizzo di sistemi di infusione continua e facendo ricorso aggiuntivamente, a seconda dei vari protocolli o qualora le condizioni cliniche del paziente lo richiedano, all'utilizzo di boli farmacologici. Il dosaggio dell'infusione continua viene calcolato mediante pompe ad infusione tarate sulla base di protocolli ed algoritmi diversi a seconda del farmaco utilizzato.

L'anestesia totalmente intravenosa presenta come vantaggio, rispetto all'utilizzo del gas anestetico, una più rapida induzione dell'anestesia, una maggiore maneggevolezza nella gestione della profondità anestesiologica ed un risveglio più rapido. Si risparmiano, inoltre, al paziente, gli effetti collaterali dovuti all'utilizzo di protossido d'azoto, e pertanto tale tecnica risulta particolarmente indicata in interventi di breve durata o di natura neurochirurgica e cardiochirurgica. [22]

L'ipnotico di scelta è generalmente il Propofol, poiché consente di abolire lo stato di coscienza a fronte di un rapido adattamento della

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42 profondità dell'anestesia al bisogno, senza compromettere, inoltre, la funzione cardiocircolatoria.

Propofol è un ipnotico caratterizzato da un rapido effetto e da una breve durata d'azione, completamente privo di proprietà analgesiche (caratteristica che ne rende necessario l'affiancamento ad un oppioide). Dal punto di vista chimico si tratta di una sostanza non idrosolubile somministrata in emulsione bianca di olio di soia, trigliceridi e lecitina d'uovo, mentre i diversi preparati commerciali confezionano il principio attivo in una emulsione isotonica olio-acqua ai fini dell'utilizzo endovenoso. Somministrato a dosi di circa due milligrammi pro chilo, il Propofol produce una perdita di coscienza rapidissima, che insorge entro 25-40 secondi, raggiunge il suo picco massimo in un minuto e mezzo e termina entro cinque minuti. Queste caratteristiche fanno quindi intuire come, ai fini del rapido risveglio e della rapida induzione dell'anestesia, rappresenti l'ipnotico ideale. L'effetto ipnotico del Propofol sembra essere dovuto al legame con i recettori GABAergici.

A livello clinico, la sua azione sul sistema cardiocircolatorio è meno marcata rispetto ad altri anestetici. Si osserva mediamente una caduta delle pressioni arteriose sistoliche e diastoliche di 10-20 mmHg, effetto che risulta più evidente nei pazienti anziani, nei quali dunque la dose di infusione continua deve essere ridotta ai fini di tutela nei confronti di eventi avversi quali l'ischemia miocardica o cerebrale. L'effetto inotropo negativo esercitato dal Propofol si esplica anche a carico della gittata cardiaca (anch'essa in diminuzione in particolar modo nei pazienti anziani), mentre a carico delle funzioni epatiche e renali non sono state riscontrate influenze negative.

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43 Non vi è, inoltre, influenza del farmaco a carico della placca motrice, motivo per il quale si rende necessario introdurre anche farmaci miorilassanti nell'esecuzione della TIVA.

La dose per l'induzione di solito viene calcolata fra 1 e 2,5 mg/kg, mentre nel mantenimento si utilizzano dai 4 ai 10 mg/kg/h in infusione continua. [23]

L'informazione riguardante la profondità dell'anestesia viene prevalentemente desunta sulla base dei segni clinici quali la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa e l'EtCo2, e dipende dunque dall'esperienza clinica dell'anestesista rianimatore; d'altro canto, ad una modifica dei parametri clinici l'anestesista può rispondere con rapidità aumentando o diminuendo le concentrazioni dei farmaci sia modificando i valori dell'infusione continua sia effettuando boli. In linea generale, se si sospetta la possibilità di una eccessiva superficialità anestesiologica è necessario approfondire mediante la somministrazione di un bolo di ipnotico, mentre se si ritiene, sulla base di un incremento di valori pressori, di frequenza o di EtCo2, che il paziente possa avere dolore, può essere incrementata la somministrazione dell'oppioide.

Al Propofol vengono, dunque, affiancati oppioidi di natura variabile, quali Fentanyl o Remifentanil. Nessuna delle due classi farmacologiche, come già anticipato, presenta proprietà miorilassante, pertanto nell'esecuzione della TIVA è necessario introdurre l'utilizzo anche di miorilassanti non depolarizzanti che siano, per quanto riguarda gli interventi chirurgici di breve durata, anche a breve durata d'azione.

Entrambi i gruppi hanno ricevuto un bolo di Propofol 1% 2 mg/kg i.v. E Rocuronio in concentrazioni variabili tra 0,3-0,6 mg/kg i.v..

Ai fini del mantenimento dell'anestesia, abbiamo somministrato Propofol al 2% in infusione continua, in concentrazioni variabili fra 4-10 mg/kg/h

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