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Housing First: riflessione sui nuovi approcci per il trattamento delle persone senza dimora in Europa e in Italia

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE 4

1. IL FENOMENO DELLE PERSONE SENZA DIMORA 6

1.1. La definizione di “Persona senza dimora” 6

1.2. Le evidenze del fenomeno 7

1.3. La letteratura sul fenomeno 9

1.4. Le Linee Guida 29

2. LA TUTELA DEI DIRITTI DELLE PERSONE SENZA DIMORA 33

2.1. Introduzione 33

2.2. Normativa di riferimento 33

2.3. La residenza 34

2.4. I servizi rivolti alle persone senza dimora 35

2.5. La Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora (fio.PSD) 41

3. IL MODELLO A GRADINI 42

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4. IL PROGRAMMA HOUSING FIRST 45

4.1. Che cos’è Housing First 45

4.2. Punti di forza e punti di debolezza dell’Housing First 48

4.3. L’implementazione del programma Housing First 49

4.4. L’accompagnamento sociale nell’Housing First 54

4.5. Il lavoro all’interno dell’equipe 65

5. L’HOUSING FIRST IN EUROPA 66

5.1. Introduzione 66

5.2. La valutazione del programma Housing First in Inghilterra 68

5.3. La valutazione del programma Casas Primeiro in Portogallo 76 5.4. La valutazione del programma Housing First in Danimarca 86 6. LA GRAVE EMARGINAZIONE ADULTA NELLA CITTA’ DI PISA 92

6.1. Il fenomeno della grave emarginazione adulta nel contesto pisano 92

6.2. Le politiche sociali a favore delle persone senza dimora nel contesto pisano 93

6.3. Il Progetto Homeless 93

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7. HOUSING FIRST: MODELLI A CONFRONTO 102

7.1. Introduzione 102

7.2. La scelta degli utenti da includere nel programma 103

7.3. La scelta dell’abitazione e l’ingresso in casa 104

7.4. L’accompagnamento sociale 106

7.5. L’equipe Housing First 106

7.6. Conclusioni 110

Conclusioni 111

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Introduzione

La seguente tesi tratta del Programma Housing First (HF) che è un modello innovativo per il trattamento delle persone senza dimora. Il modello nasce negli USA negli anni ’90 e più recentemente si diffonde anche in Europa. Il programma HF prevede che all’utente sia data un’abitazione indipendentemente dal suo impegnarsi o meno in un programma di recupero per superare le sue problematiche. Il modello si basa sull’autodeterminazione della persona che è protagonista all’interno del suo progetto personalizzato. Si differenzia in questo dal modello tradizionale che, prima di assegnare l’abitazione agli utenti, prevede il loro recupero.

In questa tesi ci interessa comprendere se il modello italiano, attualmente in sperimentazione, può considerarsi autentico e se Pisa rappresenta il modello italiano. Cercheremo anche di capire se il programma HF è migliorativo o peggiorativo rispetto all’approccio tradizionale.

Nei primi capitoli la rassegna della letteratura ha visto autori quali Antonella Meo, Maurizio Bergamaschi e Raffaele Gnocchi che si sono occupati del tema delle persone sena dimora. A seguire sono stati trattati autori come Nicholas Pleace e Caterina Cortese che, più nello specifico, hanno scritto sul programma HF.

È stata poi svolta, prima, una comparazione tra il modello tradizionale per il trattamento delle persone senza dimora e l’HF per comprendere la differenza tra i due approcci. Successivamente è stata svolta un’indagine comparativa tra quattro Paesi: Inghilterra, Portogallo, Danimarca e Italia. In questo caso l’obiettivo è stato mettere in

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evidenza come l’HF viene implementato in maniera differente a seconda dei contesti socio-economici e istituzionali.

Nei primi capitoli si introduce il tema delle persone senza dimora e dei diritti che a livello nazionale sono garantiti a questa categoria di persone. Successivamente si entra, più nello specifico, nell’analisi dei diversi modelli per il trattamento delle persone senza dimora. Iniziando da quello tradizionale si sussegue un’analisi più dettagliata del modello HF. A partire dal quinto capitolo si inizia ad analizzare come questo viene implementato in diverse realtà europee tra cui Inghilterra, Portogallo, Danimarca e Pisa. Per quanto riguarda quest’ultima viene approfondito il fenomeno partendo da un’analisi del contesto e successivamente dei due progetti cardine per il trattamento delle persone che vivono in situazioni di grave marginalità: il Progetto Homeless e il Progetto Housing First. Infine, viene fatta una comparazione tra i diversi modelli di HF adottati nelle città prese in esame al fine di rispondere alle domande poste inizialmente nella tesi.

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CAP. 1: IL FENOMENO DELLE PERSONE SENZA DIMORA

1.1 La definizione di “Persona senza dimora”

FEANTSA (Federazione Europea delle organizzazioni che lavorano con persone senza dimora) ha sviluppato negli ultimi anni una classificazione ETHOS, acronimo inglese che si può tradurre con “Tipologia europea sulla condizione di senza dimora e sull’esclusione abitativa”1. Secondo tale classificazione le persone senza dimora sono

quelle persone che versano in uno stato di povertà materiale e immateriale connotato dal forte disagio abitativo. In questa definizione rientrano quelle persone che: vivono in spazi pubblici (strada, baracche, macchine abbandonate, ecc.), in un dormitorio notturno e sono costrette a trascorrere molte ore della giornata in uno spazio pubblico (aperto), in ostelli per persone senza casa, in alloggi per interventi di supporto sociale specifici.

La classificazione ETHOS ha il pregio di essere una classificazione obiettiva e condivisibile a livello internazionale, che fa rientrare nella definizione di “senza dimora” tutte le situazioni di disagio economico e sociale che comportano un disagio abitativo e, di conseguenza, il rischio di esclusione sociale. Per contro, essendo una definizione universale, non riesce a tenere conto delle differenze culturali e ambientali proprie dei diversi contesti locali.

Per quanto riguarda la definizione italiana che utilizza il termine “senza dimora” si precisa che per dimora s’intende un luogo stabile,

1http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=3&ved=0ahUKEwjR2OrP0ZT

YAhWN2aQKHZ2CCAMQFggzMAI&url=http%3A%2F%2Fwww.lavoro.gov.it%2Ftemi-e- priorita%2Fpoverta-ed-esclusione-sociale%2FDocuments%2FLinee-di-indirizzo-per-il-contrasto-alla-grave-emarginazione-adulta.pdf&usg=AOvVaw1ORsI3fZo_gxr5fR3REOSG

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personale, riservato e intimo, nel quale la persona può esprimere liberamente ed in condizioni di dignità e sicurezza il proprio sé, fisico ed esistenziale.

1.2. Le evidenze del fenomeno

Nel 2014 è stata realizzata la seconda indagine sulla condizione delle persone senza dimora (PSD). La prima indagine è stata fatta nel 2011 e ad occuparsene in entrambi i casi sono stati Istat, Ministero del lavoro e delle Politiche sociali, Caritas italiana e Federazione italiana degli organismi per le persone senza dimora (fio.PSD).

Dall’ultima indagine risulta che in Italia le PSD sono 50.7242.

Riguardo al genere si riscontra una forte preponderanza di uomini che corrispondono all’85,7% delle PSD rispetto al 14,3% delle donne. L’età media delle PSD corrisponde a 44 anni.

Il 76% delle persone vive da sola a svantaggio di chi vive con un partner o con un figlio.

Il livello d’istruzione delle PSD risulta essere molto basso.

Il 28% dichiara di svolgere un lavoro. Quando si parla di lavoro ci si riferisce soprattutto ad occupazioni a tempo determinato, saltuarie e a bassa qualifica. La somma mediamente guadagnata ammonta a circa 300 euro al mese.

Sono il 17,4% le PSD che dichiarano di non avere alcuna fonte di reddito, il restante riceve aiuti in denaro da parte di familiari, amici ed estranei (collette, associazioni di volontariato o altro).

2 Sono escluse da questo numero le persone che non hanno mai usufruito di un servizio mensa o

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Rispetto alla durata, ossia da quanto tempo si prolunga la condizione di senza dimora le percentuali sono così distribuite:

- 17,4% per chi è senza dimora da meno di tre mesi; - 41,1% per chi lo è da più di due anni;

- 21,4% per chi lo è da oltre quattro anni.

Nei 158 comuni in cui è stata fatta la rilevazione risultano 315 i servizi di mensa e 453 i servizi per l’accoglienza notturna.

Oggi l’intraprendere la strada del senza dimora per scelta rappresenta l’eccezione. A portare a questa condizione è l’insieme di eventi traumatici che si verificano nella vita delle persone. La popolazione dei senza dimora è molto eterogenea e la caratteristica che condividono i senza dimora è l’essere senza una casa, intesa non solo come spazio fisico ma anche come luogo di relazioni, rapporti affettivi importanti per il mantenimento della propria intimità e identità.

La causa principale del processo di emarginazione è la separazione dal coniuge che riguarda il 63% delle PSD. Anche la perdita del lavoro svolge un ruolo importante in questo percorso (56,1%). Lo stesso vale, a livello più contenuto, per le condizioni di salute (disabilità, malattie croniche, dipendenze).

Quasi sempre la condizione di senza dimora è, comunque, il risultato di un processo multifattoriale. Sono solo il 16,5% le PSD che non hanno vissuto nessuno degli eventi sopra citati e il 32,6 quelli che ne hanno vissuto solamente uno.

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1.3. La letteratura sul fenomeno

1.3.1. Il tema delle persone senza dimora e le diverse discipline

Come scrive C. Mozzanica3 oggi sono molto diversificate le cause che spingono le persone a scendere in strada. I senza dimora hanno degli aspetti comuni come l’esigenza di soddisfare i bisogni primari, le dipendenze e la malattia mentale. La cronicizzazione di questa condizione è graduale e progressiva, i senza dimora sperimentano la perdita del lavoro, della casa, l’allontanamento dalla famiglia e da ogni tipo di relazione sociale fino ad essere “espulsi” dalla società. Per poter aiutare queste persone affinché escano da tale condizione è importante comprendere le cause che hanno portato a questo ed evitare di dare aiuti basati solo sull’emergenza.

Per questo motivo è necessario che la problematica sia trattata da più discipline.4

L’approccio antropologico

Secondo l’approccio critico di Kleinman, Das e Lock5 le

problematiche individuali che causano l’homelessness sono dovute a più ampi processi storico-culturali generati dai poteri economici, istituzionali e politici. A questo però si aggiunge l’importanza delle risorse e capacità del singolo individuo che stanno a dimostrare come nelle situazioni più difficili alcuni riescano a farcela.

3 Carlo Mario Mozzanica è un filosofo, docente di Metodologia del Lavoro socio educativo e

Organizzazione dei servizi alla persona presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

4 Le riflessioni scritte in questo paragrafo sono tratte da una rielaborazione del testo “Homelessness e dialogo interdisciplinare”, R. Gnocchi (a cura di), Carocci editore, Roma, 2009. 5 A. Kleinman, V. Das, M. Lock (eds.), Social Sufffering, University of California Press, Berkeley

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Uno degli obiettivi dell’antropologia è comprendere cosa significa vivere in strada attraverso l’approccio etnografico, ossia capire il modo in cui le PSD percepiscono il mondo dove vivono, le strategie e le pratiche che essi sviluppano e le modalità con cui la società si occupa di loro. Glasser e Bridgam ritengono importante la conoscenza di questo fenomeno sia da un punto di vista speculativo che da quello applicativo. Comprendere permette di trovare modalità per fronteggiare il problema.

S. Tosi Cambini6 scrive di come al giorno d’oggi l’attenzione nei confronti delle PSD si sia spostata sul piano individuale piuttosto che su quello sociale. Piuttosto che attribuire le cause a problematiche di tipo economico, sociale e politico si attribuiscono a problematiche psicologiche del singolo. In questo modo l’apparato pubblico viene assolto da ogni responsabilità che riguarda il fenomeno dei senza dimora e tale responsabilità viene fatta ricadere sugli utenti. Tutto ciò rappresenta un pericolo in quanto, non affrontando le reali cause che portano alla condizione di senza dimora, è impossibile risolvere questa problematica.

Le persone senza dimora e l’economia

Concentrandoci sull’aspetto sociale, piuttosto che su quello individuale, vediamo come il fattore economico influisce sul fenomeno delle PSD.

6 Sabrina Tosi Cambini è dottore di ricerca in Metodologia della ricerca etno-antropologica presso

l’Università degli Studi di Siena, è ricercatrice presso fondazioni, istituti e università; è stata operatrice di strada e coordina progetti sperimentali di lavoro sociale. È docente a contratto di Antropologia culturale presso l’Università degli studi di Firenze, di Antropologia sociale presso l’università degli Studi di Verona e ricercatrice presso la fondazione Michelucci.

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T. Boeri7, M. Braga8 e L. Corno9 approfondiscono quelle

problematiche economiche per cui il singolo non ha alcuna responsabilità, tra queste vi è il mercato immobiliare. L’assenza di case ad un prezzo accessibile e la mancanza di politiche abitative possono giocare un ruolo importante sul fenomeno dell’homelessness. Le ricerche sono state fatte sul territorio americano. Tucker10, ha

dimostrato come le città che applicano politiche di controllo degli affitti (ossia politiche che impediscono agli affittuari di chiedere canoni troppo elevati) e con un basso tasso di case sfitte, hanno un tasso maggiore di PSD. Questo perché le politiche di controllo degli affitti scoraggiano la costruzione di case a basso costo. Altre ricerche hanno dimostrato, invece, come il fenomeno dei senza dimora dipenda dalla connessione tra il mercato immobiliare e le diseguaglianze di reddito tra i cittadini11. Nel mercato immobiliare è più conveniente

costruire case che hanno una qualità superiore rispetto a quelle già esistenti. Questo porta a far sì che quest’ultime perdano di valore e di conseguenza anche gli affitti per queste abitazioni si riducono. In questo modo i proprietari sono disincentivati a farci manutenzione. Per le persone con un reddito basso, allora, prendere in affitto queste case o vivere in strada diventa indifferente. Per quanto riguarda, invece, il ruolo delle disuguaglianze dei redditi, la diminuzione della

7 Tito Boeri è un economista ed insegna Economia del mercato del lavoro. È stato consulente del

FMI, della Banca mondiale della Commissione europea e del governo italiano e senior economist all’OCSE. Attualmente è direttore della Fondazione Rodolfo Debenedetti e responsabile scientifico del Festival dell’economia di Trento.

8 Michela Barga è laureata in economia e commercio presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore

a Milan. Attualmente è ricercatrice presso l’Università Statale di Milano.

9 Lucia Corno è laureata in economia aziendale presso l’Università Bocconi. Si occupa di economia

dello sviluppo. È attualmente post doctoral researcher all’Institute for International Economic Studies (IIES) all’Università di Stoccolma.

10 W. Turcker, America’s Homeless: Victims of Rent Control, The Heritage Foundation

Backgrounder n. 685, Washington DC, January 12, 1989.

11 B. O’Flaherty, An Economics Theory of Homeless and Housing, in “Journal oh Housing

Economics”, 4, 1995, I, pp. 13-14; B. O’Flaherty, Making Room: The Economics of Homelessness,

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fascia intermedia della popolazione fa sì che aumenti la richiesta per le case con un basso valore, così il loro prezzo tende ad aumentare. Anche questo gioca un ruolo importante nel fenomeno dei senza dimora. Le persone con un basso reddito, dato questo andamento del mercato immobiliare e delle disuguaglianze di reddito, preferiscono spendere il proprio denaro in beni di prima necessità piuttosto che per abitazioni di così bassa qualità.

Anche il mercato del lavoro ha un’importante influenza sull’homelessness. Negli ultimi decenni i paesi sviluppati hanno visto una de-localizzazione dei processi produttivi dove la manodopera ha costi più bassi. Al contrario, per il lavoro altamente qualificato la domanda è aumentata. In questo scenario si sono trovate in difficoltà soprattutto le persone in età avanzata ma non ancora pensionabile. Queste persone dopo la perdita del lavoro difficilmente riescono a trovarne un altro e così, scoraggiandosi, diventano inattivi. Se a queste persone manca anche il supporto delle reti sociali e familiari, cadere nella condizione di senza dimora è estremamente facile. Tuttavia, molte delle persone senza dimora continuano a svolgere piccoli lavoro precari. Questo dimostra come essi siano ancora inseriti all’interno del tessuto sociale.

Infine, dal punto di vista economico anche il welfare state italiano non aiuta a combattere l’homelessness. Non esistono, infatti, politiche di contrasto alla povertà come potrebbe essere il reddito minimo garantito. In mancanza di queste, in un contesto in cui il mercato del lavoro è così precario e vi è la trasformazione del mercato immobiliare anche le fasce della popolazione ben inserite nella società possono trovarsi in situazioni di grave emarginazione sociale.

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Le persone senza dimora e la sociologia

Basandoci ancora sul piano sociale vediamo l’approccio sociologico al fenomeno.

Come scrive Alessandra Meo12, il fenomeno delle PSD, pur non raggiungendo la gravità che ha negli Stati Uniti e nel resto d’Europa, rappresenta una problematica molto significativa anche nel nostro Paese. In Italia il fenomeno viene racchiuso nella problematica della “grave emarginazione”.

Esso è causato sia da problematiche sociali sia da fattori che riguardano la singola persona.

Per quanto riguarda le problematiche sociali non si tratta solamente di problematiche economiche o abitative ma anche di disagio familiare e relazionale.

La povertà ha un ruolo importante nel fenomeno della homelessness. A partire dagli anni ottanta la povertà ha cambiato fisionomia, infatti, ha iniziato a colpire anche strati della popolazione che prima non erano a rischio di affrontare il disagio economico. I “nuovi poveri” sono donne separate con figli, anziani, immigrati, adolescenti in crisi, giovani tossicodipendenti. Non solo l’aspetto economico influenza le nuove povertà ma anche i fattori relazionali e familiari. Questo tipo di povertà non è un fenomeno statico ma un processo durante il quale le cause iniziali possono essere aggravate da comportamenti non adattivi delle persone, generando così un circolo vizioso. Per questo motivo si parla di carriere di povertà.

Entrando nello specifico delle PSD esse si distinguono in senza dimora tradizionali e “nuovi”. I primi sono coloro che hanno fatto la

12 Alessandra Meo è una sociologa ricercatrice di Sociologia generale presso la Facoltà di Lettere

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scelta di vivere in condizione di povertà estrema e di autoesclusione. Essi sono considerati difficilmente recuperabili e non mostrano la volontà di migliorare le loro condizioni di vita.

I secondi, invece, sono persone che si sono viste costrette a vivere in strada a causa di problematiche economiche e familiari. Queste persone sono più facilmente trattabili perché sono ancora reattive agli eventi traumatici e in contatto con il tessuto sociale (lavoro, amici, familiari).

Questo ragionamento ci dà modo di comprendere come la composizione delle PSD sia molto variegata.

Più le persone vivono in strada più peggiorano le loro condizioni di salute fisica e mentale, e diventano sempre meno capaci di impegnarsi per un cambiamento positivo.

In tutto ciò vi è da precisare che in qualsiasi fase del suo percorso la PSD può riuscire ad uscirne.

L’esistenza delle PSD è incentrata sul soddisfacimento dei bisogni primari. Le giornate sono così scandite da ritmi ben precisi e passate in luoghi frequentati abitualmente che si trovano in diverse parti della città. Tutto ciò diventa un’importante risorsa identitaria per le PSD. Le persone che vivono in strada allentano fino a farli scomparire i legami sociali. Alcuni legami creati durante la vita in strada sono con i pari. Si tratta di amicizie che si creano molto rapidamente ma molto fragili e spesso costruite per utilità.

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Le persone senza dimora e la scienza educativa

Dopo aver fatto un’analisi sulle problematiche sociali che influenzano il fenomeno delle PSD, poniamo la nostra attenzione sugli aspetti più individuali.

Le biografie delle PSD sono caratterizzate da dolore e sofferenza, in genere legati ad abbandoni e violenze.

Come scrive I. Lizzola13 le PSD sono persone che, date le loro

biografie, hanno perso la “fiducia di base”, la capacità di pensare in positivo verso il futuro. Questa perdita di fiducia compromette la loro autonomia, impedisce loro di programmare il futuro e impegnarsi per trovare le risorse che possono portarli a superare le difficoltà. Compito degli operatori sociali è cercare di ricostruire queste biografie, comprendere che cosa è andato storto e lavorare insieme alla persona affinché non si torni a fare gli errori passati ma piuttosto riuscire a focalizzare l’attenzione sugli aspetti positivi che caratterizzano la loro esistenza e lavorare su di essi per costruire un futuro migliore.

Ripercorrere le proprie biografie per le PSD è un passo molto difficile. Essi hanno creato nei confronti delle loro storie un forte “distacco emotivo” e ripercorrerle può far riaffiorare in loro sentimenti difficili da gestire. Inoltre, le PSD, nella loro nuova condizione trovano, paradossalmente, un senso di sicurezza datogli dalla consapevolezza che data la loro solitudine non dovranno più affrontare le relazioni che gli hanno provocato così tanto dolore. Il senso di sicurezza è dato anche dal fatto che l’unica preoccupazione diventa procurarsi il necessario per soddisfare i bisogni primari, giornalmente, il tutto con ritmi ben scanditi. Rompere questo senso di sicurezza crea una forte

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resistenza da parte dell’utente ma è il passo necessario da affrontare per superare la propria condizione.

Il passato deve essere riaffrontato cognitivamente ed emotivamente; occorre prendere consapevolezza che gli avvenimenti non sono accaduti esclusivamente per cause esterne ma non bisogna nemmeno creare un’eccessiva colpevolizzazione. La nuova relazione educativa porta così a prendere consapevolezza del proprio vissuto, a distanziarsi da esso e a scoprire e investire sulle risorse che ogni soggetto possiede. Questo è possibile all’interno di una relazione di fiducia con l’utente costruita nella condivisione della quotidianità e nel rispetto reciproco.

Non c’è un tempo preciso in cui è possibile stabilire quando la persona riuscirà a prendere consapevolezza delle proprie risorse e della sua possibilità di cambiamento. Ogni soggetto è diverso e il percorso è fatto di passi avanti ma anche di ricadute. Certo è che iniziare un percorso con gli operatori sociali che permette di sperimentare nuove pratiche quotidiane e di scoprire nuove potenzialità porta a riprendere fiducia in se stessi e nel proprio futuro, permettendo in questo modo di impegnarsi per lavorare sulla propria autonomia.

Le persone senza dimora e la psicologia

Continuando ad analizzare gli aspetti individuali che influenzano il fenomeno delle PSD vediamo come la scienza psicologica tratta di questo fenomeno.

Le PSD hanno dei tratti comuni che li contraddistinguono. In quasi tutte le loro storie possiamo trovare una perdite dell’abitazione, del lavoro, dei legami familiari e amicali. Si tratta, quindi, di una “povertà

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relazionale” più che di una “povertà materiale”. Tale povertà li porta progressivamente ad isolarsi completamente fino a raggiungere livelli estremi di esclusione sociale. Le cause di tutto ciò possono essere molteplici: la perdita del lavoro, della casa, la rottura dei legami familiari, lutti, dipendenze, malattie o carcerazione. Spesso è proprio il sovrapporsi di questi fattori a far cadere la persona in una condizione di disagio estremo.

“Le emozioni dominanti sono la paura, la vergogna, il senso di inutilità, la rabbia, il senso di colpa di persone che non riescono più a pensarsi inserite in una rete di legami e relazioni significative con cui condividere le proprie esperienze di vita e dare risposte ai propri bisogni. Siamo di fronte a un “adattamento per rinuncia”, spesso mascherato con il mito della “scelta di vita”, situazione che, per chi opera a diretto contatto con le persone PSD, si manifesta sempre più raramente”.14

Per poter aiutare la PSD occorre abbandonare la logica assistenzialistica ma rendere il soggetto protagonista all’interno della relazione di aiuto.

In questa logica multifattoriale, A. Gazziero15 e V. Balordi16, ritengono importante la presenza della figura dello psicologo all’interno dei servizi per le PSD.

È importante utilizzare un’ottica sistemica che tenga conto della presenza di più fattori come causa del malessere della persone, per poter lavorare su più aspetti della sua vita.

14 R. Gnocchi, 2009 - pag. 172.

15 Andrea Gazziero è uno psicologo e psicoterapeuta a indirizzo sistemico familiare, coordina i

Centri di accoglienza dell’Associazione Cena dell’amicizie che a Milano si occupa di persone gravemente emarginate.

16 Valeria Balordi è una psicologa e psicoterapeuta a indirizzo sistemico familiare, coordina i

Centri di accoglienza dell’Associazione Cena dell’amicizie che a Milano si occupa di persone gravemente emarginate.

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Il lavoro psicologico con le PSD si concentra in due fasi: la prima è la fase durante cui la persona vive ancora in strada, è la fase del primo contatto. Il vero lavoro però viene svolto in seguito all’entrata della persona all’interno di un contesto protetto, di una struttura di accoglienza (anche di bassa soglia). Solo in questo luogo, infatti, è possibile iniziare un percorso di recupero con la persona. Soltanto in un contesto del genere è possibile capire le cause che hanno portato l’utente a vivere in strada e poter lavorare su di esse.

Per poter comprendere queste dinamiche l’indagine deve orientarsi innanzitutto sulla conoscenza della storia della persona compreso informazioni sulla sua famiglia e sugli eventi che l’hanno caratterizzata; altro elemento importante da comprendere è come la persona si rapporta al momento con gli operatori sociali con cui è venuto in contatto; infine, fondamentale è il riscontro che gli operatori sociali danno sull’utente (come si relaziona con loro e con gli altri, in che modo si prende cura di se stesso, in che modo si relaziona con l’ambiente in cui abita, ecc.).

La diagnosi si focalizza allora sia sull’aspetto sincronico del “qui ed ora”, sia sull’aspetto diacronico della storia passata dell’utente.

Altro aspetto da tenere in considerazione per una buona diagnosi è il sistema trigenerazionale. Per comprendere le cause che hanno portato ad avere dei problemi nella propria vita è utile conoscere la storia della famiglia di origine. Ci sono molti strumenti per fare un’analisi familiare, primo fra tutti il genogramma. Attraverso questo strumento è possibile sintetizzare gli aspetti principali di ogni componente della famiglia e le influenze che essi hanno avuto nei confronti degli altri componenti.

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“L’approccio psicologico diretto sulle PSD, quindi, si sostanzia nel lavorare per ristabilire la fiducia di queste persone verso se stesse e il mondo in cui vivono, sostenerle nei percorsi di rielaborazione dei propri fallimenti relazionali, accompagnarli verso una riappropriazione della loro identità sociale, far emergere poco alla volta le competenze relazionali presenti e crearne di nuove per avviare un processo di ricostruzione di una seppur minima base relazionale.”17

1.3.2. Capitale fisico, capitale sociale e capitale umano18

Questo paragrafo si riferisce alle PSD cadute in questa condizione da poco tempo.

Capitale fisico

Il capitale fisico delle PSD, oltre a quello di cui abbiamo parlato nei paragrafi precedenti, è costituito dall’elemosina. Il momento dell’elemosina è un momento molto umiliante per i senza dimora. Rappresenta una richiesta esplicita di aiuto ad altri ed è l’atto attraverso cui dichiarano alla società di essersi imbattuti in questa condizione. Con il ricavo dell’elemosina riescono giusto a comprarsi le sigarette ed essa è sfruttata soprattutto per affrontare gli spostamento in treno.

Un significato molto importante ce l’hanno alcuni oggetti che queste persone portano con sé come chitarra, libri e foto. Questi oggetti, anche se di poco valore, costituiscono una continuazione con la vita precedente.

17 R. Gnocchi, 2009 – pag. 177

18 Le seguenti osservazioni sono state tratte dalla rilettura del testo “Valutare l’invisibile.

Interventi di contrasto alle povertà estreme a dieci anni dalla legge 328/2000”, di Mauro Pellegrino, Filippo Ciucci e Gabriele Tomei, 2011, Franco Angeli, Milano.

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Molto importanti sono anche i documenti quali carta d’identità o documenti rilasciati dai Comuni. Questi sono fondamentali per considerarsi ancora parte della società e per esercitare i propri diritti di cittadinanza.

Capitale sociale

- Rapporti familiari: le PSD raccontano di aver rotto i legami familiari in seguito a separazioni o perdita del lavoro. Questi eventi li hanno portati ad isolarsi sempre di più fino ad intraprendere la vita di strada. Questo causa a loro molta sofferenza soprattutto quando lasciano dei figli. In altri casi i familiari sono tutti deceduti.

Alcuni di loro dicono di aver mantenuto i contatti con la famiglia ma si tratta di contatti saltuari e in cui spesso non confessano la loro condizione che provoca in loro molta vergogna;

- Amicizie: anche per quanto riguarda le amicizie queste vengono perse dopo la scesa in strada e questa condizione rappresenta una grave vergogna nei confronti delle relazioni secondarie. Nella loro nuova vita i senza dimora raccontano di avere più conoscenti che amici, che hanno la funzione di riempire quel vuoto caratterizzato dalla solitudine di ogni giorno. Più che di relazioni diadiche si tratta di relazioni gruppali. Ma la maggior parte del tempo lo passano da soli;

- Reti di aiuto: per i senza dimora resta comunque forte il bisogno di costruire relazioni. Ecco che importanti punti di riferimento diventano gli operatori dei centri di ascolto e dei dormitori e gli assistenti sociali. Le relazioni con loro sono incentrate

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sull’ascolto, hanno bisogno di parlare delle loro esperienze segnate da fallimenti e delusioni.

Parlare con gli operatori può essere fondamentale per poter uscire dalla condizione di senza dimora.

Capitale umano

- Abilità: i senza dimora hanno di solito un titolo di studio basso e le loro abilità si concentrano soprattutto in mestieri molto diversificati che davano a loro una grande soddisfazione e che riconoscono come ciò che li rendeva autonomi e gli dava un’identità. Essi si sentono in grado di continuare a svolgere questi mestieri;

- Consapevolezza: essi mostrano un buon grado di consapevolezza circa la loro condizione.

Hanno ben chiaro qual è stato il loro passato e qual è stata la causa precipitante che li ha portati a vivere in strada.

Sono consapevoli anche della grave condizione economica in cui si trovano.

Non hanno ben chiaro, invece, il loro livello di solitudine. Dicono di avere delle amicizie anche se sanno che sono poche e che nei momenti difficili molte persone li hanno abbandonati. Un buon grado di consapevolezza lo hanno, infine, sulle condizioni di salute e su come farne fronte. Sanno a quali servizi si possono rivolgere e quasi tutti sono in possesso del libretto sanitario;

- Progettualità: le PSD mantengono un buon grado di progettualità dove per progettualità s’intente cercare un lavoro, un’abitazione, ricostruirsi una famiglia e nuove relazioni sociali.

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Consapevoli che la perdita del lavoro ha avuto un ruolo fondamentale nella loro scesa in strada, le PSD sono attivi nella ricerca di un lavoro. I canali sono l’andare nelle aziende a chiedere se hanno bisogno di personale, rivolgersi a conoscenti e contatti utili per avere appoggio in qualche ditta e, infine, internet.

Anche l’impegno nella ricerca di un’abitazione e molto forte. I senza dimora più anziani o con problemi di salute si impegnano per ottenere la pensione e anche questo aspetto è segno di progettualità.

Infine, mostrano progettualità nello svolgere la vita quotidiana fatta di ritmi ben precisi e attività generalmente svolte presso servizi pubblici (mense, dormitori, centri d’ascolto, ecc.);

- Reazione: le PSD mostrano una grande capacità a reagire alla loro condizione, capacità che si collega alla capacità progettuale. Unanime è la convinzione che la capacità di reazione nasce individualmente, anche se i servizi e i conoscenti possono spronare verso questa direzione.

1.3.3. Le persone senza dimora nello spazio urbano

Nel XIX secolo la persona senza una dimora stabile e con un’elevata mobilità era identificata con la figura del vagabondo. Esso era considerato folle e percepito come minaccioso. A partire dagli anni Novanta queste rappresentazioni si ripropongono dal momento in cui si ricomincia a parlare di povertà estrema e di senza dimora.

M. Bergamaschi19 espone la sua ricerca in questo campo20.

19 Professore associato presso l’Università di Bologna, svolge le sue ricerche nell’ambito della

sociologia dell’ambiente e del territorio. Si interessa in particolar modo ai processi di impoverimento in ambito urbano, alle politiche di contrasto alla povertà e alla sociologia francese post-durkheimiana.

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La ricerca si focalizza su due aspetti: il primo è la mobilità delle PSD da una città all’altra nel territorio nazionale, il secondo riguarda le pratiche quotidiane svolte all’interno della città, la mobilità all’interno di essa e il significato che i senza dimora danno a determinati spazi urbani.

La ricerca, svolta nella città di Bologna, disconferma lo stereotipo del senza dimora che è in continuo movimento da una città all’altra. Infatti la maggior parte di queste persone, nonostante non sia nata a Bologna, è comunque presente nel territorio da almeno cinque anni. Vivere nello stesso luogo permette alle PSD di trovare una certa stabilità e un’identità personale.

Lo spazio pubblico urbano struttura ed organizza la quotidianità della persona che vive prevalentemente (o quasi esclusivamente) in strada, poiché impone un certo numero di pratiche e comportamenti codificati.21

La persona senza dimora si muove all’interno della città in modo non casuale ma ha invece mete ben precise in base al momento della giornata, che raggiunge per soddisfare i propri bisogni primari.

Se la persona usufruisce dell’assistenza erogata dal territorio i suoi spostamenti sono condizionati dai luoghi in cui si trovano i servizi. Altrimenti i luoghi raggiunti dalle PSD in generale sono l’ingresso della chiesa e del supermercato per raccogliere l’elemosina, i cassonetti del mercato ortofrutticolo per recuperare qualcosa da mangiare, un bar dove passare alcune ore al caldo, la stazione per l’igiene personale e per dormire di notte.

20 M. Bergamaschi, M Colleoni, F. Martinelli (a cura di), La città: bisogni, desideri, diritti, Franco

Angeli, Milano, 2009.

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Alcune persone, per la notte, si creano uno spazio domestico personalizzato con materiali recuperati per la città (una sedia, un tavolino, un cartone, una cassetta, ecc.).

Questi spostamenti portano ad un incontro/scontro con gli abitanti del territorio.

Le PSD sono viste spesso, dalle persone che vivono in città, come persone pericolose, che non rispettano norme non scritte dello spazio pubblico. La testimonianza è data sia dalle ordinanze emesse da molte amministrazioni negli ultimi anni per impedire ai senza dimora di fermarsi in strada (come tenere costantemente bagnate alcune piazze e marciapiedi) oppure come i nuovi interventi e progetti che hanno riguardato le stazioni di tutta Europa dove si tende a togliere ogni spazio dove la persona può fermarsi (ad esempio le panchine) o a chiudere le stazioni nelle ore notturne.

Un altro esempio di ostilità nei confronti delle PSD sono le mobilitazioni dei cittadini che, quando viene aperto nella città un nuovo servizio per la grave marginalità, ne chiedono lo spostamento altrove.

Spesso l’accettazione delle PSD in città avviene dopo una negoziazione tacita in cui quest’ultimi vengono “accettati” solo se si comportano secondo gli standard del luogo in cui si trovano.

1.3.4. Il problema dell’identità22

Come abbiamo scritto nei paragrafi precedenti la condizione di senza dimora può essere causata da problemi materiali quali la perdita del

22 Paragrafo rielaborato partendo dall’articolo “Homelessness: un problema solo redistributivo?

Una riflessione sulla rilevanza della dimensione sociale e umana per la comprensione del fenomeno”, di Veronica Polin, in “Working Paper Series Department of Economics University of Verona, n. 2, gennaio 2017.

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lavoro e la povertà ma anche da fattori sociali e umani come crisi d’identità e problemi di riconoscimento.

Comprendere le cause di questi fattori è molto difficile in quanto, spesso, le PSD presentano problemi di memoria e i loro racconti risultano in parte distorti e poco attendibili.

Meno difficile risulta, invece, capire il nesso tra identità e riconoscimento delle persone che hanno intrapreso un percorso di vita in strada: l’inizio della vita come senza dimora non determina immediatamente una completa destrutturazione della propria identità ma questo avviene tramite un processo di riorganizzazione della stessa data dal fattore tempo e dal misconoscimento da parte della società. I segnali di misconoscimento da parte della collettività, delle istituzioni pubbliche e del privato sociale generano un’identità frammentata, svalorizzante, stigmatizzata e fallimentare nel momento in cui essi si percepiscono ancora “persone”. Con il passare del tempo tutto questo diventa sempre più insostenibile, anche dal punto di vista fisico, data la loro vulnerabilità. La loro condizione, in questo modo, diventa sempre più cronica.

Iniziare la vita di strada è un evento traumatico che porta ad una rottura nella biografia della persona, mettendo a repentaglio la sua identità. Per mantenere la propria integrità le PSD si trovano a cercare di collegare le esperienze passate, presenti e future, dando una continuità al proprio sé. Riguardo al passato la discontinuità viene percepita nell’aver deluso le aspettative sociali di normalità e l’immagine che le persone della comunità in cui vivevano avevano di loro. Rispetto al futuro, invece, la discontinuità consiste nell’assenza di capacità di proiezione e progettazione.

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Il misconoscimento che caratterizza l’esperienza delle PSD si divide in riconoscimento negato e riconoscimento negativo: il primo consiste nel non considerare la persona senza dimora perché povera, diversa; la seconda consiste, invece, nel discriminarla.

Per le PSD avviene la svalutazione del futuro e si riduce l’orizzonte di tempo pianificabile. Essi si concentrano sempre di più su attività scandite da ritmi ben precisi e abitudinari, finalizzati al soddisfacimento dei bisogni primari. Questi ritmi hanno la funzione di dare stabilità alle vite delle PSD e costituiscono importanti risorse di identità.

Queste pratiche, oltre ad organizzare il tempo delle persone ne strutturano anche la concezione dello spazio; infatti, sono tutte fatte in luoghi ben precisi, vicino ai servizi, che diventano anch’essi importanti riferimenti identitari.

Con il prolungarsi della condizione di senza dimora, queste persone perdono gradualmente le capacità di gestire l’immagine che si trasmettono di sé, come curare la propria immagine in pubblico.

La condizione di senza dimora dà origine ad una forte categorizzazione e le persone vengono divise tra i “normali” e i “poveri”, i “diversi”. La particolarità di questa classificazione sta nel fatto che tra la categoria dei “poveri” non si crea un forte senso di appartenenza ad un gruppo.

Perdendo tutte le relazioni sociali, le PSD, perdono quelle risorse simboliche (i riconoscimenti estimativi) attraverso cui la loro identità può trovare riconoscimento. I contatti quotidiani riguardano gli operatori e i volontari ma vengono considerati dalle PSD come denigranti.

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Per quanto riguarda le persone che incrociano per strada, le PSD ritengono che i contatti con essi sono umilianti e spesso pericolosi. Il fatto di non essere degnati nemmeno di uno sguardo, come se fossero invisibili, ha un’influenza fortemente negativa sulla loro identità.

L’elemosina non è vista come un gesto di aiuto nei loro confronti ma, piuttosto, come un gesto che migliora l’immagine di chi la fa.

Le PSD affrontano misconoscimento anche dal punto di vista legislativo. Infatti, in Italia i diritti politici, civili e sociali sono garantiti dalla residenza anagrafica che fino agli anni ’90 i senza dimora non avevano. Come spiegheremo meglio nel capitolo successivo, proprio a partire da questi anni la legge ha stabilito che le PSD hanno la residenza anagrafica nel Comune dove hanno domicilio e in assenza di questo nel Comune di nascita. Le amministrazioni comunali, allora, hanno creato nel registro delle iscrizioni una sezione speciale “non territoriale” nella quale inserire le PSD. Come domicilio sono segnate strade inesistenti. Molti comuni, però hanno scelto nomi fortemente stigmatizzanti per queste strade come ad esempio “via Senza Tetto”.

Un’altra problematica che compromette l’identità delle PSD è la considerazione che ha di loro la politica. Esse vengono viste come persone pericolose da allontanare dalle città. Questo può avvenire direttamente, tramite l’intervento della polizia, o indirettamente, tramite politiche urbanistiche come l’eliminazione delle panchine o la collocazione ai margini delle città dei servizi a loro disposizione. Il messaggio che arriva a queste persone è quello di essere degli invasori delle città considerate di chi produce ricchezza, mentre chi

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non produce ricchezza è percepito come uno “scarto”, come qualcosa che non vale nulla.

1.3.5. Le persone senza dimora: il punto di vista degli operatori sociali e dei volontari23

Le persone che lavorano con le PSD distinguono i senza dimora “storici” e cronici” da quelli “nuovi”. I primi sono persone che vivono in strada da molti anni e che sanno a quali servizi rivolgersi. In genere sono persone che hanno intrapreso questo percorso per scelta. I secondi, invece, sono persone che sono in strada da poco, che non conoscono ancora i servizi a cui possono rivolgersi e che sono caduti in questa condizione per la perdita del lavoro, della casa e per il verificarsi di una serie di eventi che li hanno costretti a scendere in strada. Il fenomeno, infatti, è cambiato. La società di oggi è molto più precaria e anche persone ben integrate in essa possono ritrovarsi ad essere gravi emarginati.

La caduta nella grave marginalità è caratterizzata non solo dalla perdita della casa ma da cause multifattoriali, quindi, nella maggior parte dei casi offrire un’abitazione ai senza dimora non risolverebbe le loro problematiche ma è necessario un lavoro più ampio e strutturato. Per quanto riguarda le politiche sociali gli operatori e i volontari riconoscono come limiti l’insufficienza delle risorse, anche data dall’aumento del fenomeno della povertà, e gli interventi non strutturati (episodici) e settoriali. Lamentano la mancanza di interventi

23 Questo paragrafo è nato dalla rilettura dell’articolo “Vivere in strada: rappresentazioni dei

senza dimora fra operatori sociali e volontari”, di Antonella Meo, in “Autonomie locali e servizi sociali”, n. 5, 2008.

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che uniscano interventi di emergenza a interventi di lungo periodo, improntati sullo sviluppo dell’autonomia.

Una grande attenzione è rivolta all’importanza della sensibilizzazione e partecipazione della cittadinanza e del privato sociale. Ritengono che per poter includere i senza dimora all’interno della società è necessaria l’interazione con la società civile.

1.4. Le Linee Guida

Le “Linee di Indirizzo per il Contrasto alla Grave Emarginazione Adulta in Italia” sono il primo documento ufficiale di programmazione nell’ambito della grave marginalità che Stato, Regioni ed Enti Locali sono chiamati a seguire.

Sono state scritte nel 2015 da un gruppo di lavoro coordinato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

Il gruppo di lavoro si è avvalso della segreteria tecnica della fio.PSD ed ha coinvolto le 12 città più grandi d’Italia in cui il fenomeno è più diffuso.

Al tavolo di lavoro hanno partecipato la Commissione Politiche Sociali della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome e dell’ANCI, e il Ministero delle Infrastrutture.

Le Linee di indirizzo hanno caratterizzato una rivoluzione culturale in quanto per la prima volta in Italia sono stati definiti a livello nazionale i “livelli minimi essenziali” per contrastare la homelessness.

Quello che ci interessa in questo capitolo delle Linee di Indirizzo è la descrizione che si trova delle diverse categorie di PSD:

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- Le persone senza un valido titolo di soggiorno: Gli stranieri irregolari possono avere caratteristiche molto diverse. Possono essere sfuggiti ai controlli della frontiera, gli può essere stata rifiutata la richiesta di asilo politico o possono aver perso i requisiti per il mantenimento del titolo di soggiorno dopo lunghi anni di permanenza in Italia.

Le loro condizione di irregolarità non gli permettono di integrarsi nella società inducendoli alla condizione di senza dimora. Essendo irregolari possono accedere solamente ai servizi emergenziali (pronto soccorso, emergenza freddo, mense, ecc.). Non gli è permessa, dunque, la presa in carico da parte dei servizi sociali e l’attivazione di un percorso di autodeterminazione;

- Le donne: Per le donne vivere in strada è una condizione particolarmente drammatica. Innanzitutto, sono più esposte a subire violenze. Poi vi sono le problematiche igienico-sanitarie dovute alla mancata igiene quotidiana e all’igiene specifica durante il periodo mestruale che possono dare origine a problemi ginecologici importanti.

La separazione dai figli è l’esperienza più drammatica per queste donne.

Le donne più giovani arrivano alla condizione di senza dimora dopo la rottura con la famiglia di origine in seguito ad abusi e violenze, uso di sostanze stupefacenti, problematiche legate alla salute mentale che la famiglia non è riuscita a risolvere.

Per quanto riguarda le donne sopra i cinquant’anni, invece, la rottura è avvenuta con la famiglia acquisita. Le cause sono la costruzione di nuove relazioni da parte dei mariti e/o figli che non sono in grado di sostenerle.

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Spesso anch’esse sono state vittime di violenza familiare, da cui sono scappate senza aver trovato un’altra valida alternativa. Molte di queste donne hanno subito abusi già da bambine che hanno reso particolarmente fragile la loro personalità. A contribuire alla spinta verso la condizione di senza dimora è la perdita del posto di lavoro. Le donne in strada, molte volte sono indotte alla prostituzione per potersi creare un reddito di sussistenza;

- I giovani: Negli ultimi anni un numero sempre maggiore di giovani tra i 18 e i 25 anni si trova privo di un sostegno familiare, di una rete sociale solida e di un sostentamento e questo isolamento li può spingere ad intraprendere la strada di senza dimora.

Si tratta principalmente di giovani provenienti da famiglie multiproblematiche che non costituiscono un supporto per i ragazzi, giovani provenienti da comunità per minori o appartamenti per giovani che hanno terminato il periodo di accoglienza, giovani provenienti da situazioni di disagio che sono caduti in percorsi di devianza e dipendenza da sostanze, che hanno un livello di istruzione molto basso e presentano difficoltà a trovare un impiego utile ad intraprendere un percorso di indipendenza;

- Le persone con problemi di salute fisica, psichica e di dipendenza: Sono numerose le PSD con problemi di salute fisica e/o psichica e che soffrono di dipendenza da sostanze. Tra gli italiani sono molto frequenti malattie psicotiche che non sono mai state curate da specialisti. Anche tra gli stranieri c’è il rischio di cadere in malattie di questo tipo. Si tratta di persone fortemente traumatizzate, che hanno subito guerre, fame, torture, e traumi apparentemente banali che risvegliano il ricordo di quei momenti (es: se vengono guardati con

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sospetto da soggetti in divisa o se vengono strattonati), possono causare in loro un crollo psichico;

- Le persone soggette a discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere: Le persone che vengono stigmatizzate per la loro povertà possono vedere aggravata la loro condizione se vengono discriminate anche per il loro orientamento sessuale. Per loro può essere messa a rischio la sicurezza personale all’interno delle strutture di accoglienza.

Le persone con questo vissuto possono cadere nella condizione di senza dimora perché, a causa della discriminazione, possono vedere compromessa la loro immagine di sé, perdere l’autostima e di conseguenza incontrare problemi nella ricerca di una casa, di un lavoro e nella cura di sé. È possibile che vengano rifiutati dalla famiglia e dalla rete amicale e isolati all’interno della propria comunità.

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CAP. 2: LA TUTELA DEI DIRITTI DELLE PERSONE SENZA DIMORA

2.1. Introduzione

In Italia la situazione legislativa a favore delle PSD è molto povera. Sono, invece, molti i servizi rivolti a fronteggiare il fenomeno. È importante sottolineare che spesso, questi servizi, sono gestiti dal Terzo Settore.

Le “Linee di indirizzo per il contrasto alla grave marginalità adulta” ci forniscono un quadro molto dettagliato riguardante la situazione normativa riferita alle PSD e ai servizi che in Italia sono previsti per questa categoria di persone.

2.2. Normativa di riferimento

L’ordinamento italiano vede la mancanza di leggi e politiche che trattino in maniera specifica e adeguata la problematica delle PSD. Ad oggi l’unica legge di riferimento è la L. n. 328/2000, art. 2824. La

legge, però, si limita ad assicurare finanziamenti per il biennio successivo alla sua entrata in vigore.

Successivamente con la Legge costituzionale n. 3 del 200125 che ha

previsto la riforma del Titolo V della Costituzione, le politiche sociali sono diventate di competenza delle Regioni e allo Stato è rimasto il compito di scrivere i “livelli essenziali delle prestazioni sociali” (LIVEAS), compito che ancora oggi non è stato assolto.

24 L. n. 328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi

sociali”.

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Tuttavia, anche l’impegno delle Regioni è risultato molto scarso per quanto riguarda la grave marginalità.

I Comuni si sono trovati così a risolvere questa problematica senza vincoli derivanti dall’alto. Questo ha causato un trattamento differenziato della problematica a livello nazionale facendo venire meno il principio di uguaglianza garantito dall’art. 3 della costituzione italiana26.

La conclusione di questo processo è stata che ad occuparsi delle PSD è spesso il terzo settore che se ne fa carico pienamente e non è, invece, (come dovrebbe essere) una parte integrante di un progetto organizzato e gestito dall’ente pubblico.

2.3. La residenza

La residenza per le PSD è fondamentale per poter accedere ai servizi a disposizione per il contrasto alla grave marginalità.

Il concetto di residenza è spiegato nell’art. 43 del Codice Civile:

Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi.

La residenza anagrafica è nel luogo in cui la persona ha la dimoraabituale.

26 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di

sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

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Dunque, la residenza non è vincolata all’avere un alloggio ma nell’essere abitualmente presenti in un determinato luogo.

Nel nostro Paese esiste una legge specifica per la residenza anagrafica delle PSD. È la L. n. 1228/195427 che nell’art. 2, comma 3, stabilisce che “la persona senza dimora si considera residente nel Comune in cui ha il domicilio e in assenza di esso nel Comune di nascita”.

Nella suddetta legge e successivamente con il DPR 223 del 30 maggio 198928, si suggerisce l’istituzione, in tutti i Comuni, di una sezione speciale “non territoriale” nella quale elencare e censire come residenti tutti i senza dimora che avessero eletto domicilio al fine di ottenere la residenza anagrafica, individuando a questo scopo una via territorialmente inesistente ma conosciuta con un nome convenzionale dato dall’ufficiale di anagrafe.

L’individuazione di un indirizzo specifico è necessaria per la reperibilità del richiedente.

2.4. I servizi rivolti alle persone senza dimora

In Italia sono molti i servizi dedicati alle PSD.

In questo paragrafo si cercherà di spiegare quali sono i servizi distribuiti sul territorio nazionale e le loro finalità.

I servizi di cui parleremo non sono necessariamente presenti in ogni città ma ognuna di esse fornisce servizi in base alle esigenze del territorio e alle politiche adottate.

27 L. n. 1228/1954 “Ordinamento delle anagrafi della popolazione residente”.

28 D.P.R. n. 223/1989 “Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione

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Servizi di supporto in risposta ai bisogni primari

Si stratta di strutture che distribuiscono gratuitamente pacchi spesa, farmaci e indumenti, e che permettono ai senza dimora di usufruire di servizi per la cura e l’igiene personale, mense, contributi economici una tantum erogati in specifiche occasioni. Infine, ci sono le unità di strada. I servizi di strada prevedono un’inversione dello stampo tradizionale dei servizi in cui è l’utente a recarsi nell’ufficio al momento del bisogno. Attraverso le unità di strada, invece, gli operatori vanno direttamente dalle PSD. Il loro ruolo è quello di ascoltare ma anche informare e accompagnare in un percorso di presa in carico.

L’assolvimento dei bisogni primari è più efficace se percepito come parte di un lavoro più articolato.

Strutture di accoglienza notturna

Le strutture di accoglienza notturna sono tra i servizi più richiesti dalle PSD ma anche quelli di numero inferiore. Secondo i dati Istat più della metà delle persone che cerca rifugio in questo tipo di strutture non riesce ad accedervi.

I principali modelli di accoglienza notturna sono i dormitori che possono essere aperti tutto l’anno oppure può trattarsi di dormitori di emergenza aperti nei periodi di emergenze meteorologiche.

Poi ci sono le comunità che anch’esse si distinguono in semiresidenziali e residenziali. Nelle prime sono previste attività sia nelle ore diurne che notturne ma senza continuità, che, invece, è prevista nelle comunità residenziali.

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Gli alloggi protetti prevedono l’accesso esterno limitato e spesso vi è la presenza di operatori sociali. Gli alloggi autogestiti sono strutture di accoglienza nella quale le persone hanno ampia autonomia nella gestione dello spazio abitativo.

L’obiettivo principale di queste strutture dovrebbe essere quello di essere utilizzate come soluzione all’emergenza. L’utente non dovrebbe restarci per più di tre mesi e iniziare, piuttosto, un percorso più strutturato che parta dall’inserimento in un alloggio stabile e non istituzionalizzante.

L’organizzazione delle strutture di accoglienza notturna prevede dei ritmi ben precisi alle quali gli utenti si devono adattare. Questo gli toglie la possibilità di iniziare già da subito un percorso personalizzato. La permanenza in queste strutture può portare la persona a perdere le capacità di autonomia e autodeterminazione, con la conseguenza della cronicizzazione della condizione di senza dimora.

Strutture di accoglienza diurna

Le strutture di accoglienza diurna hanno due obiettivi: offrire spazi di socializzazione e rifugio, e offrire contesti protetti in cui recuperare o sviluppare abilità o comunque utilizzare in modo significativo e produttivo il proprio tempo.

Questi obiettivi diventano funzionali quando entrano a far parte di un progetto individualizzato più ampio e strutturato, in cui collaborano anche i servizi sociali e sanitari.

Quando si parla di strutture di accoglienza diurne ci riferiamo ai centri diurni che sono strutture di accoglienza e socializzazione, ai circoli ricreativi che sono più improntati verso la socializzazione e lo svolgimento di attività di animazione e possono essere aperte o meno

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al resto della popolazione, e ai laboratori che sono strutture diurne dove si svolgono attività occupazionali significative o lavorative a carattere formativo o di socializzazione.

Servizi di segretariato sociale

I servizi di segretariato sociale sono sportelli che hanno l’obiettivo di accogliere le domande dei cittadini e orientarli nella rete dei servizi che si trova nel territorio.

Servizi di presa in carico e accompagnamento

I servizi di presa in carico hanno il compito di mobilitare tutte le risorse disponibili sul territorio e, partendo dall’instaurare una

relazione di aiuto con la PSD, di iniziare un lavoro di autodeterminazione con essa affinché riesca a reinserirsi nella società.

I servizi di presa in carico e di accoglienza possono avere la caratteristica di servizi istituzionali, servizi formali e servizi informali. I servizi istituzionali vengono erogati direttamente dall’ente pubblico oppure da enti del terzo settore che, tramite appalto, convenzione, ecc., operano in regime di sussidiarietà riconosciuta. I servizi formali sono i servizi erogati dal terzo settore; mentre, i servizi informali sono tutti quei servizi erogati spontaneamente da qualsiasi cittadino, riconosciuti come tali purché siano ripetuti e socialmente riconosciuti. Affinché la presa in carico funzioni è importante che i tre livelli dei servizi vengano integrati.

Come è stato spiegato nel primo capitolo, spesso le PSD cadono in questa condizione a causa di più problematiche. Per questo motivo è necessario che la loro situazione sia trattata da un’equipe

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insieme. Le loro competenze saranno educative, legali, sanitarie, psicologiche, transculturali e organizzative.

La relazione di aiuto che si instaura tra gli operatori e l’utente deve basarsi su un rapporto di fiducia. Spesso nei primi colloqui non emerge fin da subito quali sono le reali problematiche che hanno portato le persone a vivere in strada ma di queste si viene a conoscenza solo dopo che si è instaurata una relazione di fiducia che permette all’utente di aprirsi e agli operatori di conoscere più a fondo la persona.

L’obiettivo della relazione di aiuto è quello di far emergere tutte le risorse della persona e di fare sì che essa si renda conto dei propri limiti. Questo, insieme alla mobilitazione delle risorse del territorio, permette di iniziare un lavoro verso l’autonomia e il reinserimento all’interno della società29.

Le professioni sociali

Chi svolge una professione sociale ha il compito di aiutare e sostenere una persone che si trova in uno stato di bisogno ad uscire da questa condizione.

Per poter svolgere questo mestiere, data la velocità del cambiamento dei contesti all’interno dei quali i professionisti sociali lavorano e dei metodi e delle tecniche di lavoro, è necessario svolgere una formazione continua.

29 Lerma M. Metodi e tecniche del processo di aiuto. Approccio sistemico-relazionale alla teoria e alla pratica del servizio sociale, Astrolabio, Roma, 1992.

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Per poter svolgere una professione sociale e aiutare le persone che si trovano in stato di bisogno, data la complessità dei bisogni, è importante che si lavori all’interno di un’equipe multidisciplinare. A far parte delle professioni sociali ci sono: lo Psicologo, il Sociologo, l’Assistente Sociale, l’Educatore; l’Operatore socio-sanitario, il Mediatore interculturale, l’Esperto per il reinserimento di ex detenuti e il Tecnico della mediazione culturale. A queste figure, per affrontare il problema della grave marginalità, si affiancano gli Antropologi, gli Etnologi, gli Infermieri e i Medici.

Il modello di riferimento preferito per affrontare la grave marginalità è “l’approccio ecologico” che permette di porre l’attenzione sia sull’individuo che sul contesto in cui egli vive, oltre che sulla relazione tra i due.

Comprendere il contesto sociale in cui i senza dimora vivono è necessario perché il progetto di aiuto raggiunga gli obiettivi prefissati. Un approccio ecologico permette di capire le problematiche personali e ambientali riguardanti una situazione e allo stesso tempo, sia le risorse che possiede il singolo sia quelle del contesto, che possono essere sfruttate al fine di raggiungere l’autodeterminazione dell’utente. La grave marginalità adulta prevede che i professionisti sociali lavorino anche in setting inusuali per queste professioni ovvero in setting destrutturati come ad esempio le strade.

Essenziale per superare lo stato di bisogno è non utilizzare un approccio assistenzialista che si limita a dare risposte immediate all’utente ma avere come obiettivo l’autodeterminazione della persona, aiutandola a far emergere tutte le risorse che può sfruttare per superare la condizione di senza dimora.

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2.5. La Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora (fio.PSD)

La Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora (fio.PSD) è un’associazione che si occupa della problematica delle PSD.

Aderisce alla rete europea FEANTSA, che fa da riferimento europeo per tutte le organizzazioni analoghe a fio.PSD.

Nasce nel 1985 dall’organizzazione spontanea e informale di alcuni operatori sociali che lavoravano in servizi in cui veniva trattata la grave marginalità. È nel 1990 che si costituisce formalmente come associazione.

Alla fio.PSD aderiscono Enti e Organismi pubblici o del privato sociale che si occupano di grave emarginazione.

Gli obiettivi principali della fio.PSD sono promuovere il lavoro di rete tra tutti i soggetti che lavorano a favore delle PSD (pubblici e privati), svolgere attività di formazione per permettere una migliore conoscenza del fenomeno e svolgere attività di sensibilizzazione a questo tema nella società civile.30

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CAP. 3: IL MODELLO A GRADINI

3.1. Cos’è il modello a gradini

Il modello a gradini è l’approccio più utilizzato negli Stati Uniti e in Europa per combattere l’homelessness.

Questo modello è impostato in modo che la PSD prima segua un percorso di riabilitazione e uscita dalla condizione di disagio (abuso di sostanze, guarigione dalla malattia mentale, impiego lavorativo, ecc.) preparandosi a vivere in maniera autonoma e solo successivamente è previsto l’ingresso presso un’abitazione.

Il modello a gradini nasce negli USA tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 in seguito alla deistituzionalizzazione delle persone psichiatriche. Il modello è nato per accompagnare queste persone verso forme di abitazione sempre più simili alle abitazioni ordinarie.31 Lo stesso accadde in Canada negli anni ’70 quando ci fu la

de-istituzionalizzazione dei malati psichiatrici in seguito al riconoscimento degli effetti negativi dei trattamenti a lungo termine negli ospedali psichiatrici. Anche in Canada l’obiettivo della de-istituzionalizzazione era quello di far vivere le persone in contesti più vicini a quelli comuni e a reintegrarsi nella società32. In Italia questo

modello si è diffuso in seguito alla Legge Basaglia, L. n. 180/1978.

31http://www.politichepiemonte.it/site/index.php?option=com_content&view=article&id=505:le

-pratiche-di-contrasto-alla-grave-emarginazione-abitativa-il-modello-a-gradini-staircase-approach&catid=72:poverta&Itemid=93

32 Kirby r., Keon W. K. (2006), Out of the Shadows at last: Highlights and Recommendations of the Final Report on Mental Health, Mental Illeness and Addictions, Ottawa, The Standing Senate

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