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Influenza della dieta sull'espressione dei microRNA e loro impatto sullo stato di salute e di malattia nell'uomo

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in

Scienze della Nutrizione Umana

Tesi di Laurea:

INFLUENZA DELLA DIETA SULL'ESPRESSIONE DEI MicroRNA E

LORO IMPATTO SULLO STATO DI SALUTE E DI MALATTIA

NELL'UOMO

Relatore: Prof.ssa Clementina Manera

Correlatore: Prof.ssa Concettina La Motta

Candidato: Laura Carli

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“L’uomo è ciò che mangia”

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INDICE

INTRODUZIONE……….………

4

BIOGENESI E MECCANISMO DEI microRNA………..…………

7

I microRNA NELLA SINDROME METABOLICA………..……….………

10

OBESITA’ E INFIAMMAZIONE METABOLICA………..……….

10

INSULINO – RESISTENZA……….……..

14

DISLIPIDEMIE……….………

19

I microRNA NEL TUMORE………

23

I microRNA NELLE MALATTIE CARDIOVASCOLARI……….……..

33

I microRNA ESOGENI E IL CASO DEL LATTE……….

42

I microRNA E LA DIETA IN GRAVIDANZA………

49

CONCLUSIONI………..………

56

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INTRODUZIONE

“DNA makes RNA makes protein”. Quest’espressione, di Francis Crick, è la versione abbreviata del dogma centrale della biologia: le informazioni genetiche necessarie al corretto sviluppo e funzionamento dell’organismo sono contenute nel DNA che viene trascritto dal RNA che viene poi tradotto in proteine. Tutte le informazioni

contenute nel DNA vengono copiate e trasmesse di generazione in generazione.1

Per molti anni si è pensato che disordini legati ad alterazioni nella produzione di proteine derivassero da mutazioni geniche. Solamente nel 1950 si è iniziato a parlare di meccanismi epigenetici ovvero di meccanismi in grado di influenzare l’espressione genica senza alterare la sequenza di nucleotidi che compone il DNA. I meccanismi epigenetici possono influenzare l'attività genica a livello trascrizionale, cioè durante la copia del DNA, e a livello post-trascrizionale, per esempio durante la traduzione delle proteine. Le modificazioni epigenetiche più studiate includono la metilazione del DNA, l'acetilazione degli istoni e, di più recente scoperta, i cambiamenti nell'espressione dei microRNA.2

L'epigenoma, cioè l'insieme dei meccanismi di regolazione che consentono l'espressione dei geni, è dinamico e può essere influenzato da fattori genetici e ambientali; anche le modificazioni epigenetiche possono essere reversibili e questo rende il genoma flessibile a rispondere ai cambiamenti ambientali come l'alimentazione, lo stress, l’esercizio fisico e i farmaci.3

Le alterazioni di questi meccanismi epigenetici possono portare allo sviluppo di numerose patologie come obesità, insulino-resistenza, patologie cardiovascolari e sviluppo di tumori.3

Ad oggi numerosi studi hanno dimostrato che esiste un’associazione tra vari tipi di diete, come diete ad alto contenuto di grassi, diete che prevedono una restrizione calorica o diete che prevedono l'uso di nutrienti bioattivi e derivati vegetali, e i cambiamenti epigenetici che alterano la segnalazione cellulare.3

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La modulazione dell’espressione dei microRNA, il più recente meccanismo epigenetico scoperto, pare essere fortemente collegata all’alimentazione. L’espressione aberrante dei microRNA è associata con molte patologie umane ed è stato dimostrato che sono diversi i nutrienti presenti nel cibo che possono modulare la sintesi endogena di questi oligonucleotidi: aminoacidi, carboidrati, acidi grassi, vitamine, fibre e molti altri. Una dieta varia e ben bilanciata in macro e micro nutrienti potrebbe modulare correttamente l’espressione dei microRNA ed essere molto utile nel prevenire o ritardare lo sviluppo di disordini metabolici, patologie cardiovascolari e tumori.4

Negli ultimi anni, con l’aumentare degli studi sui microRNA, è stato scoperto che questi, oltre ad essere prodotti dall’organismo umano, sono presenti anche negli animali e nelle piante. Sono microRNA esogeni, diversi da quelli umani, che vengono introdotti nell’organismo attraverso l’alimentazione e sono in grado di regolare l’espressione di geni bersaglio presenti nell’uomo.4

Un alimento contenente elevati livelli di microRNA è il latte, sia materno che vaccino. I microRNA del latte si trovano dentro vescicole lipidiche che resistono all’ambiente gastrointestinale, vengono assorbite, raggiungono la circolazione sistemica e vanno ad agire su diverse proteine implicate nello sviluppo e nella crescita dell’organismo. Il latte materno si dimostra quindi un nutriente essenziale per i lattanti mentre, la carenza di microRNA nel latte in polvere e l'assorbimento persistente di microRNA del latte vaccino dopo il periodo di allattamento, sono due aberrazioni epigenetiche che possono indurre effetti negativi a lungo termine sulla salute umana.5

Oltre all’allattamento anche il periodo della gravidanza si è dimostrato legato alla dieta e alla modulazione dei microRNA. Nell'inverno 1944/45, durante la seconda guerra mondiale, in Olanda, la disponibilità di cibo era notevolmente ridotta, sia a causa del blocco del trasporto alimentare dalla Germania, sia perché i canali d’acqua congelati impedivano la consegna di cibo con le barche. La carestia e la mancanza di vitamine e proteine nella dieta hanno influenzato l'intera popolazione e in particolare le donne in gravidanza. Studi a lungo termine, sugli effetti di questa condizione,

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hanno dimostrato che gli individui nati dopo la carestia avevano una maggiore suscettibilità a un sottoinsieme di malattie, inclusa la schizofrenia, la sensibilità allo stress e l’obesità. Studi successivi hanno confermato l’ipotesi che un’alimentazione sana durante la gestazione può regolare l’espressione dei microRNA nel feto e, questi bambini, in età adulta, hanno un rischio minore di sviluppare patologie metaboliche rispetto ai bambini di madri che hanno seguito diete scorrette in gravidanza.2

In conclusione i microRNA sono fondamentali in ogni fase della vita e mantenere la loro espressione regolata con l’aiuto della dieta potrebbe essere utile per modulare il loro impatto sullo stato di salute e malattia dell’uomo.

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BIOGENESI E MECCANISMO DEI microRNA

I microRNA sono una classe evolutivamente conservata di piccoli RNA non codificanti, hanno una lunghezza di circa 22 nucleotidi e sono in grado di regolare l'espressione genica a livello principalmente post-trascrizionale. Sono noti per essere coinvolti nella differenziazione e morte cellulare, nello sviluppo di tumori, nell’angiogenesi, nel metabolismo dei grassi e in molti altri processi biologici. I microRNA sono fattori chiave importanti nella risposta dell’organismo agli stress ambientali, aiutano a ripristinare l’omeostasi e rappresentano il meccanismo utilizzato per riprogrammare l’espressione genica in modo da permettere alle cellule di adattarsi ad un ambiente mutevole.4

La sintesi dei microRNA inizia nel nucleo (Figura 1), con la trascrizione del DNA. Le sequenze nucleotidiche di partenza, di circa la metà dei microRNA attualmente conosciuti, sono localizzate in regioni intergeniche, cioè comprese tra geni codificanti; queste sequenze sono trascritte indipendentemente dal gene ospitante e sono regolate da propri promotori. L’altra metà si trovano in regioni intrageniche, principalmente in introni non codificanti o, in minima parte, in esoni di geni codificanti proteine; questi condividono i promotori e il trascritto primario con il gene ospitante.6

La maggior parte delle sequenze viene trascritta dall’enzima RNA polimerasi II e solo una piccola parte dalla RNA polimerasi III. Il prodotto è un trascritto primario di microRNA (pri-miRNA), un filamento di RNA lungo diverse kilobasi e contenente zone in cui il singolo filamento si ripiega e si accoppia a dare quella che viene definita struttura stem-loop o a forcina. La struttura a forcina viene riconosciuta da una proteina del nucleo, la DGCR8 (DiGeorge syndrome critical region in gene 8): un cofattore che permette l’azione di una ribonucleasi III, Drosha, un enzima che catalizza l'idrolisi dell'acido ribonucleico che viene così scisso in componenti più piccoli. L’associazione tra Drosha e DGCR8 porta alla formazione di un grande complesso conosciuto come Microprocessor complex che taglia il pri-miRNA alla

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base della forcina liberando una struttura di circa 65 nucleotidi, il pre-miRNA. DGCR8, interagendo con il pri-miRNA, guida Drosha in modo che il taglio avvenga a distanza di 11 basi dall’inizio della forcina. Il pre-miRNA che si forma ha un gruppo fosfato all’estremità 5’ e una sporgenza di circa 2 nucleotidi all’estremità 3’. La sporgenza al 3’ viene riconosciuta dal trasportatore Exportin 5 e il pre-miRNA viene trasportato dal nucleo al citoplasma.7

Figura 1. Sintesi microRNA nel nucleo. (Goodall. 2013. Front. cell. Neuro)

Nel citoplasma (Figura 2) interviene un’altra ribonucleasi III, Dicer, che taglia il pre-miRNA a circa 22 nucleotidi dalle estremità, rimuovendo il loop terminale e generando un piccolo microRNA a doppio filamento. Idealmente ognuno dei due filamenti potrebbe diventare un microRNA maturo ma, solitamente, solo uno dei due completa la maturazione. Il microRNA a doppio filamento, tagliato da Dicer, viene caricato in un complesso effettore chiamato RISC (RNA-induced silencing complex) formato da proteine Argonaute che favoriscono la degradazione di uno dei due filamenti.4,7

A questo punto, all’interno del complesso RISC, si trova un microRNA maturo la cui funzione è quella di regolare l’espressione genica legandosi al RNA messaggero.6

Il meccanismo con cui i microRNA agiscono è quello del silenziamento genico che può avvenire attraverso il blocco della traduzione o attraverso la degradazione del mRNA. Il complesso miRISC riconosce sequenze complementari, chiamate MRE (miRNA response elements), all’estremità 3’ UTR del mRNA e le proteine Argonaute

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orientano il microRNA facilitando l’interazione con il filamento del mRNA. In base al grado di complementarità tra microRNA e MRE si ha un’azione diversa del complesso: una totale complementarità induce l’attività endonucleasica della proteina AGO2 che scinde il legame fosfodiesterico all'interno della catena polinucleotidica, dividendola in più polimeri e causando la degradazione del mRNA; se invece ci sono delle zone di mancata corrispondenza si va verso il blocco della traduzione senza degradazione del RNA messaggero. Nelle cellule animali la

maggior parte delle interazioni miRNA-MRE non sono totalmente complementari.6

Figura 2. Maturazione microRNA nel citoplasma. (Hironori. Int. J. Mol. Sci. 2020)

Recentemente, oltre alle regioni 3’, sono stati rilevati siti di legame dei microRNA anche in altre regioni di mRNA: alla 5’ UTR, in alcune regioni codificanti e all'interno delle regioni del promotore. Il legame dei microRNA a 5’ UTR e alle regioni codificanti ha effetti di silenziamento sull'espressione genica mentre è stato riportato che l'interazione dei microRNA con la regione del promotore induce la trascrizione e sono ancora in corso ulteriori studi per comprendere meglio il significato funzionale di tale interazione.6

Molto importante, soprattutto per lo scopo terapeutico, la dimostrazione che un singolo microRNA può andare ad agire su più mRNA, e un singolo mRNA può essere il target di più microRNA; questo consente ai microRNA di regolare diversi gruppi di mRNA all’interno di una via di segnalazione e generare un potente impatto su diversi processi cellulari.8

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I microRNA NELLA SINDROME METABOLICA

La definizione “sindrome metabolica” fa riferimento ad una condizione clinica in cui la presenza contemporanea di diversi fattori di rischio aumenta la probabilità di andare incontro a problemi cardiovascolari, steatosi e diabete di tipo 2. Questi fattori includono: obesità addominale, insulino-resistenza, dislipidemia, e ipertensione arteriosa.9

OBESITA’ E INFIAMMAZIONE METABOLICA

Obesità e sovrappeso derivano solitamente da uno squilibrio tra l’energia assunta con la dieta e l’energia spesa dall’individuo. In questo squilibrio intervengono molteplici fattori tra cui un inadeguato apporto calorico, l’inattività fisica, una certa

predisposizione genetica e il metabolismo individuale. Con l’avvento

dell’epigenetica si è aggiunto un altro fattore: numerosi studi hanno rilevato livelli di microRNA anomali nel tessuto adiposo di soggetti obesi rispetto ai livelli registrati nel tessuto di soggetti normopeso.10

Negli obesi si riscontra spesso un’adipogenesi aumentata che porta ad un maggior numero di adipociti e accumulo di grasso corporeo; tra i numerosi microRNA presenti nel tessuto adiposo ce ne sono alcuni coinvolti proprio nella regolazione della differenziazione degli adipociti.11

Livelli di miR-143 aumentati e di miR-27 diminuiti risultano essere associati ad un’aumentata espressione del recettore PPARγ (peroxisome proliferator-activated

receptor gamma), importante nell’induzione dell’adipogenesi.11

Diete ricche di grassi e povere di carboidrati, così come un consumo eccessivo di ginseng, possono favorire l’adipogenesi poiché vanno ad aumentare i livelli di miR-143 e ad abbassare quelli di miR-27.4

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Consumare invece un’adeguata quantità acido linoleico coniugato riduce i livelli di miR-143 e aumenta quelli di miR-27 portando ad un rallentamento dell’adipogenesi.11

Il termine acido linoleico coniugato si riferisce a un gruppo di isomeri dell'acido linoleico (Figura 3), un acido grasso essenziale appartenente alla serie dei grassi omega 6, caratterizzati dalla presenza di due doppi legami coniugati, cioè legami contigui non separati da gruppi metilenici come nell'acido linoleico.12

L’acido linoleico coniugato viene prodotto nel rumine (stomaco con funzioni digestive) dei ruminanti a partire dagli acidi grassi insaturi introdotti dall’animale con la dieta. Solo nel rumine infatti sono presenti gli enzimi specifici necessari alla reazione di bioidrogenzione che porta alla formazione dell’isomero coniugato.13

Figura 3. Acido Linoleico e suoi isomeri coniugati.

Le principali fonti di acido linoleico coniugato sono la carne animale e il latte e relativi derivati.13

Diversi studi dimostrano che la dose giornaliera di acido linoleico coniugato efficace e sicura va dai 3 ai 6 grammi al giorno ma è possibile affermare che il consumo, nel corso della vita, di alimenti naturalmente ricchi di acido linoleico coniugato è comunque utile a rallentare l’accumulo di adipe.14

Acido Linoleico C18:2 (c9,c12)

Acido Linoleico coniugato C18:2 (c9,c11)

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Mantenere un’adipogenesi correttamente regolata è importante anche per prevenire una diffusa complicanza legata all’obesità che è l’infiammazione metabolica. Il processo infiammatorio osservato nell'obesità e nella sindrome metabolica differisce dalla classica risposta infiammatoria acuta ed è un processo caratterizzato da una reazione infiammatoria cronica a bassa intensità che si manifesta in modo sistemico senza segni clinici evidenti.15

Il tessuto adiposo è un tessuto endocrino che produce diversi tipi di citochine, chiamate adipochine, tra cui alcune pro-infiammatorie come IL-6 (Interleuchina 6) e TNFα (Fattore di necrosi tumorale α) e altre citochine come MCP1 (monocyte chemoattractant protein-1) che hanno la funzione di richiamare macrofagi nel tessuto. Fisiologicamente il tessuto adiposo è infiltrato da una certa quantità di macrofagi quiescenti, con scarsissima attività pro-infiammatoria, ma con il compito di sostenere la funzione adipocitaria (Figura 4). In condizioni di sovrappeso e obesità l’iperplasia e l’ipertrofia degli adipociti provocano una secrezione eccessiva di adipochine: aumentano le citochine pro-infiammatorie e aumentano i fattori chemiotattici che promuovono l’infiltrazione macrofagica con un ulteriore produzione di varie interleuchine e di TNFα da parte dei macrofagi stessi.16

Figura 4. Tessuto adiposo in soggetto sano e obeso. (Zanetti M. 2013. Giornale Italiano Arteriosclerosi.)

Interleuchina 1β (IL-1β) e TNFα si legano a recettori sulla membrana plasmatica delle cellule innescando vie di segnalazione intracellulare che portano all’attivazione del

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fattore nucleare NF-κB (nuclear factor kappa-light-chain-enhancer of activated B cells) e della proteina attivatrice (AP-1) che traslocano nel nucleo cellulare e avviano la trascrizione di diversi geni correlati alla risposta infiammatoria, tra cui quelli di IL-1β, IL-6 e TNF-α. Questo meccanismo genera la perpetuazione della reazione infiammatoria, che risulta implicata anche in altre condizioni associate all’obesità come l’aterogenesi e la resistenza all'insulina.16

Un importante microRNA coinvolto nei meccanismi infiammatori è miR-21; miR-21 diminuisce la risposta pro-infiammatoria bloccando la via TNF-α/NF-kB e aumenta la risposta anti-infiammatoria incrementando la produzione di interleuchina 10, una citochina anti-infiammatoria in grado di inibire, nei macrofagi, la sintesi di citochine pro-infiammatorie quali IL-2, IL-3 e TNF-α.16

Il resveratrolo (Figura 5), un polifenolo presente nella buccia dell'uva, nei frutti di bosco, nel gelso e nelle arachidi è un nutriente molto utile nel regolare l’espressione di miR-21.17

Figura 5. Struttura chimica del resveratrolo (3,5,4'-triidrossi-trans-stilbene)

Il resveratrolo è forse l’unico nutriente i cui effetti epigenetici sono stati studiati in soggetti umani. Nello studio l'assunzione giornaliera utilizzata è stata di una capsula al giorno di estratto d'uva contenente 8,1 mg di resveratrolo in uomini con diabete di tipo 2, ipertensione e BMI > 30 kg/m2 per sei mesi, e due capsule al giorno per

ulteriori sei mesi. Questo trattamento ha portato ad un aumento di miR-21 e a concomitanti livelli ridotti di citochine pro-infiammatorie come IL-6, IL-1β e TNF-α. L'aumento di miR-21 in seguito al trattamento con resveratrolo è stato quindi

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associato ad una riduzione dell'infiammazione mediata dalla regolazione della via NF-kB.17

INSULINO RESISTENZA

La resistenza all'insulina è definita come una risposta inadeguata dei tessuti insulino-sensibili ai livelli ordinari di insulina; è una delle principali caratteristiche della sindrome metabolica e può portare al diabete mellito di tipo 2. La sindrome metabolica viene anche definita sindrome da insulino-resistenza poiché quello che si verifica spesso è un circolo vizioso in cui le due condizioni si alimentano a vicenda. Il glucosio che non viene sequestrato dai tessuti resta nel circolo ematico e causa iperglicemia; l’iperglicemia cronica scatena l’infiammazione metabolica con aumento di fattori pro-infiammatori come TNF-α, IL-1β e IL-6, che sono a loro volta correlati allo sviluppo di insulino-resistenza.15

L'insulina è un ormone sintetizzato dalle cellule β pancreatiche, conservato in granuli e secreto in risposta all'aumento dei livelli di glucosio nel sangue. La secrezione di insulina causa assorbimento del glucosio nei muscoli e nelle cellule adipose, blocca la produzione de novo di glucosio nel fegato e aumenta la conservazione dei nutrienti sotto forma di grasso, glicogeno e proteine.18

Il legame dell’insulina al suo recettore specifico Ins-R (Figura 6), avvia una cascata di eventi che iniziano con l’autofosforilazione di Ins-R seguita dalla fosforilazione di molecole segnale a valle, inclusa la famiglia dei substrati del recettore dell’insulina IRS. L'effetto più evidente innescato da queste reazioni è la fusione delle vescicole citoplasmatiche contenenti GLUT-4 (il trasportatore del glucosio) con la membrana plasmatica, permettendo così alla cellula di assorbire più efficacemente il glucosio extracellulare. Nel tessuto muscolare e adiposo il trasporto del glucosio è infatti mediato dai trasportatori della famiglia GLUT: il GLUT-1, responsabile del trasporto basale, e il GLUT-4 responsabile del trasporto in seguito allo stimolo di insulina.18

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Figura 6. Meccanismo d’azione dell’insulina. (www.medicinehack.com)

Un numero crescente di microRNA si è scoperto essere implicato nel controllo della segnalazione dell'insulina e dell'omeostasi del glucosio, in particolare a livello dei tessuti bersaglio.19

Studi recenti riportano che in topi obesi diabetici la famiglia miR-29 è aumentata nei tessuti che rispondono all'insulina: nel muscolo scheletrico, nel fegato e nel tessuto adiposo. La famiglia miR‐29 è coinvolta in una varietà di processi biologici come il metabolismo cellulare, la proliferazione e differenziazione cellulare, la funzione ematologica, la modulazione immunitaria e comprende tre forme mature: miR‐29a, miR‐29b e miR‐29c.20

L’accumulo di acidi grassi saturi in tessuti come quello muscolare e quello adiposo è stato collegato alla patogenesi della resistenza all’insulina. La dimostrazione arriva da uno studio in cui alcuni miociti sono stati trattati con acido palmitico, uno tra i più comuni acidi grassi saturi distribuiti nel muscolo scheletrico. Dopo il trattamento con acido palmitico (0,1-0,5 mM per 18 h), il livello di espressione di IRS-1 (uno dei substrati del recettore dell’insulina), rispetto al controllo, si è drasticamente ridotto in modo dose-dipendente portando a una ridotta riposta all'insulina e un minor assorbimento di glucosio nei miociti. Poiché la diminuzione di IRS-1 era drastica a

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livello di quantità di proteine ma appena osservabile a livello di mRNA corrispondente, gli autori hanno sospettato che la repressione post-trascrizionale dell'espressione di IRS-1 potesse dipendere da un meccanismo mediato da microRNA. E’ stata quindi analizzata l'espressione di diversi microRNA che presumibilmente avevano come target IRS‐1 ed è stato riscontrato che l'espressione di miR‐29a era effettivamente aumentata in modo significativo e dose-dipendente nei miociti trattati con acido palmitico.20

Il meccanismo attraverso il quale l'eccesso di acidi grassi saturi regola l'espressione di miR-29a non è ancora chiaro ma alcuni studi hanno rivelato che diversi fattori di trascrizione sono in grado di legarsi a siti specifici nelle regioni del gene di miR-29a e portare ad un aumento della sua sintesi. Tra questi fattori di trascrizione troviamo C/EBPα, appartenente alla famiglia C/EBPs (CCAAT-enhancer-binding protein), una famiglia di fattori di trascrizione che promuove l’espressione di alcuni geni attraverso l’interazione con i loro promotori. Il gene che codifica per C/EBPα si attiva in riposta a nutrienti altamente calorici, se questi aumentano nella dieta si ha eccessiva attivazione del gene, aumento nella produzione del fattore C/EBPα e conseguente induzione di miR-29a.20

Una dieta ricca di grassi potrebbe quindi favorire l'espressione di alcuni microRNA, tra cui miR‐29a, e provocare insulino-resistenza; studi successivi hanno infatti confermato che l’aumento di miR-29a nei tessuti insulino-sensibili è una caratteristica che si riscontra spesso nei soggetti obesi con diabete mellito di tipo 2.20

Per quanto riguarda l’acido palmitico (Figura 7), questo si trova in grandi quantità nell’olio di palma ma anche nel latte intero, nel burro, nei formaggi e nella carne grassa; alimenti che non devono essere consumati in eccesso nella dieta.20

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Un altro studio si è concentrato invece su mir-29c, microRNA della famiglia miR-29 sempre correlato all’insulino-resistenza ed in particolare implicato nella patogenesi di una delle più comuni complicanze del diabete mellito di tipo 2: la nefropatia diabetica. Il decorso di questa malattia è caratterizzato da un progressivo aumento della permeabilità glomerulare alle proteine con conseguente perdita della funzionalità renale. All’interno del glomerulo renale si verifica un accumulo di costituenti della matrice extracellulare, quali collagene, laminina e fibronectina che provocano un ispessimento della membrana basale glomerulare a spese del lume capillare e della superficie di filtrazione.21

Condizioni iperglicemiche, dovute anche ad un eccesso di carboidrati nella dieta, aumentano l'espressione di miR-29c con diminuzione dell'espressione della sua proteina target Spry1 (Protein sprouty homolog 1). Spry1 è un inibitore della via che porta alla produzione del fattore di crescita dei fibroblasti, le cellule deputate alla produzione della matrice extracellulare. Se Spry1 diminuisce e questa via non viene inibita, la produzione del fattore di crescita aumenta, i fibroblasti proliferano e si ha la maggiore sintesi di fibronectina caratteristica della nefropatia diabetica. In vivo, l’inibizione dell’attività di miR-29c ha migliorato la progressione della nefropatia diabetica evidenziando le potenzialità della modulazione esogena di questo

particolare microRNA.4

Un’altra famiglia che ha dimostrato in diversi studi pre-clinici di essere direttamente coinvolta nel metabolismo del glucosio è la famiglia dei microRNA denominata let-7. Sono stati pubblicati studi che mostrano come l’aumentata espressione di let-7 risulti in ridotta tolleranza al glucosio e insulino-resistenza, dovute all'effetto soppressore di let-7 sull'espressione di proteine come il recettore specifico dell’insulina Ins-R e il substrato del recettore dell'insulina IRS-2. In topi geneticamente obesi, alimentati con una dieta ricca di grassi, è stato utilizzato un anti-miR, un oligonucleotide antisenso con sequenza complementare a let-7 per impedire al vero let-7 di legare l’RNA messaggero dei suoi target (Ins-R e IRS-2). Il

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silenziamento di let-7 ha migliorato la tolleranza al glucosio e la sensibilità all'insulina suggerendo che let-7 potrebbe essere un obiettivo per la gestione del diabete di tipo 2.4

Diversi micronutrienti e fito-derivati sono in grado di regolare l'espressione della famiglia let-7. L'acido trans retinoico, derivato della vitamina A e presente in frattaglie, uova e prodotti caseari, aumenta l’espressione di più membri della famiglia let-7; let-7a è aumentato anche in diete carenti di folato che si trova in grandi quantità nelle verdure soprattutto a foglia verde. La genisteina, un isoflavone con effetti antiossidanti e simili agli estrogeni, presente in soia e legumi, invece riduce l’espressione di let-7. Diete a basso consumo di grassi e ricche in verdure e legumi potrebbero essere un valido supporto nella gestione dell’insulino-resistenza.3

MiR-103 e miR-107 sono altri due microRNA implicati nella risposta all’insulina e hanno come bersaglio la proteina Caveolina-1.4

La Caveolina-1, abbondantemente espressa negli adipociti, nelle cellule endoteliali, nei fibroblasti e nei pneumociti tipo 1, è una proteina integrale di membrana e componente principale delle caveole, piccole invaginazioni vescicolari della membrana plasmatica (Figura 8). Nelle caveole risulta essere localizzato il recettore dell’insulina Ins-R ed è sempre a livello delle caveole che viene esposto il trasportatore del glucosio GLUT-4 in seguito al legame di Ins-R con l’insulina.22

Figura 8. Rappresentazione caveola. (Jin-ichi I. 2010. FEBS Letters.) Caveolina-1

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Il legame dell’insulina al suo recettore provoca la fosforilazione della Caveolina-1 che potenzia il segnale di Ins-R permettendo l’attivazione della cascata di trasduzione del segnale che porta alla traslocazione di GLUT-4 all'interno delle caveole. Dopo la rimozione dell'insulina dal suo recettore, il GLUT-4 viene rapidamente interiorizzato e sequestrato all'interno della cellula. Alcuni studi dimostrano che la Caveolina-1 è anche implicata nell'endocitosi di GLUT-4 in adipociti stimolati con insulina.22

In topi alimentati con una dieta ricca di grassi si osserva, prevalentemente nel tessuto adiposo, un aumento nell’espressione di miR-103 e miR-107 sufficiente a causare difetti nell’omeostasi del glucosio mentre il silenziamento di miR-103 e miR-107, negli stessi modelli murini, migliora la sensibilità all'insulina e la tolleranza al glucosio. Consumare una ridotta quantità di grassi nella dieta può quindi contribuire a mantenere una corretta omeostasi del glucosio e, se queste scoperte venissero confermate in primati umani, miR-103 e miR-107 potrebbero rappresentare bersagli utili per migliorare la resistenza all'insulina associata all'obesità.19

Una dieta ricca di grassi è associata anche ad un’aumentata espressione di miR-143 che, oltre a favorire l’adipogenesi, come visto in precedenza, ha prodotto, nei topi, un aumento dei livelli plasmatici di insulina a digiuno, un’alterazione del metabolismo del glucosio e una ridotta tolleranza all'insulina; cambiamenti che non si verificano invece in topi carenti di miR-143.4

DISLIPIDEMIE

I lipidi sono i principali componenti strutturali delle membrane cellulari e svolgono ruoli importanti nello stoccaggio dell’energia. Lipidi come colesterolo e acidi grassi vengono introdotti nell’organismo con la dieta ma anche sintetizzati de novo, prevalentemente nel fegato. La resistenza all'insulina e le altre anomalie metaboliche possono stimolare la lipogenesi portando ad un accumulo epatico eccessivo di trigliceridi e acidi grassi che è associato a malattie del fegato come l’epatosteatosi, precursore di malattie epatiche più gravi come fibrosi e carcinoma epatocellulare.19

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Il colesterolo e gli altri lipidi vengono trasportati nel sangue per associazione con lipoproteine, le lipoproteine a bassa densità (LDL) trasportano il colesterolo nei tessuti periferici mentre le lipoproteine ad alta densità (HDL) sono importanti per la rimozione del colesterolo dai tessuti periferici e per il ritorno verso il fegato.19

L'omeostasi aberrante del colesterolo e dei lipidi rappresenta un fattore di rischio critico per le malattie cardio-metaboliche prevalenti nel mondo sviluppato; il rischio di aterosclerosi e coronaropatie aumenta con un aumento dei livelli di LDL circolanti, mentre i livelli di HDL sono inversamente associati al rischio di malattie cardiovascolari.19

Il primo microRNA legato al controllo lipidico è il miR-122, espresso principalmente nel fegato e implicato nella biosintesi di colesterolo e acidi grassi. Due studi hanno dimostrato che il silenziamento di miR-122 con oligonucleotidi antisenso si traduce in una riduzione dei livelli di colesterolo nel plasma di circa il 25-30%. In un primo studio nei topi, la riduzione di miR-122, ha portato all'espressione alterata di un certo numero di geni epatici coinvolti nella biosintesi del colesterolo, come la metilglutaril-coenzima A reduttasi, la 3-idrossi-3-metilglutaril-coenzima A sintasi, e la 7-deidrocolesterolo reduttasi, e, di conseguenza, ad un significativo abbassamento del colesterolo plasmatico. In un altro studio separato, il silenziamento di miR-122 ha portato una diminuzione del colesterolo epatico, una diminuzione della biosintesi degli acidi grassi e un aumento della β-ossidazione degli acidi grassi; meccanismi associati a riduzione di trigliceridi e di colesterolo totale circolante. Nello studio questi eventi hanno condotto al miglioramento dell'epatosteatosi (accumulo di grasso nel fegato) insorta in topi nutriti con una dieta ricca di grassi.19

Un terzo studio ha valutato l’impatto della Vitamina E o α-tocoferolo (Figura 9) alimentare sull’espressione di alcuni microRNA tra cui il miR-122. In un modello di roditore carente di vitamina E si osserva una diminuzione dei livelli di miR-122, una

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maggiore espressione di 108 geni correlati al metabolismo dei lipidi e una riduzione dei livelli del colesterolo plasmatico.23

Figura 9. Struttura chimica vitamina E (α-tocoferolo).

Il tocoferolo si trova in quantità maggiori in alcuni tipi di olio come l’olio di germe di grano e l’olio di oliva oltre che in noci, nocciole e mandorle; alimenti da consumare in quantità moderate in una dieta bilanciata.23

Altri studi sul microRNA miR-122 hanno però scoperto che il suo antagonismo non solo abbassa le LDL ma causa anche un calo dei livelli di HDL, sia nei topi che nei primati non umani. Il valore di miR-122 come aiuto per la gestione dei disturbi del colesterolo a lungo termine è stato perciò rimesso in discussione e ulteriori studi sono ancora in corso.19

MiR-33 è un altro microRNA profondamente coinvolto nell’omeostasi del colesterolo e dei lipidi. Diversi studi hanno rivelato un'ampia collaborazione di miR-33 e la famiglia SREBP (proteine leganti gli elementi regolatori degli steroli) coinvolta nell'espressione di numerosi geni che regolano la biosintesi e l’assorbimento del colesterolo e degli acidi grassi, nonché la produzione di fosfolipidi e trigliceridi.7

Un recente studio ha scoperto un nuovo target di miR-33 dimostrando che la sua espressione è inversamente associata alla presenza di ChREBP (proteina legante elementi di risposta ai carboidrati), un altro importante fattore di trascrizione coinvolto nella lipogenesi de novo che si attiva in risposta a una dieta ricca di carboidrati. La proteina ChREBP fa aumentare l’espressione della sintasi epatica degli acidi grassi e dell’acetil-CoA carbossilasi portando ad aumentata sintesi lipidica. Gli autori hanno osservato che la ridotta espressione di miR-33, responsabile

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dell’attivazione di ChREBP, si manifesta nei topi nutriti con una dieta ad alto contenuto di fruttosio.7

Il fruttosio (Figura 10) è un monosaccaride abbondante in miele e frutta ma soprattutto molto utilizzato dalle industrie alimentari per il suo potere dolcificante superiore del 33% rispetto a quello del glucosio.24

Figura 10. Struttura chimica del fruttosio

Il dolcificante attualmente più utilizzato, sia per il potere dolcificante che per il basso costo, è lo sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio (HFCS), una miscela contenente fino al 55% di fruttosio e 45% di glucosio. L’HFCS viene utilizzato per rendere più appetibili i prodotti alimentari ed è presente in bibite, succhi di frutta, merendine e prodotti da forno confezionati, che negli ultimi 40 anni sono entrati a far parte della dieta moderna, in particolare di bambini, adolescenti e giovani adulti. Un gran numero di studi associa l’elevato consumo di fruttosio con la sindrome metabolica e tutti i disordini ad essa correlati come resistenza all’insulina, accumulo lipidico intraepatico, obesità e ipertrigliceridemia.24

Nelle tabelle stilate dalla Società Italiana di Nutrizione Umana nel 2014, in cui sono riportati i Livelli di assunzione di riferimento per la popolazione italiana (LARN), alla quota Zuccheri, che comprende gli zuccheri naturalmente presenti in latte, frutta e verdura, e gli zuccheri aggiunti, si legge: Limitare il consumo di zuccheri a <15% dell’energia totale della dieta. Limitare l’uso del fruttosio come dolcificante. Limitare l’uso di alimenti e bevande formulati con fruttosio e sciroppi di mais ad alto contenuto di fruttosio.25

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I microRNA NEL TUMORE

Il tumore, secondo la definizione internazionalmente accettata dell’oncologo R.A. Willis, "è una massa abnorme di tessuto, il cui accrescimento eccede quello dei tessuti normali, è incoordinato con quello, e persiste nella stessa maniera eccessiva dopo cessazione degli stimoli che lo hanno provocato".26

Con tumore si fa quindi riferimento ad una condizione patologica caratterizzata dalla proliferazione non controllata di cellule che hanno la capacità di infiltrarsi nei normali organi e tessuti dell'organismo alterandone la struttura e il funzionamento. Alcuni tipi di tumori hanno anche la capacità di dare metastasi: piccole cellule maligne si staccano dal tumore originario e diffondono in altri organi dove possono riprodursi e generare nuovi tumori.26

La maggior parte dei tumori sono causati da mutazioni genetiche che si generano in una o più cellule del nostro organismo nell’arco della vita, per esempio a causa dell’invecchiamento, di stili di vita poco salutari o di agenti esterni.27

Molti studi suggeriscono un importante coinvolgimento dei microRNA nello sviluppo dei tumori data la loro capacità di regolare l’espressione di diversi geni bersaglio e quindi di interferire con la regolazione del ciclo cellulare, dell'apoptosi, dell'angiogenesi, dell'invasione e delle metastasi. In base al loro RNA messaggero bersaglio i microRNA possono agire come oncogeni e contribuire all'iniziazione, al mantenimento e alla progressione dei tumori, nonché all'invasività e alla metastasi oppure come oncosoppressori e rallentare tutto il processo.27

Il primo tumore umano per il quale è stato descritto il coinvolgimento dei microRNA è stato la leucemia linfatica cronica, una malattia neoplastica caratterizzata dall’accumulo di piccoli linfociti B maturi nel sangue, nel midollo osseo e negli organi linfoidi periferici (linfonodi e milza). Nel 2002 un gruppo di ricercatori ha dimostrato che l’espressione di miR-15a e miR-16 era ridotta o assente in circa il 68% dei casi di leucemia linfatica cronica. Ulteriori studi hanno dimostrato che questi microRNA, normalmente presenti nelle cellule sane, regolano negativamente la

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proteina Bcl-2 (B-cell lymphoma 2), una proteina che inibisce l'apoptosi e aumenta la sopravvivenza della cellula andando ad agire a livello mitocondriale. Un’espressione diminuita di miR-15a e miR-16 porta quindi alla proliferazione incontrollata e ad una mancata apoptosi delle cellule tumorali. Un’altra convalida dell'attività di questi microRNA nella protezione dalla carcinogenesi è stata ottenuta quando la trasfezione di una quantità di miR-15a e miR-16 in una linea cellulare di midollo osseo è stata sufficiente a diminuire i livelli proteici di Bcl-2 e ad attivare l'apoptosi.28

L’epigallocatechina gallato (EGCG), una sostanza appartenente alla famiglia dei polifenoli, è una catechina coniugata con acido gallico (Figura 11) ed è abbondante nel tè verde e nei prodotti a base di cacao. Una tazza da 100ml di tè verde contiene circa 27mg di EGCG ed è stato dimostrato che aumentare il consumo di questa bevanda rallenta la progressione del cancro.16

Figura 11. Struttura chimica EGCG

Una delle molte interessanti attività protettive contro il cancro di EGCG è proprio quella di aumentare l’espressione di mirR-16, inibire l’azione di Bcl-2 e aumentare l’apoptosi nelle cellule tumorali, non solo nella leucemia ma anche in altri tipi di tumore come l’epatocarcinoma.28

Uno studio su cellule di carcinoma mammario ha dimostrato che anche la curcumina (Figura 12), il maggior componente della spezia Curcuma longa, aumenta l’espressione di miR-15a e di miR-16 inducendo l’apoptosi in queste cellule

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attraverso l’inibizione di Bcl-2. Questa attività proapoptotica è stata ulteriormente confermata silenziando miR-15a e miR-16 con oligonucleotidi anti-miR che hanno ripristinato l'espressione di Bcl2.28

Figura 12. Struttura chimica della curcumina

La curcumina è un altro membro della famiglia dei polifenoli, è responsabile del colore giallo della curcuma e le sue applicazioni più comuni sono come ingrediente negli integratori alimentari, nei cosmetici e come aromatizzante per gli alimenti; gli alimenti ricchi di curcumina sono solo la pianta di curcuma e il curry in polvere, una miscela di spezie pestate utilizzata per insaporire.16

L'acido retinoico, o meglio definito come acido trans retinoico, è un metabolita della vitamina A ed è un altro componente alimentare che si è dimostrato in grado di modulare l'espressione di miR-15a e miR-16. Il trattamento di cellule derivanti da pazienti con leucemia acuta promielocitica, la forma più aggressiva di tumore del sangue, con 100 nmol/L di acido trans retinoico ha portato all’aumento dell'espressione di otto microRNA tra cui miR-15a e miR-16, e alla conseguente sottoregolazione di Bcl-2.29

L’acido retinoico è il metabolita attivo della vitamina A mentre il retinolo è la forma alcolica presente negli alimenti che viene assorbita e trasformata in metaboliti attivi all’interno delle cellule. La vitamina A viene anche prodotta all’interno dell’organismo a partire da un carotenoide assunto con gli alimenti, il β-carotene (Figura 13).

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Figura 13. Strutture chimiche

Il retinolo è presente soprattutto negli alimenti di origine animale: si trova nel fegato, nelle uova, nel latte e nei suoi derivati (burro e formaggio) mentre i cibi ricchi di β-carotene sono prevalentemente i vegetali gialli, arancioni e rossi come carote, zucca, albicocche, patate dolci e meloni.30

Tra i nutrienti più utili nella prevenzione del cancro troviamo sicuramente il folato, la forma naturale della Vitamina B9 o Acido Folico. L’acido folico (Figura 14) è un acido pteroil-monoglutammico formato da una pteridina, un acido p-amino benzoico e un acido glutammico; non è presente negli alimenti ma è la forma sintetica che viene utilizzata per produrre integratori e alimenti fortificati e arricchiti di vitamine. Il folato invece è la forma presente negli alimenti, è un poliglutammato dell’acido tetraidrofolico che differisce dall’acido folico per la presenza della pterina in forma ridotta (idrogenata).31

Figura 14. Struttura chimica dell’acido folico (acido pteroil-monoglutammico)

Trans retinolo

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Una dieta carente di folati, nei topi, porta al carcinoma epatocellulare (HCC) in 54 settimane. L’analisi dei microRNA espressi nel tessuto epatico dei topi alimentati con una dieta priva di folati ha mostrato una diminuzione significativa di miR-122 rispetto alla quantità presente nel fegato di topi alimentati con la dieta di controllo, che prevedeva 2 mg/kg di acido folico. MiR-122 rappresenta il 70% del microRNA epatico totale sia murino che umano e ha mostrato svolgere un ruolo fondamentale nello sviluppo del fegato; poiché è specificamente e abbondantemente espresso negli epatociti e potrebbe anche essere coinvolto nella loro differenziazione. È interessante notare che se a 36 settimane la dieta viene riportata al regime di controllo i livelli di miR-122 tornano alla normalità e l’HCC non si sviluppa; pertanto è fondamentale il periodo di esposizione alla dieta carente di folato per l’induzione dell’epatocarcinoma.22

Ulteriori analisi in questo modello di ratto hanno identificato una profonda sottoregolazione di miR-34a e miR-127, noti microRNA soppressori di tumori. Ciò è correlato con l'aumento dei livelli di due fattori di trascrizione: E2F3 (fattore di trascrizione E2F 3), regolato da miR-34a, che svolge un ruolo cruciale nel controllo del ciclo cellulare e Bcl-6 (B-cell lymphoma 6), una proteina appartenente alla stessa famiglia di Bcl-2, regolata dal miR-127 e inibitrice dell’apoptosi.22

Per concludere, nel fegato di questo modello di topi alimentati con dieta priva di folati si osserva anche un aumento del microRNA oncogeno, miR-155. Il bersaglio di miR-155 è C/EBPβ, un fattore di trascrizione appartenente alla famiglia C/EBP (CCAAT-enhancer-binding protein), considerati fattori di soppressione del tumore a causa della loro capacità di arrestare la crescita cellulare. In particolare C/EBPβ è ampiamente espresso negli epatociti dove è coinvolto nella regolazione della differenziazione degli epatociti terminali e nel mantenimento delle normali funzioni epatocitarie in risposta alle lesioni. Il ruolo di C/EBPβ nel cancro è quello di bloccare la proliferazione, promuovere la differenziazione e sopprime la cancerogenesi; funzioni che vengono a mancare se l’espressione di miR-155 è aumentata poiché questo va a inibire la produzione di C/EBPβ.22

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La sottoregolazione dell’abbondante miR-122, la soppressione del miR-34a e del -127 e la ridotta espressione di C/EBPβ, bersaglio di miR-155, sono state rilevate già nelle prime fasi dell’epatocarcinoma e quindi potrebbero svolgere un ruolo cruciale anche per l’identificazione e il trattamento precoce della patologia.28

Il termine “folato” deriva dal latino "folium", che significa foglia: le verdure a foglia sono infatti le migliori fonti alimentari di folati.31

Alimenti con un alto contenuto di folati, da 100µg a 300µg/100g sono principalmente verdure a foglia verde come spinaci, broccoli, lattuga, bieta e cavolfiori, seguite da agrumi, legumi e frutta secca che hanno un buon contenuto, tra 50µg e 100µg/100g. Negli integratori vitaminici e negli alimenti fortificati e arricchiti con vitamine si trova invece l’acido folico perché il suo livello di biodisponibilità è più alto rispetto a quello dei folati alimentari, che hanno biodisponibilità incompleta e variabile. La National Academy statunitense ha stimato che almeno l’85% di acido folico è biodisponibile se assunto con integratori o alimenti fortificati, mentre solo circa il 50% dei folati naturalmente presente negli alimenti viene assorbito.31

L’assunzione giornaliera raccomandata nelle tabelle LARN fa comunque riferimento ai folati e consiglia l’assunzione di 400µg/al giorno per gli adulti maschi e femmine.32

La vitamina D è da sempre conosciuta come la vitamina che regola il metabolismo osseo. L’interazione di tale vitamina con il suo recettore attiva, infatti, la trascrizione di proteine implicate nella regolazione del metabolismo fosfo-calcico contribuendo a mantenere i livelli fisiologici di calcio nel plasma e a favorirne il deposito nell’osso.33

La vitamina D viene introdotta con gli alimenti solo in piccolissima parte, circa il 20% del fabbisogno, e le fonti migliori sono il tuorlo d’uovo, i pesci grassi, il fegato e il burro; un alimento che ne contiene grandi quantità ma che è poco appetibile è l’olio di fegato di merluzzo: un cucchiaino da tè di 5 ml contiene 400 UI di Vitamina D a differenza, per esempio, delle 218 UI contenute in 100g di tuorlo. Il restante 80% del fabbisogno è garantito dall’ irradiazione solare: la sintesi della vitamina D si verifica

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nei cheratinociti sotto lo stimolo dei raggi UVB a partire dal suo precursore, il 7-deidrocolesterolo, disponibile in grandi quantità nella cute dell’uomo.

Sia la vitamina D sintetizzata nella pelle sia quella che introduciamo con gli alimenti, sono biologicamente non attive e subiscono una serie di trasformazioni nel fegato e nei reni ad opera di specifici enzimi che portano alla formazione della forma attiva, il calcitriolo o 1,25-diidrossicolecalciferolo (Figura 15).34

Figura 15. Biosintesi Vitamina D e struttura chimica della forma attiva, il calcitriolo. (Dott. Volpicelli)

Il metabolita attivo, calcitriolo, agisce attraverso il legame con il recettore specifico della vitamina D, il VDR (Vitamin D Receptor). Il VDR è un fattore di trascrizione nucleare e la sua attivazione porta all’espressione di molti geni e all’avvio di secondi messaggeri già presenti nella cellula. Negli ultimi anni è stato scoperto che tale recettore, oltre ad essere presente negli organi coinvolti nel metabolismo fosfo-calcico (intestino, ossa, reni), si trova in numerosi altri organi e tessuti nei quali si è mostrato capace di modulare la proliferazione e il differenziamento cellulare ed i meccanismi immunitari.33

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Queste considerazioni, nonché alcune osservazioni in vitro sulla capacità della vitamina D di inibire la proliferazione e indurre l’apoptosi in alcuni tipi cellulari ha accresciuto l’interesse nel verificare il rapporto tra questa vitamina e l’insorgenza e la progressione dei tumori. Recentemente sono stati proposti diversi meccanismi post-trascrizionali per la vitamina D che coinvolgono l’espressione di alcuni microRNA e la loro regolazione dei livelli di mRNA.22

La proliferazione anomala è una caratteristica distintiva delle cellule tumorali; è stato dimostrato che la vitamina D è in grado di sopprimere la proliferazione in molteplici linee cellulari maligne. Nelle linee cellulari tumorali del colon gli effetti anti-proliferativi del trattamento con calcitriolo sono correlati con un aumento dell’espressione del miR-22 che riduce l’espressione del suo bersaglio, la proteina HDAC4. HDAC4, o istone deacetilasi 4, appartiene alla famiglia di enzimi “istone deacetilasi” che rimuovono i gruppi acetili presenti sugli istoni, le strutture su cui si avvolge il DNA, permettendogli di avvolgerlo più strettamente e inibire la sua trascrizione. E’ stato dimostrato che HDAC4 è aumentato nelle cellule tumorali e che la sua inibizione sopprime la proliferazione cellulare e diminuisce il rischio di tumore.35

Ulteriori proprietà antitumorali della vitamina D sono state studiate in una serie di linee cellulari di leucemia. Il trattamento con basse concentrazioni di calcitriolo (1-10nmol/L) ha portato ad una diminuzione dell’espressione di miR-181a e -181b, in modo dipendente dalla dose e dal tempo, e all'arresto della progressione del ciclo cellulare nella fase G1 a causa dell'accumulo di due proteine: p27 e p21.28

La fase G1 è la prima fase del ciclo cellulare, è un periodo di intensa attività

biochimica e ha inizio immediatamente dopo la nascita della cellula; in questa fase la cellula raddoppia le dimensioni e aumenta il numero di enzimi e organuli.36

La regolazione tempestiva del ciclo cellulare è condotta mediante una famiglia di

enzimi chiamati chinasi dipendenti dal ciclo (CDK). p21 è una proteina che funziona

da inibitore attivo su tutte le CDK ed è in grado di bloccare la cellula in qualunque fase del suo ciclo. La p21 interviene laddove si sia verificato un danneggiamento del

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DNA, bloccando l’attività di replicazione per consentirne la riparazione. Nelle cellule neoplastiche l’attività della p21 è solitamente ridotta o assente.37

Un altro inibitore delle CDK è la proteina p27, anche questa in grado di bloccare il ciclo cellulare in ogni sua fase e poco espressa nelle cellule tumorali.38

L’assunzione giornaliera raccomandata di vitamina D nelle tabelle LARN è di 15µg che salgono a 20µg sopra i 75 anni di età, sia per i maschi che per le femmine. La dose di vitamina D è espressa come colecalciferolo, l’intermedio introdotto con gli alimenti e primo prodotto della biosintesi da raggi UVB. Questi valori infatti e considerano sia gli apporti alimentari sia la sintesi endogena nella cute. Solitamente la dose di Vitamina D viene espressa in Unità Internazionali (UI); come riportato nelle tabelle 1µg di colecalciferolo = 40 IU vit. D e quindi l’assunzione giornaliera raccomandata è di 600 UI.32

Un'altra classe di importanti nutrienti implicati nella prevenzione del cancro, soprattutto quello del colon-retto, è la classe degli acidi grassi a catena corta, o SCFA (short chain fatty acids), che si formano dalla fermentazione microbica della fibra alimentare nell'intestino crasso. Il più importante tra gli SCFA è l’acido butirrico, o acido butanoico, i cui effetti sull'arresto della crescita cellulare e sull'espressione dei microRNA nelle cellule tumorali del colon sono stati recentemente studiati. Il trattamento con acido butirrico di una linea cellulare di cancro del colon ha dimostrato di diminuire significativamente l'espressione della famiglia di microRNA miR-17.3

p21 (la proteina inibitore delle chinasi, in grado di bloccare la cellula in qualunque fase del suo ciclo) è un bersaglio diretto della famiglia miR-17 e il suo silenziamento da parte di questi microRNA contribuisce alla proliferazione delle cellule tumorali. E’ stato dimostrato che miR-17 è implicato sia nella carcinogenesi sia nelle metastasi e la sua espressione è aumentata in cinque tipi di cancro: al seno, al colon, al polmone, al pancreas e allo stomaco.3

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Una dieta ad alto contenuto di fibre può aiutare a ridurre il rischio di cancro al colon e altre patologie intestinali, grazie anche all'aumento della produzione di acido butirrico.3

Nelle tabelle LARN per alcuni nutrienti, tra cui le fibre, è riportato uno SDT (Suggested Dietary Target): obiettivo nutrizionale per la prevenzione ovvero un obiettivo di quantità e qualità del nutriente, il cui raggiungimento indica la riduzione del rischio di malattie cronico - degenerative nella popolazione generale.

Per quanto riguarda la fibra, l’SDT nelle tabelle LARN riporta: "Preferire alimenti naturalmente ricchi in fibra alimentare quali cereali integrali, legumi, frutta e verdura". "Negli adulti, consumare almeno 25 g/giorno di fibra alimentare anche in caso di apporti energetici <2000 kcal/giorno".25

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I microRNA NELLE MALATTIE CARDIOVASCOLARI

Le malattie cardiovascolari (CVD) rappresentano una delle cause di morte più frequenti in tutti i Paesi, probabilmente anche in seguito allo scorretto stile di vita

adottato da un numero sempre maggiore di individui in tutto il mondo.39

A conferma di questa ipotesi, diversi studi hanno osservato che la dieta mediterranea è particolarmente protettiva contro le CVD e alcuni hanno riportato un rischio di mortalità per cause cardiovascolari inferiore del 25% nelle persone che aderiscono alla dieta mediterranea. Inizialmente venne ipotizzato che questo tipo di dieta mostrava protezione contro le CVD, e molte altre malattie, principalmente a causa del suo basso contenuto di grassi saturi. Tuttavia, gli effetti protettivi della dieta mediterranea possono essere attribuiti anche al ricco contenuto di polifenoli, vitamine e fibre alimentari derivanti dall’elevato apporto di olio d'oliva, frutta, verdure, cereali e da un modesto consumo di pesce e vino rosso.39

Un nutriente risultato molto importante per la salute cardiovascolare e ingrediente principe della dieta mediterranea è il pomodoro, e in particolare il suo componente bioattivo, il licopene (Figura 16). Il licopene è un pigmento liposolubile che conferisce il colore rosso ai pomodori; è un carotenoide e rappresenta quasi il 90% del totale dei carotenoidi contenuti nei pomodori.40

Figura 16. Struttura chimica del licopene.

Studi clinici hanno valutato gli interventi alimentari a base di licopene su fattori di rischio CVD negli individui sani riscontrando che l’integrazione del pomodoro nella dieta induce cambiamenti nell'espressione dei microRNA cardiaci, riduce lo stress ossidativo e migliora la funzione diastolica.40

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L’assunzione di pomodoro è stata significativamente associata alla riduzione dell’espressione di miR-350 e miR-872 nei topi alimentati per tre mesi con una dieta in cui l'integrazione del pomodoro era equivalente a 1 mg di licopene/kg di peso corporeo/giorno.40

Il microRNA miR-350 svolge un ruolo fondamentale nell’ipertrofia dei cardiomiociti attraverso il blocco nella sintesi proteica di p38α a livello post-trascrizionale. La proteina p38α appartiene alla famiglia delle MAP chinasi (MAPK), protein chinasi attivate dai mitogeni, piccoli peptidi che inducono la cellula a iniziare la divisione cellulare. Le MAPK sono coinvolte nella regolazione delle funzioni cellulari tra cui proliferazione, differenziazione, sopravvivenza e apoptosi. La p38α costituisce la principale MAPK del cuore; la sua induzione promuove l'apoptosi dei cardiomiociti, mentre la sua inattivazione si traduce in un'elevata ipertrofia cardiaca che si verifica soprattutto nel caso in cui il cuore sia anche sottoposto a un sovraccarico di pressione.41

La riduzione nell’espressione di miR-350 da parte del licopene potrebbe rallentare il progredire dell’ipertrofia cardiaca che, nel lungo periodo, conduce a patologie più importanti come l’insufficienza cardiaca o lo scompenso cardiaco.41

L’altro microRNA regolato dal licopene è il miR-872; la sua presenza contribuisce alla produzione di citochine pro-infiammatorie e all’aumento dello stress ossidativo cardiaco. La condizione di stress ossidativo indica l’insieme delle alterazioni che si producono nei tessuti e nelle cellule quando questi sono esposti a un eccesso di agenti ossidanti come i radicali liberi. Se le difese antiossidanti dell’organismo non sono sufficienti a mantenere la cellula in uno stato di equilibrio e la situazione di stress è prolungata, l’eccesso di agenti ossidanti può generare alterazioni vitali che col procedere diventano irreversibili. Il miR-872 favorisce questa condizione inibendo l’enzima eme ossigenasi-1. L’eme-ossigenasi 1 è un enzima inducibile che risponde allo stress e converte l’eme in bilirubina, monossido di carbonio e ferro libero, il quale ha effetti antinfiammatori e anti-apoptotici. Una delle funzioni dell’eme ossigenasi-1 è di avere un effetto protettivo sulla parete arteriosa

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promuovendo l’attività antiinfiammatoria e inducendo la riparazione dell’endotelio danneggiato.42

Pertanto, la riduzione del miR-872 con conseguente aumento della produzione di eme-ossigenasi, potrebbe spiegare la diminuzione dello stress ossidativo nel gruppo di topi alimentati con pomodoro.40

Altri studi sperimentali hanno dimostrato che il licopene può essere utile anche in seguito ad infarto del miocardio migliorando diversi processi di rimodellamento cardiaco conseguenti alla necrosi del tessuto come l’ipertrofia e la fibrosi e attenuando la disfunzione cardiaca che deriva dall’infarto.43

I topi sono stati alimentati con una dieta uguale a quella utilizzata nel precedente studio per i tre mesi successivi all’infarto del miocardio. Il risultato è la diminuzione dei livelli di otto microRNA (miR-29, -194, -503, -20a, -30a, -192, -30e e 126) implicati nella regolazione di due proteine: IGF-1 e SIRT-1.43

IGF-1 (insuline-like growth factor) o somatomedina è un fattore di crescita che promuove la proliferazione e la differenziazione cellulare. I fibroblasti cardiaci sono responsabili della produzione del tessuto connettivo composto principalmente da fibre collagene, più rigide, che mantengono la struttura del cuore e fibre elastiche che invece ne garantiscono il funzionamento. Colture di fibroblasti cardiaci umani trattate con IGF-1 hanno mostrato un aumento della produzione di fibre elastiche che vanno a contrastare la deposizione di collagene tipica della fibrosi che rende il cuore più rigido e meno funzionale.43

La proteina SIRT-1 (sirtuina 1) è invece implicata nella regolazione della crescita e della sopravvivenza dei cardiomiociti in condizioni di stress. In seguito all’infarto spesso si verifica un danno da riperfusione quando la circolazione sanguigna torna al tessuto colpito dalla necrosi. L'assenza di ossigeno e nutrienti che si verifica durante l’infarto crea una condizione in cui il ripristino della circolazione ha come risultato l'infiammazione e lo stress ossidativo dei tessuti coinvolti, invece della ripresa della normale funzionalità. E’ stato dimostrato che l'esaurimento di SIRT-1 contribuisce ad aggravare il danno da riperfusione. Lo studio sul licopene dimostra che la

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diminuzione degli otto microRNA cardiaci aumenta l’espressione di IGF-1 e SIRT-1 e questo potrebbe spiegare la sua utilità nella ripresa dopo infarto del miocardio.43

La quantità di licopene usata negli studi, 1 mg/kg al giorno equivale a 700mg di pomodoro/kg al giorno che in un uomo di 70 kg corrisponde a 49000mg di pomodori (o circa 0,049 kg); una porzione relativamente piccola, che potrebbe essere facilmente introdotta nella dieta. Un’indagine ha valutato che il consumo annuo di pomodori freschi è di 18 kg pro capite in Europa e di 8 kg pro capite negli Stati Uniti; in Europa un uomo consuma quindi 0,05 kg di pomodoro al giorno, ovvero la quantità sufficiente a produrre gli effetti benefici dimostrati negli studi sul licopene.40

Un altro nutriente, con effetto benefico sulla salute umana, che può agire attraverso la modulazione dei microRNA è la fibra alimentare. Come dimostrato nello studio sulle cellule tumorali del colon3, esiste un’associazione tra l’acido

butirrico, un metabolita della fibra alimentare derivante dalla fermentazione intestinale, e alcuni microRNA, tra cui miR-17 e miR-93. Oltre ad essere presenti nelle cellule intestinali, questi microRNA sono ampiamente espressi anche nel cuore e sono implicati nella patogenesi della malattia coronarica.39

La malattia coronarica fa parte delle malattie cardiovascolari più frequenti e indica la stenosi, o addirittura l’occlusione, delle arterie coronarie che è in grado di ridurre o interrompere completamente l’apporto di sangue al cuore. La stenosi deriva principalmente dall’aterosclerosi, un indurimento con perdita di elasticità delle pareti delle arterie, causata dalla formazione di placche costituite da lipidi, tra cui il colesterolo (Figura 17). Le conseguenze della malattia coronarica possono essere l’infarto cardiaco o addirittura l’arresto cardiocircolatorio. 44

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Figura 17. Placca aterosclerotica. (GMV Care&Research)

La formazione della placca aterosclerotica è conseguente a un’infiammazione endoteliale causata da qualsiasi fattore: fumo di sigaretta, ipertensione, diabete, infiammazione metabolica. Lo stato infiammatorio cronico favorisce il richiamo di macrofagi, cellule del sistema immunitario in grado di accumulare lipidi. Se i livelli dei lipidi circolanti sono elevati si ha un eccessivo accumulo di colesterolo nei macrofagi che porta alla loro trasformazione in cellule schiumose, o foam cells, capaci di infiltrarsi nell’endotelio. L’infiltrazione endoteliale di macrofagi e materiale lipidico dà origine alla placca. I macrofagi hanno un’ampia varietà di meccanismi di assorbimento dei lipidi e non sono in grado di limitarne l'entrata; per mantenere una corretta omeostasi lipidica cellulare dipendono in gran parte dalle vie di efflusso del colesterolo. Un trasportatore chiave, coinvolto nell'efflusso di colesterolo e fosfolipidi dai macrofagi, è il trasportatore ABCA1 che media il trasporto dei lipidi dalla cellula alle lipoproteine ematiche ad alta densità HDL.45

Nei pazienti con malattia coronarica è stata rilevata un’abbondante presenza di miR-93, un inibitore dell’espressione di ABCA1. La diminuzione di ABCA1, causata dall’aumento di miR-93, interrompe la capacità dei macrofagi di rimuovere il colesterolo dal citoplasma favorendo l'aterogenesi patologica. Al contrario, la ridotta espressione di miR-93, causata da una dieta ricca di fibre, permette alla proteina ABCA1 di svolgere il suo lavoro e rallentare la formazione della placca.39

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Tra i fattori di rischio per lo sviluppo delle patologie cardiovascolari rientra sicuramente la senescenza del sistema vascolare, un evento comune durante il naturale processo d’invecchiamento dell’organismo. La senescenza vascolare è associata all'irrigidimento delle grandi arterie, alla disfunzione endoteliale, allo stress ossidativo e all’infiammazione; fattori che promuovono lo sviluppo di tutte le

malattie aterosclerotiche vascolari. Studi recenti forniscono prove che

l'invecchiamento vascolare è caratterizzato dall'esaurimento della nicotinammide

adenina dinucleotide NAD (Figura 18).46

Figura 18. Struttura chimica del NAD

Il NAD è un co-enzima ossido-riduttivo presente nelle cellule e necessario per oltre 500 reazioni enzimatiche. Svolge un ruolo cruciale in vari processi biologici tra cui il metabolismo, l’invecchiamento, e la morte cellulare; la riparazione del DNA e la regolazione dell’espressione genica. Pertanto è fondamentale per la salute e la longevità umana.47

Le sirtuine, una famiglia di proteine deacetilasi, enzimi chiave nella regolazione delle vie di sopravvivenza dell’apparato vascolare, sono NAD dipendenti: hanno bisogno della presenza di NAD per svolgere le loro funzioni. Originariamente collegate alla regolazione della durata della vita nei lieviti, queste proteine sembrano avere varie e diverse funzioni negli organismi superiori ed hanno un ruolo importante nella regolazione dell'omeostasi cellulare, soprattutto per quanto riguarda il metabolismo, l'infiammazione, lo stress ossidativo e la senescenza. Una carenza di NAD porta alla

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disattivazione degli enzimi SIRT, contribuendo all’invecchiamento vascolare e allo sviluppo di patologie cardiovascolari.48

Uno studio condotto in questo campo ha analizzato le proprietà benefiche del precursore di NAD, la nicotinammide mononucleotide NMN (Figura 19), scoprendo che è in grado di ripristinare i livelli di NAD nelle cellule invecchiate e che possiede potenti effetti vascolari anti-invecchiamento, invertendo la disfunzione endoteliale, migliorando la funzione mitocondriale e attenuando lo stress ossidativo.49

Figura 19. Struttura chimica di NMN

Studi successivi hanno osservato che l'esaurimento di NAD correlato all'età è significativamente legato a un’alterata espressione dei microRNA presenti nel sistema vascolare e che gli effetti del trattamento con NMN dipendono anche dal ripristino del profilo di questi microRNA.46

L’endotelio è un organo endocrino in grado di produrre diversi mediatori, alcuni dei quali servono a mantenere la dilatazione dei vasi sanguigni. Tra i mediatori vasodilatatori e vasoprotettivi c’è anche l’ossido nitrico. Con l’invecchiamento aumenta la produzione endoteliale del radicale superossido (O2-) e questo provoca

un eccessivo stress ossidativo e riduce la biodisponibilità di ossido nitrico.49

Nello studio sul NMN sono stati valutati due parametri: la dilatazione endotelio-dipendente (EDD) per valutare la funzionalità endoteliale vascolare poiché in caso di disfunzione l’attività endocrina dell’endotelio è compromessa, e la misurazione della dilatazione endotelio-dipendente mediata però dall’ossido nitrico per analizzare lo

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stress ossidativo vascolare. I topi di controllo anziani hanno mostrato valori diminuiti per entrambi i parametri rispetto al controllo giovane.49

A seguito di un intervento orale, nei topi anziani, di 300 mg/kg/giorno di NMN per 8 settimane, sia la EDD sia la EDD mediata dall'ossido nitrico sono state ripristinate al valore basale, uguale a quello rilevato nei giovani topi di controllo. Gli autori avevano anche rilevato che la ridotta espressione e attività di SIRT1 contribuiva a compromettere la EDD nelle arterie durante l’invecchiamento; il trattamento con NMN ha ripristinato l'espressione e l'attività dell’enzima SIRT1 nelle arterie dei topi anziani.49

Nello studio successivo, in cui è stato valutato il profilo di microRNA, un gruppo di topi anziani è stato trattato con NMN in iniezioni di 500 mg/kg al giorno per 2 settimane. Alla fine del trattamento i livelli di microRNA nell’aorta sono stati confrontati con quelli ottenuti da topi di controllo giovani e da un altro gruppo di topi anziani non trattati.46

Il risultato ha mostrato una netta differenza nell’espressione dei microRNA nel gruppo giovane rispetto al gruppo anziano non trattato, mentre nei topi anziani trattati con NMN i livelli dei microRNA erano molto simili a quelli dei topi giovani. Il trattamento con NMN inverte i cambiamenti legati all'età nel profilo di espressione dei microRNA nell'aorta. In particolare i microRNA che sono stati ripristinati sono 29a, 27b, 652, 221, 28, 21, 125b-5p, 494, e miR-145, che sono normalmente alterati durante l’invecchiamento e sono implicati nell’infiammazione vascolare e nell’aterogenesi.46

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